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POLITICA E "QUESTIONE MERIDIONALE". Una nota sull’allarme Svimez di Giorgio Ruffolo - a cura di Federico La Sala

«L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà». Questa profezia mazziniana rischia di avverarsi nel senso peggiore
venerdì 1 luglio 2016.
 


Il nuovo partito del Sud e l’antica questione meridionale

di Giorgio Ruffolo (la Repubblica,27.07.2009)

«L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà». Questa profezia mazziniana rischia di avverarsi nel senso peggiore. L’ultimo rapporto Svimez dà l’allarme: non solo non si è ridotto il divario tra Nord e Sud, ma è apparso quello tra l’Italia nel suo insieme e gli altri grandi paesi europei.

Il peggio è che, mentre non è diminuito il divario, si è ridotta, fin quasi a scomparire, l’attenzione politica verso la questione meridionale. Essa era stata individuata, non come un problema territoriale, ma come la questione critica dell’unità nazionale. Oggi è praticamene uscita dall’agenda politica e sostituita da una questione settentrionale che punta piuttosto alle divergenze che all’unità.

Il dualismo italiano era stato denunciato dai grandi meridionalisti come il più grave fallimento dell’impresa risorgimentale. L’annessione del Mezzogiorno al resto del paese si era verificata non come liberazione ma come occupazione. Non come rivoluzione nazionale e sociale, ma come conquista regia. E ciò era apparso in tutta la sua tragica evidenza durante quella che fu definita guerra del brigantaggio e che fu in effetti una guerra di repressione vinta dalla monarchia contro il Mezzogiorno e soprattutto contro il suo mondo contadino.

Alla fine dell’ultima guerra la Repubblica aveva finalmente adottato una grande politica meridionalistica, impostata tutta su un intervento economico straordinario e mirante alla riduzione del divario attraverso la costruzione nel Sud delle infrastrutture necessarie allo sviluppo e alla promozione di investimenti industriali, privati e pubblici. La prima parte del programma fu un grande successo: la Cassa del Mezzogiorno realizzò imponenti programmi di bonifica, di irrigazione, di articolazione di una vasta rete di trasporti e di comunicazioni. La seconda è stata sostanzialmente un fallimento.

La ragione essenziale - lo dico in modo consapevolmente provocatorio - sta nell’affidamento della gestione delle ingenti risorse destinate a questo scopo a una classe politica regionale complessivamente incapace: clientelare, incompetente e peggio. Dico complessivamente perché, come afferma Luciano Cafagna, accanto a grands commis moderni e moralmente adamantini, si contano «baroni ladri, banditi di passo e pirati della Malesia». Di qui «le oscure commistioni fra politica, clientelismo, affarismo, criminalità mafiosa cui, involontariamente ma spaziosamente, si apriva un eccezionale varco tecnico, allargatosi con gli anni via via che la democrazia si faceva partitocrazia e l’amministrazione diventava un giro d’affari». Di qui i due grandi problemi attuali del Mezzogiorno: la rivolta del Nord contro i trasferimenti al Sud e la deriva criminale mafiosa del Sud. Quanto alla prima, cito ancora Cafagna: «Non si può accettare che il foraggio destinato all’allevamento di cavalli di razza venga versato direttamente, invece, a ratti, zoccole e pantegane che si mangeranno poi anche i cavalli». Quanto alla seconda, la degradazione dell’amministrazione pubblica consegna vaste parti del territorio all’amministrazione privata criminale delle mafie. Questo è il tremendo rischio che il Mezzogiorno sta correndo.

Dunque, il problema del divario non dipende dall’insufficienza delle risorse trasferite al Mezzogiorno, ma dall’inefficienza (9 miliardi di euro destinati al Sud sono stati trasferiti dai fondi europei ad altre destinazioni per incapacità di utilizzazione) e dalla corruttela (vedi il crescente numero delle amministrazioni locali "sospese").

La "regionalizzazione" del Mezzogiorno non ha democratizzato la gestione delle risorse affidate alla classe politica. Diversamente dal Nord, le regioni meridionali non possono contare su salde tradizioni storiche di autonomia che costituiscano la base della loro educazione politica; mentre ha fatto perdere il senso unitario del problema.

La proposta che oggi si affaccia, di un partito del Sud, avrebbe, se emendata da disegni opportunistici, un suo comprensibile fondamento politico nella necessità di riproporre la questione meridionale come grande problema nazionale, elevandone il livello: di formare una vera e nuova classe dirigente meridionale affrancata dai condizionamenti clientelari locali e capace di esprimere la domanda politica del Mezzogiorno.

Non si tratta però soltanto di un "partito" del Sud. Si tratta di riprendere l’antica battaglia dei meridionalisti federalisti, come Guido Dorso e Gaetano Salvemini, per un governo autonomo del Mezzogiorno nell’ambito di un regime nazionale autenticamente federalista: che intenda cioè il federalismo come grande patto nazionale unitario e non come redistribuzione del carico fiscale.

Compito fondamentale di quel Governo dovrebbe essere di concentrare i mille rivoli nei quali si disperdono i trasferimenti al Sud in un solo grande piano di risanamento urbano: il solo strumento capace di riconquistare alla vita civile e democratica i territori caduti sotto il controllo delle mafie


Sul tema, nel sito, si cfr.:

ISTAT 2008. POVERA ITALIA, POVERO SUD. 8 milioni 78mila le persone povere, il 13,6% dell’intera popolazione!!!


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