Cultura

Citazione gioachimita in letteratura marxista

lunedì 10 gennaio 2005.
 

Numerosissime sono le citazioni e i riferimenti a Gioacchino da Fiore fatti da filosofi, storici e altri, in svariate opere letterarie. Tra le tante, può subito risuonarci fuori luogo la citazione fatta da Antonio Labriola nel suo libro “In memoria del Manifesto dei comunisti”. Che cosa centra il nostro abate, forse ormai prossimo alla santità, con Labriola (una delle figure più importanti del marxismo italiano della seconda metà dell’Ottocento)? L’interrogativo è d’obbligo e proviamo ad approfondire. Il libro, scritto nel 1895, è una rilettura critica ed attualizzante del noto “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels. Veniamo alla citazione interessata. Quando l’autore arriva a distinguere la previsione storica del cambiamento della società, che sta in fondo alla dottrina del Manifesto, dalle antiche e nuove profezie e apocalissi, cita testualmente: ”L’eroico Fra Dolcino non era sorto di nuovo a levar per le terre il grido di battaglia, per la profezia di Gioacchino da Fiore”. Si aggiunga a questa una nota, non dell’autore ma della redazione che ha ristampato l’opera: ”Gioacchino da Fiore o da Flora(1130-1202),abate cistercense; predicò l’avvento di una prossima era dello Spirito Santo (...). La sua dottrina fu condannata dal IV concilio Lateranense, sotto Innocenzo III”. Da una prima lettura, sembra che fra Dolcino, eretico novarese, capo della setta degli Apostolici (morto sul rogo nel 1307) cercasse di mettere in “pratica” quelle che erano le teorie di Gioacchino. Se apriamo una enciclopedia a nostra disposizione (precisamente la “Minerva enciclopedia universale”), sotto la voce "fra Dolcino" si legge: “Proseguendo nella dottrina di Gioacchino da Fiore e predicando un ritorno della Chiesa alla semplicità primitiva... fece molti proseliti in Lombardia e nel Trentino”. C’è chi, come si legge, afferma che Dolcino sia l’erede e prosecutore del pensiero dell’abate florense. Sicuramente il novarese, come del resto numerosi religiosi e mistici di quel tempo, fu influenzato dalle teorie di Gioacchino. C’è chi inserisce Dolcino nella cosiddetta “speculazine gioachimita” del XIII e XIV secolo, considerandolo un gioacchimita tutt’altro che originale. C’è chi, addirittura, si serve di profezie fatte da Gioacchino, come fa il francescano Salimbene de Adam (1221-1287), per provare la natura eretica degli apostolici predolciniani: “...l’abate Gioacchino di questi apostoli non parla affatto nei suoi scritti, a differenza di quanto ha fatto per l’ordine dei frati Minori e Predicatori(...). Se fossero stati inviati da Dio, l’abate Gioacchino non li avrebbe fatti passare sotto silenzio.” Ritorniamo alla “nostra” citazione, e precisamente alla condanna data al pensiero gioachimita dal Vaticano. Molti sangiovannesi, compreso chi scrive, conoscono poco Gioacchino. Molti di più sicuramente non conoscono questo “scontro”, tra la Chiesa ed il nostro abate. Innocenzo III, il papa che incontrò il poverello d’Assisi e approvò la regola e l’Ordine di S. Francesco, convocò, per il primo di Novembre del 1215, il Concilio Laterano Quarto. Nel secondo decreto, il concilio condannò l’insegnamento dell’abate florense riguardo alla trinità, esposto nel libro “Contro Pietro Lombardo”. Lo storico Jane Sayers nella sua biografia su Innocenzo III, a proposito di questo evento così si esprime: “...il concilio si spinse fino al punto di definire compito preciso di vescovi e governanti secolari combattere l’eresia in diocesi e regni.” Lo stesso Sayers nel suo libro afferma: ”Si può forse ipotizzare che la Chiesa abbia trovato particolarmente da ridire sulla terza epoca profetizzata da Gioacchino, nella quale la Chiesa non avrebbe potuto più conservare il compito di amministrare i sacramenti: la Chiesa delle gerarchie e dei simboli secondo Gioacchino doveva infatti essere sostituita dalla Chiesa delle realtà spirituali, basata sulla conteplazione, la carità e la pace”. Bisognerà aspettare il 17 Dicembre del 1220, perché il Vaticano torni a proclamare ufficialmente l’ortodossia di Gioacchino. In quella data, papa Onorio III inviava all’Arcivescovo di Cosenza e al Vescovo di Bisignano una bolla pontificia in cui veniva confermata l’appartenenza alla Chiesa cattolica dell’abate e del suo Ordine (“...virum catholicum reputamus”). Sicuramente “non da reputare uomini cattolici”, sono i valdesi Gustavo Buratti e Corrado Mornese, che oramai da anni, con il loro Centro Studi Dolciniani di Biella, con convegni, riviste e libri, legano il pensiero gioachimita e dolciniano anche ai moti operai e contadini e a movimenti libertari ed egualitari. Il filo che lega il messaggio gioachimita alla trasformazione socialista della società lo descrive benissimo Sante Fedele, nel suo libro sui fasci siciliani “Un milite ideale” : “...nessuna contrapposizione al sentimento religioso degli umili; anzi ripresa del tema, comune al socialismo italiano delle origini, della figura del Cristo, primo socialista della storia, contrapposta allo stravolgimento ed al tradimento del messaggio cristiano operato da un clero asservito in maggioranza agli interessi dei potenti(...). Emerge altresì la forte tensione ideale, al limite dello slancio utopico e dell’escatologia millenaristica”.

Francesco Scarcelli


Rispondere all'articolo

Forum