Manzini, magistrato antimafia o collusa con la ‘ndrangheta? Maroni e Alfano rispondano subito a Menardi, Napoli e a tutta Italia

domenica 23 novembre 2008.
 

Dal blog di Roberto Galullo

In un’Italia in cui un ex ministro della Giustizia partecipa alle nozze di un mafioso fa paradossalmente notizia che un magistrato antimafia faccia da testimone di nozze a uno tra i più apprezzati capitani della Finanza in Calabria (sono cose che hanno un certo significato da quelle parti e, soprattutto, che non passano inosservate dalle cosche).

E in un’Italia in cui i corvi volano spesso tra i palazzi di Giustizia e tra le mura di una caserma militare, fa paradossalmente notizia che lo stesso magistrato antimafia sia unanimamente apprezzata dalla polizia giudiziaria con cui - da anni - lavora: prima a Lamezia Terme e ora a Vibo Valentia dove, fino a qualche anno fa, la famiglia ‘ndranghetista Mancuso di Limbadi faceva ciò che voleva. Ora quantomeno ha trovato un’argine in più anche se la sua potenza economica (derivante dal traffico di droga con i cartelli colombiani) e militare è devastante.

La testimone di nozze, l’apprezzato magistrato e l’argine sono la stessa persona: Marisa Manzini, piemontese di Novara, lombarda di origine, fino al 2003 a Lamezia Terme e poi alla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro con delega, appunto, su Vibo Valentia.

Un magistrato che - per carità di Dio, grazie all’aiuto dei colleghi tutti bravi, buoni e belli, guai a trovarne uno brutto, sporco e cattivo - porta avanti processi e operazioni importanti, dai nomi che evocano telenovela e polpettoni televisivi: Dinasty, Rima, Odissea, Domino, New Sunrise, Uova del Drago. Dietro questi nomi di fantasia c’è una realtà durissima: un lavoro costante, senza mai una sbavatura e in armonia con i colleghi (tutti?). “Ha sempre lavorato bene e in silenzio”, mi conferma un amico della Direzione nazionale antimafia, di cui mi fido come un romanista sfegatato (quale sono) si fida del suo Capitano (sua maestà Totti). “Non ne sento che parlare bene”, mi conferma Beppe Lumia, ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, che da anni bracca come un mastino napoletano le mafie di tutta Italia. “Un lavoro ordinario - mi dice al telefono di buonissima ora Manzini - come tanti colleghi”.

Sarà, ma spesso ciò che in Calabria è ordinario al resto d’Italia sembra straordinario: come a esempio mettere all’angolo le famiglie Mancuso, Fiarè, la Rosa, Mamone (vi dice niente questo cognome a Genova?), Lo Bianco e via di questo passo.

Bene. Questo magistrato lombardo-piemontese-calabrese (per amore), si merita le attenzioni di tanti picciotti di giornata all’ordine dei quaquaraqua delle famiglie sopracitate: al punto da dover essere messa sotto tutela prima e sotto scorta poi. Le classiche minacce telefoniche, i classici proiettili, le simpatiche telefonate intercettate nel maggio 2008 dai Carabinieri di Vibo Valentia in cui si parlava di un attentato da preparare contro Manzini.

Altro classico, questa volta però dalla politica. E qui comincia - se non ci fosse da piangere - una storia da brividi che il ministro della Giustizia e quello dell’Interno debbono presto chiudere.

L’onorevole calabrese Angela Napoli - membro storico della Commissione antimafia, defenestrata pochi giorni fa dal suo partito, An, dalla vicepresidenza che sembrava toccarle - il 25 giugno 2008 presenta un’interrogazione ai ministri dell’Interno e della Giustizia per sapere per quali motivi era stata ridotta la protezione al magistrato (visibile su

http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=1272&stile=6&highLight=1&paroleContenute=%27interrogazione+a+risposta+scritta%27).

Il 1° ottobre un senatore cuneese del Pdl coi baffi, Giuseppe Menardi, cinquantacinquenne ingegnere, presenta un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia su Manzini, raccontando (faccio la sintesi ma ciascuno di voi può leggerla su http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=16&id=312373) storiacce che se fossero vere bisognerebbe interdirla a vita. Vediamo di cosa si tratta. Manzini, acquisterebe, per “interposta persona” una villa da un imprenditore chiacchieratissimo. E ciò, scrive Menardi, “crea imbarazzo tra i colleghi”.

In Calabria, ma questo forse Menardi no lo sa, tutto il ciclo del cemento è in odor di mafia (come dimostrano da anni i rapporti di Legambiente) e per essere sicuri di metter su una casa “vergine” bisognerebbe portarsi materiali e operai da Oslo.

Andiamo avanti. Manzini avrebbe omesso di investigare su personaggi collusi con latitanti, avrebbe trattenuto per anni fascicoli importanti sulla scrivania, avrebbe omesso di richiedere misure alternative per talatri personaggi simpatici come una sanguisuga nella vasca da bagno e - qui viene il bello - avrebbe soggiornato gratis alla Clinica San Raffaele di Milano anziché pagare 13mila euro e avrebbe chiesto raccomandazioni per il marito, medico chiurgo.

Aprite bene gli occhi e spalancate le orecchie: l’autore del doppio ultimo miracolo è Antonio Saladino, attualmente imputato nel processo Why Not condotto dalla Procura di Catanzaro, inizialmente nelle mani di quel Luigi De Magistris cacciato poi a Napoli, che aveva cominciato a mettere le mani come un bambino goloso nella marmellata di cui si nutre la politica affaristico-mafiosa calabrese: la massoneria deviata.

Orbene: a me - al quale non interessa politicamente e professionalmente nulla né di Angela Napoli, né di Giuseppe Menardi né di Marisa Manzini, né di De Magistris, né di Lumia e che senza guardare in faccia a nessuno rispondo solo e unicamente al mio direttore e a voi cari lettori - alcune cose sembrano evidenti: 1) la interrogazione di Menardi è stata, come dire, suggerita 2) chi l’ha fatta scrivere era non informato, ma informatissimo.

Bene, ne chiedo conto ai due protagonisti: Menardi e Manzini, con chiosa finale di Napoli (ma solo perché è della stessa coalizione politica di Menardi e perché da commissario antimafia calabrese qualcosa dovrebbe saperne o no?).

Domanda: Pronto Menardi? Risposta “Si chi parla” Domanda: “Galullo, inviato del Sole-24 Ore e conduttore di Radio 24: perché nella sua vita parlamentare si occupa di Maurizio Giampà? Risposta: “E chi è?” Domanda: “Lo ha citato lei in un’interrogazione parlamentare del 1° ottobre sulla Calabria”. Risposta: “Ah si ricordo”. Domanda: “Lei è mai stato a Lamezia in vita sua?” Risposta: “Lamezia?Altro che!” Domanda: “Perche si occupa della Manzini, lei che viene dalla brume cuneesi?” Risposta: “Perché qualcuno mi ha rappresentato i fatti, non ho altro da aggiungere” Domanda: “Qualcuno chi?” Risposta: “Qualcuno”. Domanda: “Parlamentari?” Risposta: “Qualcuno! Venga al Senato che ne parliamo” Domanda:“Esistono anche i telefoni senatore, scusi ma non posso. Non le sembra strano che sia un parlamentare piemontese a interessarsi della Calabria?”. Risposta: “Sa com è, ci voleva qualcuno che non fosse coinvolto” Domanda: “No, non so com è. Ma coinvolto in cosa? Li paghiamo per fare i parlamentari, questi cuor di leone. Vuole che le rappresenti la mia impressione senatore?” Risposta interlocutoria: “Eh!” Domanda: “A me sembra un’interrogazione pilotata” Risposta ancora interlocutoria-stana intervistatore ”Eh”. Domanda: “Interrogazione pi-lo-ta-ta. Cosa mi risponde?”. Risposta irritata e scarica intervistatore: “Va beh va beh”. Domanda: “Senatore, di questa storia scriverò sul mio blog”. Risposta: “Venga a Roma”. Clic.

E ora la telefonata con Manzini, mai vista e conosciuta in vita mia prima che me ne occupassi (casualmente perché stavo navigando su Internet per ben altre cose) per voi, amici adorati del blog.

Domanda: “Pronto Manzini? (e solita tiritera di presentazione) Ha letto l’interrogazione”? Risposta. “Certo e le posso dire che ne parlo con difficoltà anche perché ho già coinvolto le autorità competenti e fatto le mie dennce. Alcune cose, poi, sono coperte da segreto istruttorio. Comunque è partita una campagna di delegittimazione” Domanda: “Delle due l’una però. O quello che scrive il senatore è vero o è falso. In quest’ultimo caso lei andrebbe additata al pubblico ludibrio e cacciata dalla magistratura, che poi sarebbe magari chiamata a perseguire i reati eventualmente commessi. Ne conviene?”. Risposta: “Ciò che è scritto in quell’interrogazione non solo è falso ma è frutto di una mente finissima in diritto penale. Ci sono termini come “acquisto per interposta persona” che solo in pochi e dell’ambiente conoscono. Se fossero vere quelle storie non potrei stare al mio posto e non potrei guardarmi allo specchio. Ripeto: sono accuse falsissime e pilotate.” Domanda: “Un’idea di chi possa aver messo in giro certe voci se la sarà fatta o no?” Risposta: “L’idea è chiarissima: qualcuno molto, ma molto vicino a me” Domanda: “Se non è suo marito è un magistrato” Risposta: “Questo lo dice lei”. Domanda: “E le chiedo anche: perché si è rivolta a Saladino per non pagare?” Risposta: “Guardi il mio calvario in ospedale, di cui pochi sanno, è lungo e doloroso. Però una cosa posso dirla: ho girato parecchi ospedali e quando sono giunta a Milano su indicazione di mio marito, stimato medico, non ho pagato assolutamente nulla per il semplice fatto che non dovevo nulla”. Domanda: “E quel fascicolo dimenticato per sei anni?” “Guardi, quando sono arrivata a Vibo ho trovato fascicoli di mafia datati 1995, presi da me in mano dopo 8 anni, quando sono arrivata nel 2003, e poi chiusi. Non ho la più pallida idea di cosa possa essere accaduto a quel fascicolo perché il carico pendente che ho trovato era mostruoso”. Buongiorno, clic.

E ora la chiosa di Angela Napoli. “Quell’interrogazione - mi dichiara mentre è ancora infuriata con il partito al quale riconsegnerà la tessera per come l’hanno trattata - è una porcata. E’ una grandissima porcata che punta a delegittimare il grande lavoro che sta facendo quel magistrato. E’ chiaro ed evidente che qualcuno l’ha scritta e l’ha passata al senatore Menardi”.

Cari amici di blog, questa è la ricostruzione di uno spaccato di Calabria dove il confine tra lecito e illecito è inesistente, dove il bene e il male spesso si confondono, dove i corvi volano sempre alti. Sarà, ma in questa storia - alla quale spero che il ministro della Giustizia e quello dell’Interno rispondano al più presto per il bene della Calabria e dell’Italia senza guardare in faccia a nessuno - suona tanto strana.

Odora - anzi puzza - di ‘ndrangheta, affari e ripicche personali, carriere giudiziarie e grembiulini. Tanti, tanti grembiulini deviati e tanti, tanti compassi occulti. Del resto la geometria non è come la matematica: è un’opinione.

roberto.galullo@ilsole24ore.com


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