Settembre, caldo. Settembre caldo. E’ il 28 del 2011, a salvarne il ricordo. Dentro il palazzo l’ennesimo teatro. La Camera vota la sfiducia al ministro Saverio Romano, indagato per associazione mafiosa, con richiesta di rinvio a processo. Su Internet va la diretta web. I deputati della maggioranza s’appellano alle "guarantigie costituzionali", si dichiarano vittime di persecuzione nel mirino di magistrati, stampa, opposizioni e movimenti; tutti a giudizio. Ora i pm sono dei parlamentari: leghisti e pidiellini trasformano il caso di Romano nella guerra dell’antipolitica alle istituzioni.
Non c’è più limite alla menzogna. Forse non c’è mai stato. Il ministro Gelmini ha fatto passare la sua riforma scolastica come indispensabile. Col pretesto del merito, della verifica dei docenti e degli sprechi, ha tagliato migliaia di posti di lavoro. In un attimo, fregandosene del livello e delle sorti dell’istruzione pubblica.
Nel pomeriggio del 28 settembre 2011, in piazza Montecitorio non più di venti persone, tra cui il sottoscritto, tentano una catena umana per la pulizia nelle istituzioni. Da troppi mesi, Camera e Senato decidono su richieste d’arresto di loro membri, piuttosto che sulle urgenze del Paese.
Stavolta, l’iniziativa, legata alla vicenda del ministro Romano, vuole superare le logiche della contrapposizione e le semplificazioni: sinistra contro destra, piazza contro palazzo, antipolitica contro politica. Tra di noi, non tutti comprendono che bisogna seguire una linea, la quale non può favorire il clamore mediatico, vuoto per definizione. Se usi un linguaggio d’attacco e costruisci l’avversario, poi addebbitandogli lo sfacelo, ottieni plausi e visibilità. Ma questo non giova affatto alla causa comune: non risponde alla disoccupazione, alla precarietà, alla compressione dei diritti, all’ingiustizia, allo scadimento dell’istruzione pubblica, alla condizione d’agonia di ricerca e Stato sociale.
L’Italia sta morendo con le sue bellezze e ricchezze. Il trionfo dell’ignoranza, la repressione sistematica, la sfiducia dilagante, la mancanza di lavoro e di spazi politici rendono sempre più difficile la vita e scoraggiano l’impegno.
In piazza, mi intervista una giornalista di Rainews24. Spiego ragioni e obiettivi della nostra presenza, riassunti in un manifesto programmatico, ma mi leva presto la parola. Infatti, non demonizzo qualcuno e non faccio gossip politico. Mi chiede se sopravvive ancora il Popolo viola, le rispondo che non appartengo a quel movimento; fra i promotori con altri che cito. Quindi, aggiungo che siamo sotto la Camera per pretendere, uniti, il rispetto delle regole. Il che prescinde da appartenenze e dialettiche politiche. Non c’è ciccia per il suo collegamento in diretta: niente scontri, invettive, corpi contundenti. Sicché la collega punta sull’esiguo numero dei partecipanti: vuole svelare il presunto mistero dei Viola, se si sono divisi e, all’occorrenza, con chi stanno.
I deputati della maggioranza salvano la poltrona di Romano, ma questo non urta la stampa: è un risultato come tanti, l’industria dello scandalo ha vinto ancora.
Sempre a Roma, la sera ci ritroviamo, e meno del pomeriggio, in piazza Santi Apostoli. Dovremmo parlare d’un percorso per la legalità, da intraprendere con le forze politiche e sociali. Due ragazzi in gamba, Adriana Stazio e Ivan Pipicelli, sono arrivati da Avellino. Stendono uno striscione che richiama l’eredità di Paolo Borsellino.
A Palermo, il 19 luglio scorso, per la memoria della strage di via D’Amelio eravamo una sessantina, nonostante le testimonianze, l’esempio e gli sforzi di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo.
Con noi, in piazza Santi Apostoli a Roma, il senatore del Pd Beppe Lumia, membro della commissione parlamentare Antimafia. C’è Orfeo Notaristefano, scrittore di denuncia e giornalista serio. Ci sono giovani dell’Italia dei Valori. Solo Antonio Di Pietro, fra tutti i segretari di partito invitati con lettera personale, ha appoggiato l’iniziativa. Muti i sindaci coinvolti. Serenetta Monti e Beatrice Andolina, delle Agende rosse, parlano della trattativa fra Stato e mafia. Tutti gli interventi - molto coraggiosi, vista la piazza vuota - mi suggeriscono delle riflessioni, che di seguito cerco di articolare.
Le tv del presidente del Consiglio indottrinano l’ultima generazione e offrono a chiunque svago, compagnia e desideri. Troppi giornali producono ideologie, si alimentano della finzione e dell’apparenza vendute per Internet. Spesso usano titoli da blog, che orientano in partenza il lettore. Lavorano per un fronte. Fanno opinione, formano pensieri, istinti collettivi.
Si chiama «mercato» questo «fronte»: stampa e cultura reggono, in Italia, finché impacchettano verità al ribasso. Con un euro e spiccioli o al prezzo d’un libro, ci illudiamo di conoscere i fatti e di sapere come muoverci.
I media, Chomsky insegna, sono molto convincenti. Da un lato c’è il nemico, il cui nome è Berlusconi. Dall’altro esiste il bene, che ha un’identità ideale e cangiante: una volta si chiama «società civile», poi «movimentismo», «popolo», «lista civica» et coetera. Nel grande giuoco delle parti, scompare la responsabilità individuale, sostituita dalla posizione in battaglia. Tre gli schieramenti consueti: pro Berlusconi, contro Berlusconi e nemici della «Casta».
Lo schema esclude qualsiasi altra visione della realtà. Chi ha un orizzonte politico aperto può scrivere le sue memorie e affidare al vento analisi e profezie.
Non si tratta d’una rinuncia: credo che la politica, sia nei partiti che fuori, sta perdendo forza e credibilità. Non solo per la Questione morale, ridotta a carichi pendenti e casellario giudiziale.
La politica è fatta di prospettive e speranze. Gli operai della Fiat di Termini Imerese o i lavoratori di Irisbus vivono ogni giorno il dramma della disoccupazione. Sanno che il mercato globale, lo stesso per cui opera certa informazione, non li vuole.
La vita è subordinata al principio del profitto, che annulla l’umanità degli individui. Le lobby decidono che cosa produrre e con quali risorse. I mezzi dello spettacolo mediatico realizzano l’inganno. Le loro luci, immagini, modelli, distrazioni e falsità servono a persuaderci che il Pil deve crescere e che il futuro dipende dalla competitività delle aziende.
In tv appaiono sempre i sostenitori di questo dogma. Non importa se sono obbligati a difendere le scelte del potere, al cui sistema appartengono per un qualche baratto. Di favori, consensi o piaceri della carne. Questa categoria di complici ha imparato toni e argomenti fuorvianti: urla, aggressioni verbali, accuse personali.
Berlusconi controlla una grossa fetta dell’editoria, l’altra è in mano a De Benedetti e analoghi. L’elemento comune è l’interesse in politica. In genere non ci sono filantropi, nella giungla del capitalismo.
I metalmeccanici, i precari, gli studenti, i disabili e gli scaricati dalle istituzioni non possono occuparsi della rivoluzione. Non hanno fondi e forse nemmeno le giuste chiavi interpretative.
Due questioni italiane mi paiono connesse:
1) la disgregazione, emersa con chiarezza nelle ultime manifestazioni di piazza;
2) l’oscuramento - da parte dei media - e la criminalizzazione - soprattutto in rete - di chi si sforza di unire le varie voci e anime della società, per risolvere i problemi più impellenti.
Meditare in profondità sui due punti non è, a mio avviso, tempo perduto. Atteso che ogni forza sociale deve:
1) indicare il proprio orizzonte politico, di là dal teatro mediatico degli scontri;
2) promuovere il coraggio, l’intelligenza, la volontà;
3) sostituire il valore dell’apparenza con la cultura della partecipazione critica, dell’integrazione delle differenze e la cultura del progetto comune.
Carmine Gazzanni
Caro Francesco,
evidentemente, è la voce di Gioacchino da Fiore. Un abbraccio, emiliano
La voce di Gioacchino da Fiore e il superamento reale dello stato di cose esistente.
Caro Francesco
a conferma di quanto scrive Emiliano, mi permetto di consigliarti
la lettura di una ’risposta’ di Karl Marx a un suo intervistatore:
M. cordiali saluti,
Federico La Sala
Il grande Federico e’ il primo gioachimita.
Un abbraccione,
emiliano
GIOACCHINO DA FIORE, FEDERICO II, E I "TRE ANELLI" (EBRAISMO, CRISTIANESIMO, E ISLAMISMO)
CARO EMILIANO
Il grande Federico e’ il primo gioachimita. Confermo!!!
La rivoluzionaria tesi è sostenuta da uno dei maggiori esperti mondiali di Storia dell’arte, il gesuita Heinrich Pfeiffer della Pontificia Università Gregoriana di Roma(Monreale News, 26.02.2011: I mosaici del duomo completati da Federico II):
«Una damnatio memoriae - ha concluso lo studioso - deve essere tolta da un cristiano: perciò ho parlato».
M. saluti,
Federico La Sala
ECUMENISMO E PROBLEMA DELL "UNO". LA LEZIONE EVANGELICA DEL "PADRE NOSTRO" ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv. 4.8), E LA LEZIONE ’CATTOLICA’ DEL POSSESSORE DELL’"ANELLO DEL PESCATORE" ("DEUS CARITAS EST": BENEDETTO XVI, 2006), E TEOLOGIA POLITICA DELL’"UOMO SUPREMO" ("DOMINUS JESUS": J. RATZINGER, 2000):
http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4845
A FRANZ KAFKA E A PRIMO LEVI. A MEMORIA ETERNA ....
DIE VERWANDLUNG. LA METAMORFOSI. E LA METASTASI DELLA CLASSE POLITICA E INTELLETTUALE ITALIANA. UN GIORNO, PER "SOPRAVVIVENZA", UN CITTADINO RUBO’ IL NOME DI TUTTO IL POPOLO ITALIANO, FONDO’ UN PROPRIO PARTITO ... E TUTTI E TUTTE NELLA SUA FARAONICA AZIENDA LAVORARONO FELICI E CONTENTI ("il lavoro rende liberi"), AL GRIDO DI "FORZA ITALIA"!!!
DEMOCRAZIA "REALE": CHE COSA SIGNIFICA? CHE COSA E’? Alcuni chiarimenti, con approfondimenti
Siamo alla svolta storica che imporrà il completo dominio della Global class sull’Europa
La lettera globale
di Eugenio Orso
In letteratura ci sono racconti e romanzi che riguardano le missive scritte da qualche personaggio di fantasia, lettere che contengono segreti più o meno imbarazzanti, e narrano di storie individuali o di veri e propri drammi esistenziali.
Dalla lettera rubata di Edgar Allan Poe del 1845 alla più romantica lettera di una sconosciuta di Stefan Zweig del 1922, tanto per ricordarne un paio di molto celebri. Ma ci sono missive che non sono il frutto della fantasia di scrittori, romanzieri e autori di novelle, e che hanno un rilievo politico, economico e sociale importante - in certi casi devastante, per molti milioni di uomini.
Questo è il caso della lettera “riservata” pubblicata oggi, giovedì 29 settembre 2011, dal Corriere della Sera in primo piano a pagina 3, scritta da Jean-Claude Trichet, attuale presidente della BCE, e dal futuro presidente della stessa Mario Draghi.
La lettera è di data 5 agosto del corrente anno, è rivolta al governo italiano, e non è di certo una lettera rubata e ritrovata in seguito in un luogo ovvio e visibile, o scritta da emeriti sconosciuti. Anzi, il fatto che il Corriere l’abbia pubblicata integralmente (a quanto sembra), rivela che qualcuno ha voluto che se ne divulgasse il contenuto, in un momento critico, con la tendenza a diventare drammatico, della storia d’Italia, e di grande difficoltà per buona parte dell’Europa.
Siamo alla svolta storica che imporrà il completo dominio della Global class sull’Europa, attraverso gli organismi sopranazionali appositi - BCE, Unione Europea, Commissione, che hanno la stessa funzione ad un livello continentale, in linea di massima, dei più “antichi” FMI e Banca Mondiale.
Trichet e Draghi non sono altro che mercenari-agenti della nuova classe dominante, che attraverso l’euro e il debito degli stati plasma l’Europa sulla base dei suoi interessi privati, opposti rispetto a quelli della stragrande maggioranza della popolazione e contrari a qualsiasi forma di Etica.
In questa lettera, da qualcuno definita senza mezzi termini un diktat, i due proconsoli europei degli alti livelli globalisti, che poi sono quelli che decidono le sorti dei popoli del continente, mettono al riparo i grandi capitali e l’evasione fiscale (soprattutto quella espressa dagli stessi grandi capitali), e impongono misure anti-sociali, chiamate ironicamente “riforme”, che se attuate integralmente massacrerebbero i quattro quinti della popolazione italiana.
Il primo gruppo di misure, al punto 1, riguarda il feticcio ultra-liberista della “crescita” economica, che deve essere spinta ai massimi livelli, costi quel che costi. Ed ecco che l’aumento della concorrenza, soprattutto nei servizi, e il “ridisegno” dei sistemi fiscali e regolatori al solo fine della competitività delle imprese diventano assolutamente prioritari su qualsiasi altra esigenza.
Per ottenere tale risultato, attraverso le spietate contro-riforme proposte dai due pericolosi criminali sociali globalisti Trichet e Draghi - in confronto ai quali chi ha architettato l’11 settembre fa la figura di una mammoletta, è necessario liberalizzare tutti i servizi pubblici locali (dall’acqua ai trasporti urbani) svendendoli ai vampiri del capitale privato, Marcegaglia e soci compresi, liberalizzare le professioni, in modo che siano fuori controllo e libere di esplicare effetti negativi per la collettività, distruggere il contratto collettivo nazionale di lavoro (e con esso le garanzie residue per i lavoratori stabili) privilegiando i livelli di contrattazione in cui il lavoratore è più debole ed esposto ad ogni sorta di ricatto, e imporre la libertà di licenziamento indiscriminato per flessibilizzare definitivamente il fattore-lavoro (con la diffusione dei lavoratori-schiavi dopo le abbondanti iniezioni di precarietà lavorativa nel sistema).
Il secondo gruppo di misure da imporre all’Italia, secondo la terribile visione globalista del mondo e il progetto demiurgico della classe globale, riguarda invece “la sostenibilità delle finanze pubbliche”, come è scritto chiaro nella missiva. In tal caso, non si fa alcuna menzione all’equità del sistema fiscale, alla necessità di combattere concretamente l’evasione fiscale, e all’imposizione di una patrimoniale sui grandi patrimoni, ma si punta direttamente sui tagli di spesa.
Il pareggio di bilancio dovrà essere ottenuto nel 2013 attraverso due grandi contro-riforme, penalizzanti fino alla tortura per milioni di italiani, che però assicurerebbero tagli consistenti alla spesa pubblica.
Si vuole colpire al cuore il sistema pensionistico, a partire dalle pensioni di anzianità, nonché l’elemento femminile, “ottenendo dei risparmi già nel 2012”.
Si punta, nei tagli draconiani ed indiscriminati previsti per la spesa pubblica, ad una riduzione dei costi relativi all’impiego pubblico, agendo sul turnover e prospettando una soluzione “greca”, cioè riducendo gli stipendi (peraltro già congelati, nella penisola) ai dipendenti pubblici.
Se nella sciagurata visione ultra-liberista l’Italia può essere concepita come un’azienda (l’Azienda Italia, con una brutta espressione cara a pagliacci simil-liberisti come Berlusconi), anche qui, esattamente come accade nel privato preso a modello, gli effetti della crisi si devono scaricare sulla parte più debole, cioè sui lavoratori dipendenti, mantenendo a qualsiasi prezzo sociale ed umano i ritmi di crescita dei profitti e soprattutto quelli della creazione finanziaria, azionaria e borsistica del valore.
Non sfugge la particolare vigliaccheria dei mercenari-assassini Trichet e Draghi, considerando la sostanza anti-Etica ed anti-sociale di queste misure e i danni che produrranno nell’esistenza quotidiana di decine di milioni di italiani, ma si tratta di contro-riforme comunque in linea con i grandi interessi privati della Global class, che intende “normalizzare” rapidamente l’Europa.
Tutto ciò rientra perfettamente nelle logiche e nelle dinamiche del Nuovo Capitalismo Finanziarizzato del terzo millennio, e la lettera globale dei due proconsoli europei non potrebbe avere contenuti diversi.
Se il mondo deve essere trasformato integralmente in grande campo di concentramento dei popoli, al servizio degli sfruttamenti neocapitalistici più selvaggi ed abbietti, tanto vale agire in fretta sui paesi (ex)ricchi, per “liberare risorse” a vantaggio della grande speculazione, per far capire chi comanda - oggi è sufficiente l’uso abbondante del bastone, in quanto la carota non serve più - e per piegare le residue resistenze politiche e sociali all’interno dei singoli stati nazionali, già abbondantemente indeboliti.
I pagliacci di governo e quelli dell’opposizione ufficiale, in Italia, obbediranno sempre agli ordini dei Veri Padroni, fino a massacrare il loro popolo, dal quale vivono sempre più separati grazie ai privilegi concessigli, in quanto utili sub-dominanti che al livello più basso devono realizzare le contro-riforme e gli espropri, mentre la popolazione, o almeno quella parte che è ancora sana e minimamente consapevole, sembra non reagire, o se accenna ad una reazione lo fa in modo blando e totalmente inefficace, attraverso organizzazioni (sindacali, politiche) comunque interne al sistema e compromesse con il potere dominate.
Prepariamoci al peggio, quindi, conservando almeno la speranza che il peggio, la miseria, lo sfruttamento, le nuove forme di schiavitù e la spietata tirannia dei globalisti, inneschino una reazione generalizzata degna di questo nome, riattivando in pieno, nel corpo sociale attualmente “in sonno”, i sacrosanti e salvifici meccanismi dell’Odio e della Vendetta Sociale, disumanizzando nella lotta che non potrà non essere violenta un nemico spietato e inumano, che vuole ridurci in completa schiavitù oppure sterminarci tutti, se ne avrà la convenienza.
* Fonte: pauperclass.myblog.it
CRISI
Grecia, 30 mila esuberi tra gli statali
Ma Atene resta sull’orlo del baratro
Saranno messi in mobilità con stipendio ridotto del 40 % e poi entro un anno licenziati. Ma il target di bilancio concordato con Ue e Fmi non sarà raggiunto: il deficit salirà dell’8,5 % e il Pil calerà del 5,5 % sia nel 2011 che nel 2012. E il rischio di default cresce. Attesa per le Borse di domani *
ATENE - L’intesa con la ’troika’ c’è, e 30.000 statali perderanno il posto di lavoro, ma i target di bilancio fissati nell’accordo per il salvataggio sono ormai una chimera. E la Grecia resta sull’orlo del baratro, da una parte obbligata a nuovi tagli per allontanare il default e dall’altra costretta a fronteggiare un malcontento sociale, in costante crescita proprio a causa dei tagli.
Sul fronte delle buone notizie, Atene ha incassato il via libera della Troika (la delegazione composta da Bce, Fmi e Ue) al piano che prevede, oltre al taglio del 20% dei salari e dei dipendenti della P.A. entro il 2015, il licenziamento di 30.000 statali, condizione fondamentale per lo sblocco della sesta tranche di aiuti 1: un pacchetto da 8 miliardi di euro senza i quali la Grecia si sarebbe trovata senza i fondi per pagare gli stipendi già da ottobre.
Arrivato il via libera formale del consiglio dei ministri, le misure approdano domani in Parlamento. Il piano prevede il collocamento in un fondo ’di riserva per il lavoro’ (una sorta di cassa integrazione) di circa 30.000 lavoratori, che rimarrebbero in tale fondo entro la fine dell’anno, pagati al 60% dello stipendio per un anno e quindi licenziati. Ora si teme anche la reazione dei lavoratori, già protagonisti di durissime proteste 2nei giorni e nei mesi scorsi.
Ma quanto esce dal Consiglio dei ministri non è altrettanto positivo: il nuovo bilancio per il 2011-2012 mostra impietosamente come la Grecia sia ancora molto lontana dal raggiungimento dei target fissati lo scorso luglio nell’ambito del piano di salvataggio. Per l’anno in corso, secondo il ministro delle Finanze, si prevede ora un deficit dell’8,5%, contro la stima precedente del 7,6%. Il Pil è atteso in calo del 5,5%, molto al di sotto delle previsioni precedenti.
Per il 2012, laddove l’accordo con la Troika parlava di un deficit/Pil al 6,5%, ora la nuova bozza stima un deficit al 6,8% del Pil. Per il prossimo anno, la contrazione della crescita è attesa al 2%, in linea con le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, ma nettamente peggiore rispetto alle stime utilizzate per l’accordo sul salvataggio dello scorso luglio, nel quale si prevedeva che l’economia della Grecia sarebbe tornata a crescere nel 2012.
Colpa della recessione molto peggiore del previsto, prova a giustificarsi Atene 3; pesa invece la mancanza di riforme strutturali, ribattono i creditori. E’ sicuro che una crisi così profonda, anche a livello internazionale, renda più difficile per la Grecia raccogliere il denaro necessario a rispettare i target, ma è altrettanto vero che il costante rischio di rivolta sociale ha evidentemente frenato il Governo dal varare riforme ancora più dolorose.
La parola passa quindi domani alle Borse, chiamate a capire e far capire se quanto uscito oggi dal consiglio dei ministri di Atene è un passo avanti verso la soluzione della crisi o un pericoloso passo indietro verso il default della Grecia.
* la Repubblica, 02 ottobre 2011
Colloquio
“La crisi finirà solo quando cambieremo l’economia” Il nuovo libro di Rifkin: la terza rivoluzione industriale? È già iniziata
di Paolo Mastrolilli (La Stampa 3.10.11)
Bisogna cambiare, ora. Anche se non volessimo, la «Terza rivoluzione industriale» è già cominciata, e la crisi economica in corso dovrebbe solo convincerci ad affrettare il passo verso un nuovo paradigma per la nostra società. Un modello che richiede di abbandonare la dipendenza energetica dal petrolio, ma anche di mutare radicalmente i rapporti economici, la politica, l’ambiente, l’istruzione. Così scrive Jeremy Rifkin nel suo ultimo libro, intitolato appunto «The Third Industrial Revolution: How Lateral Power Is Transforming Energy, the Economy, and the World».
Durante un’intervista fatta ad agosto, ci aveva anticipato i contenuti con queste parole: «Verso la fine degli Anni Settanta è terminata la Prima rivoluzione industriale, nel senso che abbiamo smesso di vivere grazie alla ricchezza che producevamo. Siamo entrati nella Seconda rivoluzione industriale, in cui poco alla volta abbiamo bruciato i nostri risparmi e cominciato a vivere di debito». Questo ci ha esposto a crisi ricorrenti: «Ogni volta che c’è una recessione, facciamo sempre la stessa cosa: pompiamo soldi nel mercato e diciamo che vogliamo tagliare le spese. Ma la ripresa si alimenta spendendo, le nostre spese fanno crescere la domanda, i Paesi emergenti ne approfittano aumentando la produzione per moltiplicare l’offerta, e questo fa salire i costi delle materie prime come il petrolio. Di conseguenza tutti i prezzi aumentano, compresi quelli del cibo, e quindi ci ritroviamo in breve in una nuova situazione insostenibile, tornando a fare affidamento sul debito per soddisfare le nostre esigenze. Così non ne verremo mai fuori». Quindi aveva concluso: «La crisi finirà solo quando cambieremo il nostro paradigma economico. Dobbiamo passare dalla Seconda rivoluzione industriale alla Terza, per smettere di consumare le ricchezze del passato e tornare a produrre liberando la nostra creatività». Ora il libro è in uscita, le anticipazioni circolano in rete, e si può leggere cosa intende.
Energia nuova «La gestione dell’energia - scrive Rifkin - forma la natura della civiltà. Come è organizzata, come i frutti del commercio sono distribuiti, come viene esercitato il potere politico e le relazioni sociali. Il controllo di produzione e distribuzione dell’energia si sta spostando dalle gigantesche compagnie centralizzate basate sui combustibili fossili, a milioni di piccoli produttori che generano le loro energie rinnovabili e commerciano i surplus».
«La nuova era porterà una riorganizzazione dei rapporti di potere a tutti i livelli. Mentre la Prima e la Seconda rivoluzione favorivano centralizzazione e verticalizzazione, con strutture organizzative che operavano nei mercati dall’alto in basso, la Terza si muove per vie laterali, preferendo i modelli di business collaborativi che funzionano meglio nei network. La "democratizzazione dell’energia" ha profonde implicazioni su come orchestriamo l’intera vita umana. Stiamo entrando nell’era del "capitalismo distribuito". Il rapporto da avversari tra venditore e compratore è sostituito dalla relazione collaborativa fra fornitore e utilizzatore».
Nuovi modelli «Il capitalismo distribuito introduce modelli nuovi, inclusa la stampa tridimensionale nel settore manifatturiero, e le imprese che condividono i risparmi di scala nel campo dei servizi, capaci di ridurre enormemente i capitali, l’energia e i costi del lavoro, incrementando la produttività».
La politica «La Terza rivoluzione cambia il business, ma anche la politica. C’è un nuovo atteggiamento mentale nelle generazioni di leader socializzati via Internet. La loro politica non riguarda più lo scontro fra destra e sinistra, ma tra il modello autoritario e centralizzato e quello distribuito e collaborativo».
«Mentre Prima e Seconda rivoluzione erano accompagnate dalle economie nazionali e dalla governance della nazione-stato, la Terza, essendo distributiva e collaborativa per natura, progredisce lateralmente e favorisce le economie e le unioni governative continentali».
Geopolitica e biosfera «L’era intercontinentale trasformerà le relazioni internazionali dalla geopolitica alla politica della biosfera. Nella Prima e Seconda rivoluzione, la Terra era concepita in maniera meccanica e utilitaristica. Era vista come contenitore di risorse utili, pronte per essere appropriate a fini economici, e gli stati nazione erano formati per competere e assicurarsi il loro controllo. Il passaggio verso le energie rinnovabili ridefinirà la nozione delle relazioni internazionali lungo le linee del pensiero ecologico... La biosfera ci porta da una visione coloniale della natura, come nemico da saccheggiare e schiavizzare, a una nuova visione della natura come comunità condivisa da proteggere. Il valore utilitaristico della natura sta facendo spazio al suo valore intrinseco. Questo è il significato profondo dello sviluppo sostenibile».
Addio Adam Smith «Sui mercati, i vuoti scambi di proprietà sono stati parzialmente rovesciati dall’accesso condiviso ai servizi commerciali nei network open-source. Gran parte dell’economia, come viene insegnata oggi, è sempre più irrilevante per spiegare il passato, capire il presente e prevedere il futuro».
L’istruzione «Preparare la forza lavoro e la cittadinanza per la nuova società richiederà di ripensare i modelli tradizionali di istruzione, con la loro enfasi sul rigido insegnamento e la memorizzazione dei fatti. Nella nuova era globalmente connessa la missione primaria dell’istruzione sarà preparare gli studenti a pensare e agire come parte di una biosfera condivisa. L’approccio dominante dell’insegnamento dall’alto al basso, che ha l’obiettivo di creare un essere competitivo e autonomo, sta dando spazio ad una istruzione "distribuita e collaborativa". L’intelligenza non è qualcosa che si eredita o una risorsa da accumulare, ma piuttosto un’esperienza comune distribuita tra le persone».
La nuova qualità della vita «La Terza rivoluzione cambia il nostro senso della relazione e la responsabilità verso gli altri esseri umani. Condividere le energie rinnovabili della Terra crea una nuova identità della specie. Questa coscienza di interconnettività sta facendo nascere un nuovo sogno di "qualità della vita", soprattutto tra i giovani. Il sogno americano si colloca nella tradizione illuministica, con la sua enfasi nella ricerca del proprio interesse materiale. Qualità della vita, però, parla di una nuova visione del futuro, basata su interesse collaborativo, connettività e interdipendenza. La vera libertà non sta nell’essere slegato dagli altri, ma in profonda partecipazione con essi. Se la libertà è l’ottimizzazione di una vita, essa si misura con la ricchezza e la diversità delle esperienze di ciascuno, e la forza dei suoi legami sociali. Una vita vissuta meno di così è un’esistenza impoverita».