Ritiro dall’Iraq in nome della legalità in Calabria.

lunedì 17 aprile 2006.
 
Un eventuale spiegamento in Calabria delle nostre truppe oggi impegnate in Iraq, come annunciato nello stesso programma elettorale del vincente centro-sinistra, garantirebbe un concreto sostegno alle forze di polizia nelle sue attività di intelligence, nonché una forte risposta alle intimidazioni mafiose contro le realtà oneste della regione.

Stiamo assistendo a quello che tanti di noi si aspettavano dopo queste elezioni: la disperata virata del pirata di Arcore per evitare la collisione contro il suo nuovo scoglio democratico: il risultato elettorale delle politiche avverso alle sue previsioni. Eppure la nuova coalizione che sta per andare al governo, tra mille ma e mille se, può superare la riottosità e sfacciataggine degli uscenti inquilini di Palazzo Chigi con un arma semplice, anche se troppo spesso estranea alla politica: i fatti. Penso che passare dalle sterili e fantasiose polemiche post-elettorali ai fatti concreti sia quello su cui il Presidente Prodi debba immediatamente puntare per uscire dalla palude antidemocratica artatamente creata dall’ex Presidente del Consiglio, guarda caso per scongiurare un danno a un altro dei sui interessi personali, forse il supremo: la prematura dipartita politica dalle stanze del potere. Noi calabresi sentiamo sulle nostre pelli e nei nostri cuori anni di immobilismo politico, intriso di sudicio malcostume, che hanno seriamente pregiudicato le possibilità di sviluppo della nostra terra. Il governo Berlusconi, con lo sciagurato sodalizio regionale accanto all’ex governatore Chiaravalloti, ha scavato ancora di più il solco che ci divide dal resto del paese. Nel suo lustro di governo, che avrebbe dovuto rappresentare il grande miracolo italiano, sono aumentati i divari economici e sociali facendo lievitare ulteriormente il fenomeno migratorio interno come ai tristi tempi dei nostri padri e nonni, nonché le truffe di amministratori pubblici di ogni schieramento ai danni di enti statali ed europei. Penso che uno dei fatti concreti su cui l’opinione pubblica calabrese debba insistere nel perseguire l’obiettivo della normalità, nel senso più lato del termine, nella nostra terra sia quello di restituire al controllo dello Stato la nostra regione. L’intimidazione criminale che si è verificata negli attentati alle cooperative sociali promosse da Monsignor Bregantini nella Locride deve essere un forte punto di riflessione su come lo stato debba tutelare quelle realtà oneste che nella nostra terra rappresentano l’avamposto più autentico e concreto nella lotta contro la n’drangheta. C’è uno dei punti del programma del centrosinistra che si lega indissolubilmente con la difesa della legalità nella nostra terra, che va oltre i generici impegni di tutelare la collettività dai reiterati attentati all’incolumità dei cittadini e dalle costanti intimidazioni alle istituzioni pubbliche ed economiche di un territorio: il ritiro delle nostre truppe dall’Iraq. Oggi più di ieri dopo i fatti intimidatori occorsi alle realtà della valle del Buonamico, superbo esempio di economia sostenibile e solidale legata alle potenzialità di un territorio, bisogna insistere sull’importanza di dispiegare parte delle nostre forze militari stanziate in Iraq, mandate a combattere la guerra dei Bush, della Esso e rispettive sorelle, nei nostri territori dove è più forte l’arroganza e prepotenza mafiosa. Non si tratterebbe di una militarizzazione del territorio ma di un dovere civico e costituzionale, prima che politico, che uno stato deve assolvere nei confronti di una sua regione che accusa anni di colpevole inerzia nella lotta alla prima organizzazione criminale d’Europa. Un controllo capillare del territorio da parte dell’esercito significherebbe apportare più ossigeno alle già oberate forze di polizia, in affanno sia logistico che intellettuale; un sostegno morale ancor prima che materiale alle innumerevoli realtà sociali che lavorano onestamente sul territorio; una verace dimostrazione di forza di uno stato che vuole debellare il fenomeno mafioso anche attraverso l’utilizzo della sua istituzione più energica: quella militare. L’esercito dovrebbe presidiare obiettivi non solo strategici nella lotta contro la mafia come tribunali e caserme, ma anche gli obiettivi, per così dire non convenzionali, rappresentati da aziende e realtà economiche vessate dal sopruso e dall’intimidazione mafiosa, strade, porti ed aeroporti per tutelare l’incolumità dei cittadini e farli sentire a pieno titolo cittadini di uno stato attento e premuroso. Oggi una delle sfide che il nuovo governo deve vincere per liberare la Calabria dal giogo mafioso sta anche in questo. Pensare di sconfiggere il nemico con le idee è senz’altro nobile e alto, ma talvolta gli estremi rimedi vanno presi anche per garantire che la forza delle idee possa produrre i suoi frutti migliori in condizioni meno depresse ed ostili.

Marco Militerno


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