Le monadi dell’esilio

Non è candidatura alla lettera, quella di Masciari. Nostra provocazione, testimone Esempio per Calabria, dove la politica latita

mercoledì 4 novembre 2009.
 

La notizia è che il testimone di giustizia Pino Masciari ha dichiarato che accetterebbe una candidatura a sindaco. Qui, a San Giovanni in Fiore, dove nel 2005 il filosofo Gianni Vattimo, oggi deputato europeo di Idv, si propose alla guida del municipio con lista e programma propri; fuori dei partiti, diffidenti come due religiosi locali che lo definirono “il diavolo venuto da Torino”, “pericoloso per i giovani”, forse alludendo alla sua “gayaggine”. “Chi è Masciàri, con chi ha parlato, che vuole?”, si chiedono alcuni dei politici sentiti a riguardo.

Spesso lettere e accenti sono determinanti, e chiariscono le idee senza equivoci. Gavrilo Princip, e non un principe, uccise l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico. Poi scoppiò la prima guerra mondiale. Così, lèggere è altro da leggère. Originario di Serra San Bruno (Vv), Màsciari è un imprenditore edile, da tempo in località segreta per aver denunciato ’ndrangheta e poteri collusi, con la condanna degli onorati Nicola Arena e Damiano Vallelunga, assassinato prima della sentenza, e di Saverio Damiani, giudice del Tar della Calabria, poi del Consiglio di Stato. Per Masciari, fatturato di miliardi con la pensionata lira, lavoravano duecento dipendenti. Cantieri anche all’estero, mai irregolarità contabili o amministrative.

Tutto bene, espansione progressiva. Nella legge. Finché - è la regola in questa regione, controllata da capoccia più sornioni e persuasivi dei colleghi mammasantissima - le cosche l’invitano a mollare pizzi e tangenti, assumere loro amici, fornire beni e servizi alle “famiglie”. Nella ionica, in un incontro ravvicinato gli dicono, riferisce: “Sopra di noi c’è solo il Padreterno, e tu sei un bravo ragazzo, sveglio; noi possiamo il mondo, ti conviene seguirci”. Masciari rifiuta la “ghiotta” offerta. Le pressioni di “Cosa nuova” lo costringono a fallire. In tribunale, decreterà la fine dell’azienda il magistrato Patrizia Pasquin; poi condannata in altro procedimento per falso, truffa aggravata ai danni dello Stato e corruzione in atti giudiziari. Masciari racconta tutto alle forze dell’ordine, le intimidazioni, i progetti, i protagonisti. Le complicità nelle istituzioni.

L’eroica scelta, emblematica per Calabria ed Italia, gli costa un lungo esilio. In corso. Marisa, la moglie, perde il suo studio dentistico; Francesco e Ottavia, i bambini, crescono senza i nonni, lontani, e vivono ogni giorno il rischio, l’ansia dei genitori.

Dopo, Masciari parla ancora. Scorta a singhiozzi, va nelle scuole, tra la gente, ovunque. Fa i nomi, spiega la Costituzione, racconta la sua storia e quella d’una Calabria piegata dal malaffare e da una politica che gli chiedeva il 6%; la metà pretendeva la ’ndrangheta, più “umana”. Diventa noto, una bandiera. Lo sostengono migliaia di amici. Nel reale e sulla rete. Portano una maglia con scritto "ho le prove”. È rigoroso Masciari, ligio al dovere, si sente “un granello dello Stato”, a cui s’appella per la propria sicurezza in seguito a una delibera del ministero dell’Interno. Il Tar del Lazio si pronuncia. Sotto un sole cocente di primavera, si piazza davanti al Quirinale perché il presidente della Repubblica gli garantisca serenità per sé e i suoi cari. Partecipa alla marcia delle Agende rosse, organizzata a Palermo da Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo. In coincidenza, viene rinvenuto un ordigno nei pressi d’una finestra della sua abitazione in Calabria. Passano mesi, nella notte degli sconosciuti gli entrano in casa, dove dimora nel programma di protezione. Li scaccia.

“E con San Giovanni in Fiore che ha da fare?”, s’interroga l’assessore comunale alla Salute Tonino Candalise (Pd), che comunque lo ringrazia. “Perché ha scelto questo luogo?”, aggiunge sorpreso e spiazzato, sperando che “venga a illustrarci i suoi progetti” e ammettendo: “Già Vattimo lo trattammo parecchio male”.

In astratto, ho posto io la questione a Masciari, mio amico. Per aprire un dibattito costruttivo, a partire dal suo esempio. Ho la tessera. Di giornalista. Il testimone, che per lo Stivale incontro sovente, ha auspicato “un’educazione alla rettitudine nella nostra terra”, “uno sforzo della Chiesa, che ha un ruolo fondamentale per la sana formazione delle coscienze e con la sua autorità deve isolare mafiosi e speculatori”. “Non è più possibile - tuona Masciari - vedere la Calabria, che amo col cuore, avvelenata, segnata da logiche clientelari, devastata; sparente. Per cui sosterrò sempre chi, con purezza e coraggio, si batte per il suo futuro. Senza pregiudizi verso le parti, in un progetto politico per San Giovanni in Fiore non mi tirerei indietro, se basato su un rinnovamento radicale. Dovessi rappresentare io il candidato sindaco od altri”.

Pierino Lopez (Sdi), assessore comunale ai Lavori pubblici, commenta: “Qui abbiamo una classe politica onesta, trasparente, per cui non intendo il senso di questa novità su Masciari. Non penso che possa essere il candidato sindaco. Viene da fuori. Certo, se si trattasse di Riccardo Nencini (presidente del consiglio regionale toscano, nda), del mio partito, sarei favorevole. Ma credo che il candidato debba essere della città, indicato dagli schieramenti. Il nostro è l’attuale sindaco, Antonio Nicoletti (Sdi). Lo sfidante sarà probabilmente Antonio Barile (Pdl), il quale però non vuole indietreggiare, in una prospettiva di rigenerazione della politica”.

Barile pensa che “una candidatura di Masciari possa determinare un livello di attenzione molto più alto sulle nostre priorità e riaprire un confronto politico vero”. Marco Militerno, di Vattimo per la città, precisa: “Vediamo come va con le Primarie aperte. In ogni caso, Masciari è figura straordinaria, benissimo una sua candidatura. Peraltro, è un emigrato, ovviamente per obbligo. Noi abbiamo sempre difeso le ragioni degli emigrati e sposato la causa della giustizia. Dal consiglio comunale non ho avuto risposte alla mia richiesta d’intitolare una strada al magistrato Antonino Scopelliti”. E Angelo Gentile, dei Socialisti di Zavattieri: “Il candidato sindaco è scelto dai partiti accettando un programma condiviso. Questa è politica credibile”.

Franco Laratta, deputato e segretario locale del Pd, afferma: “La nostra è una realtà probabilmente unica in Calabria. Forse in Italia. Il sindaco deve farlo la migliore persona di San Giovanni in Fiore. Temo che non ce la faremo senza uno scatto d’orgoglio dei nostri cittadini, senza una proposta ’forte’ della nostra società che possa mettere a disposizione delle istituzioni un’energia fresca, competente, capace”.

Quindi, Laratta manifesta le sue preoccupazioni, e anticipa: “Temo, soluzioni deboli della politica alla grave crisi che attraversa la città. Ma è sui suoi uomini migliori che bisogna spingere”. “Dall’esterno - specifica -, e non parlo di Pino Masciari che conosco e stimo tanto, ma di chiunque altro non fosse figlio di questa terra, non possono arrivare risposte ai nostri problemi”. Il parlamentare conclude: “È da ’dentro’ che dobbiamo attenderle. Anzi, cercarle con decisione e caparbietà. Perché, e ne sono convinto, ci sono”.

Mario Oliverio (Pd), presidente della Provincia di Cosenza, vede e sente benissimo. Ma non ci risponde. Per l’ennesima volta. “È oberato”, rimarca il suo portavoce. Se Laratta ha ragione, la città di Gioacchino è come il San Sebastiano del Garofalo? A futura memoria.

Emiliano Morrone

Su "il Crotonese" del 30 ottobre 2009, a pag. 29


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