Pubblicato da 19luglio1992 e la Voce di Fiore
Sedici anni fa rinasceva Giovanni Falcone, come oggi. Non provochiamo: ricordiamo lui, la moglie, la scorta, Capaci, Paolo Borsellino e gli altri santi che morirono in Via D’Amelio.
Oggi la stampa manco rievoca la strage del 23 maggio 1992. Ha cambiato strategia: non c’è una sola riga su Capaci, sulle pagine del Corriere e di Repubblica di stamani. Salvo, sul primo, una dichiarazione del guardasigilli Alfano, che annuncia l’edificazione di nuove carceri per Falcone.
Forse che in questo clima di titolarità e ombre, di accordi e inseguimenti, di programmi identici e reciproca benevolenza, il peso d’una memoria scomoda possa rammentare lo scandalo delle recenti esternazioni - di Berlusconi e Dell’Utri - sull’eroismo di Mangano?
Forse che quell’apologia sullo stalliere di Arcore non va messa a tema col sacrificio, vero e indelebile, di autentici servitori dello Stato?
Noi scriviamo ciò che è successo dopo Capaci e Via D’Amelio, di cui gli apparati di comando, non solo mafiosi, sono responsabili.
Il tempo delle lapidi, dei pianti, della commozione, delle parate e delle fiction è finito.
E’ passato perché Falcone, Borsellino e chi con loro perse la vita sono stati più forti - e lo sono ogni giorno - d’una lobby che li ha usati come strappalacrime e icone d’uno Stato impotente, che può solo assicurare struggimento e spezzare la noia quotidiana, suscitando innocua pietà collettiva.
E’ chiaro a tutti che, ingenerando nelle masse un senso di impotenza assoluta e la mera contemplazione di tragiche biografie, si riesce a evitare quella coraggiosa aggregazione nella giustizia per cui si sono battuti Falcone, Borsellino e i loro collaboratori.
Questo hanno fatto le istituzioni, coi loro presìdi, certa informazione complice, le pellicole di un’umanità degradata a spettacolo, il silenzio sui fatti e i perché dei vuoti nella storia.
Le sentenze dei tribunali hanno ammantato quel capitolo di vergogna e follia dell’Italia delle tangenti e dei cappucci, connivente, distratta, idolatra, evanescente e volgare. Dilatando i tempi, ci hanno rubato la verità; e questo è stato un bene, se lor signori non l’hanno inteso. Perché ora siamo attrezzati, senza fanatismi e psicopatologie, e capiamo meglio che la mafia non può senza supporti tecnici, finanziari e giurisdizionali di altre società a delinquere.
Gli oscuri piani dei veri assassini, tesi all’oblìo della lotta culturale di Falcone e Borsellino, si sono rivelati un boomerang, e di fatto hanno amplificato il loro messaggio di emancipazione.
L’esercito dei giusti, che qualcuno vorrebbe battezzare "illusi" o "sfigati", è fatto di persone comuni, di anime, del Sud, del Centro e del Nord, che sanno esattamente che cosa, oltre il sangue versato, ci hanno insegnato Falcone e Borsellino.
Negli ultimi anni, nonostante la pervasiva persuasione occulta, le commemorazioni di facciata e la fabbrica mediatica del piagnisteo, la nazione dei normali s’è ritrovata nell’impegno, nelle piazze, sulla rete, nella ricerca della verità sul passato e sul presente. Ha raccolto l’eredità dei due giudici siciliani, del loro séguito e degli altri incorruttibili cercatori di giustizia, da Livatino a Scopelliti, da Alfano alle centinaia e migliaia di anonimi, capaci di mandare a pezzi paura e opportunismo.
La nazione dei normali ha creato le sue reti di solidarietà, intervento e informazione. Per cui non è più possibile che non si sappia, che non si veda, che non si reagisca.
Qui sta la santità, il miracolo, il ritorno in vita di Falcone e di Borsellino. E non occorre, a conferma, il crisma d’una qualche autorità.
Non so sulle pagine del corriere. Ma io ho letto un articolo sul corriere.it nel quale si citavano le parole del presidente Napolitano riferite alla strage di Capaci . Niente rispetto a quello che meriterebbero Falcone, Borsellino e tutti quelli che sono morti in quegli anni. Però nel vostro articolo si parla di nessuna riga o delle parole di Alfano. Personalmente credo e propongo (anche se la mia sarà provocazione o utopia) che la prima pagina dei giornali che reputino cruciali, per la storia politica e sociale dell’Italia, la strage di Capaci e la strage di Via d’Amelio, ogni anno, rispettivamente il 23 maggio e il 19 luglio ripropongano magari in "un trafiletto" o all’interno del giornale, la prima pagina del quotidiano di quei giorni. Sarebbe comunque poco o nulla, ma servirebbe a ricordare, a non farci dimenticare persone che hanno dato la vita non tanto per i loro interessi, ma per il bene di una terra e di un popolo in cui credevano e in cui spero, continuino a credere.
Con rispetto ed affetto per le persone lacerate da questo dramma,
Mele Francesco