Ricordi

In memoria del compare Battista Secreti, "Il preside" - di Luigi ed Emiliano Morrone

Un pensatore fine, sempre alla ricerca del senso più profondo dell’esistenza
venerdì 11 dicembre 2020.
 

Battista Secreti ... quanti ricordi ritornano alla mente alla triste notizia che non è più tra noi. Chi non è sangiovannese non può capire il legame profondo che si crea tra due famiglie dopo che si diventa “compari". E le nostre famiglie lo sono.

Da ragazzo innamorato della filosofia, m’imbattei in questo giovane prof, allievo di Cleto Carbonara, che condivideva lo stesso amore.

Lezioni che duravano ore, durante le quali ci scambiavamo le nostre idee, che divergevano profondamente, ma avevano punti d’incontro insospettabili. Io tradizionalista, lui marxiano. Sì, non voleva essere chiamato “marxista”. Perché si deve dire “kantiano”, “hegeliano”, “crociano" e poi chi s’identifica nella filosofia di Marx dev’essere definito “marxista”?

Il nostro appuntamento era al Gran Caffè. Consumavamo lì, iniziavano chilometriche passeggiate durante le quali mi spiegava il pensiero filosofico altrui, spaziando da Talete a Galvano Della Volpe e al suo grande amore, Remo Cantoni, su cui aveva scritto la tesi di laurea, che a mio avviso meritava la pubblicazione.

Non credeva nell’uguaglianza, l’uguaglianza “borghese" che appiattiva le differenze. Per lui l’uguaglianza era solo nelle uguali possibilità da concedere a tutti, ma abborriva il principio “uno vale uno". Per lui un uomo valeva per quello che valeva.

Poi il mio amore giovanile per la filosofia scemò e - purtroppo - si rarefece la mia frequenza con San Giovanni in Fiore. Nelle rare volte in cui lo incontravo, parlavamo di moqueries, di umanità varia, e mi godevo le sue battute taglienti, con cui riusciva a “bastonare" questo o quel personaggio che “si atteggia”, come nel gergo della nostra generazione dicevamo dei pavoni. Lo rividi qualche anno fa - ahimè - a un funerale. E tornammo a parlare di filosofia. Della filosofia greca, di ἀλήθεια, δόξα, σωφροσύνη. Di Heidegger, da lui profondamente amato, e di cui condivideva la constatazione dell’attuale “dominio del Man", dell’affermazione sociale di quelli che Sciascia chiamava “ominicchi".

Anche se non lo frequentavo da quarant’anni, mi mancherà la sua cultura, la sua umanità, il suo senso dell’umorismo.

Ciao, compare Battista: lævis tibi terra sit!

Luigi Morrone

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L’ultima volta che incontrai Battista Secreti, «Il preside», fu nella coda dell’estate scorsa. A San Giovanni in Fiore procedeva una nervosa campagna elettorale per le Comunali. Soprattutto, si respirava un’aria di lontananza dalla clausura forzata della primavera, segnata dal Covid.

Quasi mezzogiorno, a portata aperitivo tipico e un bicchiere di vino bianco. Era «Il preside», in un bar all’ingresso del paese, che divorava con gli occhi un quotidiano, forse Repubblica: due pagine di politica, stando alla foto centrale di Conte alla scrivania, stanco nel volto da insonne.

Assorto, Battista sfregava le dita della mano destra sul mento, come a far sintesi cercando un richiamo, un’immagine del suo vasto archivio filosofico e letterario. Lo sguardo perduto su quel giornale aperto, al mio saluto verace si risolse d’un tratto. Poi continuò per una decina di secondi a riflettere per sé e allora mi chiese di mio padre, Corrado, con l’antico sentimento dei sangiovannesi, dei calabresi resistenti alla modernità digitale. «Il preside» mi disse: «Non sto vedendo tuo padre, ma ti prego di salutarmelo con affetto».

Lì mi venne un pensiero, che però non esternai. Lo tenni per me, lo riporto adesso. Battista mi parlò come se il tempo non fosse mai passato; come se mio padre, da molto residente in Lombardia, l’avesse incontrato qualche settimana prima; come impermeabile alla fretta e ai cambiamenti degli ultimi anni, del mondo intero e dell’universo locale.

Capii che era un tratto, un aspetto, una caratteristica del «Preside», della sua vita filosofica che avevo osservato per la via di Vallepiccola. Infatti l’avevo incrociato varie volte, nel mio andirivieni dalla Sila. Stava nella sua Porsche all’aria aperta, a leggere indisturbato davanti al verde, ai monti, nel silenzio del luogo.

Il compare Battista era così, come mi ripeteva mio suocero Peppino Gentile. Era un pensatore, un poeta solitario, un uomo alla ricerca del senso più pieno dell’esistenza. Ma anche un appassionato conversatore, dall’analisi fine, mai fuori traccia, sempre dentro la realtà. Lo ricordo in questo modo e ne apprezzo la saggezza, la capacità di essere libero e vero, semplice ma profondo.

Emiliano Morrone


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