Privatizzazione dell’acqua pubblica: Acea, Veolia e la Lobby

martedì 10 agosto 2010.
 

di Andrea Succi

“Acqua bene comune!”, si urla ai quattro venti tralasciando la realtà: l’acqua non è più pubblica da anni, dal Dicembre del 1993 più precisamente, quando il Parlamento approvò la famosa legge Galli, che apriva il settore ai privati. Non a caso fu votata subito dopo Tangentopoli, quando c’era da ricostruire il rapporto di fiducia tra politica e impresa, in attesa di un salvatore che di lì a breve sarebbe arrivato.

Come ogni legge che si rispetti anche questa utilizzava toni severi (“Tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche”) a fronte di una facile scappatoia inserita nell’articolo 20:“Concessione della gestione del servizio idrico a soggetti non appartenenti alla pubblica amministrazione”.

Nascono così le società a capitale misto, che all’inizio prevedono una forte maggioranza del pubblico e nell’ultimo periodo vogliono un capitale privato “non inferiore al 40%”, con ottime prospettive di crescita (decreto 135-2009).

In Molise - e persino nel resto d’Italia - nonostante dichiarazioni roboanti tese a contrastare “la privatizzazione del servizio idrico”, le multinazionali operano già da anni sia sul versante campano-laziale che su quello adriatico. Se fossimo in guerra (la guerra per l’acqua?), la si potrebbe chiamare operazione a tenaglia, quella che coinvolge i comuni di Sesto Campano, Conca Casale e Termoli.

Sesto Campano è finito in mano all’Acqua Campania Spa, controllata dal Gruppo ENI e partecipata dalla multinazionale francese Veolia (tramite SIBA, società dei Pisante, vedi La Voce di Marzo 2008) proprietaria anche dell’inceneritore Energonut di Pozzilli, comune a un tiro di schioppo da Sesto Campano.

Il capitale di Veolia - che di francese ha oramai ben poco - è tutto o quasi in mani statunitensi, visto che i principali owners sono la Wellington Management Company LLP, l’Invesco PowerShares Capital Management LLC e il Vanguard Wellington Fund, Inc., dell’onnipresente Vanguard Group. Gira e rigira spuntano sempre i soliti fondi d’investimento internazionali, controllati da persone su cui da tempo punta l’attenzione il prestigioso giornalista investigativo Daniel Estulin (“Il Gruppo Bilderberg”).

Ma se da un lato può apparire surreale e cospirazionista la Bildergerg-Story, dall’altro risulta oltremodo esaustiva e concreta la vicenda di Acqualatina Spa, che ha vessato i cittadini con bollette talmente alte da costringere la cittadinanza di Aprilia a rifiutarsi di pagare.

Cos’è Acqualatina? È una società a capitale misto in cui il privato, che possiede il 49% delle quote, è capeggiato da Veolia assieme a Enel Hydro e Siba, due imprese con quote marginali facenti capo proprio ai Pisante.

Tra le compagnie partecipate da Veolia (al 20%) ce n’è una di particolare interesse - la Geal Lucca Spa - che lega i francesi ad un potente gruppo italiano, la multiutility romana Acea SpA., cui sono riconducibili le due controllate che si occupano di acquedotto, fognatura e depurazione nei comuni molisani di Conca Casale e Termoli: rispettivamente l’Ato 5 Frosinone Spa e la Sigesa.

Il caso giudiziario più eclatante che ha coinvolto la Spa capitolina scoppia tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, periodo in cui la Guardia di Finanza di Frosinone accerta che Acea - tramite l’Ato 5 Spa - tartassava gli utenti della provincia ciociara con bollette illegittime per milioni di euro e aumenti superiori al 20%, applicati anche retroattivamente.

Di contro, l’utenza riscontrava “un aumento vertiginoso delle rotture, una riduzione nella quantità d’acqua erogata e un peggioramento della qualità dell’acqua”, sottolinea Severo Lutrario, Presidente del Coordinamento Provinciale per l’Acqua Pubblica, “senza considerare che nel Comune di Ceccano si sono registrati almeno 3 superamenti della percentuale di arsenico nell’acqua, di cui il primo comunicato alla popolazione con un ritardo di venti giorni”.

Una gestione disastrosa, quella del servizio idrico nell’Ato 5 laziale, che Acea continua a curare dalla fine del 2003 nonostante la Segreteria Tecnica (dell’Ato) abbia certificato 26 macro-inadempienze. Che sono state sistematiche e continuate.

Lutrario denuncia una situazione che ha dell’incredibile: “Acea, che ha vinto la gara d’appalto, si è offerta di svolgere il servizio a un determinato prezzo stabilito anche per i successivi trenta anni, periodo in cui la cifra doveva essere rivista soltanto in base all’inflazione. Invece, dalla prima fatturazione, Acea ha preteso e ottenuto di poter applicare tariffe più alte, a Frosinone si è sfiorato il 60% in più. E questa in realtà è una turbativa di mercato.”

Ma la faccenda è ben più complessa.

Nel 2007 Acea rileva formalmente che le condizioni degli impianti di rete non sono quelle pattuite nel bando e chiede “maggiori oneri per circa 27 milioni di euro”: in parole povere altri aumenti. La popolazione protesta vibratamente, anche perché - fa notare Lutrario - “per legge e per contratto il gestore poteva rilevare le incongruenze tra le condizioni appaltate e i termini d’appalto entro il primo anno di gestione”.

E invece erano passati già più di tre anni.

Partono i primi reclami - spediti ad Acea, al Garante Regionale, alla Procura e al Co.Vi.Ri. - che con il tempo saranno sempre di più fino a raggiungere quota diecimila. Reclami.

Grazie alla forte dignità dei cittadini iniziano le indagini, condotte dalla GDF locale, che però quasi inspiegabilmente il 20 Gennaio 2009 convoca - insieme alla Procura - una conferenza stampa per comunicare che “è in corso un’inchiesta in cui sono indagati amministratori pubblici e vertici di Acea-Ato5 Spa”.

Perché avvisare stampa, cittadinanza e possibili sospetti, di un’inchiesta dalla quale stanno emergendo fatti molto gravi? A rigor di logica e di norma il rituale non dovrebbe essere questo.

Sui nomi - da allora - regna il massimo riserbo. O meglio, tutti sanno ma nessuno parla.

Il segreto di Pulcinella è che tra gli indagati figurino nomi importanti della politica locale, qualcuno molto ben informato fa il nome dell’ex Presidente della Provincia Scalia (ora assessore regionale), che in veste di Presidente dell’Ato non solo “non ha tutelato gli utenti della Provincia di Frosinone” - ricordano i suoi avversari politici - ma soprattutto ha concesso ad Acea 10 milioni e 700 mila euro come contentino dei 27 milioni illegittimamente richiesti per carenze negli impianti.

Nonostante due Advisor - nominati proprio da Scalia - avessero certificato nero su bianco che Acea in alcun modo poteva accampare pretese di denaro e in alcun modo portava documenti a sostegno della sua tesi, “il Presidente Scalia ha fatto approvare la delibera 4-2007 - senza portare la relazione degli advisor e quindi manipolando l’Assemblea dei Sindaci - in cui c’è una revisione della tariffa calcolata in maniera tale da riconoscere ad Acea questi 10 milioni e 700 mila euro della transazione”.

Questo è il nocciolo duro dell’inchiesta, e spetterà alla magistratura verificare la consistenza o meno del reato. Fatto sta che il 27 Gennaio 2009 Scalia viene sconfessato dalla Conferenza dei Sindaci, che all’unanimità decide di conformarsi alla diffida del Co.Vi.Ri. - datata dicembre 2008 - in cui si intimava all’Ato 5 (presieduto proprio da Scalia) di revocare le delibera del 2007 ritenute illegali e illegittime.

E qui, come in un film di Poirot, la faccenda si tinge di giallo.

Fino ad inizio 2009 le carte da vagliare erano in mano all’ormai ex Procuratore Capo Margherita Gerunda e al sostituto Tonino Di Bona. Il 13/05/09 accade il colpo di scena: la Dott.ssa Gerunda - che sta facendo colazione nel solito bar - ordina un bicchiere d’acqua e stramazza a terra, perché in effetti quella non era acqua ma soda caustica. Un normale incidente? Secondo Camillo Savone, da vent’anni giornalista del Tempo, uno degli ultimi a intervistare l’ex Procuratore Gerunda, “è difficile ipotizzare un avvelenamento ai suoi danni, però anche su questo strano episodio la magistratura ha aperto un’inchiesta, per lesioni colpose.”

La Gerunda riesce a salvarsi, ma non fa in tempo a tornare che si ritrova trasferita d’ufficio perché - in seguito ad una segnalazione anonima - viene accusata di aver assunto un collaboratore neolaureato, a cui avrebbe permesso l’accesso a documenti coperti da segreti istruttorio. E quando viene nominato il successore la Gerunda lascia, rassegnando le dimissioni e chiedendo la pensione anticipata. Tutto questo accade tra Maggio e Novembre 2009.

Nel frattempo le elezioni provinciali - segnate dalla sconfitta di Scalia - avevano impedito che l’Assemblea dei Sindaci si riunisse, fino al 21 Dicembre 2009 quando il nuovo Presidente Iannarilli approva una mozione con cui vengono revocate le delibere del 2007 e viene disposta la restituzione (agli utenti) dei soldi indebitamente percepiti da Acea.

L’aspetto più interessante è però un altro: “L’Assemblea dei Sindaci, che poi è l’atto di Governo del servizio idrico integrato, dichiara che le carenze nella gestione sono tali da rendere il servizio non rispondente a quanto previsto nel disciplinare tecnico allegato alla convenzione. Per contratto questa è condizione per l’applicazione della clausola di risoluzione dell’art. 1456 del Codice Civile.” Che tradotto significa: “te ne devi andare perché non hai rispettato il contratto”.

E Acea che fa? Per tutto Gennaio 2010 continua ad inviare fatture con tariffe illegali. Chiaro che se a fare reclamo - e a non pagare - sono soltanto diecimila persone su centomila utenti, la società capitolina si trova quasi costretta a spremere il limone finchè possibile.

Su tutt’altre posizioni il Coordinamento Provinciale per l’Acqua Pubblica di Frosinone, che si aspetta la chiusura dell’inchiesta e la restituzione dei soldi in tempi brevi: chiaramente è motivo di vanto l’aver vinto tutte le battaglie, quasi a voler ribadire che loro sono il martello e Acea l’incudine.

Una situazione simile potrebbe verificarsi anche a Termoli, dove in più di un’occasione la cittadinanza ha lamentato problemi per la fornitura di acqua potabile e il Comune si è ritrovato a pagare bollette da capogiro senza spiegare fino in fondo se la colpa fosse di Sigesa (Gruppo Acea) o dell’amministrazione locale. Nessun dubbio invece sui presunti vantaggi, per la popolazione, derivanti dalla privatizzazione del servizio idrico: ectoplasmi.

Questo accade per un motivo molto semplice, interno alla natura stessa di un mercato di tipo oligopolistico, dove la scarsità di concorrenza sfocia in un arcipelago di sigle riconducibili a pochi selezionati gruppi di potere.

Esiste un partito trasversale costituito da lobbies che si occupano anche di acqua e rifiuti, che fanno affari tra di loro nascondendosi in improbabili scatole cinesi, e a riprova di ciò basta leggere il Bilancio Semestrale Abbreviato presentato al Consiglio di Amministrazione del Gruppo Acea nel Luglio 2008: “La Enercombustibili (Gruppo Acea) ha firmato un contratto con la società Energonut (Gruppo Veolia), di conferimento di 15.000 ton anno di CDR all’impianto di Pozzilli.”

Spesso s’incrociano i destini finanziari di Acea e Veolia.

Ragionando a più ampio raggio si può dire che altrettanto frequenti sono i legami tra i grandi gruppi che in Italia si occupano di energia, ambiente, trasporti e acqua, vale a dire Eni, Suez, Hera, Acea e Veolia: un banalissimo cartello tra squali che non osano scannarsi, anche perchè sostenuti finanziariamente e politicamente dai medesimi gruppi di potere.

Per esserne sicuri basta spulciare nel portafoglio del fondo d’investimenti Performance Environnement, controllato dalla società di gestione indipendente Financière de Champlain (la maggioranza del capitale è in mano ai suoi dirigenti): spuntano i nomi di Acea, Veolia, Suez ed Hera.

E a ben guardare i conti di Financière de Champlain, salta fuori la proprietà del 5,09% di azioni di Sadi Servizi Industriali Spa, nel cui consiglio di amministrazione siede quel Franco Castagnola presente dal 1974 al 2006, con ruoli sempre più importanti, nel Gruppo Eni. Insomma, tutti insieme appassionatamente, ma i legami non finiscono qui.

Dello gruppo Eni è Amministratore Delegato Paolo Scaroni (nel 1996 patteggiava una condanna per tangenti) che siede nel consiglio di amministrazione di Veolia e del Sole 24 Ore, possiede azioni del Milan regalategli direttamente da Berlusconi ed è in buoni rapporti anche con Pierluigi Bersani. Il quale, forse non a caso, trova sempre occasione per elogiare Veolia e attaccare chi contesta gli inceneritori, vedi la diatriba con i medici dell’Emilia Romagna..

Figura chiave è Giuseppe Grossi l’Amministratore Delegato di Sadi Spa, società che fa da anello di congiunzione tra i grandi gruppi di cui abbiamo parlato: imprenditore di area cattolica, è partito dall’Ilva di Taranto per diventare il “Re delle discariche” (Repubblica, 20 Nov 2009).

Grossi finisce agli onori delle cronache nazionali il 20 Ottobre 2009 e il suo caso ricorda molto da vicino quello di Mario Chiesa: le accuse sono tante, nei palazzi di giustizia lombardi si parla apertamente di una nuova tangentopoli, Gianni Barbacetto denuncia “riciclaggio e fondi neri”( Il Fatto, 14 Gen 2010).

Secondo la Procura di Milano i costi degli appalti per la bonifica e costruzione dell’area Montecity-Santa Giulia (Rogoredo) sono stati gonfiati allo scopo di creare fondi neri per finanziare i partiti e riceverne, evidentemente, favori in cambio.

Staremo a vedere se questa nuova tangentopoli, di cui si parla ancora molto poco, coinvolgerà anche i grandi pupari facendo chiarezza sui rapporti tra i gruppi economico-finanziari e il partito politico (assolutamente trasversale) delle privatizzazioni.


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