Il sistema sanitario nazionale e il bisogno di privatizzare

sabato 27 novembre 2010.
 

di Andrea Succi

Se non funziona la sanità pubblica allora ci si rivolge alla privata, se il bisogno non c’è, lo si crea: un cittadino con il bisogno diventa più malleabile, più controllabile, diciamo anche più ricattabile ad uno scambio di favori. Il bisogno è la chiave del voto di scambio. Ma vi pare possibile un coro nel quale si dice che non si chiuderà nulla, in nessun posto, che anzi si aprirà qualcosa in più, dovunque; che tutto funziona bene; che abbiamo solo un disavanzo dovuto in parte alla sottostima del fabbisogno, in parte agli sprechi? Abbiamo tempi medi di degenza, a parità di patologia, superiori agli altri.

Il fatturato sanitario deve aumentare sia per i privati che per lo Stato.

L’acquisto di medicinali in farmacia, dal 1965 al 2007, ha avuto un aumento pazzesco, passando da 186 milioni di euro a 11,6 Miliardi di euro. Un incremento del 6137% , altro che Wall Street! Del resto, lo sviluppo non può fermarsi, urgono nuovi malati, malati freschi, di giornata. E quindi si parte con il carrozzone dei suini, delle mucche pazze e dei polli matti. Tra le nicchie di mercato più promettenti, si segnalano i bambini iperattivi:“In cinque anni in Italia la prescrizione di psicofarmaci ai bambini è aumentata addirittura del 280 per cento”. In Italia i centri per la somministrazione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti (adhd) sono 82, di cui uno in Molise, a Campobasso.

Lo sviluppo pretende nuovi target da colpire, gli anziani non bastano più. Occorrono malati fidelizzati, che spendano in maniera costante fino alla fine dei loro giorni, malati che siano obbligati a consumare. Che ne facciano una ragione di vita. L’identikit porta dritto dritto al malato di tumore. O si cura o muore. Ma questa è un’altra storia, e riguarda gli intrecci tra sanità e ambiente. Se per il diffuso malcostume sanitario non esistessero soluzioni, varrebbe la pena di emigrare in Amazzonia e passare la vita a pescare, mangiare e fare all’amore. Che di per sé non sarebbe una cattiva idea, ma sicuramente non c’è spazio per tutti.

Solo attraverso uno scambio collettivo di conoscenza e di informazioni si acquisisce la consapevolezza che stiamo viaggiando su una macchina senza benzina, con le ruote bucate e che bisogna spingere anche in discesa. La dimostrazione pratica di come si possa ottenere il rispetto dei propri diritti senza chiedere con il cappello in mano, viene dalla storia recente del Pronto Soccorso di Isernia, che per anni ha operato in sovraccarico di lavoro, causa mancanza atavica di personale, trovandosi quindi impossibilitato a svolgere al meglio le proprie mansioni.

Qualche mese fa tutto il personale ha unito le forze, sentendosi parte di un progetto di rinnovamento culturale, e si è organizzato per una protesta creativa, civile ed efficace: dai 3 video postati su youtube - che hanno catturato l’attenzione dei media nazionali - alle manifestazioni di piazza, partecipate anche dalla cittadinanza; dalla raccolta di firme - un successo anche questo - al classico sciopero, indetto salvaguardando l’assistenza dei pazienti. Per lunghi anni il personale del Pronto Soccorso aveva segnalato carenze strutturali e difficoltà nel garantire il servizio, senza mai essere preso in considerazione.

La clamorosa protesta ha rappresentato un punto di svolta nella rottura di uno schema culturale clientelare basato sulla concessione di favori che sono diritti. Arrivati a questo punto sembra persino superfluo parlare di commissariamento, visto che chi dovrebbe risolvere i problemi è lo stesso che li ha creati.

Ma per chiudere lasciamo spazio a quello che - a detta di colleghi e avversari - è il Richelieu della politica molisana: l’Assessore Gianfranco Vitagliano, persona molto intelligente, che in tutti questi anni di militanza al fianco di Michele Iorio, in più di un’occasione, ha salvato capre e cavoli da clamorosi fallimenti. L’11 Giugno 2008 l’Assessore Vitagliano ha avuto il bon ton di raccontare tutta la verità, nient’altro che la verità, in una lettera spedita ad Altromolise.

La riportiamo in versione integrale.

“La sanità molisana ha preesistenze strutturali, abitudini consolidate, nell’offerta e nel consumo, squilibri sul piano delle articolazioni funzionali che non hanno responsabili contingenti, ma richiedono interventi di razionalizzazione e di miglioramento che un circolo vizioso, innescatosi tra politica, di entrambi gli schieramenti, e consenso non rende agevoli.

Tutti sappiamo cosa, più o meno, si dovrebbe fare ma non lo facciamo, tardiamo a farlo, sfiniti, a volte, da mediazioni portate all’inverosimile, e dalla ricerca di una quadra impossibile.

E non è solo un problema di risorse erogate, anche se più aumentano queste e più aumentano i costi, senza sensibili incrementi di qualità e quantità nei servizi.

C’è, cronica, una ridondanza nell’offerta, tra l’altro, non estesa a tutti i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che trascina la domanda, lasciando alla sanità di altre regioni, che paghiamo, il compito di soddisfare i bisogni non coperti dal sistema regionale.

Abbiamo costi per unità di servizio - può essere comprensibile, ma difficilmente giustificabile - superiori a quelli delle regioni con sanità più efficiente.

Rispetto ad alcune patologie, nonostante una bassa morbilità, abbiamo mortalità superiore.

Abbiamo ancora ricoveri inappropriati.

Abbiamo liste di attesa e tempi di pagamento non più tollerabili.

Abbiamo privati che, a parità di tecnologia e di risorse, sono più efficienti del pubblico.

Abbiamo - e anche in questo siamo a metà del guado - una buona mobilità attiva, anche se per DRG a minore contenuto sanitario e una forte mobilità passiva.

Stentiamo a trovare la via di una vera territorializzazione della medicina.

E la politica, tutta, è uno, ma tra tanti, degli indiziati sul piano delle responsabilità.

E io, nella politica, sono uno di quelli che porta le sue responsabilità.

Ma non mi sento solo, anzi!

Una dichiarazione su cui è davvero difficile dissentire.


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