Dopo l’accordo tra governo e parti sociali, 6 mesi per scegliere dall’inizio del 2007. Un vademecum per capire cosa conviene fare
Fondi pensione o vecchie liquidazioni: che fine farà il Tfr degli italiani
Obiettivo: recuperare almeno una parte del pesante gap futuro tra attuale stipendio e pensione. I diversi rendimenti a confronto
di ROSARIA AMATO *
ROMA - Tfr o fondi pensione? L’idea di "trasformare" in una rendita vitalizia la liquidazione (trattamento di fine rapporto), che per decenni è stata il coronamento di una vita di lavoro, il modo per offrirsi un lusso e comunque per "stare tranquilli", per acquistare una casa o comprarla ai propri figli, ha spiazzato molti lavoratori, che adesso devono fare i conti nel giro di pochi mesi, e scegliere.
Con l’accordo tra governo e parti sociali siglato, dopo molte polemiche il 23 ottobre, si è anticipata di un anno la riforma Maroni che prevede l’opzione tra il mantenimento del regime attuale del Tfr (non senza alcune importanti modifiche) e il conferimento della liquidazione ai fondi pensione. Nelle ultime settimane si è parlato molto della destinazione delle liquidazioni (aziende, Inps, fondi) ma, forse, non abbastanza di quanto e come tutto questo inciderà nelle tasche dei lavoratori. Vediamo.
Sei mesi per decidere. Dall’1 gennaio 2007 decorre il termine dei sei mesi entro i quali tutti i lavoratori dipendenti dovranno scegliere (col meccanismo del silenzio-assenso) se destinare la parte futura di Tfr ai fondi pensione. Nel caso in cui il dipendente di un’azienda di almeno 50 dipendenti non scelga i fondi, il Tfr "inoptato" andrà al fondo della Tesoreria istituito presso l’Inps. Rimarrà, invece al datore di lavoro nelle aziende con meno di 50 dipendenti. Ciò significa che, date le prevalenti dimensioni modeste delle imprese italiane, la maggior parte delle aziende non dovrà trasferire nulla all’Inps. La scelta è reversibile: in che misura e con quali modalità dovrà però stabilirlo un successivo decreto.
Necessario integrare la pensione. La scelta, diretta o indiretta, ha naturalmente delle conseguenze serie sui lavoratori. L’anticipo della riforma Maroni, la cui entrata in vigore era stata fissata al 1° gennaio 2008, è stato determinato soprattutto dall’intento di dare ai lavoratori la possibilità di costruirsi un’entrata da affiancare alla pensione. Per effetto delle ultime riforme, infatti, e il graduale passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, la previdenza degli italiani sarà sempre meno consistente.
Un "buco" pensionistico dai 45 anni in giù. "Secondo i nostri calcoli - spiega la professoressa Agar Brugiavini, ordinario di Economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia e redattore del sito Lavoce.info - se nei prossimi dieci anni ci saranno ancora tassi di rimpiazzo (il tasso di rimpiazzo è il rapporto tra la prima pensione e l’ultimo stipendio, ndr) tra il 60 e il 70 per cento, già per la generazione successiva, quella che adesso ha tra i 40 e i 45 anni, si troverà con tassi di rimpiazzo al 30-40 per cento. L’unica via per coprire questo buco pensionistico è garantire, specialmente ai giovani, rendimenti più elevati all’accantonamento ora versato al trattamento di fine rapporto".
Rendimenti: confronto tra Tfr e fondi pensione. Attualmente il tasso di rivalutazione del Tfr è fissato dall’articolo 2120 del codice civile, e si ottiene sommando il 75% dell’aumento del costo della vita per gli operai e gli impiegati (Istat) nel mese in esame rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente, a un tasso fisso pari all’1,5% su base annua.
L’anno scorso il rendimento del Tfr (calcolato nel modo appena detto) è stato solo del 2,6%. I fondi pensione di nuova istituzione sono andati molto meglio con un rendimento dell’8,5%. Quest’anno le cose però stanno andando diversamente: "Nei primi nove mesi del 2006 - ha detto il presidente della Covip (l’organismo di vigilanza sui fondi pensione, ndr) Luigi Scimia a un recente convegno bancario - il rendimento generale netto stimato dei fondi pensione di nuova istitutizione, pari al 2,4%, è stato leggermente superiore alla rivalutazione netta del Tfr che, nello stesso periodo, si è attestata a poco più del 2%. I fondi pensione negoziali (aziendali, ndr) hanno conseguito un rendimento medio del 2,5% mentre il rendimento medio dei fondi pensione aperti (quelli privati offerti dalle compagnie assicurative, ndr) è stato del 2,1%".
Rendimenti, una simulazione ’retrospettiva’. Tuttavia il rendimento medio dei fondi pensione, spiegano gli economisti, non va valutato e raffrontato al Tfr anno per anno, ma su periodi lunghi. In Italia l’istituzione e il decollo dei fondi pensione sono piuttosto recenti, tuttavia la Covip ha effettuato una simulazione ’retrospettiva’, calcolando "il rendimento teorico che i fondi pensione avrebbero conseguito in periodi passati sulla base di una composizione media di portafoglio tipicamente prudenziale, con una percentuale di investimento azionario dell’ordine del 25-30%". E’ risultato che tra il maggio 1982 e la fine del 2005 "il rendimento reale annuo composto dei fondi pensione, pari a circa il 5%, avrebbe abbondantemente superato il tasso annuo di rivalutazione reale del Tfr, pari allo 0,2%".
I pro e i contro/1. A questo punto la scelta sembrerebbe praticamente obbligata. Perchè lasciare il Tfr all’Inps o al datore di lavoro quando si può ottenere un rendimento ben più cospicuo dai fondi pensione? Per scegliere però bisogna tenere conto anche di altri fattori. "Resta confermato che i lavoratori conservano tutti i diritti previsti da leggi e accordi collettivi in materia di rivalutazione, liquidazione e anticipazione del Tfr", si legge nell’accordo sottoscritto il 23 tra governo e parti sociali. Il che significa che i lavoratori avranno comunque diritto a ottenere un anticipo del Tfr alle stesse condizioni attuali (per esempio per l’acquisto della prima casa nella misura del 75% purchè si sia dipendenti da almeno otto anni, per esempio). Però le cose non stanno esattamente così.
I pro e i contro/2. "Chi sceglie un fondo pensione è vincolato per un certo numero di anni, di solito cinque o sei", ricorda Agar Brugiavini. E questo incide sulla possibilità di chiedere anticipi. C’è anche poi una differenza rispetto alla possibilità di avere parte del Tfr nel corso della propria vita lavorativa in seguito a interruzione del rapporto di lavoro. Infatti alla fine di un contratto a termine, o quando un rapporto di lavoro si interrompe, il lavoratore ha sempre ricevuto finora la parte di Tfr corrispondente al periodo di lavoro effettuato. Sarà così anche in futuro per i lavoratori che lasceranno il Tfr in azienda o lo destineranno all’Inps. "Per chi ha optato per i fondi pensione invece le possibilità sono due - spiega Giovanni Pollastrini, consigliere del ministro del Lavoro - nel caso in cui una persona cambi lavoro, potrà chiedere il trasferimento del Tfr nel fondo negoziale che fa capo alla nuova azienda. Nel caso in cui perda il lavoro, e rimanga disoccupato o in cassa integrazione, il lavoratore deve aspettare 12 mesi per riscattare il 50% del Tfr dal fondo presso il quale lo aveva collocato. Per ottenere il rimanente 50% bisogna aspettare che passino 48 mesi durante i quali permanga la situazione di disoccupazione".
I pro e i contro/3. Naturalmente le conseguenze della scelta tra Inps e fondo pensione pesano anche arrivati alla fine della carriera lavorativa. Infatti chi ha effettuato la prima scelta si vedrà consegnare un certo ammontare di liquidità, rivalutato secondo la paramentrazione stabilita dalla legge. Gli altri potranno optare tra una rendita che venga calcolata sull’intera cifra, oppure sulla metà del Tfr rivalutato secondo i rendimenti del fondo, e chiedere la liquidazione del rimanente 50% in contanti. La rendita dei fondi pensione è tendenzialmente vitalizia, ma in qualche caso può essere reversibile. "La reversibilità ha però un prezzo, e incide sul calcolo della rata corrisposta", ricorda il consulente della Uil Giuseppe De Nardo.
Fondi chiusi e fondi aperti. Quanto alla scelta tra fondi chiusi e fondi aperti, che al momento non è possibile (possono optare per i fondi solo coloro rispetto ai quali è stato attivato un fondo negoziale di categoria), anche questa presenta pro e contro. I sindacati caldeggiano i fondi negoziali, ritenendo che offrano più garanzie: "Sono controllati da un’assemblea dei delegati - ricorda De Nardo - c’è un collegio sindacale, mentre i fondi aperti hanno semplicemente un responsabile". Inoltre al momento è previsto un contributo del datore di lavoro solo per i fondi aziendali, non per quelli aperti (anche se in futuro dovrebbe esserci un’equiparazione anche sotto questo profilo). Al momento inoltre i fondi aperti sono più costosi, anche per quanto riguarda la gestione. Ma in futuro, a parità di condizioni, potrebbero risultare più appetibili per quelle categorie di lavoratori che sono più propensi a investimenti più rischiosi ma a più alta remunerazione.
Le garanzie dei fondi pensione. In ogni caso i fondi pensione costituiscono una forma di collocazione "sicura": "A breve dovrebbe essere costituito un fondo di garanzia, che si affiancherà a quello già previsto per le imprese", dice la professoressa Brugiavini. "In ogni caso un fondo non può fallire, è escluso dalle procedure concorsuali", ricorda De Nardo. Senza contare tutti i limiti stabiliti per legge rispetto al tipo di investimento: non si possono comunque scegliere prodotti ad alto rischio e bisogna rispettare rigidi criteri di bilanciamento. (27 ottobre 2006)
Scrivi agli esperti del CeRP *
Chiuso l’accordo tra le parti sul trattamento di fine rapporto. La previdenza integrativa prenderà il via dal primo gennaio 2007. I lavoratori avranno sei mesi di tempo per decidere cosa fare delle quote future della liquidazione.
A soli due mesi dalla data di decorrenza della mini-rivoluzione del Tfr riprende il servizio di assistenza ai lettori degli esperti del CeRP.
Si è dovuto attendere molto per arrivare alla meta. Però alla fine ce l’hanno fatta. Il ministro del Lavoro Cesare Damiano (foto), Governo, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno trovato l’accordo sul trattamento di fine rapporto e sulla previdenza integrativa.
I quattro punti dell’accordo prevedono: l’avvio anticipato al primo gennaio del 2007 della previdenza integrativa; la destinazione - per tutte le imprese che hanno più di 50 dipendenti - del Tfr non destinato alla previdenza integrativa a un fondo Inps; la revisione per il 2007 del trattamento fiscale dei fondi pensione; accordi con il sistema bancario per andare incontro alle imprese che dovranno fare a meno dei fondi fino ad ora a loro disposizione.
Quali saranno le ricadute sui singoli lavoratori? Quali scelte sarà più opportuno fare? Come funzionerà la clausola del "silenzio-assenso"? A queste e ad altre domande risponderanno gli esperti del CeRP il cui servizio di assistenza riprenderà da fine ottobre.
I quesiti dovranno essere esclusivamente relativi alla previdenza integrativa e al trattamento di fine rapporto.
Le domande vanno inviate a lavoro@kataweb.it
23 ottobre 2006
IL FURTO DEL TFR
di Beppe Scienza
"Chi non aderisce alla previdenza integrativa finira’ a vivere in una roulotte"! Ecco cosa dice chi spaventa i lavoratori per spingerli ai fondi pensione o ad altri prodotti assicurativi. E’ proprio quello che una persona prudente non deve fare.
(WSI) - "L’ultima novità sul TFR ha suscitato molto sdegno, anche se in effetti non è la cosa più grave. La novità è che la Legge Finanziaria per il 2010 utilizzerà quei soldi che le aziende, anziché tenerli loro a fronte del TFR dei loro dipendenti, hanno dato all’Inps non è la cosa più grave, in quanto non tocca veramente la situazione dei lavoratori; purtroppo sono altre le cose che toccano o toccheranno o minacciano di toccare la situazione dei lavoratori.
La riforma bipartisan del TFR, decisa prima da Maroni e Tremonti con il governo Berlusconi e poi anticipata di un anno dal governo Prodi, è stata uno dei tiri più mancini tirati ai lavoratori italiani negli ultimi decenni.
Il vero inganno, il vero imbroglio, la vera falsità che viene diffusa dai vari economisti di regime è un’altra, ed è la base del discorso con cui si vuole convincere la gente a aderire alla previdenza integrativa è questo discorso.
Le pensioni saranno basse e quindi non sufficienti, per integrarle bisogna trasferire il TFR ai fondi pensione: bene, questa è una falsità bella e buona! Può anche darsi che le pensioni saranno basse, anche se è difficile prevedere tra 40 anni come saranno le pensioni, prevedere in anticipo di 40 anni come saranno le pensioni, come saranno gli stipendi, come saranno i prezzi è praticamente impossibile.
Ma anche se fosse vero che saranno basse, è falso che per avere una rendita aggiuntiva bisogna trasferire il TFR ai fondi pensione o a altri prodotti assicurativi: no, uno si tiene il TFR e, quando incassa la liquidazione, se vuole utilizza questa cifra per avere una pensione integrativa e, se quella cifra è più alta di quanto è rimasto invece a quel poveraccio che ha aderito a un fondo pensione, chi non ha aderito avrà una pensione integrativa più alta di chi ha aderito.
Ci sono dei campioni, nella non nobile arte di prendere in giro i lavoratori italiani che raccontano loro delle cose addirittura ridicole; prendo un esempio concreto, uno di questi campioni si chiama Marco Lo Conte ed è un giornalista de Il Sole 24 Ore, il bollettino quotidiano della Confindustria, in cui lui dice - cito da sabato 24 ottobre 2009 a pagina 4 di Plus24, il supplemento - che: "per chi non aderisce alla previdenza integrativa c’è la certezza roulotte, cioè la certezza di trovarsi, in vecchiaia, a vivere in una roulotte senza neanche il cibo per i gatti" e questo riguarderebbe 18 milioni tra i 23 milioni di italiani lavoratori dipendenti. Beh, dire che chi non aderisce alla previdenza integrativa è certo di finire a vivere in roulotte mostra soltanto che a Il Sole 24 Ore manca il senso del ridicolo.
Con il 2010 dovrebbero arrivare a tutti i lavoratori dipendenti delle buste, pare di colore arancione, ma l’aspetto cromatico è irrilevante, in cui si dice loro quale sarà presumibilmente la loro pensione. Il fine di queste buste arancioni è spaventare i lavoratori e indurli, spingerli a cosa? Ai fondi pensione o a altri prodotti assicurativi. Ecco, questo è quello che una persona prudente proprio non deve fare.
Dare i propri soldi ai fondi pensione vuole dire correre due rischi che con il TFR non si corrono: il primo rischio - e si è visto bene nel 2008 - è che un crack di mercati finanziari faccia scendere di valore quello che uno ha messo da parte; qui non si tratta di fallimenti, i fondi pensione non falliscono, anche i fondi comuni non falliscono, però possono perdere il 90% senza fallire. L’altro rischio che c’è è che riparta l’inflazione.
Quello che è sicuro è che, di fronte a entrambi questi due rischi, un crack dei mercati finanziari e il ripartire dell’inflazione, che magari possono anche capitare entrambi insieme, perché a volte le brutte notizie vengono insieme, chi si tiene il TFR è tranquillo, perché il valore del TFR non dipende dai mercati finanziari e, se viene l’inflazione, il TFR segue in maniera eccellente l’inflazione.
Ora, il ministro Sacconi ha più volte anticipato che: "si farà partire un nuovo periodo di silenzio/assenso", cioè altri sei mesi in cui, automaticamente, se uno decide di no, i suoi soldi vanno nei fondi pensione.
Il TFR va bene per i lavoratori, va abbastanza bene per i lavoratori, va abbastanza bene per le aziende, però non fa guadagnare i banchieri, perché i lavoratori prendono i soldi dalle aziende e la banca non si mette in mezzo a fare la sua cresta; non fa guadagnare gli assicuratori, che non sono assolutamente nel gioco, non va guadagnare i gestori di fondi perché non gestiscono niente, non fa guadagnare i sindacati, perché non hanno a da mettere i loro uomini, come invece li mettono, nei fondi pensione per la gestione dell’amministrazione, non fa guadagnare i funzionari della Confindustria e delle altre organizzazioni del patronato, che invece nei fondi pensione mettono anche loro i propri uomini, non fa guadagnare i docenti universitari, non fa guadagnare gli economisti, perché il TFR va avanti per conto suo e gli economisti non possono fare consulenze, non possono essere nei consigli di amministrazione dei fondi pensione, non possono guadagnarci sopra.
Insomma, il TFR è una cosa che va bene soltanto ai lavoratori e alle aziende, non fa guadagnare gli altri e gli altri hanno cercato di distruggerlo. Per fortuna non ci sono ancora riusciti!"
Il sindacato avverte: "Giù le mani dalle liquidazioni"
Il governo pronto a mettere la fiducia sulla manovra
Tfr dirottato in Finanziaria
rivolta di Cgil e opposizione *
ROMA - La Finanziaria "blindata" corre a verso la fiducia nell’aula di Montecitorio, mentre la Cgil, a fianco di Pd e Italia dei valori, fa "muro" sull’utilizzo da parte dell’esecutivo del fondo Tfr, che per 3,1 miliardi, viene "girato" dall’Inps al Tesoro e posto a copertura di circa un terzo della manovra 2010. "Il governo si fermi e tenga giù le mani dalle liquidazioni: ha deciso di appropriarsi del Tfr senza chiedere il permesso a nessuno tanto meno ai lavoratori", ha dichiarato ieri segretario confederale del sindacato, Agostino Megale.
Alla voce della Cgil già nei giorni scorsi, quando tra le pieghe degli emendamenti spuntò la clamorosa partita di giro che pone un’ipoteca contabile sulle liquidazioni, si erano aggiunte le proteste dei Pd e dell’Italia dei valori che parlò di vero e proprio "scippo". La protesta della Cgil, che ha già proclamato uno sciopero degli statali per l’11 dicembre, si somma al malumore per la reintroduzione dello staff leasing e per l’aumento dei costi per le cause di lavoro sulle quali insiste l’ex ministro del Lavoro, il Pd Cesare Damiano.
La partita della Finanziaria, che oggi debutta in aula alla Camera dopo le contrastate nottate in Commissione Bilancio, si concluderà a Montecitorio con la fiducia: probabilmente nei primi giorni della prossima settimana. Ieri il viceministro Vegas non l’ha esclusa, ha giudicato il testo "equilibrato" e ha detto di "escludere modifiche". Più esplicito il relatore Corsaro (Pdl): "Il testo non cambia si va verso la fiducia", ha detto. Mentre il Pd si prepara a dare battaglia in aula dove la tensione resta. "Il relatore è stato un "sicario" del governo", ha dichiarato ieri Baretta del Pd. Intanto la questione delle coperture riserva nuove sorprese. Si tratta dell’utilizzo acrobatico del gettito dello scudo fiscale, il cui consuntivo si potrà fare solo al 15 dicembre quando scadono i termini per le adesioni.
I circa 4 miliardi del presunto gettito dello scudo vengono usati due volte: una volta nel 2009 per finanziare taglio e rinvio dell’acconto Irpef del novembre scorso e l’altra per coprire una serie di spese a valere sul 2010 (un lungo elenco dai testi scolastici, all’Ici, all’autosufficienza: in pratica buona parte della Finanziaria). La manovra acrobatica è consentita dall’utilizzo di una sorta di un gigantesco "fondo-salvadanaio", il fondo "grandi eventi" presso Palazzo Chigi cui vengono attribuiti 3,7 miliardi di copertura (ma dove confluiranno anche i 3,1 del Tfr, il miliardo di Trento e Bolzano i 350 milioni di rivalutazione dei terreni, il Fas e altro fino a 8,8 miliardi).
Per ora è una sorta di scatola vuota che si riempirà solo a luglio del prossimo anno quando chi ha beneficiato dello sconto sull’acconto Irpef dovrà pagare il saldo. A quel punto le risorse dell’acconto affluiranno nel fondo-salvadanaio rimpiazzando quelle dello scudo e potranno liberamente coprire le spese della Finanziaria. Ma soprattutto il Fondo-salvadanaio sarà il rubinetto di Palazzo Chigi da cui dipenderà l’erogazione, fuori del controllo del Parlamento, di tutti gli 8,8 miliardi della Finanziaria 2010.
* la Repubblica, 9 dicembre 2009
I fondi pensione nella crisi: PATAPUNF!
di Umberto Bardella (Attac Torino) *
Ad essere sinceri, era un pò di tempo che eravamo curiosi di sapere come la COVIP (anagramma di Commissione per la Vigilanza sui fondi Pensione) avrebbe parlato della crisi, dopo che la stessa era passata rapidamente dalla vigilanza ad una sfacciata propaganda della bontà dei fondi, quasi fossero l’anticipo del paradiso in terra. Abbiamo dovuto aspettare un bel pò, il 21 di novembre - ma la COVIP, evidentemente pentita del ritardo, ha promesso a partire dal 2009 una relazione ogni tre mesi. Comunque, l’attacco della relazione COVIP ("La crisi del sistema finanziario internazionale ha avuto evidenti ripercussioni sui rendimenti dei fondi pensione italiani") è sommesso, quasi pentito; e tale rimane per tutto il testo presentato. Nessun riflesso, comunque, del tono entusiasta delle altre relazioni. Ma entriamo nel merito. In primo luogo, ci ha fatto evidentemente piacere che anche lei si sia accorta di un problema che noi avevamo segnalato fin dall’inizio: il problema di chi, volente o nolente, deve andare in pensione in periodi come questo, quando la somma da incassare è inferiore al capitale che ognuno ha versato.
Andiamo avanti. Nulla di nuovo nelle sei pagine di relazione, salvo quanto appena accennato, e una conclusione impegnativa, quella di "creare un vero e proprio portale della previdenza complementare" (qualcuno ci spiega cosa avranno voluto dire con questa solenne affermazione?).
E ora, la parte che più ci ingolosisce, le tabelle. Pagina 1,2,3... e finalmente l’ultima: "Fondi pensione e PIP. Rendimenti netti. Valori medi per categoria di fondo/comparto". Un Patapunf! Generale e clamoroso. Non possiamo qui, per ovvi motivi di spazio, riportarla tutta; basti dire che figurano voci come -23,6, -21,9, -12,4, e via perdendo (i nostri soldi).
Un paio di veloci calcoli ci dicono che
1.000 euro investiti all’1/1/2003 sono diventati
1.173,32 euro se investiti nel TFR
1.165,67 euro se investiti nei fondi negoziali,
1.095,73 euro se investiti nei fondi aperti.
E uno. Finora siamo riusciti a capire che chi ha lasciato i soldi nel TFR ci ha guadagnato di più. È vero che sono dati approssimativi, perché i fondi sono messi tutti insieme, con la sola distinzione del tipo più o meno rischioso (e quindi più o meno redditizio), ma sono gli unici dati sicuri che la COVIP ci ha dato finora. E noi vogliamo ragionare sui dati COVIP, perché siamo sicuri che sono oggettivi. Però qualcosina in più riusciamo a sapere: ad esempio, quanto hanno reso i famosi 1000 euro del 1992 non per singolo fondo, ma per raggruppamento di fondi; raggruppamento basato sul tipo di investimenti, e quindi (in teoria) di rendimento ma, in pratica, sul rischio. Ecco allora questi dati:
Fondi negoziali Obbligazionario puro 1138,24
Obbligazionario misto 1156,41
Bilanciato 1187,82
Azionario 1128,06
Fondi aperti Obbligazionario puro 1127,89
Obbligazionario misto 1125,53
Bilanciato 1089,00
Azionario 1028,13
Ma così non è divertente. Chi è il primo e chi l’ultimo? E, soprattutto, a che punto è il TFR?
Ecco allora la classifica, arricchita dei dati sul TFR:
Fondi negoziali Bilanciato 1187,82
TFR 1173,32
Fondi negoziali Obbligazionario misto 1156,41
Fondi negoziali Obbligazionario puro 1138,24
Fondi negoziali Azionario 1128,06
Fondi aperti Obbligazionari puri 1127,89
Fondi aperti Obbligazionari misti 1125,53
Fondi aperti Bilanciati 1089,00
Fondi aperti Azionari 1028,13
Oh, adesso finalmente ci possiamo ragionare.
La prima cosa che si vede è che il TFR si colloca ad un onorevole secondo posto, ma non è al primo. Dimentichiamo però una cosa: come è andato, dall’1/11/2008 ad ora, il fondo bilanciato? Se pensiamo che è un fondo ricco di azioni, e ci ricordiamo che le azioni sono andate e vanno giù alla velocità di una cometa (come si ricorda chi viveva quando non c’era tanto smog e le comete si vedevano ancora), la risposta è facile.
Secondo ragionamento, forse un pò più insolito.
Il range (che poi sarebbe molto più chiaro usare il termine "differenza", ma così va il mondo ora) tra il primo e l’ultimo è di euro 159.69; che, rapportato ai 1000 investiti inizialmente, sono il 6,26%. E valeva proprio la spesa combinare tanto casino per avere dei risultati che, tra il primo e l’ultimo, hanno una differenza del 6,26%? A meno che - e qui sta l’inghippo, e qui torneremo, le motivazioni vere non c’entrino niente con il rendimento dei fondi.
Ci sarebbe un ultimo ragionamento che vogliamo fare: le commissioni che spettano ai gestori (banche, assicurazioni, SGR, e chi più ne ha più ne metta). Niente. Nisba. Zero. Non un numero. Siamo costretti a lavorare di fantasia. Al 31 ottobre 2008 gli iscritti ai veri fondi pensione erano 4.827.152 (unico dato COVIP). Supponiamo che, per le spese di gestione dei 1000 euri, ogni iscritto abbia dato, nel solo 2008, 2 euri a testa. Risultato? 9.654.304 euri. Oltre 19 miliardi (19.000.000.000) delle vecchie lire - e parliamo di mezzo caffè per un anno solo!
Che sia da queste parti il motivo vero della riforma delle pensioni?
ULTIMA ORA
Giusto prima di andare in macchina (si dice ancora così?) apprendiamo che ora Confindustria vorrebbe affondare i denti nel TFR di quest’anno. Se lo scordi! E si ricordi che esso non è a disposizione delle aziende ma è salario accantonato dai lavoratori.
15 febbraio 2009
Fondi pensione, la crisi frena i lavoratori
di Raul Wittenberg *
In Italia stanno crollando le adesioni ai Fondi pensione. Lancia un allarme Luigi Scimìa, presidente dell’istituto che vigila sulla previdenza integrativa, la Covip. «Siamo molto preoccupati. L’anno scorso abbiamo avuto 1,5 milioni di nuovi lavoratori che hanno sottoscritto un fondo pensione. Quest’anno, da gennaio ad aprile, sono stati appena 150.000. In alcuni fondi negoziali neppure si riesce ad avere il turn over tra chi esce e chi entra, il numero di nuovi iscritti è inferiore a quello di chi va in pensione o riscatta la propria posizione». Scimìa formula una pressante raccomandazione al governo che si è appena insediato: «Occorre al più presto ridurre drasticamente l’imposta che grava sui rendimenti degli investimenti dei fondi, meglio eliminarla come si fa negli altri paesi».
Adesso l’imposizione è all’11%. Inferiore al 12,5% per i Fondi comuni speculativi. Ma «un punto e mezzo di differenza è troppo poco». E allora, conviene mettere il Tfr nei Fondi? È convenuto? La risposta è sì. E’ convenuto. Certo, la crisi del 2007 ha avuto conseguenze anche sui fondi pensione italiani. Non perché questi avessero comprato le azioni delle società che vendevano mutui ad alto rischio: una indagine dell’istituto di vigilanza, la Covip, ha accertato che l’indiretta esposizione dei nostri fondi integrativi era vicina allo zero (la legge vieta l’investimento ad alto rischio). In realtà essi hanno risentito della crisi più generale provocata dal crack subprime. Di conseguenza, nei 12 mesi del 2007 il rendimento medio dei fondi pensione è stato del 2,1% per i fondi negoziali di categoria. E addirittura negativo (-0,4%) per i fondi aperti di banche assicurazioni e società del risparmio gestito. Nello stesso periodo il TRF rendeva il 3,1%, nella composizione tra l’1,5% fisso e il 75% dell’indice dei prezzi al consumo.
Ma sarebbe una sciocchezza esprimere un giudizio sui fondi nel confronto con il Tfr, limitandosi alla performance di 12 mesi. Al contrario dei fondi d’investimento, i fondi pensione sono una forma di risparmio gestito a lungo-lunghissimo termine. La prestazione di un fondo d’investimento - riprendersi il capitale rivalutato - si può avere anche dopo un mese, se hai bisogno di quei soldi e ti accontenti di un rendimento quasi nullo. La prestazione di un fondo pensione - quella istituzionale, cioè il vitalizio - puoi averla solo quando andrai in pensione a 65 anni e più. Quindi la valutazione sul rendimento del sistema dei fondi pensione va fatta nel medio e nel lungo periodo.
E allora, se guardiamo ai rendimenti cumulati nei cinque anni 2003-2007, i fondi negoziali hanno guadagnato il 25%, i fondi aperti il 25,4% per la relativa preponderanza dei comparti azionari. E nei cinque anni il TFR ha guadagnato dieci punti in meno, il 14,3 per cento. Ogni centomila euro, 14 mila euro dal TFR, 25.000 euro da un fondo pensione. Chi ha messo il TFR in un fondo pensione, ci ha guadagnato di più. Il bilancio a lungo termine per un investimento a lungo termine è obbligatorio perché caratteristica dei mercati finanziari è che sono altalenanti. Ai periodi i bassi rendimenti seguono sempre periodi di ripresa. C’è però una componente che non va sottovalutata. È il fattore rischio. Nel Tfr capitale e rendimento sono garantiti dallo Stato, il rischio finanziario è a carico della collettività (e in parte delle aziende che pagano una apposita assicurazione). Nei Fondi pensione nulla è garantito, è certo quanto paghi, è incerto quanto avrai. I rischi finanziari vengono trasferiti a carico del singolo lavoratore, anche il più sprovveduto. Questo in via di principio.
Ma con la destinazione forzosa del Tfr ai Fondi (fatto salvo l’esplicito dissenso dell’interessato) questo principio diventava una aberrazione. Per questo la legge ha introdotto un correttivo. La garanzia è assicurata ai cosiddetti silenti: i lavoratori che non hanno espresso alcun parere sulla destinazione del loro Tfr, che è andato in uno specifico fondo dell’Inps. In questo caso, il patrimonio investito nel fondo avrà garantito, oltre al capitale, il tasso di rendimento che avrebbe avuto come Tfr. Inoltre il fondo pensione garantito nel capitale e in un certo interesse è uno dei tanti prodotti di risparmio previdenziale che il mercato offre a chiunque.
Ma la garanzia costa, è il prezzo può consistere in contributi più alti o in pensione più bassa. Insomma, nonostante la crisi dei subprime il fondo pensione funziona. Specialmente in Italia, per il divieto imposto ai fondi di investire in obbligazioni contenenti strumenti ad alto rischio come gli hedge found e i subprime: i tassi d’interesse sono elevati, ma si tratta di polpette avvelenate. C’era stato un tentativo di liberalizzazione, per fortuna è stato sventato dalla ferma opposizione della Covip e di tutti i sindacati.
* l’Unità, Pubblicato il: 22.05.08, Modificato il: 22.05.08 alle ore 20.16
Lettera aperta all’Inps sulle pensioni italiane
di Luciano Gallino (la Repubblica, 5 luglio 2007)
Signori Presidenti del Consiglio d’Amministrazione e del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps, abbiamo bisogno di lumi.
Siamo un gruppo di persone i cui figli e nipoti sono preoccupati perché temono che a suo tempo non avranno più una pensione, o almeno una pensione decente. Alla base delle loro preoccupazioni v’è un’idea fissa: che il bilancio dell’Inps sia un disastro, o ci sia vicino.
L’hanno interiorizzata sentendo quanto affermano ogni giorno politici, economisti ed esperti di previdenza, associazioni imprenditoriali, esponenti della Commissione europea. Non tutti costoro, è vero, menzionano esplicitamente l’Inps. Ma tutti sostengono che le uscite dovute al pagamento delle pensioni risultano talmente superiori alle entrate da rappresentare una minaccia devastante per i conti dello Stato. Che tale deficit peggiorerà di sicuro nei decenni a venire, poiché pensionati sempre più vecchi riscuotono la pensione più a lungo, mentre diminuisce il numero di lavoratori attivi che pagano i contributi. Che allo scopo di ridurre il monte delle pensioni erogate in futuro bisogna allungare al più presto l’età pensionabile e abbassare i coefficienti che trasformano il salario in pensione. Dal complesso di tali affermazioni pare evidente che chi parla ha in mente anzitutto l’istituto che eroga quasi il 75 per cento, in valore, di tutte le pensioni italiane. Cioè l’Inps. E il suo bilancio.
Pressati dai nostri giovani - quasi tutti lavoratori dipendenti o prossimi a diventarlo - che ci domandano dove stia l’insostenibile pesantezza del deficit della previdenza pubblica che minaccia il loro futuro, abbiamo passato qualche sera, in gruppo, a scorrere il bilancio preventivo 2007 dell’Inps. Tomo I, pagine 933. E ora abbiamo un problema. Perché non siamo riusciti a comprendere da dove provenga la necessità categorica di elevare subito l’età pensionabile, e di abbassare l’entità delle future pensioni, pena il crollo della solidarietà tra le generazioni e altre catastrofi.
Quel poco che noi, genitori e nonni inesperti, crediamo d’aver capito lo possiamo riassumere così:
a) Lo Stato trasferirà dal proprio bilancio a quello dell’Inps, nel 2007, 72,3 miliardi di euro. Cifra enorme. Quasi 5 punti di Pil. Vista questa cifra (a pag. 90), ci siamo detti: ecco dove sta la voragine che minaccia di ingoiare le pensioni dei nostri figli e nipoti. Poi qualcuno ha notato che il titolo della pagina riguarda non il pagamento delle ordinarie pensioni, bensì gli oneri non previdenziali. I quali ammonteranno a 74,2 miliardi in tutto, coperti dallo Stato per la cifra che s’è detto e per 1,9 miliardi da altre entrate. Gli oneri non previdenziali sono per quasi la metà uscite che, per definizione, non presuppongono nessuna entrata in forma di contributi. Si tratta di interventi per il mantenimento del salario (2,5 miliardi); oneri a sostegno della famiglia (2,7 miliardi); assegni e indennità agli invalidi civili (13,5 miliardi); sgravi dagli oneri sociali e altre agevolazioni (12,7 miliardi). Sono tutti oneri sacrosanti, che lo Stato ha il dovere di sostenere. Ha quindi chiesto all’Inps di gestirli, cosa che dal 1988 l’Istituto fa con una cassa separata, la Gestione degli interventi assistenziali (Gias). Però chi prende il totale di questi oneri per sostenere che la normale previdenza costa ai contribuenti oltre 70 miliardi l’anno, per cui è necessario tagliare qui e ora le pensioni ordinarie, forse ha esaminato un po’ troppo alla svelta i bilanci dell’Inps. O, nel caso del Bilancio preventivo 2007, si è fermato a pag. 89.
b) Poiché quasi tutti i nostri giovani sono o saranno lavoratori dipendenti, siamo andati a cercare nel Bilancio quale rapporto esista tra le entrate del Fondo pensioni lavoratori dipendenti (Fpld) in forma di contributi, e le uscite in forma di pensioni. Anche qui, sulle prime, credevamo d’aver letto male. Il Fpld in senso stretto avrà un avanzo di esercizio, nel 2007, di quasi 3,5 miliardi (pag. 219). In altre parole i contributi che entrano superano di 3,5 miliardi le pensioni che escono. Ma poiché ad esso sono stati accollati, con gli anni, degli ex Fondi che generano rilevanti disavanzi (trasporti, elettrici, telefonici, più l’Inpdai, l’ex Fondo dirigenti di azienda che quest’anno sarà in rosso per 2,8 miliardi) il Fpld farà segnare un passivo di 2,9 miliardi di euro. Il bilancio Inps definisce appropriatamente "singolare" il caso del Fpld (pag. 162). In effetti esso appare ancor più singolare ove si consideri che il passivo degli ex Fondi, per un totale di 6,3 miliardi, è generato da poche centinaia di migliaia di pensioni. Per contro le pensioni del Fpld sono 9 milioni e 600.000, ben il 96 per cento del totale. Tuttavia sono proprio anzitutto queste ultime di cui la riforma delle pensioni vorrebbe ridurre l’entità, in base all’assunto che i lavoratori attivi non ce la fanno più ad alimentare un monte contributi sufficiente a pagare le pensioni di oggi e di domani.
Vi sono in verità altri temi, connessi al bilancio Inps, che nel nostro gruppo inter-generazionale di discussione han fatto emergere dei dubbi. Ad esempio: le pensioni di domani, indicano i grafici su cui siamo capitati, sarebbero a rischio perché senza interventi drastici sul monte pensioni esse arriveranno verso il 2040 a superare il 16 per cento del Pil, in tal modo generando un onere intollerabile per il bilancio dello Stato. Però a noi risulta che il totale delle pensioni pubbliche, erogate dall’Inps e da altri enti, al netto delle gestioni o spese assistenziali in senso stretto (le citate Gias) rappresentavano nel 2005, ultimo anno per cui si hanno dati consolidati, l’11,7 per cento del Pil. Le Gias valevano da sole oltre 2 punti di Pil, pari a 30,1 miliardi. Le gestioni previdenziali dell’Inps incideranno sul Pil del 2007 per il 9,7 per cento, ma se si escludono il Fondo Ferrovie e l’ex Inpdai arriveranno appena al 7,4 per cento (pag. 61).
A noi sembra quindi che chi disegna o brandisce scenari catastrofici per il 2040 (il 2040!) lasci fuori dal disegno un po’ tanti elementi. Tra di essi: il peso economico delle gestioni assistenziali (di cui una legge del 1988, la n. 67, dava già per scontata la separazione dalla previdenza); il fatto che i contribuenti, quelli che pagano i contributi, non stanno affatto diminuendo, bensì aumentano regolarmente da diversi anni (più 121.000 nel solo 2007: pag. 45); il peso rilevante dei deficit che non riguardano il Fondo dei lavoratori dipendenti in senso stretto; il fatto, ancora, che prendere come un assioma il rapporto pensioni/Pil significa voler misurare qualcosa con un elastico, visto che il rapporto stesso può cambiare di molto a seconda che il Pil vada bene o vada male. Com’è avvenuto tra il 2001 e il 2005.
Riassumendo: delle due l’una. O noi inesperti dei bilanci Inps abbiamo capito ben poco, e i nostri figli e nipoti han ragione di temere per le loro future pensioni ove non si decida subito di tagliarne il futuro ammontare. Se questo è il caso, restiamo in trepida attesa delle Loro precisazioni. Oppure dobbiamo concludere che quando, nelle più diverse sedi, si dipinge di nero il futuro pensionistico dei nostri giovani, si finisce per utilizzare i dati Inps, come dire, con una certa disinvoltura. Su questo, naturalmente, non ci permettiamo di chiedere un parere all’Inps.
Il ministro del Lavoro: "Era il tetto che ci eravamo posti"
"Nel futuro la scelta toccherà anche ai lavoratori pubblici"
Tfr, il 40% hanno scelto i fondi
Damiano: "Obiettivo centrato" *
ROMA - L’obiettivo del governo di un’adesione complessiva del 40% ai fondi di previdenza complementare per i lavoratori dipendenti privati sarebbe stato raggiunto. Una settimana dopo la scadenza dei termini il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ostanta soddisfazione sulle scelte effettuate dai lavoratori sulla destinazione del proprio Tfr. "L’obiettivo che ci eravamo posti entro fine anno - dice Damiano - è raggiungibile e potrebbe anche essere stato già raggiunto. Aspettiamo i dati per dare un giudizio più ragionato, ma non possiamo che essere soddisfatti".
Secondo il ministero sarebbero solo il 10% la quota di lavoratori che non avrebbe espresso la propria scelta, ricadendo quindi nel meccanismo del silenzio assenso. La maggioranza dei lavoratori, però, avrebbe quindi lasciato il Tfr in azienda. Si tratta, comunque, ancora di sondaggi e non di date certi. Servirà tempo per conoscere i dati finali sulle adesioni. In particolare per quelli sul silenzio-assenso bisognerà aspettare il mese di settembre.
Erano 13 milioni i lavoratori chiamati alla scelta. Tutti dipendenti privati, mentre per quelli pubblici ancora si attende la nuova normativa. "L’obiettivo deve essere quello di proseguire lungo la strada e consentire a tutti i lavoratori, compresi quelli del pubblico, di poter aderire alla previdenza complementare" commenta Damiano.
Dopo le cifre il ministro sottolinea l’impegno del governo e della sua campagna informativa "importante", ringraziando "le forze sociali che si sono impegnate sul versante dell’informazione". Damiano infine, ricorda l’invio della guida sul Tfr a casa di 13 milioni di lavoratori dipendenti iscritti all’Inps ma anche di oltre 7 mila spot apparsi sulle televisioni, gli oltre 30 mila sulle radio e le affissioni nelle principali città e stazioni ferroviarie.
* la Repubblica, 8 luglio 2007
Oggi la relazione annuale del presidente della Commissione di vigilanza Luigi Scimia Alla fine del primo semestre 2007 gli aderenti alla previdenza complementare erano 2,7 milioni
Tfr, in sei mesi un aumento del 50%
900.000 hanno già scelto i fondi pensione
Damiano: "Sono stati smentiti i profeti di sventura. Bastava aspettare per vedere i risultati" "Confermo che arriveremo, entro fine anno, ad un risultato che oscillerà attorno al previsto 40%"
di ROSARIA AMATO *
ROMA - Un incremento del 50 per cento dei lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari. E’ il primo bilancio del semestre di avvio della riforma del Tfr, comunicato dal presidente della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) Luigi Scimia, in occasione della Relazione annuale. Secondo i dati diffusi oggi da Scimia, i lavoratori che nei primi sei mesi del 2007 hanno optato per la destinazione del Tfr ai fondi pensione sono circa 900.000.
Considerato che a fine 2006 gli iscritti erano 1.800.000, al momento i dipendenti privati iscritti alle forme pensionistiche complementari sono 2,7 milioni. Dati tali da far ritenere che la riforma "sia una scommessa riuscita", come ha sottolineato il ministro del Lavoro Cesare Damiano. "Confermo che saremo in grado di arrivare, entro fine anno, ad un risultato che oscillerà attorno al previsto 40 per cento", ha aggiunto Damiano. Dato ulteriormente confermato da Scimia che ha parlato di una percentuale di adesione che al momento è intorno al 32 per cento.
"Sono contento - ha ribadito il ministro - sono molto soddisfatto. Sono stati smentiti i profeti di sventura. Sono stati smentiti soprattutto quelli che hanno costruito ipotesi su dati inesistenti. Bastava aspettare la relazione di oggi per sapere che le cose andavano nella giusta direzione".
Le adesioni sono particolarmente rilevanti tra i lavoratori del Nord-Ovest. Quanto all’eventuale incidenza della crisi dei mutui subprime sul rendimento dei fondi, Scimia ha assicurato che "le ricadute sul sistema sono state trascurabili" dal momento che "la gestione del risparmio previdenziale viene attuata con particolare cautela e attenzione all’interesse dell’iscritto". Il rendimento medio dei fondi pensione negoziali nel 2006 è stato del 3,4 per cento, superiore al 2,4 per cento della rivalutazione netta del Tfr.
Dati non completi. I dati pubblicati oggi, ha precisato Scimia, non tengono però ancora conto "dei lavoratori che entro il semestre non hanno espresso alcuna manifestazione di volontà circa la destinazione del Tfr, cosiddetti lavoratori silenti". "Un quadro più completo - ha aggiunto il presidente della Covip - potrà pertanto aversi soltanto con l’effettivo versamento delle quote di Tfr che, nella gran parte dei fondi è atteso nel corso del mese di ottobre".
Prevalgono i fondi negoziali. Le scelte dei lavoratori si orientano soprattutto verso i fondi pensione negoziali che, in seguito a un incremento al 30 giugno di 600.000 unità, sfiorano 1,7 milioni di aderenti. Incrementi rilevanti registrano però anche i fondi pensioni aperti e i PIP (i piani pensionistici di tipo assicurativo), rispettivamente con 190.000 e 110.000 nuove adesioni.
Tasso di adesione del 28 per cento. "Le iscrizioni raggiunte - ha ammesso Scimia - se rapportate alla generale platea dei lavoratori dipendenti del settore privato destinatari della riforma, stimabile in circa 12,2 milioni, si traducono in un tasso di adesione che in termini di significatività potrebbe anche apparire alquanto limitato". Tuttavia, ha spiegato il presidente della Covip, considerando i lavoratori che avevano la possibilità di aderire ai fondi pensione negoziali già operativi al 31 dicembre 2006 (gli unici che siano stati interessati da una ampia campagna informativa), i potenziali aderenti scendono invece a circa 8 milioni, e dunque le nuove iscrizioni "portano a un tasso di adesione di circa il 28 per cento, cui andranno ad aggiungersi i lavoratori silenti".
Scarsa l’incidenza della crisi dei mutui. Negli ultimi giorni diversi analisti hanno sollevato il problema della relazione tra la crisi dei mutui subprime e il rendimento dei fondi pensione, che potrebbe risentirne in senso negativo. Gli effetti in Italia, ha assicurato Scimia, sono trascurabili: "Da un primo riscontro relativo al flusso di informazioni pervenuto, è emerso che soltanto qualche fondo è risultato marginalmente interessato a tale fenomeno, essenzialmente in forma indiretta, mediante partecipazione a OICR a loro volta esposti. Le ricadute sul sistema sono state pertanto del tutto trascurabili".
Più adesioni al Nord-Ovest. Dalla distribuzione degli aderenti in base all’area geografica, si rileva una maggiore partecipazione dei lavoratori delle regioni nord-occidentali, nelle quali si concentra il 36 per cento degli iscritti; il 25 per cento si colloca nelle regioni nord-orientali, il 24 per cento nelle regioni centrali e il 15 per cento in quelle meridionali e insulari.
Fondi aziendali e di gruppo al 55,5%. La Covip segnala come particolarmente significativa la crescita riscontrata nei fondi aziendali e di gruppo, nei quali il tasso di adesione sale di circa 12 punti percentuali, portandosi al 55,5 per cento.
I fondi negoziali rendono più del Tfr. Nella Relazione annuala la Covip definisce "soddisfacenti" anche i rendimenti dei fondi pensione. Nel 2006 il rendimento medio aggregato dei fondi pensione di nuova istituzione è stato del 3,4 per cento, contro il 2,4 per cento della rivalutazione del Tfr. I fondi pensione negoziali hanno reso in media il 3,8 per cento, i fondi aperti il 2,4 per cento. I fondi pensione preesistenti hanno reso in media il 4,2 per cento.
Se si considera invece il rendimento quadriennale, dal 2003 al 2006 il rendimento medio aggregato dei fondi pensione di nuova istituzione è stato del 23,4 per cento contro una rivalutazione netta del Tfr del 10,8 per cento.
* la Repubblica, 19 settembre 2007.
Quanto vale la pensione di scorta
Il 30 si chiude, il rischio di non scegliere
Con mille euro ai fondi, fra vent’anni 2.739 euro l’anno di rendita. Quanto può fruttare la previdenza complementare e di quanto si riduce la retribuzione nel passaggio tra vita lavorativa e pensione. Le stime di Mefop sulla base delle linee guida della Covip. Rischio silenzio-assenso per quasi un milione di italiani. TABELLE PENSIONE COMPLEMENTARE: quanto vale per i 25enni, 30enni, 35enni, 40enni, 45enni e 50enni. CALCOLA: la tua pensione obbligatoria. INTERATTIVO: scopri che fine fa il Tfr. LE COSE DA SAPERE: 3 passi per una scelta
di FEDERICO PACE *
Tfr o previdenza complementare? Molti dipendenti hanno già scelto. Ma tanti sono quelli che rinviano ancora. Tanto che sulle scrivanie dei responsabili del personale mancano all’appello diversi moduli. Secondo un’indagine realizzata dall’Associazione direttori risorse umane- Gruppo direttori del personale (Gidp/Hrda) fino a pochi giorni fa solo il 30 per cento aveva già consegnato il documento con la propria decisione. A rischio silenzio-assenso, secondo le proiezioni di Gfk Eurisko-Assogestioni, sono quasi un milione di persone. Dipendenti che non prenderanno alcuna decisione né ora né il 30 giugno. Per loro, forse inconsapevoli, sarà la regola del silenzio-assenso a decidere.
Se non si sceglie. Ma cosa succede nel caso in cui si rinuncia a compilare il modulo e consegnarlo al datore di lavoro? Se non si esprimerà alcuna decisione entro il 30 giugno (e entro sei mesi dalla assunzione per chi è entrato in azienda dopo il 1 gennaio) ci si ritroverà di fatto a destinare le quote del proprio Tfr ai fondi pensione. Quali? Dipende da alcune condizioni.
Nel caso in cui non esistono fondi con adesione collettiva per l’azienda e settore in cui si lavora, e il dipendente non aderisce già a un fondo, il Tfr verrà trasferito al Fondinps (vedi qui). Se il dipendente già aderisce a un fondo pensione, e esistono più fondi, il datore di lavoro conferirà il residuo Tfr maturando alla forma complementare collettiva alla quale già si aderisce. Con più fondi, se invece non si versano già contributi alla previdenza complementare, il Tfr viene trasferito integralmente alla forma pensionistica collettiva con il maggior numero di adesioni di lavoratori dell’azienda (vedi qui l’interattivo "cosa succede al Tfr")
La pensione obbligatoria. Ma come fare per scegliere? E’ bene farsi per prima cosa un’idea di quanto ci si può aspettare dalla previdenza obbligatoria. Se si prende l’esempio di un uomo di 45 anni che dal gennaio del 1986 lavora presso un’azienda privata con un reddito annuale netto di 25 mila euro, la sua pensione netta di anzianità sarà pari a 33.851 euro annui. Ovvero l’83,4 per cento dell’ultimo reddito netto annuo (40.594 euro). Il neopensionato dovrà affrontare quindi una riduzione del reddito netto pari al 16,6 per cento.
Proprio a questo rapporto (tra stipendio netto e pensione netta), più che a quello tra stipendio lordo e pensione lorda, si dovrà guardare per capire di quanto si riduce il gruzzolo che ci si ritroverà in tasca per le spese e, quando possibile, per i risparmi, quando si finirà di lavorare (calcola qui il tuo rapporto reddito netto /pensione netta).
Molto peggio andrà a un 30enne che si ritrova con un contratto di collaborazione da cinque anni e prende 800 euro netti al mese. Per lui a fine carriera, a partire da luglio 2041, si stima una pensione netta di anzianità pari a 16 mila euro annui che rappresentano il 48,2 per cento dell’ultimo reddito netto di lavoro.
Le rendite della previdenza complementare. Ma quanto potrà ricevere dal secondo pilastro l’impiegato di 45 anni? Con un versamento di 1.000 euro l’anno ricaverebbe (a partire dai 63 anni) - da un fondo pensione - una rendita annua nominale (ovvero al lordo del costo della vita) pari a 1.215 euro nel caso di una linea di investimento cauta (100 per cento obbligazioni) e di 1.595 euro con una linea di investimento più “aggressiva” ed esposta al rischio finanziario (100 per cento titoli azionari). A 65 anni, la rendita oscilla tra 1.542 euro e 2.078 euro (vedi tabella).
Con una linea di investimento intermedia la rendita sarà pari a 1.788 euro, ovvero il 4 per cento del suo ultimo reddito netto. Per “recuperare” completamente il 16 per cento, dovrà quindi contribuire con circa 4 mila euro annui. Le stime sono quelle realizzate da Mefop, la società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione partecipata dal ministero dell’Economia, basate sulle bozze del provvedimento dove la Covip fisserà le linee guida per la definizione dei modelli di sviluppo della previdenza complementare (vedi qui le ipotesi e i 3 passi per una scelta).
Per i dipendenti più giovani le rendite raggiungeranno valori più elevati, ma più basso sarà il rapporto tra la pensione netta e l’ultimo reddito netto e maggiore l’esigenza di recuperare reddito. Per un dipendente di 25 anni, ad esempio, la rendita attesa annuale, nel caso di una linea di investimento misto, sarà pari a 7.635 euro (vedi tabella per i 25enni). Per un dipendente di 30 anni si arriva a 5.532 euro (vedi tabella per 30enni) e per un dipendente di 35 anni si scende a 3.889 euro (vedi tabella per i 35enni).
Un dipendente di 40 anni può attendersi, con un contributo di mille euro annui, una rendita annua pari a 2.739 euro ( vedi tabella) mentre si tratta solo di 1.128 euro per un dipendente di 50 anni che iniziasse oggi a contribuire a una forma di previdenza complementare (vedi tabella).
I più esposti di tutti, al rischio di un ulteriore impoverimento al momento della pensione, sono quindi i collaboratori. Quelli che, in considerazione dei percorsi frammentati, dei passaggi sempre più frequenti con contratti atipici e con paghe da fame, avranno più bisogno di un’integrazione alla pensione ma che non avranno i soldi per potersi permettere di “integrare” la pensione.
Prendere una decisione pare sempre un’impresa difficile. Per il fatto che sembra sempre di non avere sufficienti informazioni. Per la convinzione di non sapere mai tutto quello che serve. Così, è facile che si rinvii. In attesa di un tempo più propizio. Posporre è in fondo l’arte dell’uomo. Lo scrittore cubano Guillermo Cabrera Infante scriveva: “Todos es posponer”; e aggiungeva: “La vita propone, Dio dispone e l’uomo pospone”. Forse però, almeno in questo caso, sarà meglio evitare di rinviare ancora. Meglio informarsi e scegliere.
Scegliete bene, ma scegliete
di Galapagos (il manifesto, 20.04.2007)
I fondi pensione non tirano: gli ultimi dati indicano che solo una minoranza dei lavoratori ha optato per l’affidamento dei propri soldi ai fondi negoziali. Ancora minore è il numero di chi sceglie i fondi aperti che le compagnie di assicurazione e le banche stando cercando di lanciare alla grande. Secondo i dati più recenti, nel primo trimestre dell’anno le nuove adesioni ai fondi negoziali sono state meno di 63 mila. Ancora meno i lavoratori che hanno optato per i fondi aperti: secondo una stima de il sole-24 ore meno di 26 mila li hanno scelti. Eppure entro fine giugno milioni di lavoratori dovranno scegliere a chi far gestire i propri soldi. E la scelta principale è se lasciarli in azienda - che poi trasferirà il Tfr all’Inps - o cercare di costruirsi una rendita integrativa puntando su un fondo.
Negli ultimi anni i rendimenti dei fondi hanno mediamente superato quello del trattamento di fine rapporto, complice il buon andamento dei mercati borsistici. Però non sono tutte rose e fiori. Se prendiamo il fondo negoziale più diffuso - Cometa, al quale a fine 2006 avevano aderito circa 315 mila - scopriamo che lo scorso anno i rendimenti sono oscillati, a seconda della gestione più o meno prudente, tra l’1% del comparto sicurezza e il 4,82% del comparto crescita. Questo significa che chi ha scelto di non correre rischi, ha portato a casa 2 punti di rendimento in meno rispetto a quello del Tfr. In generale tutte le gestioni che non trasformano i lavoratori in supporter del mercato borsistico, si rivalutano meno del trattamento di fine rapporto. E nei prossimi anni se la borsa tirerà il fiato, anche le gestioni più «audaci» non daranno soddisfazione ai lavoratori.
I fondi pensione sono una «patacca». Per farli decollare (ma seguitano a volare molto basso) è stato necessario introdurre una tassazione di favore rispetto al Tfr e cercare di rimpolparli un po’ con i versamenti integrativi delle aziende. Che ovviamente non rinunciano ai soldi dei lavoratori gratis. Insomma, la scelta più sicura rimane quella del classico Tfr che alla scadenza del rapporto di lavoro offre un capitale sicuro anziché, come per i fondi, una rendita che diminuisce di molto se vogliamo che sia reversibile. In ogni caso ognuno è libero di scegliere, ma la scelta va fatta: se scatta la clausola del silenzio-assenso e i soldi vengono automaticamente dirottati al fondo negoziale, il datore di lavoro è autorizzato a non versare il contributo supplementare previsto da tutti gli accordi di categoria. Una ulteriore beffa.
Il ministro per l’Innovazione ha confermato l’annuncio di Damiano. "C’è una Commissione presso il Tesoro, completerà il lavoro tra pochi giorni"
Tfr, entro gennaio riforma per gli statali Nicolais: "Mobilità, ma da ufficio a ufficio" *
ROMA - Si stringono i tempi per l’estensione della riforma del Tfr al pubblico impiego. Lo conferma - dopo gli annunci in tal senso del ministro del Welfare Cesare Damiano - il titolare della Innovazione, Luigi Nicolais, che assicura che la normativa sarà applicabile anche alle pubbliche amministrazioni entro la fine del mese. Sulle ipotesi di mobilità, poi, è lo stesso ministro a frenare: "Non da una regione all’altra, ma da ufficio a ufficio".
"Per estendere la riforma delle liquidazioni c’è un gruppo di lavoro con il ministero del Tesoro - ha detto Nicolais -, e la Commissione dovrebbe completare il lavoro in un paio di giorni, quindi siamo prossimi entro la fine del mese ad avere il Tfr anche per i dipendenti pubblici".
Del resto l’estensione della riforma al pubblico impiego è sollecitata anche dai sindacati: "Ci aspettiamo che il governo, anche su questo, renda giustizia anche ai lavoratori pubblici permettendo anche a loro di fare la previdenza integrativa", ha detto oggi il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, a margine del convegno sulla Pubblica amministrazione. "Speriamo sia questione di settimane. Non possiamo aspettare anni", ha aggiunto.
Nicolais ha anche anticipato le linee delle nuove norme sulla mobilità. ’’Per ora, per mobilità, intendiamo il passaggio da un ufficio all’altro e da un’amministrazione a un’altra’’, ha spiegato, e non dunque "il passaggio da una regione all’altra".
* la Repubblica, 09 gennaio 2007
Conferenza stampa del ministro del Lavoro sulla riforma in vigore dall’1 gennaio. "Entro il 20 gennaio il decreto attuativo per rendere operativo il sistema"
Damiano, Tfr: "Puntiamo al 40%" "Sulla previdenza non ci sono tagliole"
"La data del 31 marzo stabilita nel memorandum d’intesa è indicativa" *
ROMA - Il governo punta a una quota del 40 per cento per l’adesione dei lavoratori dipendenti ai fondi pensione. A dirlo, in una conferenza stampa tenuta stamane, è il ministro del Lavoro Cesare Damiano, che ammette che "l’obiettivo è ambizioso", tenendo conto del fatto che al momento, "secondo i dati della Covip, la quantità di lavoratori dipendenti che hanno aderito ai fondi è circa il 13 per cento".
Damiano ha anche precisato che la data del 31 marzo indicata nel memorandum d’intesa con i sindacati per l’avvio della riforma delle pensioni non segnerà la concreta partenza del nuovo provvedimento. "Il memorandum contiene una data per me indicativa - ha spiegato il ministro - Per fare la manutenzione e non la riforma del sistema previdenziale utilizzeremo il tempo necessario. Non ci sono tagliole’’.
Damiano ha precisato che è necessario non solo rivedere il meccanismo dello scalone introdotto con la riforma Maroni, ma anche trattare dei lavori usuranti, della totalizzazione, della rivalutazione delle pensioni in essere contemporaneamente alla riforma degli ammortizzatori sociali, il tutto alla luce dell’aumento delle aspettative di vita. "Le riforme sono state tre e dal ’93 ad oggi hanno consentito un risparmio di 220 mld di lire. Parlerei dunque di necessità di una manutenzione non di una riforma", ha ribadito.
Quanto invece alla riforma del Tfr, appena entrata in vigore, il ministro ha detto: "La nuova normativa fa decollare con un anno di anticipo rispetto a quello previsto i fondi pensione, quindi 11 milioni di avoratori saranno coinvolti e dovranno entro giugno compiere una scelta esplicita di aderire o meno. Nel caso in cui non compiano questa scelta a partire dal 1 luglio saranno automaticamente iscritti in questi fondi pensione. Io mi auguro che i lavoratori si iscrivano, soprattutto i giovani, perché la pensione complementare è conveniente. I fondi hanno un buon risultato in termini di rendimenti".
"Il nostro obiettivo è di arrivare entro il 20 gennaio con il decreto attuativo per rendere operativo il sistema - ha detto ancora Damiano - E’ in via di definizione tra ministero del Lavoro e ministero dell’Economia".
Il ministero del Lavoro, ha annunciato Damiano, sta lavorando inoltre con quello della Funzione Pubblica per coinvolgere anche i dipendenti dello Stato: "Stiamo predisponendo la normativa per superare l’esclusione dei lavoratori del pubblico impiego - ha spiegato il consulente del ministro, Giovanni Pollastrini - e siamo abbastanza avanti".
Lo stesso Pollastrini ha annunciato che invece verrà introdotta una norma che escluderà le colf e i loro datori di lavoro al momento dalla nuova disciplina del Tfr, perlomeno fino a quando non verrà istituito un fondo di settore.
* la Repubblica, 4 gennaio 2007
TFR: SINDACATI, E’ SFIDA IMPEGNATIVA. ORA GOVERNO AVVII CAMPAGNA INFORMAZIONE. BARETTA, OCCASIONE DA NON PERDERE
Roma, 2 gen. - (Adnkronos) - E’ partita ’’una sfida impegnativa’’ che servira’ a rendere meno incerto il futuro previdenziale di milioni di lavoratori. Cgil, Cisl e Uil salutano cosi’ l’avvio della rfiorma del Tfr che da qui a giugno impegnera’ circa 11 milioni di lavoratori. Un decollo, quello della previdenza complementare, a cui i sindacati guardano con ottimismo e tranquillita’ anche se per una scelta consapevole manca ancora un tassello al mosaico messo in piedi nei mesi scorsi: la campagna informativa istituzionale del governo che affianchi le assemblee sindacali di questi giorni ed i volantini in distribuzione sui posti di lavoro.
FINANZIARIA: OK COMMISSIONE A TFR NEI FONDI PENSIONE *
Via libera dalla Commissione Bilancio del Senato al conferimento del Tfr ai fondi pensione. E’ passato un emendamento del Governo che, recependo il decreto legge approvato nelle scorse settimane, accelera di fatto al 2007 la riforma della previdenza integrativa. Vengono cosi’ modificate le scadenze per l’adeguamento delle forme pensionistiche. Viene quindi anticipata al 31 dicembre prossimo la scadenza per l’adeguamento degli statuti delle forme pensionistiche complementari. Originariamente, il termine era stato fissato al 31 dicembre 2007 e poi, in Commissione alla Camera, anticipato al 31 marzo 2007. Ora, invece, la data del 31 marzo resta unicamente per la costituzione del patrimonio autonomo e separato delle imprese di assicurazione.
* la Repubblica, 06.12.2006
SPECIALE TFR *
Per 11 milioni di dipendenti del settore privato è l’ora delle scelte. La partita del nuovo Tfr prende il via il 1° gennaio e si concluderà il 30 giugno 2007. I lavoratori del settore pubblico sono per ora esclusi e attedono un provvedimento ad hoc. Si aprono diverse possibilità di scelta in base all’assunzione. La guida interattiva che vi proponiamo è tratta dal dossier sui fondi pensione pubblicato dal Sole 24Ore il 20 novembre scorso. Individuate il vostro percorso cliccando sulle schede che si aprono in sequenza.
Dipendenti assunti prima del 29 aprile 1993
Dipendenti assunti dopo il 29 aprile 1993 e neo-assunti dal 2007
Tfr e riforma delle pensioni: invia le tue domande a Luigi Angeletti
Mercoledì 29 dalle 14 alle 15 diretta online con il segretario generale della Uil Luigi Angeletti, che risponderà in video su internet ai quesiti dei lettori del Sole24Ore.com su Tfr e riforma delle pensioni. Le domande non devono superare le 15 righe. I quesiti vanno indirizzati a:
Ok alla riforma. Il ministro Damiano: "Già da gennaio 2007 i fondi potranno raccogliere il trattamento di fine rapporto"
Tfr, sì del Consiglio dei ministri all’anticipo della riforma *
ROMA - Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto in materia di previdenza complementare. Lo ha annunciato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta. "In questo modo - ha affermato il ministro del Lavoro Cesare Damiano - si consente di cominciare a raccogliere nei fondi il Tfr già da gennaio 2007".
Secondo Damiano "per anticipare il decollo si dovranno fare alcune correzioni per adeguare i fondi alla raccolta del tfr. Entro il 31 dicembre 2006 i fondi pensione dovranno quindi aggiornare statuti e regolamenti, adeguandoli alla nuova normativa perchè possano avere tutti le stesse caratteristiche, mentre entro, il 31 marzo 2007, le forme pensionistiche individuali devono essere attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita che prevedano la costituzione di un patrimonio autonomo e separato".
Damiano ha inoltre affermato che si sta lavorando anche per avviare la previdenza complementare nel settore del pubblico e ha spiegato che nei giorni scorsi si sono svolti incontri con il ministro della Funzione pubblica, Luigi Nicolais, e il sottosegretario all’Economia, Vincenzo Visco proprio per discutere del tema dei fondi pensione per i dipendenti pubblici.
Resta invece qualche malumore nella Cgil. In particolare il segretario Guglielmo Epifani è tornato oggi sull’emendamento non concordata che ha riacceso ieri una polemica tra sindacati e governo: "E’ stato presentato un emendamento - dice Epifani - che non corrisponde all’ accordo, senza dirci nulla. Prendo atto delle rassicurazioni date dal sottosegretario Sartor, ma deve essere chiaro che è una materia delicata sulla quale non si scherza". Più ottimista Luigi Angeletti della Uil: "Il governo rispetterà i patti e varerà una formulazione esattamente come quella concordata". (10 novembre 2006)
Il sottosgretario Sartor: «Patti rispettati, ma chiariremo»
Scontro governo-sindacati sul Tfr all’Inps
Per i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil non sono rispettati gli impegni del governo nel memorandum siglato con Confindustria *
ROMA - Sindacati uniti contro l’emendamento alla manovra sul Tfr. Che non rispetta, per i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil, l’accordo sottoscritto con sindacati e Confindustria nel memorandum di settembre poiché prevede che i lavoratori che sceglieranno di mantenere il Tfr anzichè aderire alla previdenza complementare non potranno riscuoterlo dall’azienda stessa, ma direttamente dal Fondo Inps. La risposta del governo non si è però fatta attendere e già in serata il sottosegretario all’Economia Nicola Sartor ha detto che i patti sono stati rispettai e che comunque l’esecutivo è disposto a chiarire.
RAPPORTO LAVORATORE-DATORE - Il nodo della questione riguarda le modifiche al comma 3 dell’articolo 84 della Finanziaria. «La liquidazione del trattamento di fine rapporto e delle relative anticipazioni al lavoratore - è scritto nell’emendamento - viene effettuata, secondo le modalità stabilite con il decreto, dal Fondo» presso la Tesoreria dello Stato gestito dall’Inps, «mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro». «Gli accordi non erano questi - spiegano i sindacati - il governo si era impegnato anche per il tfr maturando, prevedendo che il rapporto del lavoratore per la liquidazione o l’anticipazione fosse comunque solo con l’azienda».
«PALESE VIOLAZIONE» - Per questo motivo, Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto al Governodi chiarire «immediatamente». Se non dovesse essere frutto di un errore, «saremmo in presenza di una palese violazione dell’accordo sottoscritto con le parti sociali, non essendo assolutamente accettabile che il lavoratore sia penalizzato da questa operazione e ostacolato pesantemente nel momento in cui, legittimamente, richiede di riscuotere le prestazioni dovute, che dovranno essere erogate esclusivamente dall’impresa».
«PATTI RISPETTATI» - Immediata la replica ai sindacati del sottosegretario all’Economia Nicola Sartor: «L’accordo sul Tfr sarà rispettato e posso confermare che il rapporto, per la richiesta di anticipazione o per la liquidazione, rimarrà sempre tra lavoratore e datore di lavoro. Le preoccupazioni del sindacato vanno fugate - ha detto ancora Sartor -: per chiedere un’anticipazione, ripeto, basterà rivolgersi al datore di lavoro».
«IL TFR NON È MESSO IN DISCUSSIONE» - «Abbiamo avuto assicurazioni dal governo che il tema sollevato del diritto dei lavoratori a chiedere all’impresa un anticipo del Tfr non è messo in discussione». Così il segretario di Rifondazione Franco Giordano, ha risposto ai cronisti che gli chiedono un commento sulla notizia secondo cui il governo avrebbe pensato ad un emendamento per mettere dei paletti all’utilizzo del Tfr da parte dei lavoratori. Il segretario di Rifondazione ha inoltre aggiunto: «Un emendamento del governo su tale materia non è stato ancora presentato». 09 novembre 2006
Tre segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil scrivono al governo. "Così i lavoratori non avranno più la liquidazione dalle aziende"
Tfr, Cgil, Cisl e Uil protestano "La norma non corrisponde all’accordo"
Il problema riguarderebbe chi sceglierà di non aderire alla previdenza complementare: "Solo un errore tecnico o una violazione dell’intesa?"
ROMA - L’emendamento alla Finanziaria sul Tfr non corrisponde agli impegni assunti dal governo nel memorandum siglato con i sindacati e Confindustria. E’ quanto affermano il segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil, Morena Piccinini, Pierpaolo Baretta e Domenico Proietti, chiedendo all’esecutivo un chiarimento urgente in proposito.
"Con il memorandum sul Tfr siglato con sindacati e Confindustria - scrivono i tre sindacalisti - il Governo ha assunto l’impegno di presentare al Parlamento un emendamento all’articolo 84 della Finanziaria per recepire integralmente l’intesa medesima. Risulta a Cgil, Cisl e Uil che l’emendamento preparato dal Governo non corrisponda agli impegni assunti, prevedendo che il lavoratore che sceglierà di mantenere il Tfr anzichè aderire alla previdenza complementare, non potrà più richiedere l’intero Tfr maturato e le relative anticipazioni all’azienda presso la quale è occupato (se ha più di 50 dipendenti), ma direttamente al fondo presso la Tesoreria dello Stato gestito dall’Inps verso il quale sarà transitato il Tfr".
Cgil, Cisl e Uil chiedono quindi "che il Governo chiarisca immediatamente se si tratta di un errore, altrimenti - ricordano - siamo in presenza di una palese violazione dell’accordo sottoscritto con le parti sociali, non essendo assolutamente accettabile che il lavoratore sia penalizzato da questa operazione e ostacolato pesantemente nel momento in cui, legittimamente, richiede di riscuotere le prestazioni dovute, che dovranno essere erogate esclusivamente dall’impresa".
(9 novembre 2006) la Repubblica
Intervista
Previdenza, l’eterno vaso di Pandora
La trappola delle pensioni
Il sistema pensionistico, un «pilastro» del sistema economico del dopoguerra, in via di liquidazione. Parla l’economista Giovanni Mazzetti
di Francesco Piccioni *
Dalla «riforma Dini» in poi il sistema pensionistico è stato più volte modificato. A gennaio partirà l’ennesimo «tavolo» con obiettivo una nuova «riforma». Ma in quale direzione ci si sta muovendo? Lo chiediamo a Giovanni Mazzetti, economista e autore de Il pensionato furioso (Bollati).
La scelta del sistema a ripartizione, retributivo, era stata mal calcolata?
Fu una scelta meditata, come la maggior parte delle scelte dell’epoca. Basti pensare al sistema sanitario nazionale o alla scuola dell’obbligo generalizzata; partono dal riconoscimento di una situazione nuova. Siamo usciti da una situazione di miseria e di bassa produttività, e siamo in grado di andare incontro a una quantità crescente di bisogni. Questo implica un aumento della produttività e la crescita dei bisogni e dei consumi delle grandi masse per garantire uno sbocco alla produzione. Se non c’è questo il sistema si avvita su se stesso. Come poi è successo quando hanno cominciato ad imporci la «politica dei sacrifici».
Un investimento sul futuro...
No, un investimento sul presente. Quando si decide di passare al retributivo, lo si fa perché si ritiene il sistema in grado di soddisfare su scala allargata i bisogni, e se non interviene questa soddisfazione il sistema si inceppa. E’ quello che accade anche dal lato «privato». E’ lì che esplode il consumismo.
Quella scelta aveva dunque un effetto «virtuoso» sul sistema produttivo, garantendo anche alla parte di popolazione che usciva dalla produzione un livello di consumi adeguato.
Emancipava gli anziani, dalla dipendenza familiare, per esempio. Prima la maggior parte dei vecchi stava a casa dei figli. Ora circa il 70-80% delle persone anziane vive autonomamente. Pensa invece al futuro, quando ci sarà una copertura dell’assegno pensionistico pari al 35-40% dell’ultima retribuzione. Come potrà non dipendere dai figli?
Un ritorno all’indietro...
Sì, ma più andiamo avanti in questo modo, più il regresso sopravviene.
L’obiezione del senso comune è però: come facciamo a pagare le pensioni, se non ci sono i soldi?
Il problema è che i soldi ci sono, ma non circolano perché ci sono sistematicamente politiche restrittive. Noi abbiamo disoccupati, strumenti produttivi e capitali monetari per soddisfare bisogni molto più di quanto non stiamo facendo. Vengono tenuti fermi perché se garantisci agli individui le condizioni dell’esistenza, mettendoli a soddisfare i bisogni che possono essere soddisfatti, il potere del denaro sparisce.
Si usa il tfr per realizzare il «secondo pilastro». Cosa cambia?
Affidiamo al capitale finanziario un risparmio del lavoratore che poteva essere usato anche come prima fonte di finanziamento delle aziende. Il guadagno speculativo è un’appropriazione predatoria di risorse e da questo punto di vista è addirittura meglio che si rivolga a mercati esteri. E’ uno spostamento di risorse dai consumi e dalla produzione alla speculazione.
L’impressione è che si stia passando da un sistema che garantisce la pensione più il tfr a uno che al massimo garantirà, con due «pilastri», l’assegno prima garantito da uno solo.
Il tfr, cercano di eliminarlo. Io non sono d’accordo con chi, anche a sinistra, si limita a dire che «bisogna dare al lavoratore la possibilità di scegliere sulla destinazione del tfr» e spinge per farlo trasferire al l’Inps per incrementare la copertura pensionistica. Questo è già un «arrendersi» alla posizione dell’avversario, ma è un senso comune che si è imposto ai sindacati. Ignorano completamente il discorso relativo alla produttività. Questo spiega perché inseguono solo l’aumento dell’inflazione e non puntano sui guadagni di produttività.
Non viene compresa la funzione economica della produttività?
Esatto E allora il problema è il costo del lavoro che deve essere contenuto. Già quando si dice che le pensioni devono essere «commisurate ai contributi» si accetta che il denaro è «misura adeguata» della disponibilità di risorse. Si torna a ragionare come nel 1920, prima di Keynes. Ad esempio, per misurare la produttività si prende il Pil e lo si divide per il numero delle ore lavorate; però l’aumento della produttività determina anche una diminuzione del valore del prodotto. Un computer dieci anni fa costava il triplo di oggi, ma ora consente di fare molte più cose tutte insieme. Chi è fermo su quella definizione di produttività non vede che è aumentata perché il prezzo non la registra. Se prendi come misura il Pil, non puoi misurare la variazione di produttività, che pure crea ricchezza materiale. Se pensi che per creare ricchezza prima devi avere «i soldi», ecco che cadi nel circolo vizioso. Invece Keynes - e ancor prima Marx, che diceva che i «lavoratori devono appropriarsi del proprio plusprodotto» - ha in mente questo. Se quando si realizza un incremento di produttività non garantisci anche uno sbocco all’aumento di produzione, quel di più non verrà prodotto. E la società si incarta.
E’ la stessa trappola che scatta quando si parla della «gobba»?
E’ ridicolo. Si dice che bisogna intervenire sulle pensioni perché da qui a 15-20 anni ci sarà un aumento della spesa pensionistica dell’1-2%. Se aumenta il numero degli anziani sul totale della popolazione, «si spera» che aumenti anche la spesa pensionistica. Per la semplice ragione che «la spesa» è la condizione di qualsiasi attività produttiva. E invece si ragiona come se, togliendo soldi agli anziani, questi verranno spesi da qualcun altro. In sostanza si dice: lasciate fare ai capitalisti, che i soldi li spenderanno certamente. Se non li spendono è perché voi «disgraziati» li state sperperando. Questa era la teoria prekeynesiana.
Che nel 1929 ha subito un piccola confutazione...
E’ miseramente crollata. E solo dopo la seconda guerra mondiale - non prima - finalmente Keynes ha ascolto. Lì il mondo cambia radicalmente. Prima della guerra in Italia c’erano sì e no un milione tra automobili e camion, adesso siamo a 40 milioni. Le case erano un terzo, di elettricità ne consumavamo un trentesimo rispetto a oggi. Se tu parli con la sinistra anche più radicale oggi, ti dicono che il problema è quello di «espandere l’offerta». Cadono nella trappola della concorrenza. Per esempio: la Germania sui mercati riesce a vendere, perché non dovremmo farlo pure noi? In Germania hanno anche cinque milioni di disoccupati, staranno pure meglio sui mercati internazionali, ma stanno nei guai come noi.
Anche in Germania si propone una «riforma del sistema pensionistico» che aumenta l’età pensionabile.
Certo. Il pensiero è sempre universale. Così come quello keynesiano investiva tutti i paesi europei, ora quello opposto ci investe tutti. Se interverrà un rovesciamento, sarà un’altra volta generale.
* il manifesto, 01.12.2006.
Mirafiori, i lavoratori contestano i sindacati su tfr e pensioni *
Mirafiori torna a far parlare di sè. Questa volta, però la protesta ha un nuovo destinatario, i sindacati. L’ultimo incontro tra i lavoratori dello stabilimento Fiat di Torino e i tre rappresentanti di Cgil,Cisl e Uil, era avvenuto 26 anni fa. Allora, alla testa dei confederati c’erano Lama, Carniti e Benvenuti. Oggi Epifani, Bonanni e Angeletti, non hanno ricevuto la stessa accoglienza. Tema dell’incontro, la legge finanziaria.
Se le parole del segretario della Cgil Guglielmo Epifani auspicavano un clima sereno, soddisfatto perchè «questa fabbrica sta rinascendo, può rinascere e tanti giovani lavoratori potranno arrivare» e favorevole a questa «Finanziaria che prova a lavorare per lo sviluppo e l’equità», la risposta dei lavoratori non è stata altrettanto distesa. «Guglielmo questa non può essere la Finanziaria dei lavoratori - ha detto un operaio delle Carrozzerie - il sindacato deve mantenere un atteggiamento critico e incalzare il governo anche quando è di centro sinistra».
Identico trattamento anche per il segretario della Uil, Luigi Angeletti: «Non dobbiamo fare la stampella del governo», gli ha tuonato contro un lavoratore che Angeletti ha provato a rassicurare, spiegandogli che: «Ci dipingono così ma non è vero, non ci sono governi amici. Gli unici amici siamo noi stessi e dobbiamo pensare a difenderci».
Sulla cosiddetta "sindrome del governo amico" arrivano critiche anche dal’linterno, dalla Fiom: «Ritengo che ci sia un appiattimento di Cgil, Cisl e Uil sulle posizioni di questo Governo. Noi non abbiamo nessun Governo amico o nemico» ha detto Vincenzo Tripodi, delegato Fiom.
In particolare, a far alzare i toni del dibattito, sono stati due tasti dolenti: la previdenza e la riforma del Tfr. Ai lavoratori che lamentavano la mancata consultazione degli operai da parte del sindacato, Angeletti ha risposto: «Sulle pensioni non faremo nessun accordo che non venga ratificato con un referendum da tutti i lavoratori italiani».
Ma nonostante la contestazione, i segretari non si sentono sconfitti dall’incontro di Mirafiori: «È stata una esperienza molto interessante, molto partecipata - ha commentato Epifani - sono emerse le vere preoccupazioni, il Paese reale è questo». Identica reazione di Angeletti, che ha apprezzato la schiettezza del confronto: «Il conflitto sociale è una cosa fondamentale, è il sale della democrazia».
Bonanni, segretario della Cisl, parlerà nel pomeriggio. Per ora si è limitato a sottolineare l’importanza dell’incontro «tanto più importante per noi che ci prepariamo a riprendere da gennaio una discussione sulla produttività». .
* l’Unità, Pubblicato il: 07.12.06, Modificato il: 07.12.06 alle ore 14.39
Quando gli operai dicono: «Ora ci dovete ascoltare»*
Ritornano le assemblee operaie. E’ già questa è una notizia. Era da tempo che non avevamo notizia di assemblee nei luoghi di lavoro, di discussioni vere, di confronti con i dirigenti sindacali, fossero essi nazionali o locali. Magari leggevamo di referendum ai quali partecipavano masse non esigue di lavoratori e di impiegati, ma chiamati solo per esporre un "si" oppure un rifiuto, senza la possibilità di cambiare, correggere. Magari le assemblee si sono sempre tenute, anche in questi recenti tempi spesso un po’ burocratici, mettendo in pratica quel diritto così faticosamente conquistato oltre 35 anni or sono. Non c’è stata però nessuna eco, come fossero assemblee clandestine, tenute da carbonari. Qualche giornale oggi parlerà, tanto per farci tornare al passato, di incontri tumultuosi, di contestazioni agguerrite. I testimoni oculari, compresi seri giornalisti, come il nostro cronista dell’Unità, assicurano di un confronto vivace ma non certo di assalti all’arma bianca, come spesso si vedono nei talk-show televisivi. E molto diversi anche da altre occasioni, allorchè i Trentin, i Carniti, i Benvenuto dovevano schivare lanci di bulloni. Così era stato in quella tremenda mattina dell’autunno del 1980, proprio a Mirafiori, quando in discussione c’era un accordo che superava i licenziamenti ma dava il via ad una massiccia cassa integrazione. Proprio in quella fabbrica sono ritornati ieri Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti. Non a discutere delle sorti dell’azienda che sembra aver intrapreso la strada della resurrezione, bensì le sorti del Paese.
Ed è su questo ultimo aspetto, condensato nella Legge Finanziaria, che si è espresso il dissenso operaio. Con critiche argomentate rivolte a diversi aspetti del provvedimento, ma soprattutto cariche di un timore rivolto al futuro. Perché siamo alla vigilia di importanti negoziati su temi che incidono sulla vita di chi passa tre quarti della propria esistenza lavorando. Sono i temi del sistema previdenziale, se si intende affrontare l’improvvido "scalone" voluto dal centrodestra. E sono i temi di una nuova legislazione del lavoro, in grado di dare una risposta al fenomeno dilagante di una flessibilità che si trasforma in precarietà. Mentre, nello stesso tempo, si ipotizza un "patto sulla produttività", in grado di aiutare la crescita economica del Paese. Sono argomenti sui quali si è intrattenuto, in diverse fasi, il "faccia a faccia" di ieri. Quei pesanti malumori scaturiti dalle assemblee non potranno non incidere sui futuri tavoli del negoziato. E’ una discussione che dovrà proseguire: l’auspicio è che possa sboccare in una piattaforma unitaria. I leader sindacali del passato, da Giuseppe Di Vittorio a Luciano Lama (per rimanere in casa Cgil), hanno insegnato che non sempre gli operai hanno ragione. Ma che però bisogna saperli ascoltare, sempre. E’ uno "scambio" che fa bene a tutti. Un tempo si chiamava "democrazia sindacale" e sovente è stato accantonato proprio perché le assemblee si trasformavano in tumultuosi, inconcludenti ring. Anche nel mondo del lavoro, insomma, attecchiscono i corporativismi, soprattutto quando si perde di vista la prospettiva generale, la fiducia in un cambiamento complessivo, in una proposta condivisa. Quando prevalgono certe campagne fuorvianti e magari si accorre ad una manifestazione berlusconiana, per applaudire la demagogia populista. Una delle accuse emerse ieri lamentava come fosse meglio lasciare il Tfr nelle imprese che consegnarlo all’Inps. E’ una sollecitazione fomentata soprattutto dalla Confindustria. La quale dimentica quante volte il Tfr di proprietà dei lavoratori, sia stato disperso in crack aziendali, in fallimenti che hanno reso poi difficile il reperimento dei risparmi accantonati con tanto sudore.
* www.unita.it, Pubblicato il: 08.12.06. Modificato il: 08.12.06 alle ore 12.59
Guglielmo Epifani: «È la nostra democrazia» *
«È stata una bellissima assemblea, vera, senza filtri». Bellissima? Ma se sono volati fischi. «Qualche fischio è il sale della democrazia», dice Guglielmo Epifani per nulla intimorito dalle contestazioni di una parte dei lavoratori di Mirafiori. «Ne usciamo rafforzati perché ci vuole coraggio ad affrontare assemblee così difficili».
Tornate a Mirafiori dopo 26 anni e vi ritrovate con questa accoglienza. Ci racconta che cosa è successo?
«Posso farlo per l’assemblea a cui ho partecipato, la mattina alle Carrozzerie. È stata molto partecipata, più di duemila persone, vera, senza schermi e senza filtri, in presenza di Cobas, Ugl, Fismic, Fiom, Fim, Uilm. Ognuno ha potuto esprimere la propria opinione. È stata anche la prima con i giornalisti. Uno straordinario fatto di trasparenza».
Giornalisti che hanno riportato dei fischi. Quando sono partiti?
«In realtà l’andamento dell’assemblea è stato un po’ più semplice. Ho illustrato il giudizio sulla finanziaria con l’assemblea molto attenta, c’è stato un problema quando ho parlato del Tfr. Una parte di lavoratori teme che il Tfr fuori dall’azienda possa offrire meno garanzie. Un’opinione opposta alla mia. Ma non c’è una contrarietà netta, non è vero. Insomma, ci sono stati interventi liberi, domande alle quali ho risposto. È stato un dialogo».
Quali opinioni sono emerse?
«Almeno alle Carrozzerie, il giudizio di fondo sulla finanziaria mi è sembrato abbastanza in linea con quello del sindacato, luci e cose da cambiare, nodi da sciogliere. Ho invece sentito forti preoccupazioni sulle condizioni di lavoro. Sulle pensioni è venuta una richiesta esplicita a non alzare l’età pensionabile. Soprattutto dalle donne sulle linee di montaggio. Altra richiesta, quella di poter discutere la piattaforma sulle pensioni, alla quale abbiamo risposto sì, era già deciso. E poi ho trovato una giusta e condivisa resistenza all’idea della gestione unilaterale dei ritmi e dell’organizzazione di lavoro. Potrei riassumere parlando di una condizione operaia che vive con difficoltà la propria vita lavorativa, i turni, le catene logoranti e che gira domande al sindacato. Più che la finanziaria, sono temi che riguardano i tavoli di gennaio. E in questo confronto ho visto rispetto per il sindacato».
Restiamo alle condizioni di lavoro. Il vicepresidente di Confindustria, Bombassei, dice che lei fa «banale demagogia».
«No. Ho solo confermato davanti agli operai quello che vado dicendo da due anni: sull’organizzazione del lavoro, sugli orari, si decide nei luoghi di lavoro e nei contratti nazionali. Perché ogni categoria ha le sue logiche organizzative. È sempre stato così e deve restare così, Confindustria ha un’altra opinione ma deve mettersi il cuore in pace perché su questo la Cgil non cambia idea».
La destra e una parte del sindacalismo di base gongolano e dicono che siete avvertiti, voi e il governo. Cavalcano la protesta?
«Inviterei tutti a non usare strumentalmente queste assemblee. Intanto perché non sono andate come costoro pensano. E poi perché non vedo chi possa appropriarsi di una situazione di malessere. Certo non la destra che ha peggiorato le condizioni dei lavoratori in questi anni. Penso alla precarietà. E riguardo a qualche frangia di sindacalismo autonomo estremo voglio solo dire che il sindacato confederale non esce indebolito da una prova democratica come questa, anzi. Penso, inoltre, che al termine degli scrutini delle elezioni della scuola dove votano un milione di persone, si vedrà che tutto il sindacato confederale non solo non perde ma probabilmente rafforza le proprie posizioni. E la Cgil si conferma primo sindacato».
Epifani, insisto. La lettura che viene data è che siete stati contestati in quanto schiacciati sul governo che ha deluso gli operai. Davvero nulla di tutto questo?
«È una lettura che non corrisponde al vero. Le preoccupazioni sono per la propria condizione, nel lavoro e sul lavoro. Sulle linee di fondo della finanziaria io non ho ascoltato critiche se non, ripeto, le preoccupazione per il Tfr».
Di assemblee ne fate molte...
«Dobbiamo farne di più...»
... e pazienza se ci scappa qualche fischio. Non starà minimizzando?
«Se ci scappa qualche fischio è il sale della democrazia. Se qualcuno interrompe tu ci parli, non è più il tempo in cui uno predica e gli altri ascoltano. Il fatto è che si è persa la conoscenza di cosa sono le assemblee operaie. Non sono una passeggiata, non lo sono mai state. Ma la mia più grande soddisfazione è di avere chiuso spiegando con chiarezza la posizione della Cgil sugli orari di lavoro, sul Tfr, sulla previdenza e di aver avuto ascolto, consenso e rispetto».
Nel pomeriggio però il segretario della Cisl ha dovuto interrompere. Che cosa è successo?
«Non so di preciso, so che c’era un clima diverso. Le assemblee della mattina sono state dure, ma sono state belle assemblee. So che quando Bonanni ha parlato delle condizioni delle persone, del Tfr, delle pensioni c’è stato un grande ascolto. Deduco che questi lavoratori vogliono risposte alla loro condizione e non vogliono che si parli d’altro».
Lei non pare nervoso, eppure domani (oggi, ndr) non avrà bei titoli. Non crede che il sindacato abbia un problema in più?
«Io penso che ne usciamo rafforzati perché bisogna avere coraggio ad affrontare assemblee così complicate e difficili».
Ha lasciato Mirafiori con qualche impegno?
«Quello di tornare, di fare il percorso democratico sulle pensioni. Mi ha fatto molto piacer poter dire che Mirafiori non è solo carica di storia, ma oggi è carica di futuro. Ho augurato che possano entrare tanti giovani in fabbrica e l’applauso ricevuto mi pare la cosa più bella dell’assemblea, cioè una comunità di persone che ha lottato, ha pagato dei prezzi e continua a pagarli con tante persone in cassaintegrazione. Mirafiori non è più un problema, oggi può diventare una fucina per affrontare i temi dello sviluppo e per rispettare la dignità di chi ci lavora».
* l’Unità, Pubblicato il: 08.12.06 Modificato il: 08.12.06 alle ore 13.02