Legge Tv, Forza Italia attacca Napolitano
«Un’ingerenza grave». Il Quirinale stupito
di Maria Grazia Bruzzone *
ROMA. Gli attacchi pesantissimi della Cdl contro il ddl Gentiloni salgono di tono e arrivano a coinvolgere il presidente della Repubblica Napolitano. Da Fi sia il presidente dei senatori Renato Schifani sia il vicecoordinatore di Fi Fabrizio Cicchitto accusano il capo dello Stato di entrare nel dibattito politico. I due esponenti azzurri ingaggiano con Napolitano un vero e proprio botta e risposta, ribattendo alla nota di precisazione giunta in serata dal Quirinale con un avviso dai toni minacciosi a restare «sopra e fuori dallo scontro». Intimazione rivolta anche agli altri presidenti delle massime istituzioni dello Stato, in particolare a Bertinotti.
Venerdì a Londra, nel corso di una conferenza stampa, a domanda il presidente Napolitano aveva detto di «avere le spalle coperte» dal messaggio alle Camere del suo predecessore Ciampi nel 2002 in tema di libertà e pluralismo. «Ciascuna forza politica ne trae le conseguenze che crede», aveva aggiunto, invitando al dialogo e alla moderazione.
Ma Fi, che su Mediaset fa muro, nelle parole del presidente della Repubblica vede un’interferenza. Di più, le ritiene le prime avvisaglie di un atteggiamento da parte del Quirinale che, se non contrastato in tempo, potrebbe portare alle stesse rigidità di Ciampi, che arrivò a rimandare alle Camere la prima versione della legge Gasparri. Un gesto dopo il quale fra palazzo Chigi e il Quirinale scese un gelo durato sei mesi.
Cicchitto è il primo a mettere le mani avanti. «Sulla controriforma della Gasparri si svolgerà uno scontro politico assai duro» ed «è auspicabile che le massime cariche dello Stato mantengano una posizione sopra e al di fuori delle parti, o sarebbero inevitabilmente coinvolte nella polemica. Lo diciamo fin d’ora perchè alcune sortite suscitano forti dubbi» aggiunge Cicchitto.
A non avere dubbi è Schifani, che giudica il fatto che «le più alte cariche dello Stato entrino all’unisono nel dibattito politico «un fatto grave». Da An si aggiunge la voce di Gustavo Selva, convinto che quello di Napoltano sia «un modo costituzionalmente sbagliato di interloquire col Parlamento», perché Ciampi si avvalse della prerogativa del messaggio alle Camere mentre, oltre a tutto, «Napolitano era all’estero».
E’a questo punto che interviene il Quirinale, con una nota in cui si manifesta «stupore» per le dichiarazioni dell’opposizione, e si precisa come il presidente, interpellato dai cronisti, si sia «limitato a ribadire la giustezza dei principi affermati dal presidente Ciampi sulla libertà e il pluralismo dell’informazione». Esprimendosi «in termini generali, senza entrare in alcun modo nel merito del dibattito sul ddl Gentiloni». Ma i forzisti tengono il punto. «In politica la cosa più sbagliata è lanciare il sasso e ritirare la mano» osserva Cicchitto. «Confermiamo che quella di Napolitano è stata una dichiarazione politica», gli fa eco Schifani.
Nel mirino degli azzurri c’è anche Bertinotti, che a proposito del ddl ha osservato che «è difficile dire che sia un progetto ipestatalista». Mentre dal Prc, unica voce in dissenso nel coro della maggioranza che difende il ddl, il segretario Franco Giordano fa capire di non condividere del tutto il testo: «Occorrono delle modifiche perchè non si può assimilare la Rai a Mediaset, considerandola alla stregua di una tv privata».
Nella muraglia che la Cdl si prepara a ergere in difesa di Mediaset spicca la minaccia lanciata dall’azzurro Beppe Pisanu di rivolgersi agli italiani, se il ddl passasse in Parlamento com’è oggi:«Potremmo contrastarla con un referendum». Ma a respingerla è lo stesso capogruppo forzista alla Camera Elio Vito, per il quale parlare adesso di referendum «è prematuro». Vito confida nella battaglia parlamentare e si dice «affatto preoccupato» per l’atteggiamento dell’Udc, «malgrado le sirene che chiamano dalla maggioranza». Ironico, Paolo Gentiloni si augura di porsi presto il problema referendum, perché «vorrebbe dire che la legge è stata rapidamente approvata».
La Stampa, 15.10.2006
Una nota del Quirinale commenta alcune reazioni alla risposta che il presidente ha dato ieri rifacendosi al messaggio di Ciampi
Tv, la Cdl contro Napolitano "Dal Colle un atto politico"
Il capo dello Stato: "Destano stupore dichiarazioni dell’opposizione" *
ROMA - E’ scontro tra Cdl e Quirinale. Tema del contendere la riforma del sistema televisivo che ha provocato l’ira del centrodestra, che non ha risparmiato il capo dello Stato. Tanto che oggi il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con una nota, torna sull’argomento: "Destano stupore alcune dichiarazioni rilasciate da esponenti dell’opposizione rispetto alla risposta data dal Presidente della Repubblica a una specifica domanda nel corso della conferenza stampa di ieri a Londra".
La nota del Quirinale spiega infatti che "il Presidente Napolitano si è rigorosamente limitato a ribadire la giustezza dei principi affermati nel messaggio del Presidente Ciampi al Parlamento sulla libertà e il pluralismo dell’informazione, esprimendosi ’in termini generali’, senza entrare in alcun modo nel merito del dibattito sul disegno di legge Gentiloni". "E - conclude la nota - dopo aver richiamato il messaggio del suo predecessore, il Presidente della Repubblica ha rilevato che ’ciascuna forza politica ne trae le conseguenze che crede’". Ma i forzisti non si placano. Per Fabrizio Cicchitto "la cosa più sbagliata è quella di lanciare il sasso e di nascondere la mano". Mentre per il forzista Renato Schifani "Quello dei Quirinale è un atto politico. Il nuovo richiamo è una evidente affermazione critica nei confronti della legge vigente e che i problemi di libertà e pluralismo sussistano è quindi una dichiarazione politica".
Ieri, da Londra, il capo dello Stato aveva richiamato il messaggio di Ciampi alle Camere del 2002. Cosa che aveva già fatto in altre due occasioni, per dire che il suo punto di riferimento in materia rimane quel messaggio: durante la cerimonia del Ventaglio al Quirinale il 24 luglio scorso e nel corso di un’altra cerimonia, anch’essa al Quirinale, il 28 settembre in occasione del premio Saint Vincent di giornalismo.(14 ottobre 2006)
www.repubblica.it, 14.10.2006
Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in materia di pluralismo e imparzialità dell’informazione
Palazzo del Quirinale, 23 luglio 2002
Onorevoli Parlamentari,
la garanzia del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta; si tratta di una necessità avvertita dalle forze politiche, dal mondo della cultura, dalla società civile.
Il principio fondamentale del pluralismo, sancito dalla Costituzione e dalle norme dell’Unione Europea, è accolto in leggi dello Stato e sviluppato in importanti sentenze della Corte Costituzionale.
Il tema investe l’intero sistema delle comunicazioni, dalla stampa quotidiana e periodica alla radiotelediffusione e richiede un’attenta riflessione sugli apparati di comunicazione anche alla luce delle più recenti innovazioni tecnologiche e della conseguente diffusione del sistema digitale. Il mondo appare sempre più un insieme di mezzi e di reti interconnesse, che abbracciano l’editoria giornalistica, la radiotelevisione, le telecomunicazioni. Per quanto riguarda il settore della stampa, la legge 5 agosto 1981, n. 416, fissa limiti precisi alle concentrazioni e detta norme puntuali per la loro eliminazione ove esse vengano a costituirsi. Secondo i dati forniti dal Presidente della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella sua Relazione annuale sull’attività svolta, presentata il 12 luglio scorso, i limiti posti dalla legge alle concentrazioni in materia di stampa risultano rispettati.
Per quanto concerne l’emittenza televisiva, dopo la sentenza n. 826 del 1988, nella quale la Corte Costituzionale affermava che il pluralismo "non potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra un polo pubblico e un polo privato", il Parlamento approvò la legge 6 agosto 1990, n. 223, per disciplinare il sistema radiotelevisivo pubblico e privato. Si tratta della prima legge organica che, nel suo articolo 1, dopo aver affermato il preminente interesse generale della diffusione di programmi radiofonici e televisivi, definisce i principi fondamentali del sistema: "il pluralismo, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto della libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione".
La successiva legge 31 luglio 1997, n. 249, ha istituito l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e ha dettato norme con le quali ha precorso, con lungimiranza, il tema della cosiddetta "convergenza multimediale", tra telecomunicazioni e radiotelevisione, attribuendo all’Autorità indipendente competenza su entrambi i settori. Dato essenziale della normativa in vigore è il divieto di posizioni dominanti, considerate di per sé ostacoli oggettivi all’effettivo esplicarsi del pluralismo.
La giurisprudenza costituzionale, sviluppatasi nell’arco di un quarto di secolo, ha trovato la sua sintesi nella sentenza n. 420 del 1994, nella quale la Corte ha richiamato il vincolo, imposto dalla Costituzione al legislatore, di assicurare il pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero, e di garantire, in tal modo, il fondamentale diritto del cittadino all’informazione.
Questi principi hanno avuto conferma nell’aprile scorso nella sentenza n. 155 del 2002 della stessa Corte che, richiamando i punti essenziali delle precedenti decisioni, ha ribadito l’imperativo costituzionale, secondo cui il diritto di informazione garantito dall’art. 21 della Costituzione deve essere "qualificato e caratterizzato, tra l’altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti - sia dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività di informazione erogata".
Tale sentenza è particolarmente significativa là dove pone in rilievo che la sola presenza dell’emittenza privata (cosiddetto pluralismo "esterno") non è sufficiente a garantire la completezza e l’obiettività della comunicazione politica, ove non concorrano ulteriori misure "sostanzialmente ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche" (cosiddetto pluralismo "interno").
I principi e i valori del pluralismo e dell’imparzialità dell’informazione nel settore delle comunicazioni elettroniche sono stati richiamati e hanno trovato sistemazione organica in quattro recenti Direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, che dovranno essere recepite dai Paesi membri entro il luglio del 2003. Il contenuto di queste Direttive è in sintonia con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che, nel secondo comma dell’articolo 11, sancisce espressamente il rispetto del pluralismo e la libertà dei media.
Nelle premesse di tali Direttive sono indicate le finalità di una politica comune europea in materia di informazione. Viene, in particolare, definito il concetto di libertà di espressione, precisando che questa "comprende la libertà di opinione e la libertà di trasmettere informazioni e idee, nonché la libertà dei mezzi di comunicazione di massa e il loro pluralismo".
In particolare, nella Direttiva denominata "Direttiva quadro": - viene specificato che "la politica audiovisiva e la regolamentazione dei contenuti perseguono obiettivi di interesse generale, quali la libertà di espressione, il pluralismo dei mezzi di informazione, l’imparzialità, la diversità culturale e linguistica, l’inclusione sociale, la protezione dei consumatori e la tutela dei minori"; - si fa obbligo agli Stati membri di "garantire l’indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione in modo da assicurare l’imparzialità delle loro decisioni"; - è riservato grande spazio all’assetto del mercato e all’esigenza di assicurare un regime concorrenziale.
* * *
Nel volgere di pochi anni anche l’Italia disporrà delle nuove possibilità che l’evoluzione della tecnologia mette a disposizione dell’emittenza radiotelevisiva. Questo sviluppo produrrà un allargamento delle occasioni di mercato e rappresenterà un freno alla costituzione o al rafforzamento di posizioni dominanti, pur nella necessaria considerazione delle dimensioni richieste dalle esigenze della competizione nell’ambito del più ampio mercato europeo e mondiale.
La legge 30 marzo 2001, n. 66, prevede, in proposito, che "le trasmissioni televisive dei programmi e dei servizi multimediali su frequenze terrestri devono essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale entro l’anno 2006". E, tuttavia, il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione non potranno essere conseguenza automatica del progresso tecnologico. Saranno, quindi, necessarie nuove politiche pubbliche per guidare questo imponente processo di trasformazione. E’ questo un problema comune a tutti i paesi europei, oggetto di vivaci dibattiti e di proposte innovative.
* * *
Onorevoli Parlamentari,
la prospettiva della nuova realtà tecnologica, il quadro normativo offerto dalle recenti Direttive comunitarie e le chiare indicazioni della Corte Costituzionale richiedono l’emanazione di una legge di sistema, intesa a regolare l’intera materia delle comunicazioni, delle radiotelediffusioni, dell’editoria di giornali e periodici e dei rapporti tra questi mezzi.
Nel redigere tale legge occorrerà tenere presente, per quanto riguarda la radiotelevisione, il ruolo centrale del servizio pubblico. Il trattato di Amsterdam, che vincola tutti i paesi dell’Unione Europea, muove dal presupposto "che il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione".
Nell’atteso testo normativo dovrà trovare coerente sistemazione la disciplina della tutela dei minori, troppo spesso non tenuta nella dovuta considerazione nelle programmazioni delle emittenti televisive.
E’ fondamentale, inoltre, che la nuova legge sia conforme al Titolo V della Costituzione, che all’articolo 117 ha assegnato alle Regioni un preciso ruolo nella comunicazione, considerando questa materia ricompresa nella legislazione concorrente insieme a quella della promozione e dell’organizzazione di attività culturali, che ne costituisce un logico corollario. Secondo la riforma costituzionale, spetta allo Stato di determinare i principi fondamentali in dette materie, mentre alle Regioni è conferito il compito di sviluppare una legislazione che valorizzi il criterio dell’articolazione territoriale della comunicazione come espressione delle identità e delle culture locali.
Nella definizione di tali principi fondamentali, lo Stato svolge la sua essenziale funzione di salvaguardia dell’unità della Nazione e della identità culturale italiana. Essi costituiscono la più valida cornice, entro la quale trova esplicazione il pluralismo culturale, ricchezza inestimabile del nostro Paese, sorgente di libera formazione della pubblica opinione.
La cultura - questo è mio convincimento profondo - è il fulcro della nostra identità nazionale; identità che ha le sue radici nella formazione della lingua italiana e che, negli ultimi due secoli, si è sviluppata in una continuità di ideali e di valori dal Risorgimento alla Resistenza, alla Costituzione repubblicana.
Nel preparare la nuova legge, va considerato che il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione, così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione alla dialettica delle opinioni, sono fattori indispensabili di bilanciamento dei diritti della maggioranza e dell’opposizione: questo tanto più in un sistema come quello italiano, passato dopo mezzo secolo di rappresentanza proporzionale alla scelta maggioritaria.
Quando si parla di "statuto" delle opposizioni e delle minoranze in un sistema maggioritario, le soluzioni più efficaci vanno ricercate anzitutto nel quadro di un adeguato assetto della comunicazione, che consenta l’equilibrio dei flussi di informazione e di opinione. Anche a tal fine, la vigilanza del Parlamento, in coordinamento con l’Autorità di garanzia, potrebbe estendersi all’intero circuito mediatico, pubblico e privato, allo scopo di rendere uniforme ed omogeneo il principio della "par condicio".
Parametri di ogni riforma devono, in ogni caso, essere i concetti di pluralismo e di imparzialità, diretti alla formazione di una opinione pubblica critica e consapevole, in grado di esercitare responsabilmente i diritti della cittadinanza democratica.
* * *
Riassumo le considerazioni fin qui svolte, dalle quali emergono alcuni obiettivi essenziali: - specificazione normativa - tenendo conto delle variazioni introdotte dalle innovazioni tecnologiche in continua evoluzione - dei principi contenuti nella legislazione vigente e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale; - attuazione delle Direttive comunitarie che l’Italia dovrà recepire entro il luglio del 2003; - definizione di un quadro normativo per l’attivazione della competenza concorrente delle Regioni nel settore delle comunicazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 117 del nuovo Titolo V della Costituzione; - perseguimento dello scopo fondamentale di meglio garantire, attraverso il pluralismo e l’imparzialità dell’informazione, i diritti fondamentali dell’opposizione e delle minoranze.
Onorevoli Parlamentari,
ho voluto sottoporre ai rappresentanti eletti della Nazione queste riflessioni, perché avverto che sta a noi tutti provvedere per il presente e, al tempo stesso, guardare al futuro, prefigurando e preparando con lungimiranza un sistema di valori e di regole che salvaguardi e sostenga la vita e l’azione delle nuove generazioni.
Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e delle reti di comunicazione è qualcosa di più di un avanzamento tecnico: configura un salto di qualità; muta il contesto nel quale si esplica la vita culturale e politica dei popoli; apre straordinarie possibilità di conoscenza, di nuovi servizi, di partecipazione, di crescita individuale e collettiva.
Dobbiamo vivere questo momento di transizione con consapevolezza e fiducia. Un processo di innovazione affidato alle forze della società, promosso e accompagnato dall’azione pubblica in una appropriata cornice normativa, è la base per una nuova stagione di sviluppo morale e materiale della Nazione.
E’ questa una sfida che coinvolge tutte le istituzioni: saper tradurre l’innovazione in una grande opportunità di formazione per i cittadini.
* * *
Non c’è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell’informazione: sono fiducioso che l’azione del Parlamento saprà convergere verso la realizzazione piena di questo principio.
Lupi, pecore, pastori?! Un NO per il REFERENDUM.
25 GIUGNO: SALVIAMO LA COSTITUZIONE E LA REPUBBLICA CHE E’ IN NOI
di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35) *
Nel 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.
Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”). Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)? O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” e “Mammona” o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!!
La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...
Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Federico La Sala
www.ildialogo.org/filosofia, Sabato, 10 giugno 2006
Berlusconi e il suo doppio
di Furio Colombo *
Questo articolo è dedicato a Paolo Sylos Labini, a cui l’Università La Sapienza di Roma dedica, il 16 ottobre, una giornata per ricordare "L’economista e il cittadino".
Voglio ricordarlo anch’io oggi, nel giorno in cui si torna a parlare del conflitto di interessi nell’incarnazione grande e pericolosa di Silvio Berlusconi. È giusto farlo, perché, incurante delle alzate di spalle di alcuni («il conflitto di interessi non interessa nessuno») o delle rassicurazioni di altri («il conflitto di interessi non è così importante, perché farne un’ossessione») Sylos Labini non ha mai smesso di tenere lo scandalo morale, politico, economico del conflitto di interessi al centro della sua attenzione e della nostra, nei suoi discorsi, nelle sue lezioni, nei suoi articoli per questo giornale, lui che ha formato la maggior parte degli economisti del nostro Paese.
Ma oggi è anche il giorno che rivendica l’impegno e la verità di Sylos Labini, «economista e cittadino» (come dice l’annuncio dell’Università La Sapienza). Infatti è il giorno in cui, di fronte al progetto di legge Gentiloni che cancella la "legge Gasparri" sulle Comunicazioni, e riconduce l’Italia tra i Paesi normali - in cui non diventano legge gli interessi privati e personali di chi governa - due protagonisti di quella legge confessano, finalmente, davanti a tutti, e lo fanno senza esitare. Berlusconi dice testualmente: «Non ci credo, sarebbe un atto di banditismo. E non sarebbe più democrazia quel Paese in cui una parte politica intendesse colpire l’avversario attraverso le sue aziende e le sue proprietà private. Sarebbe banditismo politico». Propongo di trascurare la parte orwelliana di questa interessante dichiarazione, dove si dice che impedire a qualcuno di violare le leggi e le regole democratiche sarebbe un atto di banditismo che nega la democrazia. Vale la pena invece di considerare la parte «colpire l’avversario attraverso le sue aziende e le sue proprietà private». È un peccato non potersi godere questa frase insieme a Sylos Labini, quel signore ostinato, quel professore integerrimo che non ha mai smesso di gridare «al ladro!».
Certo, veniva zittito da persone politicamente prudenti, quando descriveva l’immenso vantaggio che deriva a un proprietario di aziende che diventa governo e si fa fare le leggi secondo il suo interesse privato. Per esempio, se si tratta di televisioni, si fa legiferare come crede il numero delle reti che desidera. E se si tratta di un pubblicitario si fa definire secondo la sua convenienza e il suo profitto il tetto della pubblicità che gli fa comodo avere.
Osservate il senso di oltraggio con cui Berlusconi non esita a definire se stesso «l’avversario politico che possiede aziende e proprietà private» che, secondo lui, questa legge dovrebbe colpire. Eppure ci aveva detto in tutte le televisioni per lui disponibili (tutte) con persuasività e con furore, nei discorsi politici e nelle interviste senza seconda domanda, che lui ormai si era staccato, che l’azienda è dei figli, che lui non ci mette piede, tanto che aveva persino dato le dimissioni da presidente del Milan per incompatibilità con la carica di primo ministro.
Non c’è dubbio, siamo in presenza di una confessione. «Io sono Mediaset» proclama finalmente col tono di un’opera lirica Berlusconi «colpendo Mediaset colpite me».
È ovviamente una clamorosa dichiarazione anche letta al rovescio: «Quando governo io governa Mediaset. E quando faccio opposizione io è Mediaset che scende in campo, perché Mediaset sono io». È una descrizione da manuale del conflitto di interessi. Un tale possiede una enorme azienda di comunicazioni.
Facendo finta che non esistano impedimenti e ostacoli giuridici (a cominciare dalle legge del 1959 sulla ineleggibilità dei titolari di concessioni dello Stato, perché governando darebbero le concessioni a se stessi) un tale che possiede tutte le televisioni private di un Paese diventa, indisturbato, primo ministro. E da primo ministro non solo si autorizza tutto da solo, ma studia il suo caso e fa tutto, fino ai dettagli, attraverso apposite leggi, nell’interesse della sua azienda.
***
Entra in campo, senza esitazione e - si deve supporre - mal consigliato dai suoi legali, l’ex ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri. Ricordate? Reagiva con furore all’accusa, piuttosto ovvia, di avere scritto una legge a vantaggio di un primo ministro proprietario di tutta la televisione privata italiana, ma anche, per funzione ministeriale, controllore dettagliato e potente della televisione pubblica (che, deve essere usata ad personam ma tenuta a bada perché non tolga proventi al lato privato della stessa persona).
Adesso Gasparri dice, senza pensarci due volte, e creando la prova perfetta per i suoi detrattori di allora: «È una legge vendetta. Di fatto danneggia le aziende televisive italiane e favorisce la colonizzazione del nostro sistema-Paese».
Dunque vediamo. Le "aziende televisive italiane" sono solo quelle di Berlusconi (le poche briciole che restano fuori da Mediaset non hanno notato alcun danno da una legge che apre il mercato). Dunque le aziende di Berlusconi risultano danneggiate dall’aver cancellato alcune parti della legge Gasparri. Vuol dire che la Legge Gasparri recava vantaggio alle "aziende televisive italiane" che, come abbiamo visto, sono quelle di Berlusconi. Per chiarezza Gasparri aggiunge: «Alcuni aspetti del ddl Gentiloni sono una chiara ritorsione verso Mediaset (finalmente non parla più di "aziende televisive italiane" ma va al sodo, ndr) e non vanno verso la crescita». Interessante affermazione. La crescita di chi? La concatenazione delle frasi è chiara. Come vi permettete di toccare una legge che favorisce la crescita di Berlusconi? Infatti una riga più sopra si dice in chiaro «Mediaset».
Il pensiero dell’ex ministro Gasparri diventa ancora più esplicito e imbarazzante quando si lancia contro l’abbassamento del tetto pubblicitario. L’intera ricchezza monopolistica della Mediaset di governo si basava sulla libertà di stabilire il proprio tetto pubblicitario (ovvero quanta pubblicità posso avere, a chi posso portarla via e quanti soldi guadagno in più). Il manager Berlusconi voleva migliorare i bilanci. Si dava il caso che il proprietario Berlusconi fosse anche il primo ministro Berlusconi e il padrone di una maggioranza che ha sempre votato alla cieca.
Ci voleva un ministro disposto a scrivere che il tetto pubblicitario si calcola su SIC, una notevole invenzione che vuol dire "Sistema di comunicazione integrato" ovvero tutto ciò che scorre nell’universo, compresi Sms e messaggi sui telefonini. Misurata rispetto all’universo la percentuale di pubblicità del tuo capo-presidente-padrone-manager sembra piccola, persino più piccola di prima, dopo la trovata della legge. In realtà si mangia tutto e produce nuova ricchezza. Per chi? Non certo per il Paese, anche se tutto avviene a cura di chi governa il Paese. Ma tutto questo è il conflitto di interessi, bellezza.
E infatti ecco Gasparri che dice: «È chiaro che questa legge vuole distruggere ricchezza e attuare vendetta politica» se è vendetta politica riguarda Berlusconi, come lo stesso Berlusconi ci ha appena detto. E allora è della ricchezza di Berlusconi che si era occupata la legge che adesso, fra tante grida e invettive, viene abrogata perché era un po’ troppo.
***
Ma la festa continua. Ecco a voi il senatore Schifani. «Il governo Prodi, con la cosidetta riforma Gentiloni vuole togliere una rete a Mediaset. È un gravissimo atto di inciviltà legislativa. Attaccare il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi colpendo le sue aziende è un fatto inqualificabile. Si vuole aggredire Silvio Berlusconi. Non lo permetteremo. Ci batteremo per difendere i principi fondanti della nostra Repubblica».
A nessuno di noi risultava che gli interessi privati di uno che va in politica per migliorare i suoi risultati aziendali (e facendo rimuovere ogni limite alle sue fonti di profitto attraverso apposita legge) fosse principio fondante della nostra Repubblica. E che proporre una legge di ritorno alla normalità (in cui cioè, affari e politica sono separati e viaggiano su piani diversi senza permettere che una sola persona sia il benefattore e il beneficiato, il concedente e il concessionario, il legislatore e colui che gode dei benefici di quella legge) fosse «inciviltà legislativa». Non sarebbe più logico e anche psicologicamente più equilibrato dire il contrario e cioè che è inciviltà organizzativa unire le forze di una intera coalizione per favorire la proprietà personale del primo ministro?
Se la descrizione esemplare, monumentale del conflitto di interessi non è ancora abbastanza chiara, ci aiuta il presidente della Commissione di Vigilanza Rai che, direte, dovrebbe avere a cuore la Rai. Niente affatto. Landolfi sa benissimo di quali interessi si parla, ed è deciso a difenderli (anche se non è chiaro perché, considerate almeno le esigente formali della sua posizione). Comunque dice: «È una legge contra personam».
Poiché sappiamo chi è la persona, dobbiamo dirgli grazie due volte. Primo, perché ci aiuta a ricordare (ci sono tanti smemorati anche tra noi) che ci sono state, sotto Berlusconi, per la prima volta nella storia della Repubblica, leggi "ad personam". Secondo, perché dichiarando «contra personam» una legge in cui non si parla mai di Berlusconi, ma si parla di tutte le televisioni in Italia, si certifica a) che Berlusconi e tutto l’universo televisivo si identificano, b) che Mediaset è un soggetto politico e c) che chi tocca Mediaset (nel senso di limitare i vantaggi che erano stati donati dalla legge Gasparri) fomenta la lotta politica.
Conferma, con candore sorprendente Calderoli: «È l’ennesima prova di regime, una maggioranza che vuole togliere voce alla opposizione». Ma allora avevamo ragione noi quando, nelle famose 500 accuse de l’Unità che Berlusconi sbandierava come lesa maestà, dicevamo che Mediaset era il suo strumento politico, aggravato dal fatto che il padrone del settore privato controllava e dirigeva anche il settore pubblico.
C’è un passaggio di Elisabetta Gardini, la cui voce non è più così chiara nel coro affannato ed esasperato di voci del padrone che abbiamo appena citato, ma che forse vale la pena di ascoltare: «Sconcerta la posizione di Serventi Longhi sul ddl Gentiloni. Il segretario della Federazione Stampa Italiana si disinteressa totalmente dei posti di lavoro a rischio».
Dunque ascoltate bene: se sfiorando il conflitto di interessi si toccano posti di lavoro, vuol dire che quei posti di lavoro non sono il mercato, ma il frutto del conflitto di interessi realizzato attraverso l’incrocio improprio e illegale del pubblico e del privato. È, ovviamente, un concetto un po’ folle. Ma era doveroso riportare la autorevole dichiarazione della autorevole portavoce che, in televisione, è sembrata non sapere che cosa fosse la Consob.
Esiste anche il lato umano della vicenda. Sandro Bondi, che il pubblico de l’Unità ben conosce, annuncia lo sciopero della fame. Si tratta di questo. Sandro Bondi non toccherà cibo fino a quando saranno in pericolo le ricchezze di Silvio Berlusconi. Il fatto non ha precedenti nella storia: un cittadino fa lo sciopero della fame per difendere uno dei quattro o cinque colossi mediatici del mondo, e il quattordicesimo uomo più ricco del globo. La sua motivazione è nobile, ma con qualche contraddizione.
Leggiamola: «Contro l’assuefazione agli strappi della legalità e delle regole fondamentali della democrazia da parte di questo governo, dalla conquista del potere in modo dubbio alla occupazione e spartizione di tutti i vertici delle istituzioni alla distruzione sistematica di tutte le riforme varate dal governo precedente, al connubio impressionante tra affari e politica fino alla persecuzione e vendetta nei confronti del leader della opposizione». È la descrizione dettagliata del periodo di governo di Berlusconi. Con una curiosa conclusione. Se ciò che Bondi dice è vero, morirà di fame, perché ha descritto una situazione da rivoluzione. Se non è vero e forse il Paese non è pronto a muoversi con lui vivrà nel ridicolo.
Ma c’è di più. Ecco: «È in gioco la tutela doverosa di una azienda italiana quotata in borsa e sopratutto il futuro della nostra democrazia».
Serve altro per sapere, in modo chiaro, netto e in tutto il suo gigantesco pericolo, che cosa è il conflitto di interessi, qualcosa che autorizza a giocare tutto, di un Paese, pur di difendere uno e la sua ricchezza personale?
Ecco perché è doveroso dedicare questa pagina, oggi, a Paolo Sylos Labini, il mite e inflessibile professore che non ha mai smesso di insegnare come stanno le cose nell’Italia malata di Berlusconi. Eccole qua. Con parole loro.
* www.unita.it, Pubblicato il: 15.10.06 Modificato il: 15.10.06 alle ore 13.22
Prodi: "La riforma della tv è estremamente equilibrata" *
BOLOGNA - "Ritengo che questa legge sia estremamente equilibrata. Ripeto: estremamente equilibrata. Se uno fa il confronto con le leggi straniere non può che arrivare a questa conclusione". Lo ha detto Romano Prodi rispondendo a una domanda dei giornalisti che gli chiedeveno di commentare le riserve delle Cdl su Napolitano e sulle sue dichiarazioni a proposito dello stesso disegno di legge di riordino del settore televisivo. Prodi ha sottolineato: "Non entro nella polemica tra la destra e il presidente della Repubblica". Quindi ha aggiunto che questa polemica innestata dalla Cdl "è un problema loro". (15-10-2006)
www.repubblica.it, 15.10.2006
Berlusconi e il suo popolo
di Furio Colombo *
Sabato mattina, nel corso del programma Omnibus, un collega che partecipava con me al dibattito sulla nuova legge Gentiloni mi ha detto, con comprensibile esasperazione: forse dovremo cominciare a ragionare al netto di Berlusconi, vedere i problemi del Paese (delle televisioni) così come sono, senza cominciare e finire sempre con lui. Gli ho detto, come dico adesso su questa pagina, che sarei felice di farlo, sarebbe l’inizio di una vera vacanza.
Purtroppo non si può. Berlusconi è di nuovo in piazza. Ne ha diritto, naturalmente.
Il fatto è che Berlusconi non solo è in grado di potersi pagare (attraverso legami e joint venture con costellazioni di imprenditori che hanno convenienza d’affari a comparire accanto a lui) spostamenti di folle. Lo è nel senso di essere in grado di comandare alle notizie di comparire nel modo, nella sequenza e con titoli e spazi ed enfasi che lui desidera. Perché da dieci anni ormai ogni carriera italiana nel campo delle comunicazioni dipende dalla simpatia o antipatia di Berlusconi in persona.
Per esempio, durante il passato regime, ogni volta che un titolo dell’Unità accennava a una delle tante malefatte del governo che ha stroncato l’economia del Paese e indicava non solo il gesto legislativo ma anche l’autore, Berlusconi, circondato da tutti i sub-appaltatori politici di Casa delle Libertà (detti altrimenti "i partiti della coalizione") gridava che la nostra denuncia era un attentato alla sua vita, che stavamo dando nomi e indirizzi ai nostri amici terroristi.
Ma ora che Vicenza è stata teatro di una manifestazione schiettamente cilena, in cui si sono sentite frasi come «Se Prodi oggi lo incontrano gli italiani, non lo fanno tornare a Palazzo Chigi» non troverete neppure una riga sul rischio della vita che, con una simile barriera di violenza verbale, di scatenamento della folla, di accuse che hanno coinvolto il presidente della Repubblica, del Senato e della Camera, e la ripetuta accusa di «governo ladro!», viene creata intorno a chi sta dalla parte del governo, e, più ancora, ha la responsabilità di rappresentare le istituzioni.
S’intende che non è vero. Le manifestazioni politiche non creano pericoli fisici agli avversari.S’intende che si tratta di una trovata per mettere museruole alla democrazia (come vedete anticipo la appassionata difesa che di quelle parole e di quella manifestazione farà Sandro Bondi se ancora gli rimangono forze dal suo sciopero della fame contro la Finanziaria). Ma ho ripetuto la grottesca accusa per far capire di che cosa è fatta la "politica" di Berlusconi: bugie, accuse immense, incitamento ai peggiori sentimenti del suo popolo, una sfacciataggine senza limiti. Ha fatto approvare tutte le sue finanziarie con il voto di fiducia ma se lo facesse Prodi metterebbe a rischio la libertà degli italiani. Lo fa perché ha la forza economica e il controllo mediatico che gli consentono di non risponderne.
Nel Tg1 di venerdì scorso, un giornalista è riuscito ad agganciare il combattivo leader della opposizione basata sul controllo dei media, e ha ottenuto, per Prodi, la definizione di "emergenza democratica" se chiederà il voto di fiducia per la Finanziaria.
Certo è che neppure adesso, neppure nel nuovo e ben diverso Tg1, il nostro collega ha trovato l’occasione per la seconda domanda: «Scusi Presidente, ma lei ha sempre usato il voto di fiducia, pur avendo grandi maggioranze sia alla Camera che al Senato. Come lo spiega?»
Pensateci bene: chi vorrebbe impigliarsi nella memoria notoriamente vendicativa di Berlusconi con una simile frase di normale giornalismo? S’intende che più avanti nel corso del Tg abbiamo rivisto la storia della sequenza dei voti di fiducia costantemente imposti da Berlusconi quasi solo per impedire ai suoi, più ancora che alla opposizione, di discutere o di cambiare anche una piccola parte delle sue leggi indecenti.
Ma vorrei segnalare altri due eventi della memorabile giornata di Vicenza. Il primo: è stato fischiato sei volte l’Inno di Mameli. È stato fischiato fino a quando "i possenti altoparlanti della piazza" (nella Casa delle Libertà non si bada a spese) hanno trasmesso Va pensiero, la bella musica verdiana dedicata alla sofferenza del popolo ebraico che, purtroppo, è stata scelta come identificazione (unica che non sia volgare e imbarazzante) dei leghisti.
Ma attenzione. Dovete essere un lettore accanito di agenzie di stampa per ricostruire attraverso dispacci separati e titoli riduttivi la portata dell’evento. La pagina che ho stampato dalla Rete comincia con «Qualche fischio all’Inno di Mameli» (Agi); «Per sei volte durante la manifestazione di Vicenza è stato suonato l’Inno di Mameli e per sei volte il popolo della Lega presente ha fischiato» (Adn Kronos) . Poi l’Ansa: «Nella piazza di Vicenza una parte di sostenitori ha fischiato sei volte l’Inno nazionale diffuso dagli organizzatori in attesa dei leader della Casa delle Libertà». Ma segue subito, in tutte le agenzie, un unico commento, quello del leghista Luca Zai, che spiega: «È la delusione del popolo dei leghisti per il fatto che non sia stato trasmesso prima Va pensiero». Vi immaginate lo scandalo, la denuncia di legami con il peggior terrorismo del mondo, l’insulto ai nostri soldati impegnati nelle missioni di pace, se il più piccolo e periferico gruppetto di qualche sinistra ignota avesse dato luogo, anche solo con cinquanta persone, e magari al chiuso, a un evento di questo genere, fischiare Mameli?
Vi immaginate la raffica di telefonate e richieste di interviste che tutti gli opinion leader della sinistra italiana, da Giampaolo Pansa in giù, avrebbero ricevuto per commentare il gesto ignobile, del resto tipica rivelazione dell’odio per la Patria da parte della sinistra, che fin dalla Liberazione, voleva costruire un’Italia sovietica?
Ecco, questo è il controllo delle comunicazioni.
Data un’occhiata in giro, ai giornali di oggi, e vedrete che, sulla questione dell’Inno di Mameli non si va al di là della folklorica esuberanza leghista, e della vivacità di popolo.
A proposito di popolo, sostate un istante a immaginare che Prodi esca allo scoperto per cercare sostegno popolare e trovi in piazza solo diecimila persone. Ci sarebbero beffa, irrisione, vignette e penosi corsivi sul fatto che «saranno stati quattro milioni e trecentomila coloro che hanno votato alle primarie, ma adesso quel popolo non c’è più».
A seguire una serie di aneddoti su come la gente fa in fretta a cambiare opinione.
Del resto avrete notato che da quattro giorni si discute del "crollo di Prodi". Eppure Prodi, al momento, al confronto con Bush, con Blair, con Chirac, è ancora il leader di governo più popolare in Occidente. Quando accadeva a Berlusconi, la disputa durava sì e no un giorno, perché lui faceva circolare immediatamente i suoi sondaggi che dicevano sempre (nel 2004, nel 2005 e anche adesso, alla fine del 2006) «Siamo avanti di sei punti». Lo diceva e lo faceva pubblicare.
Faccio un’altra scommessa sull’universo giornalistico che Berlusconi è in grado di controllare. Ci sarà almeno un titolo con la memorabile frase di Bossi: «Silvio, ce lo abbiamo duro ed è anche per questo che oggi è pieno di donne»? E poiché la frase è detta accanto a quest’altra: «Dobbiamo prepararci a marciare su Roma», la sana ispirazione fascista dovrebbe essere chiara e orientare il titolista. Ma non accadrà. Mi aspetto piuttosto: «La destra agguerrita torna in piazza», come se questa fosse la destra liberista, la destra di mercato, la destra delle imprese che con originalità e destrezza inventano prodotti e invadono i mercati. Al suo meglio, questa è la destra di Le Pen e di un fascismo rancido, un avanzo della storia.
Ma se controllate i media e tutte le carriere di tutti (o almeno molti) che lavorano nei giornali e nelle televisioni, ve lo potete permettere.
Del resto nessuno di noi, che dovremmo essere abituati alle domande intriganti e alle inchieste, si è chiesto: ma che razza di credenti saranno questi che prima e dopo essersi inginocchiati davanti al Papa (un Papa serio e risoluto, che non perde tempo negli aspetti della politica ornamentale e va dritto ai punti teologici che gli stanno a cuore e su cui chiede attenzione e obbedienza) fischiano con tutte le forze il cattolico Romano Prodi, presidente del Consiglio, e si spellano le mani per applaudire Silvio Berlusconi, forse per il fatto di avere fatto così tanto per le sue svariate famiglie? Saranno gli stessi credenti che si entusiasmano per le virili affermazioni di Bossi?
Ma Vicenza non è finita, c’è anche materiale per la Digos. Per esempio l’affermazione leghista «La piazza è determinante e la gente è istintiva e non vuole più il governo Prodi. Vuole che vada subito fuori dalle scatole». Come vedete non è esattamente una richiesta di nuove elezioni.
Ah, e non dimentichiamo che in piazza, accanto ai "duri" di Berlusconi e di Bossi, accanto alla grazia con cui Berlusconi si è espresso sulle istituzioni e sul Paese, c’era anche l’uomo fidato dell’Udc Giovanardi. Non dimentichiamo che, se ci fosse un sistema di media normale, il quadro apparirebbe comico: Giovanardi fa parte dei fischi all’Inno di Mameli. Il suo capo Casini li condanna a difendere Napolitano. Ma attenzione alla grandezza dei leader. Casini dice che «nella destra vi sono alcuni cretini» cioè poca roba.
E per difendere il presidente della Repubblica Napolitano, accusato da Berlusconi di essere "uno di loro" (come dire, dal Soviet al terrorismo) afferma che «Napolitano è un uomo che rappresenterà tutti noi». L’escamotage è parlare al futuro. Come dire: per adesso non so, ma mi immagino che nei giorni a venire starà attento al segnale ricevuto.
Brutta giornata dunque, quella di Vicenza. Ci dice che una destra alla Pinochet, che non ha niente della destra moderna e tutto del populismo volgare e para fascista, sta seminando di chiodi le strade e cerca sul serio di creare un invivibile disordine. Un simile progetto - del tutto separato dalla democrazia - ha due barriere: un serio e coraggioso mondo dei media disposto alla descrizione accurata di ciò che accade (se non al commento e alla interpretazione). E una maggioranza che si rende conto del pericolo e smetta il continuo logorio delle battaglie interne.
Quella per l’Italia è la sola che valga la pena di affrontare.
___
*
www.unita.it, Pubblicato il: 22.10.06 Modificato il: 22.10.06 alle ore 13.58