Chi dice 5000, chi 9000, a proposito delle partenze dopo il periodo festivo, sta di fatto che San Giovanni in Fiore, 18 mila abitanti, s’è nuovamente svuotata, è rimasta deserta, assumendo le sembianze d’una città di terremotati, rasa al suolo. In cui si incontrano anziani spesso abbandonati all’azione del tempo e a cui provvedono solo le parrocchie oppure giovani, non tutti, con la febbre del consumo. La disoccupazione, già al 51%, aumenta senza speranze. I servizi sono gestiti, il più delle volte, da funzionari stanchi e non aggiornati, che non vogliono imparare a dialogare col computer né conoscono i capisaldi d’una semplificazione amministrativa avviata da un decennio. La sanità è in un fosso senza uscita, l’illegalità galoppa negli uffici pubblici e gli abusi istituzionali costituiscono la regola incontrollata che non trova verifiche di sorta. Per strada, la gente si lamenta, come se il potere attuale non fosse stato scelto con larga maggioranza di consensi e come se, alle ultime comunali, non ci fosse stata più di un’alternativa al governo di sempre. Davanti alla possibilità reale di cambiare, di designare un altro corpo dirigente, di provare uomini nuovi e sondarne capacità amministrative e politiche, più della metà dei votanti ha deciso di confermare gli stessi rappresentanti contestati sino alla vigilia delle elezioni. Segno evidente, di là da tutto, che le nomine in ambito pubblico, le concessioni edilizie facili e i tanti favori dispensati da potenti hanno avuto la meglio sui programmi e le intenzioni esposti dai loro avversari, gli impotenti, in campagna elettorale. Del gruppo di Gianni Vattimo, si diceva che non avrebbe funzionato perché costituito di improvvisati, disperati o, in alcuni casi, di personaggi comunque collegati al sistema dei partiti. Che cosa hanno prodotto gli amministratori individuabili come tali? A me, ma non solo, sembra che lo spopolamento costante di San Giovanni in Fiore debba imputarsi a un preciso progetto politico, nelle istituzioni, volto a espellere potenziali oppositori e intelligenze che non accettano la mafia del ricatto e della dipendenza. Le elezioni, in un posto civile, sono democratiche quando si può scegliere liberamente tra i candidati nelle liste ufficiali, quando, per entrare in consiglio comunale, non occorre farsi vedere nelle case e promettere, mentendo, la soluzione di piccoli, o meno piccoli, problemi personali. Perché la maggior parte dei giovani sta fuori, a lavorare, e perché, per inserirsi, ha bisogno di specializzarsi e di acquisire sempre più specifiche nozioni? Diversamente, perché, a San Giovanni in Fiore, le competenze professionali e il modo di operare nell’amministrazione pubblica non contano e in prevalenza serve, invece, la raccomandazione di qualche politico navigato? Perché, nella gestione di servizi fondamentali, spesso troviamo del personale che lavora unicamente per grazia ricevuta? Non è mafia, questa? E dove ci porta un tale balordo sistema? Sapeste quante ne succedono nell’Ufficio tecnico comunale e quanto tutto venga considerato legittimo e normale. Il potere è talmente forte che responsabili di palesi irregolarità la scampano sempre e, a parlarne, si corre il rischio di rimetterci penalmente. Quando avremo la forza di opporci e di pretendere l’applicazione corretta della legge. Intervenga il capo dello Stato, il presidente Carlo Azeglio Ciampi, il quale ha costantemente predicato, in modo onesto, che si devono rispettare i valori costituzionali e le funzioni proprie della Repubblica. Qui, caro presidente, è tutto un altro mondo. C’è chi parla, denuncia, si ribella, ed è confinato, e chi opera illegalmente passandola liscia e guadagnando fortune. Non è da un terreno come questo che nasce la mafia? Sapesse quante attività sono condotte illecitamente e quanti illeciti si commettono, nel silenzio totale. I giovani di San Giovanni in Fiore, soprattutto quelli che sono fuori, devono protestare. Questa città non ha meno problemi di Locri, mi creda, presidente. Venga qui, prima di terminare il Suo mandato. Lo faccia, la prego. E si renderà conto. San Giovanni in Fiore ha una situazione morale, culturale ed economica che non è bollabile come locale. Se le condizioni generali agli inizi del Novecento comportavano un’emigrazione di massa, con perdite memorabili come a Monongah, Marcinelle e Mattmark, oggi, nonostante il progresso culturale ed economico, non è cambiato qualcosa. Anzi, si registra, in proporzione, un peggioramento spaventoso. Da dove dobbiamo partire, per comprendere le ragioni di un’emigrazione per la salute che, in Calabria, ha azzerato le casse pubbliche, determinando un indebitamento indicibile? Quante volte, presidente Ciampi, abbiamo sentito discorsi di politici sulla riqualificazione della sanità locale. Quante persone hanno pagato le conseguenze di un’offerta sanitaria, sul posto, prossima allo zero, indecente e pericolosa. Per quanto ancora, i giovani dovranno essere presi in giro e ascoltare sermoni, di politici eterni, su nuovi progetti e orientamenti di recupero? La prego, presidente, venga qui. Spero che riceva questo mio messaggio e che ne resti colpito. Sappia che rappresento il pensiero, penso di rappresentare, della maggioranza dei giovani florensi emigrati per necessità di sopravvivenza. Non c’è solo un problema economico, qui: la democrazia è una bella parola, è retorica. Proprio chi più direttamente dovrebbe garantirla ci fornisce esempi macroscopici di illegalità e di violazioni in nome d’un potere strutturato, contrario alla Costituzione e ai valori cattolici del popolo italiano. Come si può lottare contro questo gigante, presidente? Noi che abbiamo studiato portandoci appresso il significato dei sacrifici dei nonni emigrati, che cosa possiamo fare per la nostra terra? Dobbiamo rinunciarci per sempre, dato che non ci è concesso alcuno spazio e proprio le istituzioni non ci ascoltano e, anzi, ci sanzionano? Venga a San Giovanni in Fiore, presidente.
Emiliano Morrone
nichilismopuro@libero.it
E’ ORA DI APPENDERE LE VALIGIE AL CHIODO BASTA !!!
IL LAVORO NON DOBBIAMO CHIEDERLO A 2000 KM DA CASA NOSTRA !!!
DOBBIAMO CREARLO QUI !!!
INVESTIAMO SU NOI STESSI !!!
DOBBIAMO PRETENDERE DI PIU’ DI UN SALARIO GARANTITO OTTENUTO FACENDO UN LAVORO CHE NON CI INTERESSA !!!
Mario Iaquinta
Caro Sila, il presidente Oliverio deve, a mio avviso, spiegarci molte cose. Soprattutto, non può parlare di rilancio e rinnovamento, se prima non ammette delle responsabilità politiche precise. Una su tutte, l’aver concorso alla chiusura della Scuola tappeti. Oggi, Oliverio parla, invece, di recupero del settore tessile, dimenticando, sul tessile, il suo ruolo passato. Riguardo al sindaco Nicoletti, mi dispiace per le minacce subite, per le quali gli ho espresso la mia più viva e sincera solidarietà. Tuttavia, col declassamento della segreteria municipale, primo atto ufficiale della nuova giunta, il sindaco ha dato prova di voler proseguire lungo la strada della vecchia politica clientelare. Perché non risponde mai, quando gli si sottopone la questione della difesa civica come primo baluardo della legalità e per la trasparenza nel pubblico? E perché non fornisce dati sullo controllo della criminalità in questo territorio? Non scordiamoci delle intimidazioni a privati dell’estate scorsa, alle quali le Forze dell’ordine non hanno ancora dato identità. Ricambio la stima.
Emiliano Morrone
Amico Silagrande, intanto, non posso accettare per nessuno, si tratti anche d’un condannato di lusso, e non è il caso di Riccardo Succurro, che si usino espressioni come "incivile" e "immorale". Intendiamoci, non difendo nessuno, per carità. Ci sono, però, modi e parole per esprimere il più vivo dissenso per l’operato politico di qualcuno, senza intaccare la sfera personale. Come vedi, io non ho qualificato l’onorevole Oliverio in modo ingiurioso, nel senso precisato dal codice penale. Spero che tu comprenda questa posizione, anche perché "la Voce di Fiore", per obbligo di legge, è una testata registrata in tribunale, di cui ho piena responsabilità essendone il direttore. Considero, pertanto, i tuoi epiteti solo come pennellate di colore, che nascono da una rabbia, per lo stato delle cose, condivisa da moltissimi di noi. Poi, ti invito a non analizzare la situazione locale ricorrendo alle sole categorie dei rappresentanti e dei rappresentati passivi, esortazione del professor Giuliano Compagno, che conosce nel profondo la realtà politica, economica e culturale di San Giovanni in Fiore. La società non può prendersela soltanto con la politica, evitando di fare "outing", come usa dire oggi. Sono convinto che ogni azione è politica. La stessa indifferenza verso il futuro d’una comunità è un fatto politico e una scelta con effetti inevitabilmente politici. Mario Oliverio ha occupato quasi tutte le cariche istituzionali. Automaticamente, può essere chiamato in causa per dar conto d’uno sviluppo mancato e, anzi, d’una retrocessione rispetto al contesto europeo al quale apparteniamo. Ma la nostra società vive di invidie, individualismi e parole, tante parole. La nostra società non è in grado di compattarsi e di esprimere valori e obiettivi comuni, come ha scritto Tony Arcuri sul forum del prof. Vattimo. Pare che ciascuno di noi stia attento all’altro, al prossimo, per disprezzarne, divertendosi, scelte e linguaggio. Personalmente, contesto Oliverio come politico. In quanto persona, mi sta pure simpatico, visto che ha una faccia gioconda e una sangiovannesità innegabile nel parlare. Dal punto di vista politico, Mario si è riciclato come i vari Rutelli, Dalema, Bertinotti e altri. Forse, l’onorevole florense ha proprio cambiato direzione, deviando rispetto a quel comunismo che tu gli attribuisci. Dieci anni fa o più, era tra i sostenitori del Pci, quando si cambiò il nome al partito. E certo non si sarebbe sognato di farsi pizzicare le guance dal grande vescovo Giuseppe Agostino. La storia insegna. Si vede che Mario ha imparato. Vorremmo che lui applicasse ciò che di positivo la caduta del muro di Berlino ha dato alla comunità del mondo. In alcuni suoi recenti discorsi l’ho sentito in veste addirittura tremontiana. Ma, per questo, non si può mica mettere all’indice. Cominci a portare servizi e diritti alla sua città, annulli un certo atteggiamento da imperatore, faccia "outing", la smetta di definire questo territorio come bisognoso della carità statale e sicuramente diventeremo suoi interlocutori. Per ora, non mi sembra che Mario abbia dato alla sua città, che pure, sino a un certo momento, lo ha ricoperto di voti, garantendogli un recupero politico inimmaginabile, quando il Pci cercò d’allontanarlo da assessore regionale. Vedi, Silagrande, in queste vacanze natalizie dei ragazzi hanno organizzato una bella e strutturata rassegna d’arte nel centro storico. Anche avendo avuto divergenze politiche con alcuni di loro, non posso negare la validità della loro iniziativa. Giovanni Spadafora, assessore alla cultura dei Ds, ha promosso un bellissimo concerto di Indaco al Teatro Italia. Non posso non ammetterlo, nonostante che il suo partito continui a organizzarsi su base piramidale, spesso escludendo i più colti e intelligenti. Se a queste iniziative si aggiungesse una battaglia comune per la difesa della legalità, saremmo già sulla buona strada. Al cimitero, la maggioranza storica ne ha combinate di grosse, rilasciando dubbie concessioni edilizie alla vigilia delle elezioni e permettendo la chiusura d’un passaggio pubblico per la costruzione d’una cappella. Una precisazione sui voti: l’onorevole Gianni Vattimo non ha incassato 1427 consensi ma 2736. Tutti sanno che per via della coincidenza tra simbolo, nome del movimento e del candidato sindaco, molti voti espressi per il filosofo sono stati attribuiti al candidato di centrosinistra. In realtà, si dica ciò che si vuole, il più votato al primo turno è stato Antonio Barile, candidato della coalizione di centrodestra. Allora, inviammo un telegramma al Prefetto di Cosenza. Che cosa sarebbe successo, se ci fosse stata una verifica delle schede elettorali? La verità è che ognuno di noi deve essere il difensore civico e il legislatore di questo nostro comune. Con la massima cordialità,
Emiliano Morrone
Amico Silagrande, chiamami Emiliano, non sono, ancora per poco, così vecchio e decrepito come il Numero Uno di Alan Ford. Quando arriverò a quel punto, cioè presto, voi del Tnt, soprattutto l’agente Bob Rock, venite a farmi visita. Circa l’ex sindaco Riccardo Succurro, ti invito, allora, a scrivere, hai tutto lo spazio che desideri, del tuo disappunto di carattere politico. O, forse, della tua disapprovazione totale. Per quanto mi riguarda, credo che, col sistema dell’elezione diretta, Succurro poteva zittire tutti e governare senza condizionamenti partitici. Non l’ha fatto, nonostante che abbia promosso, quasi in solitudine, il Programma di sviluppo urbano, che, a sentire un esperto, va tutto ripensato in chiave gioachimita. Non s’offenda l’amico, autore, Giuseppe De Luca, professore di progettazione urbanistica nell’Università di Firenze, che ha lavorato con la solita serietà e professionalità che lo distinguono in Italia. Ciò che è mancato alla politica, e continua a mancare, è l’etica. Che significa tantissime cose. Anzitutto, vuol dire, penso, intendere la responsabilità politica e amministrativa come luogo d’un servizio incondizionato per la comunità e non come possibilità d’arricchimento per funzionari di partito e tesserati. Sinistra e destra continuano a pensare, invece, che ricoprire un ruolo istituzionale serva ad avere incarichi e dispensare favori alla povera gente. La quale non s’accorge che i provvedimenti della politica debbono necessariamente essere generali e astratti e non particolari e specifici.
Con vivissima stima,
Emiliano Morrone
Amico Silagrande, io, purtroppo, non rieco a vedere tutte queste differenze ontologiche tra la nuova e la vecchia giunta. Premesso che non accuso Succurro di mafia né mai lo farò, il mio concetto di rinnovamento politico e amministrativo è il seguente: 1) l’esecutivo rinnovato deve essere integralmente diverso da quello di cui molti hanno rilevato il fallimento; 2) l’esecutivo rinnovato non può essere espressione, nei fatti, d’un vecchio e rovinoso modo d’intendere la politica; 3) l’esecutivo rinnovato deve innovare senza attendere.
Voglio solo ricordarti, senza attribuire colpe a qualcuno e senza stupidi processi in queste righe, che Attilio Mascaro e Aldo Orlando, i quali, per carità, avranno pure i loro meriti da esporre, appartengono alla giunta passata. Vorrei ricordarti che una nuova politica si fonda sul controllo degli atti amministrativi e che, in questo senso, il nuovo esecutivo non ha ancora adottato misure specifiche, non solo bollando la richiesta diffusa d’un difensore civico ma anche presentando un bilancio nebuloso in molte parti e in modo assolutamente anomalo. Riguardo a Mario Oliverio, sarà pure un "comunista italiano", ma se questo significa contraddirsi in base alle opportunità, come fece Diliberto a proposito dei vari interventi militari italiani, sarebbe meglio che si considerasse e indicasse come democristiano democratico. In quel caso, dovremmo vederlo a spasso con Ruini, a predicare l’ortodossia anche nell’azione politica, emulo di Rutelli. Considerami un visionario. Ma anche l’abate di Fiore si giudicava tale. Con la massima cordialità e con limpida stima,
Emiliano Morrone