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CAPITALISMO DELINQUENZIALE: "GOMORRA" ITALICA !!! L’ultimo colpo dei "furbetti" che volevano scalare l’Italia, raccontato da Alberto Statera

lunedì 25 settembre 2006.
 

[...] "Associazione a delinquere": esattamente questi furono i termini usati da Marco Tronchetti Provera nei confronti degli scalatori della "Rizzoli Corriere della Sera", compreso Billè, che aveva rifornito di azioni Rcs anche il suo conto personale al Monte dei Paschi di Siena. Il paradosso è che, un anno dopo, mentre si dipanano nuove scene del serial, il presidente di Telecom ha dovuto lasciare il suo incarico dopo uno scontro selvaggio con il presidente del Consiglio e la società ex monopolista telefonica è coinvolta in un caso di spionaggio che oscura tutti i precedenti scandali del genere.

E tutti i fili sembrano riannodarsi in un unico canovaccio che parte, per l’appunto, dalla privatizzazione di Telecom, dall’emergere sei anni fa, regnante il centrosinistra, di quella "Razza padana" che doveva rinnovare il capitalismo senza capitali e che ci lascia, un lustro dopo, come in una palude che ha inghiottito ogni regola e ogni eticità, in un’Italia nella quale l’intreccio tra affari e politica ha creato una patologia che sembra inestirpabile [...]

LA STORIA

L’ultimo colpo dei "furbetti" che volevano scalare l’Italia

Billè, arresti domiciliari l’accusa è di corruzione

di ALBERTO STATERA (www.repubblica.it, 23.09.2006)

Gli mancheranno i dipinti di Amedeo Cignaroli, paesaggista di Casa Savoia, e forse soprattutto il mobile veneto del ’700 acquistato per 250 milioni di lire a spese della Confcommercio, sequestrati dalla magistratura. Ma in fondo Sergio Billè non se la passerà poi così male agli arresti domiciliari a Roma in via dell’Aracoeli numero 4, dove tuttora risiede. Quattrocento metri quadri inzeppati di milioni e milioni di euro in arredi rococò, angeli reggitorcia, fauni danzanti, lampadari di vetro di Murano.

Quattrocento metri di attico locati per centomila euro all’anno pagati dagli associati, compreso il salumiere sotto casa, e che furono già calcati da Raul Gardini ai tempi della tangente Enimont, la madre - forse ormai impallidita - di tutte le tangenti.

È lì, in quel tempio kitsch, che l’ex pasticciere, il quale si dichiara discendente della famiglia di origine francese dei Billet, baroni di Montelupo, si muove come Burt Lancaster nel "Gattopardo". È quello il suo romanzo preferito, secondo quanto ha confessato all’impagabile Anna La Rosa, la signora versata negli affari che di Billè, quando smise di servire cocktail renforcé nel locale di piazza Cairoli a Messina, fece una indelebile guest star della Rai - servizio pubblico, pari a pari con i politici più importanti.

A parte il Visconti del Gattopardo, il film prediletto dall’ex presidente della Confcommercio è "Million dollar baby", ma secondo i magistrati che lo hanno messo agli arresti domiciliari, lui stesso è protagonista di un film che si intitola invece "Fifty millions dollars baby".

Anzi euro. Perché di cinquanta milioni era la tangente promessa - 3 milioni di acconto - da Stefano Ricucci per la realizzazione dell’affare del secolo, la vendita dell’immenso patrimonio immobiliare dell’Enasarco, valutato in 3,25 miliardi di euro, come dire qualcosa di simile a 6500 miliardi di ex lire. Badate, non è, come si potrebbe a prima vista pensare, la storia di folli megalomanie di provincia, di velleitarismi di personaggi che, gomito a gomito col potere, hanno perso la brocca. Non si può più ironizzare sulle caratteristiche antropologiche del pasticciere siculo, sul vernacolo del suo sodale Stefano Ricucci e di tutta la compagnia dei furbetti.

Non è "Totò, Peppino e i fuorilegge". Perché con le nuove accuse e l’arresto di Billè si completa l’affresco del nuovo e organizzato capitalismo delinquenziale, che voleva scalare l’Italia intera. Non l’avventura di newcomers un po’ arruffoni, di raider velleitari, di finanzieri dalle origini oscure, ma un’associazione a delinquere con progetti ben definiti.

"Associazione a delinquere": esattamente questi furono i termini usati da Marco Tronchetti Provera nei confronti degli scalatori della "Rizzoli Corriere della Sera", compreso Billè, che aveva rifornito di azioni Rcs anche il suo conto personale al Monte dei Paschi di Siena. Il paradosso è che, un anno dopo, mentre si dipanano nuove scene del serial, il presidente di Telecom ha dovuto lasciare il suo incarico dopo uno scontro selvaggio con il presidente del Consiglio e la società ex monopolista telefonica è coinvolta in un caso di spionaggio che oscura tutti i precedenti scandali del genere.

E tutti i fili sembrano riannodarsi in un unico canovaccio che parte, per l’appunto, dalla privatizzazione di Telecom, dall’emergere sei anni fa, regnante il centrosinistra, di quella "Razza padana" che doveva rinnovare il capitalismo senza capitali e che ci lascia, un lustro dopo, come in una palude che ha inghiottito ogni regola e ogni eticità, in un’Italia nella quale l’intreccio tra affari e politica ha creato una patologia che sembra inestirpabile.

Via Aracoeli numero 4, quella casona fastosa pagata attingendo alle decine di milioni di euro del fondo "presidenziale" della Confcommercio, è il compendio, la location perfetta per ciò che almanaccava il pasticciere di Messina diventato ricco, potente e politicamente ineludibile per il presunto controllo dei quattro milioni di voti che i sondaggisti elettorali attribuiscono all’organizzazione dei commercianti.

Tra gli stucchi e i fauni danzanti, si alternavano fino a pochi mesi fa il barone Antonio D’Alì, sottosegretario all’Interno forzista, Rocco Crimi, tesoriere del partito di Berlusconi, e tanti altri notabili ben più importanti: soprattutto alte cariche di Alleanza Nazionale, ma persino, secondo le vanterie del padrone di casa, Fausto Bertinotti con la signora Lella.

Democristiano di cuore antico, adoratore di Ciriaco De Mita ai tempi d’oro, Billè arrivò in piazza Gioacchino Belli, dove ancora erano fresche le ferite lasciate dal suo predecessore socialista Francesco Colucci affondato negli scandali, quando la stella di De Mita era già appannata. Tanto che il pasticciere smise di mandargli in regalo a Nusco nel giorno del suo compleanno il solito furgone refrigerato con settanta chili di gelato alla gianduia.

Fu costretto così a guardarsi intorno e a fare un po’ di "shifting" politico. Prima Segni, poi Berlusconi, per transitare a Fini quando il Cavaliere non lo fece ministro. Infine, con tanti mezzi in entrata, l’idea di un partito "fazista", dal nome dell’ex governatore della Banca d’Italia, o di un partito del Sud. Caduta la stella di Fazio, cominciata la frana dei furbetti, prima di finire nei guai per l’acquisto da Ricucci di un palazzo da 60 milioni che valeva sei o sette volte in meno, stava accarezzando l’idea di un saltafosso verso il centrosinistra, se Clemente Mastella gli avesse offerto una candidatura. Ma la tangente di 50 milioni promessa da Ricucci per l’affare Enasarco era già finita nei dossier dei magistrati.

Antico carrozzone previdenziale da sempre lottizzato dai partiti, l’Enasarco, che amministra le pensioni degli agenti di commercio, possiede decine di migliaia di appartamenti in tutta Italia. Quando Ricucci spiega che quel patrimonio si può "valorizzare" con la sua tecnica, con un girotondo di vendite e rivendite finanziate dalle banche e che può diventare l’affare immobiliare del secolo, Billè e Donato Porreca, l’uomo di Fini che presiede il carrozzone, indicono una gara cui partecipano tutti i grandi gruppi, da Generali a Pirelli, dai francesi agli olandesi e soprattutto Ricucci con la Bpl di Gianpiero Fiorani, il banchiere di riferimento di Fazio, e la Deutsche Bank di De Bustis.

Ma il pasticciere e il suo luogotenente finiano fanno un gran pasticcio: Deutsche Bank si ritira, Ricucci non riesce in extremis a partecipare e, per dargli un’altra chance, la gara viene annullata con la spiegazione che le buste di Pirelli e Morly Found sono state presentate rispettivamente con uno e nove minuti di ritardo. Con la gara, l’affare immobiliare del secolo e la tangente (almeno) del decennio, svanisce anche la Confimmobiliare, l’associazione che Billè aveva creato con Ricucci, Caltagirone, Bonifaci, Todini, Livolsi e tanti altri padroni del mattone, in concorrenza con l’analoga organizzazione confindustriale.

Un’associazione a delinquere per far soldi e potere, disse il vicepresidente di Confindustria Tronchetti. Ora "Fifty millions dollars baby" va in scena agli arresti tra gli stucchi, gli ori e i cristalli dell’Aracoeli.

(23 settembre 2006)


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