Protagonismo

Maria Patrizio: storia d’una notorietà cercata. Ricercata. Un caso che assomiglia terribilmente al giallo nero di Cogne, in un’Italia minuta e grassa - di Emiliano Morrone

giovedì 18 maggio 2006.
 

Il pezzo è dell’anno passato. Si ripropone per una certa sua, forse, attualità.

Gli ingredienti ci sono tutti, il pasticcio è compiuto. Ancora non sappiamo dell’apertura d’un procedimento penale a carico della Patrizio, la nuova Franzoni di Casatenovo, al Nord. Quante altre ne verranno, mi chiedo, in questa nostra patria di giocatori e perfetti idioti, di amministratori ladri e donne per luci e quattrini, tv e seni modellati, zigomi rialzati, labbra macellabili e storie di triste e volgare mondanità, complici istituzioni, potenti e uomini annullati? Quanti mostri prodotti da un sistema politico e mediatico in cui non c’è più rispetto per la persona? Quanta ignoranza e quale modernità, quale emancipazione, quali basi per il futuro, qui, nel regno dell’orrendo e tragico fittizio, d’una informazione che costruisce a modino - come ha scritto Pippo Marra - identità e dinamiche politiche e sociali, cronache della follia, particolari, eccezioni? Come difenderci? Bruno Vespa è sicuramente già pronto per uno speciale in prima serata, col solito e illuminante Crepet, qualche bravo leguleio, possibilmente legato al parlamento, un analista del crimine, un prete eloquente, un’associazione di categoria e l’Auditel che registra dati eccezionali da passare al tg. Come lui, i colleghi, a raccogliere pareri sul posto, testimonianze, dettagli; a scavare nel passato della Patrizio, che già si scopre legata all’immagine (di modella), come scrive Grazia Mottola sul Corriere della Sera di oggi, ma solo per «guadagnare e comprare un’altra casa» - secondo l’amica Federica Capone. E poi le foto a Mediaset, ai settimanali, alle agenzie, che ritraggono l’innocente già sospettata o la colpevole d’un crimine inenarrabile in atteggiamento provocatorio, di richiamo, diremmo. Vagamente ricordando, ma assai vagamente, l’Adele di Klimt, se non fosse per lo sguardo, fra la propaganda d’un numero a valore aggiunto e quello che si offre ai primi piani nel talk, durante un un ballo malizioso. Senza ergerci a giudici nani o nani giudici, proviamo a valerci d’un certo corredo minimo di logica: versioni dei fatti che non tornano, possibilità, pressoché impossibili, d’una presenza invisibile che agisce e impedisce e, su tutto, la vita d’un bimbo, di un essere indifeso e privo d’ogni genere di responsabilità. Potrebbe risultare, insomma - salvo tutto e, soprattutto, il caso che clamorosamente ci sbagliamo, pur non volendo insinuare alcunché -, il giallo scontato della donna che cerca successo con la morte della sua creatura, di sé; l’intrigo semplice della perversione per cui la vita piena segue all’eliminazione, all’annientamento perfino d’una parte dei propri geni, riprodotti attraverso la pratica più antica e problematica che si conosca. Potrebbe essere l’epilogo d’una volontà per la potenza che non ha controllo: non parliamo di quello etico, già sepolto e retrò, ma alludiamo, sommessamente, a quello statale, dell’ordine costituito, come cantava De Andrè. Al di là del reale, di quello che potrebbe uscire fuori o restare per sempre in ombra, oltre i rilevamenti dei Ris e le congetture degli incaricati, mi pare che ci sia una verità evidente. Mi pare, cioè, che tutto sia, in questa storia, uno spettacolo necessario, un grande gioco dei ruoli consueti e una mostra quotidiana dell’insana avidità collettiva. Mi pare che ci sia guadagno per chiunque si getti in questo affare col gaudio di cavarne un’affermazione o qualcosa per andare avanti qualche giorno. Benché madre affranta, Maria Patrizio non si sottrae, suo malgrado, a questo teatro già classico.

Emiliano Morrone


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