[...] Giovanni Paolo II era un uomo giusto e come tutti i giusti ha saputo chiedere perdono, pur sapendo di piegare l’apostolico capo dinanzi a soggetti storici che hanno la virtù straordinaria di non sbagliare mai.
Questa è la differenza che corre tra un gigante che ha gettato un seme e dei nani che non hanno saputo raccoglierlo, ma che vorrebbero dare a intendere di essere giganti senza macchia e senza peccato, con il dito perennemente puntato verso le colpe altrui [...]
Aspettando altre scuse
di ARIEL LEVI DI GUALDO (La Sicilia, 18 Aprile 2005)
Nei giorni seguenti la morte di Giovanni Paolo II non c’è stata rete televisiva che non abbia mandato in onda i filmati di tre visite storiche del Papa: alla sinagoga di Roma, a una moschea, a una cattedrale protestante. Per le reti televisive sono passati in rassegna tutti i notabili dell’Ebraismo italiano.
Il Gran Rabbino di Roma, ospite di una recente puntata di «Porta a Porta», ha commentato la storica visita del Pontefice rispondendo al conduttore: «... era l’ora!». Il Rettore della Pontificia Università Lateranense, ospite anch’esso a quella puntata, rimase visibilmente infastidito.
Chi conosce la psicologia ebraica sa che se il Papa è andato, è criticabile per essere andato tardi, se non fosse andato, sarebbe stato criticabile per non essere andato. Insomma: un papa è sempre un papa.
In gran parte del mondo ebraico il disprezzo verso i cristiani rappresenta una virtù sancita sui testi più autorevoli, a partire dal Talmud, che sebbene scritto dall’uomo, per l’ortodossia rabbinica è Verbo di Dio. Il Talmud contiene sequele d’insulti rivolti ai cristiani e alla loro fede. Qualcuno li ha forse cancellati?
Per evitare la messa al rogo del Talmud i riferimenti più ingiuriosi furono camuffati, ma dopo la nascita del divino Stato d’Israele i maestri si sentirono al sicuro e li ripristinarono tutti nelle nuove ristampe.
Il Santo Padre chiese perdono anche ai musulmani, senza curarsi del fatto che in gran parte dei paesi islamici i cattolici sono discriminati, talora anche perseguitati e uccisi. E se da parte cattolica ci sono state le crociate, va ricordato che i musulmani hanno compiuto carneficine per secoli lungo le coste del Mediterraneo. Hanno mai chiesto scusa a nessuno?
Il Santo Padre ha proseguito a chiedere scusa ai fratelli cristiani separati. E con ammirevole coraggio andò a visitare diversi paesi scandinavi, dove fu accolto con indifferenza e sottoposto a discorsi aggressivi pronunciati da diversi pastori protestati e vescovi luterani.
Le varie Chiese protestanti, al mea culpa del Papa sono andate in brodo di giuggiole. Le critiche che da sempre rivolgevano al papato adesso erano confermate delle parole stesse del Papa. Ma nessuno di quei notabili ammise che l’inquisizione protestante fu peggiore di quella cattolica e che a suo merito è ascritto un numero di morti maggiore. A introdurre il processo alle streghe nelle americhe non furono i cattolici ma i luterani, che alla fine del Seicento uccisero con l’accusa di stregoneria degli innocenti nella Città di Salem.
Ma la palma d’oro dell’ipocrisia spetta alla Chiesa Ortodossa di Russia, serva di Bisanzio e poi degli zar, in seguito compromessa col regime comunista. Quando Stalin perseguitò e fece uccidere i cattolici dell’Ucraina, per prima cosa gli sequestrò le chiese e le passò al Patriarcato Ortodosso di Mosca.
Giovanni Paolo II ha chiesto scusa a tutti, ma tutti assieme: ebrei e musulmani, ortodossi e protestanti, si sono comportati come vergini stizzose che non hanno da chiedere scusa a nessuno.
Forse il dialogo sarà uno dei temi che confluirà anche sull’agenda del nuovo pontefice. Ma speriamo che sia un dialogo diverso. Anzitutto i cattolici devono farsi uno shampoo e ripulirsi dalla cenere che da anni portano sui capelli, quindi alzare la testa e guardare in faccia i loro interlocutori. E se tutti ammetteranno le loro colpe e le loro intolleranze, allora nascerà il dialogo vero.
Giovanni Paolo II era un uomo giusto e come tutti i giusti ha saputo chiedere perdono, pur sapendo di piegare l’apostolico capo dinanzi a soggetti storici che hanno la virtù straordinaria di non sbagliare mai.
Questa è la differenza che corre tra un gigante che ha gettato un seme e dei nani che non hanno saputo raccoglierlo, ma che vorrebbero dare a intendere di essere giganti senza macchia e senza peccato, con il dito perennemente puntato verso le colpe altrui.
L’utopia dell’Islam moderato
di ARIEL LEVI DI GUALDO (La Sicilia, 03 settembre 2004)
Nessuna persona assennata può salire in cattedra a dispensare consigli su situazioni dove non s’intravede uscita. Persino Socrate, al quale non mancava la favella, trovandosi senz’altra strada bevve una coppa di cicuta. Morì salvando il proprio onore e ciò per cui era vissuto.
Il rapimento di due giornalisti francesi in Iraq, è la continuità di una Catena di Sant’Antonio snodata nel Pozzo di San Patrizio. Quello che brucia all’Europa, che mostra sempre più d’esser solo una moneta unica, è il ricatto di una forza esterna, appoggiata stavolta da vari musulmani europei, scesi nelle strade di Parigi a protestare contro il governo. Terroristi e integralisti, pretendono di cambiare col ricatto una legge del Parlamento di Francia che vieta l’uso di simboli religiosi nelle strutture pubbliche, incluso il velo delle ragazze musulmane.
Nessun paese civile può accettare imposizioni che minano la sua sovranità. Anche perché sarebbe solo l’inizio, appresso si potrebbe chiedere d’abbattere le facciate delle cattedrali, perché recano offesa a persone provenienti perlopiù da paesi dove si rischierebbe la vita, a farsi beccare con una statuetta della Madonna nascosta in casa.
Molti musulmani europei escono da certi imbarazzi narrando che in diversi paesi islamici vivono delle comunità cristiane. È vero, però andrebbe ricordato a che discriminazioni sono sottoposte.
L’Islam pretende le eterne scuse dell.Occidente per certe nostre malefatte, dalle crociate al colonialismo. Vogliamo parlare anche delle "crociate" islamiche, che con rara violenza spazzarono via tutte le comunità cristiane dai Paesi del Magreb? Per non parlare di quel che accadde a quelle ebraiche. Proviamo a ricordare cosa avveniva in Italia, quando i saraceni mettevano a sacco intere città, lasciando esposti sui pali i cadaveri di donne e bambini. E il colonialismo arabo, antico e moderno, quanti danni sta producendo nel mondo?
Se la Chiesa Cattolica ha fatto un grande esame di coscienza, altrettanto non si può dire di quel mondo islamico che oggi si erge a giudice dell’Occidente.
Il problema è in parte politico, in parte religioso. E quando si parla d’Islam, politica e religione sono la stessa cosa. Cristianesimo e Islamismo nascono dal monoteismo ebraico. Ma se l’Ebraismo non pratica il proselitismo, gli altri due monoteismi, sul proselitismo si fondano. Tra i due secondi monoteismi, permane una diversità sociologica e teologica: il Cattolicesimo ha abbandonato la sua antica arroganza, mentre buona parte del mondo islamico, la propria la sta rafforzando.
È inutile riempirsi la bocca d’islamici moderati, siamo realisti: i moderati, da una buona fetta di musulmani, sono considerati dei traditori. I moderati non mettono piede dentro le moschee, temono d’essere presi a sberle. Le loro mogli in tailleur sono indicate come «assimilate agli usi immorali dell’Occidente». La stupenda moglie musulmana di un certo capitano d’industria, non può essere presentata com’emblema delle donne arabe, perché in certi ambienti musulmani è stata indicata come una «venduta a un cane cristiano».
A caldo la Francia potrebbe dire: «Se torcete un capello ai nostri due concittadini rapiti, revocheremo il permesso di soggiorno agli arabi musulmani presenti sul nostro territorio. Che tornino a reclamare diritti nei loro paesi d’origine. Considerando che neppure negli stati integralisti governati dalla Legge del Corano, sono concesse a un operaio sei pause giornaliere per pregare. Mentre a Parigi e a Londra gli sono concesse».
La libertà noi la offriamo di tutto cuore, ma che nessuno ce la ritorca contro, perché se così fosse, è bene che l’Europa cessi d’essere solo una grande banca, ed inizi al più presto a tirare fuori le palle.
Il rammendo
di Igor Man (www.lastampa.it, 26.09.2006)
Il Santo Padre ha ricucito lo strappo: così, icasticamente, «fonti vaticane», ovviamente «autorevoli», tirano il bilancio dell’incontro, a Castel Gandolfo, di Benedetto XVI con «eminenti rappresentanti dell’islàm». Lo strappo, converrà ricordarlo, è la reazione, invero scomposta, di qualche turba islamica (scesa in piazza con insospettabile immediatezza) a una «chicca accademica» del Papa tedesco: per arricchire la Lezione nella «sua» università (in Ratisbona) il Pontefice citò la polemica (antichissima) fra l’Imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un dotto persiano.
Come sappiamo, visibilmente rammaricato il Papa ha espresso tutto il suo rincrescimento per il malinteso. Gli ha fatto da sponda una fioritura di interventi, scritti e orali, che lasciavano trasparire non tanto la preoccupazione di inquadrare storicamente e teologicamente la dotta polemica fra il Bizantino e il Persiano, quanto la preoccupazione di salvare quel dialogo interreligioso promosso vent’anni fa da Papa Giovanni Paolo, e ostinatamente tenuto in vita dalla Comunità (laica) di Sant’Egidio. Per investitura, diremo, dello stesso Papa polacco, e riproposta da Benedetto XVI in Assisi, ai primi di settembre.
Giovanni Paolo II non si faceva soverchie illusioni «per l’immediato», tuttavia misurando il tempo col metro lungo della Chiesa cattolica egli pensava che «venuto il giorno» il dialogo con i musulmani e con i «fratelli maggiori», gli ebrei, avrebbe edificato il Tempio della Pace. Un tempio le cui chiavi, giustappunto, sarebbero appartenute ai figli del Dio unico. Se fu difficile proporre codesto progetto per il carismatico Papa polacco, per Benedetto XVI che umilmente si considera ancora «in rodaggio», s’è subito rivelato insidioso oltre che minaccioso. Da qui la preoccupazione della grande macchina vaticana di «ricucire lo strappo».
Affinché il dialogo prosegua. Ora si dà il caso che mentre con i «fratelli maggiori» non sia difficile dialogare, arduo invece si presenti il per altro auspicabile dialogo con l’islàm. Intanto perché l’islàm è una galassia dove, fatalmente, non esistono strutture religiose che facciano capo a un «centro». E, poi, perché nell’islàm il religioso si fonde col politico, col sociale. E’ un tutt’uno. Ultimo ma non meno importante: l’irrompere alla magmatica ribalta islamica di Khomeini. L’artefice della Rivoluzione a mani nude che scacciò nel 1979 lo Scià accusato di stravolgere i connotati culturali dell’Iran, ha in fatto «coventrizzato» l’islàm facendo di quella galassia un forte, dilagante centro di potere sciita. Così accade che il più numeroso e gerarchicamente strutturato sunnismo si trovi oggi a misurare il suo burocratico passo con l’andatura veloce d’un nuovo terrorismo «dal viso d’angelo, dal cuore fosco». Un terrorismo che di islamico non ha nulla (o solo cipria) ma che è riuscito a manipolare il Verbo con l’appropriazione indebita del Corano. Papa Benedetto ha dunque «ricucito lo strappo». In nome e nell’auspicio del Tempio della Pace vaticinato da Giovanni Paolo II. Non sono poche, invero, le consonanze fra cristianesimo e islàm; molte Sure del Corano riecheggiano gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli. Di più: il Corano esalta la verginità feconda della Madonna, riconosce in Gesù il santo profeta figlio di Dio. Qui giunti, però, cade la prima mannaia. Eccola, nelle parole di Raimondo Lullo, evangelizzatore cristocentrico del XIII secolo: «I saracini credono che il Signore Gesù il Cristo è figlio di Dio ma non credono ch’egli sia Dio».
Islàm e cristianesimo hanno in comune l’affermazione del Dio unico, trascendente, creatore, retributore. Il dono della fede è proposto «all’adesione del cuore e dell’intelligenza» - la vita morale fa riferimento a Dio, il peccato è rifiuto della legge divina. «Sin qui i monoteismi prescrivono atteggiamenti in qualche modo comuni» (cfr. L. Gardet: Regards chrétiens sur l’islam). Epperò esistono «linee di separazione» tanto precise e decise che sarebbe ingenuo pretendere di trattare «insieme» islàm e cristianesimo.
Il cristianesimo è la religione di Dio al tempo stesso trascendente e immanente. Per l’islàm Dio rivela la sua parola («al Quran») ma non se stesso. Rimane inaccessibile. La fede musulmana è testimonianza che viene resa, non è esperienza direttamente vissuta. L’unica mediazione tra Dio e l’uomo è il Corano dove, in qualsiasi momento, l’individuo può accostarsi ad Allah, subirne la possanza, godere della sua misericordia. Maometto è «soltanto» un Profeta. Santo ma solamente uomo ancorché Mohammed «implica la totalità». Ancora: nell’islàm solo i puri, gli ortodossi posseggono la verità, cioè la fede: el iman e, di conseguenza, la legge, el islàm: la via, letteralmente la virtù. E qui cade la seconda mannaia: la sharia. Se, infatti, nel Corano cristiani e musulmani potrebbero e qualche volta possono trovare un punto di incontro (il convegno interreligioso - la preghiera comune senza sincretismo) che trasformi il dialogo in una sorta di «consanguineità spirituale», la sharia col suo assolutismo essenzialmente politico blocca ogni (eventuale) sistema di vasi comunicanti.
La sharia è quell’insieme di regole e disposizioni di legge in virtù delle quali i vari califfi venuti dopo Maometto hanno affermato e protetto il primo potere. Gli attuali epigoni dei vecchi califfi (certi leaders arabi) hanno o alleggerito, i più lungimiranti, (o più coraggiosi?) la sharia, ovvero l’hanno inasprita: i più dispotici e corrotti, la maggioranza. Schiacciati da una piramide di peccati (l’illecito arricchimento, il dispotismo), non pochi raiss li troviamo in prima fila nel protestare bombasticamente per la lezione teologica d’un Papa fresco di nomina, con ancora (forse) indosso la toga universitaria sotto la tunica bianca. Noi non confonderemo mai la sharia col Corano, con l’islàm che predica non soltanto la tolleranza ma qualcosa di più: la condivisione. Il guaio è che la sharia attribuisce all’islàm interpretato ad usum delphini valore di (unica) verità oggettiva.
Che fare? Rubando agli sciiti la takkya, l’arte della dissimulazione, prenderemo per buone le dichiarazioni di certi funzionari islamici che, ahimè, rappresentano solo se stessi. Il dialogo: anche se stento, va perseguito. Con umiltà ma altresì con fierezza. Tutto appare tremendamente difficile ma, come diceva Giovanni Paolo II, «in un viale senza uscita, l’uscita è nel viale stesso».
Hanno aderito anche gli ambasciatori del Qatar e del Pakistan. Attesa per le parole del pontefice sul dialogo interreligioso
Papa-Islam, incontro a Castel Gandolfo. 20 diplomatici a Roma, manca il Sudan
(www.repubblica.it, 24.09.2006)
ROMA - Sono venti le adesioni di diplomatici di Paesi a maggioranza islamica - accreditati presso la Santa Sede - all’incontro con Benedetto XVI fissato per domani a Castel Gandolfo. Un incontro che nelle intenzioni del Vaticano dovrebbe fugare una volta per tutte le polemiche scatenate dal discorso di papa Ratzinger a Ratisbona.
Tra gli altri saranno presenti l’ambasciatore del Qatar Jahamal Al Kuwari e quello del Pakistan, signora Fauzia Abbas. Ci sarà anche un rappresentante dell’Algeria. Al momento non risulta che abbia invece aderito il Sudan. I governi di Kuwait, Giordania, Indonesia, Turchia, Bosnia, Costa d’Avorio, Senegal, Iraq, Libia, Iran, Azerbaigian, Marocco, Albania, Indonesia, Egitto, Yemen saranno rappresentati dai rispettivi capi missione. Ci sarà anche la Lega degli Stati Arabi.
All’incontro - voluto fortemente dal Pontefice - parteciperanno inoltre esponenti delle comunità islamiche in Italia e della Consulta islamica istituita dal ministero dell’Interno. Nell’annunciare l’appuntamento la sala stampa vaticana ha rimarcato l’aspetto più religioso che diplomatico dell’appuntamento al quale sarà presente anche il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
I lavori cominceranno alle 11,45 nella Sala degli Svizzeri della residenza estiva dei papi. Il cerimoniale del Vaticano sta faticando sette camicie per mettere a punto gli ultimi ritocchi della cerimonia, preoccupandosi di assegnare a ogni ospite la giusta collocazione. Nessun particolare sarà lasciato al caso. Gli ambasciatori siederanno tutti alla sinistra di papa Ratzinger.
Rispetto agli altri capi missione solo i diplomatici di Libia, Iran, Azerbaigian e Lega degli Stati Arabi saranno collocati piu distanti ma questo perché non sono ambasciatori plenipotenziari ma incaricati d’affari. Alla destra di Ratzinger, invece, saranno seduti in ordine alfabetico i membri della Consulta islamica italiana invitati dal Pontificio consiglio per il dialogo inter-religioso.
Spetterà al cardinale Paul Poupard fare un discorso di apertura e poi si ascolteranno le parole di Benedetto XVI. La prima volta che il pontefice ha affrontato il tema del dialogo con l’Islam è stato l’anno scorso a Colonia durante la Giornata mondiale della gioventù. In quell’occasione aveva rilevato la necessità di individuare valori comuni per cementare il mutuo rispetto e la comprensione reciproca. Il dialogo tra le fedi e tra culture, aveva affermato, non deve essere una scelta stagionale e passeggera ma una "realtà, una necessità vitale da cui molto dipende il nostro avvenire".
In Vaticano si respira un moderato ottimismo dopo che stanno scemando le proteste nei Paesi islamici, dove peraltro, si sottolinea, le manifestazioni di piazza contro il Papa non hanno radunato mai più di qualche centinaio di persone. Il clima è di fiduciosa attesa. E l’auspicio è che si rasserenino gli animi, presupposto per qualsiasi dialogo. Se ciò accadrà, ha detto il direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi, il discorso di Ratisbona si sarà rivelato "fecondo, forse addirittura provvidenziale".
(24 settembre 2006)