TORNIAMO DOPO OTTO ANNI *
La Voce di Fiore nacque nell’ottobre del 2004. Da subito, collegò la dimensione locale con quella globale. Idee di base furono l’universalità dei problemi, la tipicità di situazioni e risorse, la ricerca di un pensiero critico, analitico e spirituale con l’invito all’azione, intanto culturale e sociale.
L’uomo di Beckett potrebbe essere l’anziano del Sud che attende gli eventi o il beduino che scruta nel silenzio del deserto, trovandovi i motivi dell’«effetto farfalla» o della successione di Fibonacci. Insomma, con La Voce di Fiore non ci siamo posti limiti di spazio, di tempo, di interesse.
Cominciammo difendendo la carità (“charitas”!) come principio dall’assalto speculativo dei media, proseguimmo guardando alla vita: alla vita del mondo, alla vita nel mondo.
Scandagliammo casi di cronaca, paradossi, manie dell’Italia minuta e pericolose pedagogie diffuse attraverso tv e giornali, a partire dal linguaggio.
Considerammo e spiegammo la modernità di Kant, di Dante, di Vico, di Gioacchino da Fiore, di Francesco da Paola, tenendo il doppio binario del contributo teorico e del piccolo esempio, culturale e specificamente politico.
Oggi l’archivio del sito di La Voce di Fiore si avvia per i seimila approfondimenti, con un totale di visite che ha superato da mesi la quota di 7 milioni.
Il giornale on line segue ancora la logica del web 1.0, fatta di rimandi interni a ulteriori temi e questioni. Con l’edizione cartacea, che arriva dopo un lunghissimo percorso di trasformazioni globali e di nuove speranze, ci auguriamo di segnare un altro punto di riferimento, nel cammino collettivo del nostro giornale; stavolta redatto da giovani e meno giovani che appreso elementi di giornalismo e restituito la loro voglia di sognare, incidere, cambiare, ora che la scuola è andata. Ridotta dalla politica a consumo permanente.
Buona lettura.
Federico La Sala
Condirettore di “la Voce di Fiore”
* "La Voce di Fiore", numero 1 - maggio 2013.
Dimenticata la beatificazione di Gioacchino
di Federica Orlando ("La Voce di Fiore", numero 1 - maggio 2013)
Molto rumore. Poi nulla. Ogni volta parecchie le parole, ma poca la concretezza. Il tanto chiacchierato Gioacchino da Fiore, con la sua Abbazia florense e il suo centro storico, nulla ancora riesce contro l’indolenza umana, specie sangiovannese. Di fatti, San Giovanni in Fiore (Cs) ed i suoi cittadini molto si vantano di misticismo, religiosità e cultura per merito di un abate tanto illustre, eppure troppo poco si mobilitano e si espongono per la valorizzazione di questo patrimonio per l’umanità tutta.
La pratica di beatificazione, oramai da anni, giace sotto mucchi di carte. È ferma in Vaticano. Qualcuno ha promosso tale causa e molti sono gli studiosi del monaco calabrese, ma nessuno si è indignato o applicato per coinvolgere i cittadini nell’importanza di uno sviluppo significativo di questo primo passo del processo di canonizzazione. O quasi.
Al gruppo adulti di Azione cattolica “Monsignor Umberto Altomare”, infatti, si deve riconoscere l’impegno profuso nell’istituzione di un gruppo di preghiera, avente lo scopo di promuovere il culto di Gioacchino. «Di lunedì sera è possibile partecipare agli incontri istituiti in abbazia per pregare il servo di Dio, profeta dello Spirito Santo» fa sapere Caterina, membro della comitiva. «Come si può pretendere che i fedeli vengano a San Giovanni in Fiore, chissà da dove, per conoscere questo spirito profetico se noi, per primi, ignoriamo la sua figura poliedrica?» chiede proprio don Germano, assistente spirituale della compagnia, durante la processione della Madonna della Sanità, del 12 maggio scorso. Tra gli aderenti al progetto di (ri)scoprire il mistico, forte è l’auspicio di imparare a rivolgersi nella preghiera anche alla figura dell’ancora non beato da Fiore.
Il cammino, tuttavia, è disseminato di difficoltà da parte delle istituzioni e non solo. Già papa emerito Benedetto XVI si era espresso con scetticismo e criticismo in merito all’opera di Gioacchino: la «teologia politica» del profeta non può che restare fuori della Chiesa poiché base dell’hegelismo e del marxismo.
La spiegazione di questa dura esclusione, in realtà, sarebbe da ricercare nell’innovazione rappresentata dalla dottrina gioachimita; l’abate credeva nella giustizia in questa terra, prima che nell’altro mondo. Chiunque avrebbe potuto ricevere la grazia e viverla in questo mondo.
Forza rivoluzionaria, questa, che sembra quasi una bestemmia agli occhi di tutto l’apparato religioso cristiano poggiante su precisi dogmi, adibiti a durare in eterno a quanto pare. Anche, a discapito della giustezza e della coerenza della dottrina trinitaria gioachimita.
E, mentre c’è chi dedica pagine intere dei propri lavori letterari o della propria vita a questa personalità singolare, molti sono i cittadini sangiovannesi che ignorano, in parte o totalmente, le teorie gioachimite ed il mito di fondazione della loro città. Proprio queste ultime sono, tuttavia, la base da cui ripartire per acquisire un profondo senso di appartenenza agli eccezionali luoghi dell’abate e riuscire, poi, ad esportare tutte le ricchezze culturali e non insite in essi.
Federica Orlando