Editoriale

Del Milito, del milite, delle milizie, dell’apparenza e della sostanza nella Chiesa rinnovata: "“s’affriddau ’a pasta!”

Approfondimento dell’avvocato Domenico Monteleone sulla vicenda del prete pedofilo nella Piana di Gioia Tauro
giovedì 24 dicembre 2015.
 

L’indignazione è la reazione più normale in casi come questo. Mi riferisco all’ultimo episodio di prete pedofilo che si è registrato, questa volta, nella Piana di Gioia Tauro. E l’indignazione c’è stata ed è stata espressa in tutte le salse.

di Domenico MONTELEONE, giurista e avvocato

Il Vescovo della Diocesi di Oppido-Palmi, Francesco Milito, ha cercato di nascondere le sporche abitudini del prete (?) ... del finto prete, finto nel senso che si è scoperto essere un impenitente arrapato, in cerca di carne giovanissima, sotto mentite spoglie tonacali.

Debbo registrare come, per l’occasione, sono stati concepiti e partoriti anche rimedi di ogni specie e razza, ivi inclusa una bizzarra richiesta di riforma del Concordato tra Italia e Santa Sede.

Insomma, in tantissimi si sono dimostrati protesi ad accertare il fatto (coscienza del presente) e ad individuare le soluzioni ed i correttivi (proiezione sul futuro) per far fronte a questa ondata di pedofilia nella Chiesa.

In questo pullulare di dichiarazioni di indignazione e di affermazioni dei più ovvi princìpi, mi sembra di poter cogliere alcuni aspetti che cercherò di indicare qui di seguito.

BUON NOME DELLA CHIESA DIOCESANA

Intanto, sembra abbastanza evidente che il Vescovo Milito avesse come obiettivo - solo e soltanto - quello di “preservare” il buon nome della Chiesa Diocesana. Egli, infatti, si è preoccupato di nascondere, di dissimulare, di insabbiare.

Non pare dubbio, dunque, che per “buon nome” Milito intende, evidentemente, una caratteritica, connotazione che non deve essere necessariamente agganciata alla sostanza e che - al contrario - può prescindere dalla sostanza effettiva. Insomma, l’importante è come si appare, come ci si presenta, e pazienza se la sostanza è invece torbida e sinistra.

A me pare di poter dire che il buon nome debba derivare - necessariamente - da una reale conformazione dell’essere. Insomma, il buon nome dovrebbe essere direttamente proporzionale a ciò che si è effettivamente, a ciò che si fa in conseguenza di ciò che si è a monte, a ciò che si trasmette sulla base di ciò che si ha.

Se questo basilare concetto fosse stato presente nella testa del Vescovo, Egli non avrebbe mai potuto intrattenere un comportamento come quello che ha tenuto: “non far sapere nulla ai Carabinieri”, pare abbia detto.

Se questo è vero, dobbiamo certificare come Egli sia stato completamente assorbito e travolto dall’apparenza, anzi da ciò che si dimostra di essere piuttosto che da ciò che si è. Stupisce tale atteggiamento poiché non si può accettare che un prelato, un alto prelato, possa dimenticare così platealmente i dettami espressi ripetutamente nei Vangeli.

Vediamo: non c’è da qualche parte un assunto, una dichiarazione, un principio secondo cui non bisogna essere “sepolcri imbiancati”?

Orbene, se un nostro figlio ci chiedesse cosa sia un “sepolcro imbiancato” risponderemmo decisamente - e non credo che saremmo molto lontani dal vero - che “sepolcro imbiancato” è chi fa finta, appare, manifesta di seguire i dettami evangelici mentre, nella sostanza, si comporta in maniera diametralmente opposta.

Possiamo dire, allora, che Milito ha dimostrato di essere un “sepolcro imbiancato” o, quanto meno, che si è avvicinato parecchio a questo ignobile titolo?

Lasciamo aperta questa domanda e andiamo avanti.

SECOLARIZZAZIONE

Ragionando in quest’ottica si perviene a un risultato sconcertante, cioè alla certificazione di una nuova forma di secolarizzazione della Chiesa.

Una secolarizzazione inedita poiché si tratta della contaminazione del Clero - anche dell’alto Clero - ad opera del principio diabolico della vuota apparenza, del dire il contrario di ciò che (si) è, della mistificazione insomma.

Non importa se vai facendo sporcizie ad ogni pie’ sospinto, ciò che rileva è che tale nefandezza non tralavichi le segrete stanze diocesane o, ancor più chiaramente, che non giunga ad orecchie indiscrete - magari appartaneneti alle Forze dell’Ordine - che potrebbero rompere delicati equilibri a discapito, ovviamente, del buon nome della Chiesa.

Appare chiaramente individuata, dunque, questa nuova forma di secolarizzazione.

Mi spiego meglio.

Circola nell’aria una strana sensazione, è come se una malattia infettiva avesse colpito la società moderna, una malattia che consiste nel discostarsi dalla realtà e raccontare, affermare, trasmettere fantasie, concetti, dati inesistenti, il tutto con la finalità di farsi apprezzare, di avere successo, di vincere.

Sembra ed è l’atteggiamento classico di un partito, di un uomo politico moderno protagonista e, nel contempo, vittima di questo grande artificio della comunicazione, dove non importa se ciò che si comunica sia vero, ma importa ed importa molto - importa solo - che ciò che si comunica sia credibile.

Insomma, a prescindere da quanti chilogrammi di verità ci siano alla base di questa comunicazione, ciò che importa è il peso specifico nella intrinseca capacità di convincere gli altri che ciò sia vero.

Ecco, siamo abituati oramai a tutto ciò. Molti di noi non ci credono più a ciò che propaga il “pensiero unico”, in tantissimi, in troppi continuano a credere a tutto ciò che passa: “l’ha detto la televisione”.

Ebbene, se è indigesto questo atteggiamento “cazzaro”, questo “orgoglio cazzaro”, esso appare assolutamente intolerabile se questa condotta viene posta in essere dalla Chiesa e, vieppiù, se questa condotta viene poosta in essere da chi dovrebbe guidare il “gregge”.

Una secolarizzazione, si diceva, che consiste in una sorta di osmosi inversa dove ad essere convertita non è la “platea” dei fedeli. È il contrario, poiché ad essere contaminata da questo “orgoglio cazzaro” - a subire questa nuova forma di secolarizzazione - è la gerarchia ecclesiatica.

E ciò appare - oltre che intollerabile - anche molto stucchevole, ridicolo, grottesco, o - meglio - diabolico.

AL DI LA DEL BENE E DEL MALE

Per aaltro verso, mi sembra che Milito non si sia neanche preoccupato delle vittime già lasciate sul campo dall’opera di Don Tropea (il finto prete) e, soprattutto, non si sia preoccupato delle altre potenziali vittime causate dalle “ritualità” di questo finto sacerdote.

Non si è preoccupato e verrebbe da dire che non se ne è preoccupato perché, forse, a Lui non importa niente di queste vittime. Abbiamo visto che a Lui importava ed importa solo il buon nome” della Chiesa Diocesana.

Ma a ben guardare c’è di più.

Mi sembra di poter cogliere anche il classico atteggiamento di chi ritiene di essere al di la del bene e del male, e ciò in forza - probabilmente - di una percezione del proprio io sganciata dal collettivo senso morale, frutto di una sorta di autoconvinzione della propria onnipotenza.

Insomma, chiunque - sto parlando, ovviamente, di media delle persone - avrebbe colto che il problema più impellente stava tutto nella salvaguardia dei minori coinvolti o potenzialmente coinvolti, ed avrebbe agito di conseguenza. Milito, invece, si è arrogato il diritto di scegliere per tutti, di stare sopra tutti, di essere l’unico gestore del bene e del male. Al di la del bene e del male. Sigh!

PAROLE, PAROLE, PAROLE

Secondo me, dovremmo trovare la forza per uscirte da questo meccanismo fatto di apparenza, di vuoto, di parole. Parole, parole, parole.

È Parola anche il Vangelo, ma è Parola che vive perché agganciata ad una coerente realtà, ad un coerente substrato dal quale trae la Sua linfa vitale e la Sua Forza!

E qui sta tutta la differenza. La forma è utile se c’è la sostanza, ma attenti alla forma che prende il posto della sostanza o che - peggio - diventa essa stessa sostanza. Ci si mette un attimo a far cadere, degradare la parola, ci si mette un attimo a farle perdere la sua forza. Ci si mette un attimo.

L’importante è saper cogliere le sfumature, saper applicare il potenziaale intrinseco, saper gestire le situazioni, dare il proprio contributo.

Mi ricordo di quella volta in cui - nell’ambito di un campo scuola dell’Azione Cattolica - partecipai ad una conferenza di un Vescovo, si chiamava Benigno Papa (ironia della lettera) ed era anche molto colto e raffinato studioso della Bibbia.

Ebbene, mi ricordo perfettamente la situazione. Si andava ai campi scuola per stare insieme; si andava anche per trovare la giusta spiritualità, per sentire l’anelito del Divino, per sentire la conversione dentro di noi, ma si andava anche e soprattutto per quello stare insieme, per quella condivisione che chi non ha provato non può sapere che cosa è.

Ebbene, alle dieci di mattina era prevista questa lectio del Vescovo.

Si parte intorno alle dieci e un quarto.

Per onestà intellettuale devo dire che mi ero presentato a quel campo scuola con una pistola ad acqua - una potente pistola ad acqua - il cui getto era di ben otto metri! La utilizzavo nei momenti di scherzo per annaffiare qualcun altro dei presenti. Lo so, non sarà stato il massimo del comportamneto ma è successo proprio così. Avevo comprato appositamente una pistola ad acqua e l’avevo portata proprio ad campo scuola ai cui partecipavo con i miei vent’anni. Ecco l’ho detto!

Pensavo che il Vescovo parlasse per mezz’ora, al massimo un’ora e così ho atteso pazientemente le undici. Invece, il tempo passava ... le undici e mezza ... mezzogiorno ... mezzogiorno e un quarto ... mezzogiorno e mezza ... l’una ... ed il prelato continuava imperterrito e non si decideva a porre fine a questo stillicidio. Stillicidio di cui solo a me sembrava di avere cognizione. Vedevo gente - la vedevo solo da dietro poiché mi mettevo sempre in ultima fila - che continuava ad annuire, ad annuire accompagnandosi col gesto della testa piegata ritmicamente avanti e dietro, su e giù.

Non posso non confessare che - medio tempore - a qualcuno di questi yes-man (mi facevano un’antipatia pazzesca quelli che annuivano per pura piaggeria, e ce n’erano tanti) ho “zidato u cozzettu” (spruzzato la nuca) con la mia “terribile” pistola ad acqua.

(A pensarci mi scompiscio dalle risate ancora oggi a distanza di quasi trent’anni!)

Va buo’, ve la faccio breve e non vi racconto uno per uno gli sbadigli che ho “eseguito” in forza di questo tono soporifero, angusto, monotono del Vescovo. Un tono assolutamente piatto, che avrebbe reso noiosissimo persino un testo di Giorgio Gaber.

Ve la faccio breve dicevo.

All’una e dieci si sentiva distintamente nell’aria il profumo della pasta al forno che, nell’adiacente cucina, era stata preparata dalle cuoche (che non ringrazierò mai abbastanza) ed era sicuramente pronta per essere mangiata. Lo era sicuramente da qualche decina di minuti poiché il profumo era sempre più intenso.

Ed al profumo della pasta al forno faceva, ripeto, da fastidioso contraltare (l’accostamento all’altare mi è venuto senza volerlo, nda) la relazione insopportabile del Vescovo.

Non ce l’ho più fatta: “S’affriddau ’a pasta!” (“Si è raffreddato il piatto di pasta!”).

Questo è stato il grido dall’ultima fila. Si sono girati tutti, qualcuno ha cercato di soppromire un moto spontaneo di sorriso; alcuni mi guardavano con odio, altri ancora con disprezzo, “non si fanno queste cose ad un Vescovo”.

Avevo offeso la morale ... ma avevo salvato il pranzo ... il Vescovo aveva capito ed aveva subito terminato ... ma avevo offeso la morale ... e tutti adesso mangiavano, mangiavano, mangiavano.

Si erano avvantaggiati della mia “uscita” ma mangiavano e mangiavano continuando - come ipotetici acrobati della leccata - ad adulare il Vescovo.

LEGITTIMAZIONE

Traggo spunto da quiesto episodio per dire che - secondo me - per venire a capo di questo enorme, immenso problema, bisogna cercare di comprendere dove trae origine, cosa fa nascere, cosa crea questo atteggiamento di superiorità, di superiorità, di onnipotenza che ho descritto in riferimento al Vescovo Milito.

E la risposta è una ed una soltanto.

Questo atteggiamento trae origine nella legittimazione che - a sua volta - scaturisce dalla condotta del popolo dei cosiddetti fedeli: una condotta legittimante.

Ammirazione, adulazione, interesse, mera apparenza sono alcune delle molle che muovono il popolo dei fedeli. Chi ha avuto modo di frequentare questi ambienti sa benissimo che esistono stuoli di adulatori, di adulatori interessati, legioni di personaggi e di comparse che fanno a gara a chi può mettersi meglio in evidenza agli occhi del Vescovo o dell’alto prelato di turno.

Non solo. C’è tutta una pletora di accoliti - laici e non - che sanno perfettamente che l’eventuale rimozione del proprio prelato di riferimento causerebbe la fine del loro incarico e, conseguentemente, del loro potere o micropotere. Un po’ come aviene nella politica.

Esite, poi, tutta una serie di mezze figure che sentono di esistere solo e soltanto se partecipano all’ambito ecclesiastico, al mero ambito ecclesistico, quello fatto di cerimoniale e di apparenza. Un ambito che conferisce loro un po’ di prestigio da spendere tra il popolo dei fedeli esterni a questa organizzazione.

Ecco, tutti questi soggetti o sono naturalmente predisposti a conferirre potere al potere o sono interessati a conferire al potere quel potere di cui poi se ne avvantaggiano, magari, anche indirettamente o solo attraverso le briciole che cadono dalle ricche tavole delle potenti (in forza di questo perverso meccanismo) gerarchie ecclesiastiche.

E, purtroppo, nulla sembra destinato a cambiare veramente ed il tempo passa contro le vittime del passato, del presente e - ahimè! - contro quelle del futuro, ma tutti continuano ad ascoltare annuendo ora di qua, ora di la.

E mentre tutto scorre, non ci resta che dire: “s’affriddau ’a pasta!”.


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