di Andrea Succi
Partita nel 2001 dalla Procura di Campobasso come semplice azione di controllo del territorio, è cresciuta fino a coinvolgere la Procura di Reggio Calabria, i G.I.C.O. di Milano, la Polizia colombiana e la DEA.
Le indagini, durate cinque anni e culminate la notte tra il 21 e il 22 Novembre 2006, hanno colpito il gotha del narcotraffico internazionale generando scossoni nella società colombiana: 80 arresti tra cui Salvatore Mancuso, erede di Pablo Escobar nonché ex leader paramilitare delle AUC; Alfredo Celso Salazar, braccio operativo di Mancuso; alcuni componenti della famiglia Sale, legati a Mancuso e alla ‘ndrangheta, definiti dalla sociologa Renate Siebert “i colletti bianchi del narcotraffico”; Francisco Javier Obando Mejía, braccio operativo dei Sale. Per tutti l’accusa è di aver costituito un’associazione a delinquere finalizzata alla produzione di cocaina, al narcotraffico internazionale e al riciclaggio del denaro sporco.
Il 13 Maggio 2008 Salvatore Mancuso, detto “El Mono”, viene estradato negli Stati Uniti, dove decide di collaborare con gli inquirenti rivelando solo in parte quello che tutti sospettavano: sulle sue spalle pendono 10.000 omicidi, negli ultimi dieci anni avrebbe smerciato 30.000 tonnellate di polvere bianca in partnership con la ‘ndrangheta, la mafia che detiene il monopolio mondiale della coca.
Le AUC, le Autodefensas Unidas de Colombia, guidate da Mancuso, controllavano tutto il territorio nord del paese, obbligando i contadini a coltivare la coca e disponendo quindi di terre vaste e produttive. Mancuso era il grossista che vendeva ai broker della ‘ndrangheta ad un prezzo massimo di 3.000 dollari al chilo: piazzando solo la metà del quantitativo di coca imputatogli, avrebbe incassato circa 45 miliardi di dollari. L’uomo delegato al reinvestimento del denaro illecito era Alfredo Celso Salazar, che ha riconosciuto le sue responsabilità e il 28 Marzo 2008 è stato condannato a 81 mesi per narcotraffico e riciclaggio di denaro. Salazar operava a stretto contatto con l’uomo dei Sale, Francisco Javier Obando Mejía, anche lui condannato (49 mesi) per narcotraffico e riciclaggio.
Ai Sale invece è andata meglio.
Il PM di Roma Giuseppe Amato, che ha rilevato per competenza le indagini, solo in parte ha confermato le ipotesi investigative del sostituto Procuratore di Campobasso, Rossana Venditti, e del PM di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, i quali sostenevano che il rapporto tra Mancuso e i Sale fosse di tipo criminale, il narcotraffico, e di tipo finanziario, il “lavado de dinero”. Il 19 Gennaio 2007 vengono depositati gli atti, l’inchiesta si chiude e parte un processo lampo che porta alla condanna in primo grado di Giorgio e Cristian Sale, rispettivamente a 9 e 14 anni, per associazione a delinquere finalizzata alla produzione e al traffico di sostanze stupefacenti.
L’accusa di riciclaggio cade nel vuoto.
Ma perché parlare oggi di questioni apparentemente risolte?
Mentre in Italia tutto tace, mentre Giorgio Sale si trastulla a Rebibbia in attività teatrali con alcuni dei peggiori criminali italiani (Giancarlo Porcacchia, Giancarlo Polifroni, Salvatore Pelle, Antonio Bumbaca, Nunzio De Falco e altri..), mentre nel Belpaese l’informazione corre dietro a mignotte e fannulloni, la Fiscalìa colombiana fa tremare il paese e chiama in causa la famiglia Sale. Ma prima di arrivare a questo punto, facciamo un passo indietro e proviamo a ripercorrere le tappe fondamentali dell’inchiesta che ha portato agli arresti del Novembre 2006.
L’operazione “Galloway-Tiburon” parte nel 2001, quando il sostituto procuratore di Campobasso Rossana Venditti intuisce che Antonio Anastasio - scontata la pena per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti - decide di restare in Molise perché è in contatto con un faccendiere di Isernia, tal Di Lemme, che a Londra utilizza un’attività di import-export per coprire “movimentazioni finanziarie con la Colombia”. Di Lemme non è uno qualunque. Non è certo un boss, ma lavora per “soggetti impegnati a trafficare in Europa, particolarmente in Spagna, ingenti quantitativi di cocaina, e nel far rientrare in Colombia i cospicui profitti, sotto apparenza di liceita`.”
I soggetti in questione sarebbero i Sale. La famiglia Sale. Giorgio, il padre 65enne, e i figli Cristian, Stefano e Davide - imprenditori romani sconosciuti in Italia e stimati in Colombia - gestiscono diverse attività commerciali nella zona nord del paese, in un territorio dominato dai paramilitari di Salvatore Mancuso.
La Procura di Campobasso decide di intercettare gli uomini legati ai Sale, penetra nei loro computer e svela un’intricata matassa di relazioni mafiose sull’asse Colombia-Calabria. Ma la mole di lavoro rischia di schiacciare la piccola Procura molisana e la Venditti chiede l’appoggio del PM di Reggio Calabria Gratteri che, casualità, già indagava sui Sale in collaborazione con i G.I.C.O. di Milano.
A questo punto tutti i fascicoli giudiziari convergono nelle mani di Gratteri.
In Colombia Giorgio Sale è proprietario di conti bancari, immobili e società - tra cui L’Enoteca Atlantide Ltd e Made in Italy - e il suo ristorante di Barranquilla è frequentato da illustri magistrati, tra cui varie figure della Corte Suprema di Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Sale conduce i suoi affari da Roma. Senza sapere di essere controllato.
“Il 16 ottobre 2003 invia a Salvatore Mancuso una e-mail dall’Hotel Pratesi di Roma”. Il messaggio di risposta di Mancuso non si lascia attendere:”Ti parla il tuo amico di Monteria (città natale Mancuso, ndr), con il quale faremo la transazione del ristorante, sono pronto, spero che mi chiami”. A metà 2004 gli investigatori italiani capiscono chi sono i personaggi che rappresentano i due amici:”Il contatto di Mancuso è Alfredo Celso Salazar, e l’uomo di Giorgio Sale Francisco Javier Obando Mejía.”
Gli inquirenti affermano che lo stesso Sale ha ospitato in Italia Alfredo Celso Salazar, inviato da Mancuso per realizzare grandi operazioni di riciclaggio. Il rito abbreviato, a cui Obando e Salazar si sono sottoposti, ha dimostrato come Mancuso non abbia mai smesso di trafficare coca e riciclare denaro nonostante la Ley de Justicia y Paz. Solo attraverso l’Enoteca Atlantico di Barranquilla, società di cui facevano parte Giorgio Sale, Stefano Sale e lo stesso Salazar - rappresentante al 50% del Mono - sarebbero stati lavati 600 milioni di euro.
Ora le autorità americane hanno una carta in più da giocarsi nel giudicare Mancuso: la gigantesca operazione di riciclaggio che costruì con l’impresario italiano Giorgio Sale. Le ragioni del profondo rapporto tra i due sono da ricercare nella Ley de Justicia y Paz, approvata dal congresso colombiano nel 2005 con l’obiettivo di smilitarizzare e reintegrare in società le forze paramilitari. La Ley poteva rappresentare l’inizio di un incubo, vale a dire l’estradizione negli Stati Uniti, e Mancuso cercava un modo per farla franca, ad esempio un passaporto italiano che gli garantisse una serena latitanza nel Belpaese.
Giorgio Sale viene intercettato mentre spiega al figlio Davide che “lui (Mancuso) sta alla fine del processo di pace, sicuramente gli daranno un paio di anni e poi se ne viene in Italia. Dobbiamo preparare la casa, abbiamo una grande opportunità...però io non posso lavorare gratis.”
Sale non lavorava mai gratis, anzi.
Pare che prima di mettersi in proprio - grazie all’amicizia con Mancuso - fosse lo scudiero di Roberto Pannunzi, uno dei peggiori broker del narcotraffico, arrestato a Madrid insieme al figlio Alessandro il 4 Aprile 2004 nell’operazione Igres, secondo la quale Pannunzi stesso era il referente delle famiglie Trimboli-Marando di Platì.
Andrea Amato, nel suo reportage “Coca Connection”, ricorda che “secondo l’operazione Jumbo, della Procura di Milano, anche Cristian Sale era in contatto con i Trimboli di Platì”.
Il 16 Agosto 2006 il Presidente Uribe, noto per i suoi rapporti con i paramilitari di destra, mette in scena un arresto farsa, quello di Salvatore Mancuso, prelevato nella sua casa di Monteria alle 11 di mattina e portato in commissariato insieme alla sua scorta personale, alla compagna, alla mamma e a due fratelli. L’accordo preso con Uribe prevedeva una cattura senza incidenti dietro la promessa che la sua estradizione sarebbe stata negata: Mancuso infatti godeva ancora di molti appoggi, tant’è vero che la sua prigionia fu dorata fino al giorno dell’estradizione.
Tre mesi dopo l’arresto del Mono vengono presi tutti gli altri e i beni appartenenti ai Sale e a Mancuso - tra cui L’Enoteca Atlantico Ltda, Made in Italy, edifici, locali e 30 conti bancari - vengono congelati. Se in Italia la condanna di Giorgio e Cristian Sale (ottobre 2007) resta avvolta da una spessa nube di oscurantismo mediatico, viceversa oltreoceano si dà sempre più risalto alla faccenda e ai rapporti del “mafioso italiano” con le alte sfere della società colombiana.
I media rivelano l’amicizia di Giorgio Sale con José Alfredo Escobar Araújo, Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, e con sua moglie Ana Margarita Fernández de Castro, segretaria generale della Procuradorìa; spuntano centinaia di intercettazioni che non lasciano dubbi sui rapporti tra Sale e Mancuso, le cui connessioni si estendono a Stati Uniti, Messico, Venezuela, Panamá, Bolivia, Argentina, Spagna, Olanda, Grecia, Cipro, Germania, Bulgaria, Italia, Inghilterra, l’isola di Curazao e Colombia; spunta persino un’informativa del Governo statunitense, datata marzo 2008, che definisce Giorgio Sale “a known AUC money launderer”, un noto riciclatore di denaro delle AUC.
I media colombiani chiudono il 2008 con le parole di Mancuso, che si dice pronto a raccontare dei suoi legami con i Sale, e aprono il 2009 con altre dichiarazioni del Mono, il quale conferma che il suo braccio destro era Alfredo Celso Salazar, ammette d’aver finanziato Giorgio Sale e ricorda persino i comuni affari nella società L’Enoteca Atlantico Ltd.
Mentre in Italia tutto continua a tacere, in Colombia le proteste aumentano.
Due mesi fa il direttore della rivista colombiana Cambio ha subito un ordine di arresto e una multa per l’articolo “El contacto Sale”, pubblicato nel Febbraio 2009, in cui definisce il magistrato José Alfredo Escobar Araújo “aliado” di Giorgio Sale. La reazione del Presidente della Federazione Colombiana dei Giornalisti, ripresa dalla stampa internazionale, è stata veemente:“Escobar vuole mettere a tacere con un atto giuridico una cosa reale: la sua riconosciuta amicizia e i regali ricevuti da un capo della mafia italiana, Giorgio Sale”.
Quali sono i legami, oggi, tra la famiglia Sale e il Molise? E quanti sono i colletti bianchi molisani che si danno da fare per la famigghia? Ai posteri l’ardua sentenza...