Quotidianamente e schifosamente, un odore di carogna si spande nell’aria della nostra splendida regione. Purtroppamente non è una discarica abusiva, non è una tipica fogna a cielo aperto, non è un pittoresco cassonetto in fiamme. Infattamente, si tratta del fiato di De Santis e della sua calunnia ingiuriosa.
Questo ominide, che da qui in avanti per mia comodità chiameremo “lo stronzo”, ha fatto chiacchiera maligna su di me che sono uno tra i principali sostenitori del ponte sullo Stretto. Qualunquemente, caro stronzo, io non sono mai “uno tra”...io sono Cetto La Qualunque, e prima di pronunciare il mio nome, pentiti dei tuoi peccati e lavati la bocca con la varechina.
Caro De santis e annesso branco di incoscienti che lo avete votato, specificatamente io non ero d’accordo all’inizio su questo ponte: l’idea di siciliani che vanno e vengono indisturbati dalla mia regione mi fa anche piuttostamente incazzare. Dicono per di più che potrebbe inibire il passaggio dei delfini e dei capodogli nello Stretto, e secondo te io cosa vado a pescare ogni domenica? Poi però ci ho ripensato, perché mi è venuta in mente la maratona di New York. A quel punto mi sono detto: potrei organizzare la prima maratona d’u pilu del regno borbonico. Ho preso carta e penna e ho fatto due conti. Ho calcolato che con sei corsie e tre chilometri di lunghezza, il ponte può consentire il passaggio di una mandria di pilu di settantamila esemplari in meno di ventisei minuti. Un record!
Francamente e spessatamente, a me dei tir e dei treni non me importa una mazza, ma sul transito di pilu voglio poter dire la mia. Fattivamente e subitamente, ho visto i disegni del ponte e devo dire che proprio non ci siamo. Due pilastri soli per quel ponte non possono bastare. Forse per la auto e le merci, ma p’o pilu no, ci vuole ben altro. ‘U pilu ha bisogno di molta più resistenza ed elasticità. Allora ho chiesto a un mio amico d’infanzia, il geometra Pisanelli, di rifare il disegno, ed eccoci qua. Un pilastro di cemento armato ogni ventotto centimetri. Non cade neanche se ci organizzi sopra un un congresso di iettatori professionisti come De Santis.
Ora, caro stronzo, non è vero che l’impatto ambientale sarebbe devastante. Se guardi bene, i pilastri sono tutti abbelliti con dei capitelli slanciati a forma di fico d’India e dei bassorilievi istoriati che narrano le gesta eroiche della mia infanzia. Direi che decisamente sia un abbellimento dello Stretto. In più, se mi accettano la corsia di peluche (color fulvo nature), vedrai che colpo d’occhio.
L’unico impatto ambientale negativo avviene ogni volta che tu apri bocca. Da quando ti sei messo a fare comizi le cicogne non nidificano più, l’aria è diventata così irrespirabile che le rondini hanno tutte la bronchite. Aggiuntamene, cari amici, dovete sapere che De Santis ha anche avuto il coraggio di dire che il ponte rappresenterebbe una opportunità in più regalata alla maffia per i suoi traffici.
Questa della maffia è una fissazione. Questo infamone, invece di sognare pilu a cascata, sogna maffia tutte le notti. Se de Santis vede un cantiere di operosi pionieri che lavorano di notte nonostante la mancanza di licenza edilizia, dice che è maffia. Se vede trenta ragazze di colore che si guadagnano onestamente il pane all’angolo di una strada, dice che è maffia. Se vede un bosco incendiato, dice che è maffia. Se gli fa male alla pancia, dice che è maffia. Tu confondi la maffia con il progresso, de Santis. Se a tia ‘u progresso non ti piaci, gentilmente, sunnu cazzi tòi!
Noi non ci faremo intimidire. Su pilastri di pilu e tiranti di pilu costruiremo un ponte di pilu! Con corsie di pilu e binari di pilu. Carreggiate di pilu. Guardrail di pilu. Panchine di pilu per ammirare un mare di pilu. Distributori di pilu e caselli di pilu. Una scia luminosa di pilu e prosperità che unirà i continenti. Votatemi, sempremente e qualunquemente, e ci saranno TRE CHILOMETRI DI PILU!
On. Senatore Cetto La Qualunque
Liberamente tratto da, “Cchiù pilu pè tutti” di Antonio Albanese & Pino Guerrera - Giulio Einaudi editore, aprile 2005.
la casta di oggi
L’on. Qualunqui nel 1898
Voltagabbana, donnaiolo, mentitore
dà il nome a un romanzo di Vamba che ora viene ristampato
di Mattia Feltri (La Stampa, 05/07/2013)
Roma. Appena arrivato a Roma e preso possesso di scranno e abitazione, l’onorevole ha spesso l’urgenza di svagarsi come si svagano gli uomini di mondo. Questo succede senz’altro se l’onorevole in questione (reduce da noiosa grana: in treno un passeggero voleva sedersi con lui nel piccolo scompartimento, scocciandolo. «Io sono deputato!», gli è toccato di sottolineare, intanto che l’altro ironizzava sul politico che viaggia gratis) si chiama onorevole Qualunquo Qualunqui, eletto in Parlamento nel collegio di Dovunque, nelle liste dei Purchessisti sostenitori del programma Qualsivoglia che prevede l’appoggio del governo Qualsisia. Uomo di mondo, appunto.
Da Roma (prima di cercare sollievo fra braccia mercenarie) scrive alla moglie: «Io che tengo molto alla mia coerenza politica, sono ancora ministeriale col Crispi come ero col Giolitti, come ero col Rudinì, come ero col Depretis...». Roba di oltre cent’anni fa: l’on. Qualunqui è a Montecitorio nel 1898, il medesimo anno in cui esce il libro che ne racconta la parabola. Lo scrive Vamba, cioè Luigi Bertelli, che abbiamo conosciuto da bambini per il suo Giornalino di Gian Burrasca.
L’Onorevole Qualunqui è rimasto nei cassetti per i decenni, e oggi torna in libreria edito da Barion (182 pagine, 14 euro) a fare la diagnosi dettagliata della casta, sotto forma satirica però, senza il livore più diffuso oggi: trasformista, piccina, inetta, a panza piena, vile, viziosa, disposta a tutto per conservare la seggiola. Qualunquo Qualunqui è il ritratto impeccabile di ieri, di domani, di sempre: a lui si ispirerà Guglielmo Giannino per l’Uomo qualunque e chissà se ci si è imbattuto Antonio Albanese, il cui Cetto Laqualunque è la versione cafona del gran borghese immaginato da Vamba.
Gran borghese e gran ceffo: scilipotianamente, quando rischia di non essere ricandidato, protesta: «Allora a che vale l’avere abbandonato il partito crispino per entrare nelle file della maggioranza col nobile e patriottico scopo di dare al paese un governo forte e duraturo?». Poi la spunta (l’abile e lubrico stratagemma della moglie di Qualunquo lo lasciamo al gusto del lettore) e dunque bisogna «lavorarsi il collegio». Prima promessa? Beh, nessuno si inventa nulla: il ponte! «Sì, avete ragione, sono diversi anni che lo prometto, ma come si fa? Finora c’era al governo certa gente...». Ogni compaesano ha la personale rassicurazione. Che ci vuole? Figurarsi che a Roma, in quel 1898, si faceva campagna elettorale sulla «sicurezza pubblica».
E la società civile? Certo che c’è. La società civile naturalmente rimpiange i bei tempi che furono. Il veterano di varie guerre Pompeo Galeazzo («noto per la sua fierezza» messa «a dura prova dalla tristezza dei tempi») scrive al candidato in nome di «questa Italia che ci costò tanti sacrifizi» a tendere «questa mano che un giorno stendeva a terra tanti nemici della patria» e «oggi si stende purtroppo implorante un adeguato soccorso». Gli servono duecento lire per gli arretrati dell’affitto.
La campagna elettorale è dura, si pronunciano i discorsi («Mentre l’appropinquantesi pantopatologia nella teratologica trascende ultima via, ecco: un ipersensibile eudomonismo appar...») «ma alla fine è finita! Oggi, che vuoi? La Camera ripiglia i suoi lavori e... ci riposeremo un po’ anche noi!» (che è poi quello che ha detto Pierluigi Bersani a Silvio Berlusconi cinque mesi fa). Se non parliamo di brogli, sappiate che ci sono anche i brogli; se non parliamo di scandali finanziari, sappiate che ci sono anche gli scandali finanziari; se non parliamo di corruzione, sappiate che c’è anche la corruzione.
E le scappatelle, una dietro l’altra, in pieno rispetto delle pari opportunità: il giorno che si apre la legislatura, la signora Qualunqui ha proprio da fare, e con una specie di rottamatore. Si perde il discorso della corona, ma al marito sospettoso riesce a ricostruirlo perché la politica è un terreno che si percorre a occhi chiusi. La soluzione come deve essere? «Sollecita». La pubblica istruzione di che necessità? «Maggiore impulso». E di che cosa, le spese? Di un «freno». La magistratura? «Indipendente». L’unità del paese? «Supremo bene».
Però, povero onorevole Qualunqui, non ce la farà mai a diventar ministro. Nemmeno con l’aiuto di Niccolò Machiavelli, richiamato con seduta spiritica. Il supremo genio politico si applica ma persino lui cede: «Dovérria concludere che l’Italia sia diventata un paese di pazzi li quali vogliono oggi quel che condannarono ieri e rivorranno domani quello che volsero ieri e che oggi condannano».
La patria immaginaria
di ILVO DIAMANTI *
"La Padania non esiste", ha sostenuto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, all’indomani della manifestazione di Pontida. Capitale simbolica della Patria "padana". Dove sono echeggiati discorsi che evocano il federalismo, la secessione. Distintamente o in alternativa. Come ha fatto il viceministro Castelli, minacciando: "Federalismo o secessione!".
Si potrebbe dire che, mai come oggi, la Lega abbia assunto centralità politica e culturale, in questo Paese disorientato. Perché mai come oggi il dibattito politico appare contrassegnato dal linguaggio introdotto - e imposto - dalla Lega. Tutto interno e intorno all’appartenenza e all’identità territoriale. Gianfranco Fini ha, infatti, pronunciato le sue critiche intervenendo a un seminario sul tema: "Patriottismo repubblicano e Unità d’Italia". Appunto: l’Unità d’Italia. Divenuta un tema centrale dell’agenda politica, proprio in vista del 150enario. Come tutto quel che riguarda l’Italia: l’inno di Mameli, la nazionale di calcio, il Tricolore. E, sotto il profilo dell’organizzazione dello Stato: il federalismo. Anche questa, una definizione largamente in-definita. Perché non è mai stato chiarito, fino in fondo, cosa si intenda. Quale Italia, con quali e quante regioni, macro-regioni, meso-regioni.
Tanto noi siamo ormai un laboratorio avanzato del riformismo. A parole. Capaci di lanciare la corsa al federalismo fiscale e, al contempo, di asfissiare Regioni e Comuni, dotati di poteri che non possono esercitare per assoluta mancanza di risorse. Capaci di affidare la stessa materia - il federalismo - a 3 (tre) ministri: Bossi, Calderoli e, da qualche giorno, Brancher. Questo Paese, ormai politicamente diviso tra Nord, Centro e Sud. Assai più che fra Destra e Sinistra. Oggi si trova, di nuovo, a discutere di Padania. Che è una patria immaginaria. Ma, tanto in quanto se ne parla, tanto in quanto diventa l’etichetta di prodotti e manifestazioni (dai campionati di calcio ai concorsi di bellezza ai festival della canzone), tanto in quanto è discussa: esiste. Come "invenzione", operazione di marketing. Ma c’è.
Per questo, le polemiche di questi giorni confermano l’importanza della Lega, come attore politico e - ripeto, senza timore di ironie - culturale. Perno di una maggioranza di centrodestra, altrimenti povera di radici e identità. Il problema, per la Lega è che anch’essa rischia di essere danneggiata dal crescente successo dei suoi miti e del suo linguaggio. Perché le impedisce di usare, come sempre, le parole e le rivendicazioni in modo plastico e allusivo. E, dunque, di muoversi in modo agile sulla scena politica. Anche in passato, d’altronde, l’invenzione della Padania, dopo un primo momento di successo, divenne un vincolo.
Il "lancio" della Padania, lo ricordiamo, avviene tra il 1995-96, dopo la fine burrascosa dell’esperienza di governo con Berlusconi. Allora la Lega smette di parlare di federalismo - lo fanno tutti. E comincia a rivendicare prima l’indipendenza e poi la secessione. Per smarcarsi, per posizionarsi là dove nessuno la può raggiungere. Allora nasce la Padania. Che non è semplicemente il Nord. La patria dei produttori e dei lavoratori contro Roma ladrona e il Sud parassita. No. La Padania è una Nazione. Altra. Diversa dall’Italia. E quindi alternativa. In nome della Padania, Bossi e la Lega trionfano alle elezioni del 1996 (il risultato in assoluto più ampio raggiunto fino ad oggi). Promuovono una marcia lungo il Po, nel settembre successivo. A cui partecipano alcune decine di migliaia di persone. Poche per proclamare la secessione. Da lì il rapido declino della Lega Padana. Abbandonata da gran parte dei suoi elettori, che la volevano (e la vogliono) sindacalista del Nord a Roma. Non movimento irredentista di una Patria indefinita. Per questo nel 1999 Bossi rientra nell’alleanza di centrodestra, accanto a Berlusconi. Per questo riprende la tela del federalismo. La secessione scompare. La Padania diventa un mito. Un rito da celebrare una volta all’anno. Che, tuttavia, oggi suscita imbarazzo. Come gli altri miti su cui poggia l’identità leghista. L’antagonismo contro Roma. La lotta contro l’Italia e contro lo Stato centrale. Perché oggi la Lega governa a Roma, a stretto contatto con i poteri centrali dello Stato nazionale italiano. Usa un linguaggio rivoluzionario, ma è un attore politico normale e istituzionalizzato.
Nel 1992 Gian Enrico Rusconi scrisse che la provocazione della Lega ci ha costretti a ragionare su cosa avverrebbe se cessassimo di essere una nazione. Ci ha imposto, cioè, di riflettere sulla nostra identità nazionale. Oggi, per ironia della storia, è la Lega - come ha sottolineato Fini - a trovarsi di fronte alla stessa questione. Se le sia possibile, cioè, "cessare di essere padana". Spiegando, apertamente, ai suoi stessi elettori e agli elettori in generale, dove si ponga. Fra l’Italia e la Padania. Federalismo e secessione. Opposizione e governo.
* la Repubblica, 22 giugno 2010
Benigni infiamma la festa Pd
di Andrea Carugati *
Seduti uno a fianco all’altro allo spettacolo di Benigni, Pierluigi Bersani e Dario Franceschini si godono uno dei rari momenti di serenità di queste settimane. «Robertaccio è riuscito a mettervi insieme...». «Sì. Faccio l’accordo unitario su di lui e non ci ritiriamo», propone Franceschini. E Bersani: «Della serie, vai avanti tu che mi viene da ridere... ». Chiacchiere e sorrisi a beneficio dei fotografi, accanto all’ex ministro c’è anche la riservatissima moglie Daniela. Roberto li aspetta al varco, i due candidati.
Arriva parlando in genovese, «Belin», e punta subito dritto sulle escort di Berlusconi: «Paganelli, se dicevi che era un festino veniva Silvio direttamente da Villa Certosa con Alinghi». «Eh, Bersani, che record, abbiamo perso 4 milioni di voti, e Veltroni fra un po’ scriverà il libro “io” perché non c’è più nessuno. Bisogna che non si arrivi sotto il 2%, ieri mi sono iscritto e ero il 15esimo». «E poi quello che ci ha dato la linea è Fini, mentre Bersani l’ha data a quelli di Comunione e Liberazione...». «Da chi ci facciamo guidare. Da Pierluigi, Ignazio o da D’Addario? Quando sente questo nome Berlusconi trema... ». «Sì, si è un po incattivito, ha venduto Kakà e ha comprato Feltri: costa meno e sulle punizioni è molto piu bravo... e poi le veline su Boffo, lui ha avuto la solidarietà del Papa, Feltri quella del Papi».
«Di veline ne ha tantissime, è un vizio di famiglia, ne ha tantissime anche su Bersani e Franceschini, vedrete cosa uscirà. Silvo ha fatto bene a denunciare Repubblica e Unità, devono smettere di andare in giro a scrivere cose vere, se fossero false... ». E poi le feste: «Silvio perchè non mi inviti alle feste, alle orge con i vestiti di babbo Natale, tutti ignudi. Fede è stato beccato a fare l’amore con una pecora gonfiabile». «Ma io non voglio parlare dei fatti privati di Silvio, tipo la Costituzione, il lavoro, quelli sono fatti suoi, io parlo dei fatti pubblici, le mignotte». «Silviooo!! Dammene una di porcellona a cinque stelle!!», è il grido di Robertaccio.
«Ci sono le registrazioni e lui giura sui suoi figli che non è vero. Mi chiedo di chi sono i figli... ». «Ha paura», scherza Benigni. «Adesso non vuole che parlino nemmeno i portavoce dell’Europa. Ma quelli sono portavoce, come fanno a stare zitti?». L’Unità: «Ha fatto causa perché hanno scritto che ha problemi di erezione. Silvio non ti preoccupare, ce li ho anch’io. Come farà a dimostrare davanti al giudice che non ha problemi? È difficilissimo avere un’erezione davanti al giudice, io una volta c’ho provato... ». E Noemi? «Ha detto che il babbo era l’autista di Craxi, poi il cuoco di Berlinguer, poi l’idraulico di De Gasperi. Era così arrapato che ha fatto il conto alla rovescia con le candeline, appena ha compiuto 18 anni... non si teneva con questa potenza sessuale impressionante... ».
E le farfalline? «Ormai l’Italia è piena, Piero Angela ha fatto una puntata speciale di Super Quark... ». «E poi le fa diventare assessori o le manda in Europa, e le paghiamo noi. Ma Silvio con tutti i soldi che hai perché non le paghi tu?». «Vuol passare alla storia come Quinto Fabio Massimo, Silvio il trombatore». E Feltri? «Adesso ha una registrazione di Prodi del ‘71 con le gemelle Kessler e dice “Aspettami sul letto di De Mita”, e Bersani innamorato di Pupo che molesta la moglie col cellulare di D’Alema... ».
* l’Unità, 04 settembre 2009
W l’On. Cetto La Qualunque e la campagna ru pilu pi tutti...la stimo infinitamente per il pilu quotidiano...si candidi affinche attui la salvaguardia ro pilu con l’operazione "save the pilu".
Il suo sostenitore Stefano C.