INTERVISTA.
Parla la moglie di Abdullah II, inserita da "Time"
tra le 100 persone più potenti del Pianeta
La regina Rania: "Così le donne cambieranno il mondo arabo"
Appello della sovrana giordana: "Aiutate la Palestina"
dal nostro inviato ALIX van BUREN (La Repubblica, 27.06.2006, p.18)
AMMAN - "Si dice "la donna araba" e si parla di un universo sconosciuto. Se avesse visto la sorpresa di alcune leader occidentali nell’ascoltare le arabe al convegno per la Rete di azione globale: una riserva inesplorata di talento, un motore essenziale per lo sviluppo e la pace. Però la sfida più imponente adesso è la guerra alle nostre frontiere, la Terra santa e l’Iraq che continuano a soffrire. Mi auguro che in Palestina il mondo non voglia stare a guardare, trascurando la pace".
La regina Rania al-Abdullah di Giordania entra a palazzo e la sala s’illumina del suo sorriso. E’ svelta e sottile, tailleur-pantaloni chiari, tacchi alti, carnagione d’avorio lucente, capelli corvini sciolti sulle spalle. E poi l’antica gentilezza orientale, gli occhi d’ebano allegri, il gusto di chi assapora le sfide, tutta intenta, si direbbe, a inventare un modo nuovo di riordinare i rapporti fra Oriente e Occidente.
Della sua grazia molto si è scritto, meno del suo potere: dell’audacia con cui affronta i consessi dei potenti mondiali, della caparbia con cui interpella i leader sui grandi temi etici e pragmatici della loro missione. Alla sua ascesa al trono, sette anni fa, re Abdallah II chiarì che Rania avrebbe retto il regno al suo fianco per traghettare il Paese nella modernità. Quest’anno Time l’ha scelta fra i 100 personaggi più influenti sul pianeta.
Allora, regina, lei si batte per la conquista delle libertà?
"Ascolti, mio marito e io apparteniamo a una nuova generazione, siamo vicini ai giovani, sappiamo interpretarne le aspirazioni, e il 70 per cento della nostra popolazione ha meno di 30 anni d’età. Vuole un nuovo futuro, e presto. Oggi viviamo in una società globale, abbiamo più strumenti rispetto ai nostri padri, dunque perché aspettare? Certo, il lavoro da fare è grande, affrontiamo sfide diverse, però disponiamo dei progressi tecnologici nell’area dell’istruzione, dell’economia, della medicina. La nostra fretta rispecchia quella della maggioranza in questo angolo del mondo".
I progressisti la lodano, ma i tradizionalisti? Lei preme per l’ingresso delle donne in politica e in Parlamento.
"Le resistenze ci sono, è vero, però hanno radici culturali, non c’entra l’Islam, che invece predica il rispetto e la parità dei diritti. Senza il contributo delle donne, la nave araba naviga con le vele a mezz’albero. Nel Corano il Profeta garantisce l’uguaglianza. Khadja, la sua prima moglie, era una astuta donna d’affari, la sua confidente e consigliera. Si tratta di cambiare la società dall’interno. I tempi sono maturi, il progresso nel mondo arabo c’è e si vede".
I liberali obiettano che il passo delle riforme non corrisponde alla sua impazienza.
"I grandi mutamenti non avvengono in una notte, questo bisogna accettarlo. La Giordania è avviata verso la democrazia, le riforme economiche e sociali. Purtroppo viviamo in un’area tormentata e questo ci rallenta. Non che il conflitto regionale valga come scusante, ma ha un effetto importante".
Riforme e democrazia sono la carta vincente contro l’estremismo islamico?
"Vi prego, non appaiate nel vocabolario Islam ed estremismo: se vogliamo parlare di fondamentalismi, allora bisogna ricordare che possono esistere in ogni religione, musulmana, cristiana ed ebraica. Con le riforme e la democrazia si apre un nuovo futuro a chi è senza prospettive: chi ha perso la speranza imbocca vie sbagliate, siano la delinquenza o il fondamentalismo. Ma la maggioranza dei musulmani, per sua natura, non è estremista. Anzi, l’equivoco dilagante sull’Islam è uno sviluppo sfortunato dei nostri tempi".
Si spieghi, regina.
"La nostra storia non è nata solo pochi anni fa. La storia che ha fatto grande l’Islam ha una ricca eredità di cultura, di scienza; reca un messaggio di convivenza, di pace, giustizia, progresso, rispetto dei diritti umani. E nessuno può ignorarlo. Ora una esigua minoranza di fanatici vuole prendere l’Islam in ostaggio, trascurando le convinzioni di oltre un miliardo di musulmani. Noi non possiamo permettere che ciò accada: non ci rappresenta e dobbiamo dichiararlo con voce forte e sonora".
Lei sta dicendo che il mondo islamico questa opera è pronta a farla?
"Noi ci battiamo per riaffermare l’essenza della fede. Per questo nel Messaggio di Amman sua maestà ha chiamato a raccolta le otto scuole di pensiero dell’intera comunità musulmana, concordi che si debba rifocalizzare la dottrina dell’Islam, porre fine alle fatwa, gli editti religiosi, emesse senza autorità, e condannare l’uccisione di civili innocenti. Questo è il contrario di quel che gli estremisti vogliono mostrare al mondo. Però anche in Occidente a volte c’è un grado d’inconsapevolezza".
Vale a dire?
"Nell’ignorare tutto quel che ci accomuna e nel mettere a fuoco quel poco che ci divide. Le offrirò un esempio: la figura di Gesù. Nel Corano non troverà che venerazione per il Cristo, per il suo messaggio divino, per la Vergine Maria. L’Islam in fin dei conti è un prolungamento della fede ebraica e cristiana: si fonda su di esse, ne condivide valori e principi. Qui non predichiamo la tolleranza, la viviamo. Di più: è accettazione, convivenza. E in questo mondo interdipendente, nessuno può permettersi di erigere barriere. Bisogna dialogare, conoscere l’altro. Più io viaggio e più m’accorgo come tutti ci assomigliamo: nel desiderio di un futuro, famiglia, dignità. C’è poi la prepotente richiesta di giustizia, senza la quale non si otterrà la pace".
Lei è di origine palestinese. Ha guidato una marcia di solidarietà con il popolo dei Territori occupati. Qual era il suo messaggio?
"E’ tutt’ora quello di scuotere dal torpore la comunità internazionale. Molti sono poco informati su quel che accade nei Territori; ma nei più avvertiti spaventa un certo cinismo di chi s’arrende, giudicando la questione irrisolvibile; peggio, un conflitto locale. Tuttavia la pace è una opzione irrinunciabile per il mondo".
A tal punto centrale, secondo lei?
"Chi s’illude del contrario, sbaglia. Quando tramonta la speranza, quando la sofferenza si approfondisce, e i mariti non possono mantenere la famiglia, i padri guardano i figli senza riuscire a sfamarli, le donne incinte sono costrette a percorrere chilometri a piedi per partorire in ospedale, alla fine sarà il mondo intero a pagarne il prezzo. Non si può voltare lo sguardo di fronte al dolore e all’ingiustizia, sfilarsi dall’impegno. Senza dimenticare sull’altro versante il timore degli israeliani per i propri figli, per gli attentati suicidi. Su questo terreno germina la rabbia e tracima le frontiere: alimenta l’estremismo, diffonde veleni attraverso la regione. Come vede, ogni prospettiva di pace in Medio Oriente passa attraverso la soluzione di questo problema centrale. Però vorrei dirle anche questo: io ho sentito re Hussein, diceva "Voglio la pace per i miei figli e per i loro figli". Eccoci, siamo noi quella generazione futura, e nel frattempo i nostri figli sono nati e cresciuti. Quanto ancora a lungo dovremo aspettare? Più passano i giorni più si respira l’odio. Abbiamo gli strumenti per cambiare questa regione, serve soltanto la volontà politica".
Tempo fa lei inviò una lettera aperta al Times di Londra denunciando i ritardi delle forze della coalizione in Iraq nel permettere l’ingresso degli aiuti umanitari. Oggi che cosa scriverebbe?
"Oggi darei la voce agli iracheni. La mia parola non basta, ormai. Noi vediamo le immagini dei notiziari, seguiamo il computo dei morti, non conosciamo la realtà di chi non ha più lavoro, di chi vive recluso in casa per l’instabilità, dei bambini privati d’accesso all’istruzione e alle cure sanitarie, senza elettricità nel caldo dell’estate irachena. Oltre l’aspetto militare e politico, conta la sofferenza del popolo. Perciò farei parlare loro".
Lei non sapeva che un giorno sarebbe diventata regina. La sua è una bella favola?
"No, che non lo è. Pare così a chi osservi dall’esterno. Per me è vita reale, fatta di famiglia, bambini, lavoro, e della responsabilità verso il mio popolo. E’ un compito che prendo molto sul serio".(27 giugno 2006)
Aki-Adnkronos 21.10.09
Libri: Haddad, da "Il ritorno di Lilith" una speranza per tutte le donne oppresse "Spero sia punto d’incontro tra Medioriente e Occidente
Roma, 21 ott. -(Aki) - "Spero che questo libro rappresenti una speranza per la donne arabe oppresse, ma anche per quelle italiane, e che sia un punto d’incontro tra Medioriente e Occidente". E’ quanto ha affermato ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL la poetessa e giornalista libanese Joumana Haddad, in Italia per presentare il suo nuovo volume ’Il ritorno di Lilith’ (ed. L’asino d’oro), disponibile da domani in libreria.
La poetessa spiega i motivi che l’hanno spinta a scrivere un’opera in cui viene riportato alla memoria dei lettori il mito antichissimo di Lilith, la prima donna creata, che non volle sottomettersi ad Adamo, ma che anzi lo abbandonò nel paradiso con un atto di disobbedienza. "Ci sono tanti cliché sulla donna araba in Occidente - afferma la Haddad - la maggior parte ritiene che tutte le donne arabe sono oppresse e velate. E’ una tendenza a generalizzare, mentre in verità ci sono molte più sfumature e c’è anche un altro modello di donna nella società araba, emancipata e libera, che si batte per i suoi diritti".
’Il ritorno di Lilith’, la prima opera integrale della Haddad in italiano, è un libro scritto "con le unghie", secondo la poetessa libanese per la quale "scrivere è innanzitutto un atto fisico, violento e aggressivo, ma solamente nei confronti di me stessa". "E’ qualcosa - afferma - come scavare con le unghie nella carne per andare a pescare i segreti, i misteri, le parole nascoste che ci sono in me".
La Haddad in Libano è caporedattrice di ’Jasad’, una rivista in lingua araba specializzata nella letteratura e nelle arti del corpo, all’interno della quale vengono trattati argomenti come la sessualità e i diritti delle donne, temi di cui è difficile parlare nella società araba. "Jasad è una rivista per uomini e donne - afferma la Haddad - che affronta il tema del corpo, anche se non è facile trattare questo argomento nella mia lingua e nel mio mondo. Eppure, se torniamo ad alcuni scritti in lingua araba di mille anni fa ci sono testi che parlano del corpo e dell’erotismo con una semplicità che scioccherebbe anche lo scrittore occidentale più aperto".
La poetessa libanese non teme ritorsioni da parte dei gruppi religiosi più estremisti. "Quando ho scritto ’Il ritorno di Lilith’ non ho pensato che gli estremisti fossero un ostacolo alla sua realizzazione - sostiene - Ero appassionata dall’idea di scrivere quest’opera e l’ho fatto, anche se molti credono che mi sia gettata nel fuoco".
L’ultimo pensiero della Haddad è per Rania, la regina di Giordania, in visita ufficiale a Roma. "Ho tanto rispetto e ammirazione per la regina Rania - dichiara la scrittrice - perché non accetta il modello stereotipato della donna araba oppressa che non ha potere e che vive lasciandosi andare al volere dell’uomo". (Spi/AKI)
Medio Oriente, la sfida delle prime donne
di Umberto De Giovannangeli *
Belle. Eleganti. Moderne. Buoni studi e ottime letture. C’è chi ha servito nel più agguerrito servizio segreto del mondo (il Mossad), Chi ha lavorato con successo presso la sede londinese della Deutsche Bank e successivamente alla J.P.Morgan. Chi ha inaugurato il suo sito web visitato in soli due giorni da oltre 150mila utenti. Asma. Rania. Tzipi. La «rivoluzione rosa» in Medio Oriente. Hanno conquistato le copertine dei settimanali spesso oscurando mariti re, presidenti e (Tzipi) premi ministri che si vorrebbe spodestare. I tre volti di un Medio Oriente che guarda al futuro: sono loro le «ambasciatrici» del cambiamento.
ASMA al-ASSAD. La moglie «inglese» per il rais di Damasco, Bashar el-Assad. Colta, indipendente, nata in Gran Bretagna, figlia di un noto cardiologo siriano, Fawaz Akhras, Asma e Bashar si sono conosciuti a Londra, quando il giovane delfino di Hafez el Assad studiava da oculista. La loro, racconta, è stata una travolgente love story, un vero colpo di fulmine: con Bashar è bastato uno sguardo: «Ho saputo che mi sposava il giorno prima delle nozze». Hanno una comune passione: le nuove tecnologie. Asma è laureata in informatica e affascinata dalla new economy. Laureata in informatica e letteratura francese, la first lady siriana (33 anni l’11 agosto), ha lavorato nel 1997 presso la sede londinese della Deutsche Bank come analista nel ramo vendita ed acquisto degli «hudge fund», occupandosi dei clienti nell’Estremo oriente e in Europa. È poi passata, un anno dopo,, alla J.P. Morgan dove è rimasta per tre anni, fino al matrimonio. Madre di tre bambini, Asma interpreta dinamicamente il ruolo di first lady: ha dato vita a progetti per lo sviluppo economico della Siria, tra cui la prima Ong siriana per lo sviluppo rurale, il Fund for Integration Rural Development, ed oggi continua ad occuparsi anche di educazione femminile nel mondo arabo e del ruolo delle donne imprenditrici, della diffusione dei libri per bambini, dello sviluppo dell’informatica. La sua attività a sostegno di eventi culturali, ed in particolare storici ed artistici, le è valso il conferimento, da parte dell’Università La Sapienza di Roma, di una laurea honoris causa in archeologia.
RANIA di GIORDANIA. L’identità cosmopolita è l’interfaccia della sua passione per Internet. «Sono araba dalla testa ai piedi, ma parlo anche un linguaggio internazionale...l’incontro con culture e tradizioni diverse mi ha dato molta forza e una certezza: non considero più nessuno come straniero». Bella ed elegante. Nuova icona dello stile e grandissima fans della moda italiana. Rania (38 anni il 31 agosto), la dolce regina (dal 1999) di Giordania, è già considerata la Jacqueline Kennedy del Terzo Millennio. Con la first lady siriana condivide la passione per l’informatica. Chi la conosce da vicino, parla di lei come una persona intelligente, ambiziosa, determinata. Uno spirito libero, fiero e indipendente. Una donna dal fascino indiscutibile: è stata considerata, nel 2005, dal magazine inglese Harpers and Queens come la terza donna più bella del mondo. Moderna come poche, Rania parla ora attraverso il web. Nei primi due giorni on line, il suo video è stato visto da oltre 150mila utenti che hanno postato ben 500 commenti. Rania, che gestiva già dal 2005 il suo sito www.queenrania.jo, ha spopolato con il suo videomessaggio su Youtube. In esso si rivolge prevalentemente al popolo occidentale a cui dice: «In un mondo in cui è così facile essere connessi, restiamo ancora così disconnessi...». Le conversazioni via e-mail sono il naturale proseguimento dei colloqui diretti con al gente che sono nell’agenda quotidiana della regina. Il suo sogno, ha più volte affermato, è aiutare la pace e la prosperità del Medio Oriente dotando di computer ogni casa, ogni scuola, ogni luogo pubblico in Giordania e nel resto del mondo arabo: «Con i computer, Internet e le opportunità offerte dall’informazione multimediale non ci si può più isolare. La pace non può limitarsi alle scelte e al coraggio dei leader. In Medio Oriente non c’è ancora il pieno coinvolgimento della gente. Ma quando la pace rientra nei tuoi interessi, esaltati dalla cooperazione, il rischio di conflitti si allontana, fino ad annullarsi». Sulla sua scrivania, nella semplice palazzina a due piani dove abitava con Abdallah ancor prima di ascendere al trono, situata sulla vetta della collina di Baraka, il computer della regina è sempre acceso. Per Rania il computer è più che uno strumento di potere, è la speranza di una vita migliore. Migliore per il popolo di cui è divenuta regina, e per il popolo di cui, Rania, si sente fiera di essere parte: il popolo palestinese.
TZIPI LIVNI. È la seconda donna nella storia di Israele ad aver guidato la diplomazia dello Stato ebraico. La prima fu Golda Meir. Chi la conosce, parla di lei, Tzipi (Tzipora all’anagrafe) Livni, nei termini in cui definisce la sua diplomazia: efficace, intelligente, a tratti un po’ fredda: un mix tra aggressività e dolcezza. Oggi, Tzipi Livni è considerata il secondo politico più potente di Israele: nelle primarie di Kadima, previste per la metà di settembre, è l’avversaria più ostica per il premier Ehud Olmert.
Sposata con due figli, avvocata di successo, Tzipi (50 anni) nasce da una famiglia dell’aristocrazia della destra storica israeliana: suo padre, Eitan Livni, è stato un combattente dell’indipendenza israeliana, militante nell’Irgun durante gli anni del mandato britannico sulla Palestina. Eletta per la prima volta alla Knesset nel 2001 con Likud (la destra israeliana) prima di divenire titolare degli Esteri, ha ricoperto, tra le altre, le cariche di ministra dell’Immigrazione e, successivamente, della Giustizia. Nel 2007 la rivista Time l’ha inserita fra le 100 persone che stanno trasformando il mondo. Rispetto ad Asma e Rania, Tzipi ha più stile che fascino, lo stile - raccontano i suoi collaboratori - di chi è stato luogotenente di Tzahal e servito per quattro anni nelle file del Mossad, il servizio segreto israeliano. Sulla lapide del padre è incisa una mappa d’Israele che include le due rive del Giordano, ma oggi, Tzipi è decisa sostenitrice di una «pace nella sicurezza», fondata sul principio «due popoli, due Stati». Quanto alla Siria, è stata lei, ben prima di Olmert a sostenere la necessità di dar credito alle aperture di Assad.
* l’Unità, Pubblicato il: 16.07.08, Modificato il: 16.07.08 alle ore 8.26
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Giordania: integralisti sempre meno popolari
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GIORDANIA: INTEGRALISTI SEMPRE MENO POPOLARI, SONDAGGIO SE SI VOTASSE, FRONTE ISLAMICO PERDEREBBE QUASI ALTRI 4 PUNTI
AMMAN, 26 GIU - Le simpatie per il movimento dei Fratelli Musulmani e le preferenze politiche per il suo braccio politico, il Fronte Islamico d’Azione (Fia), continuano a calare in Giordania. Lo rivela un sondaggio del Centro giordano per gli studi sociali, i cui risultati sono stati resi noti oggi dalla stampa di Amman.
Lo studio indica che, se i giordani si recassero alle urne oggi, il partito islamico otterrebbe il 19,7 per cento dei voti, 3,7 punti in meno rispetto al precedente sondaggio di dicembre e quasi la meta’ rispetto a quello del settembre 2005, poche settimane prima che un triplice attentato suicida - con un bilancio di 61 vittime e rivendicato da al-Qaida - scuotesse il regno hashemita.
Il Fia, che attualmente conta in Parlamento su 17 dei 110 seggi, aveva apertamente condannato l’atto come terroristico, prendendo le distanze sia dal suo ideatore Abu Mussab Al Zarqawi, il defunto emiro di Al-Qaida in Iraq, sia da quella parte della ’’resistenza’’ irachena che colpisce indistintamente tra la popolazione civile.
Nelle elezioni interne di marzo, la corrente moderata ha nettamente prevalso su quella radicale, ma la visita di condoglianze alla famiglia di Zarqawi effettuata da quattro deputati del Fia all’inizio del mese ha sollevato ondate di indignazione, critiche e proteste contro il movimento islamico.
A dispetto dell’immunita’ parlamentare, i quattro deputati sono stati arrestati per violazione dell’articolo 150 del Codice penale (istigazione alla discordia nazionale). Il governo, che non ha ritenuto di dover intervenire nella vicenda, ha tuttavia sottolineato che si tratta di provvedimenti contro il comportamento di specifici soggetti e non di una crisi con il partito islamico.
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WWW.ILDIALOGO.ORG, Lunedì, 26 giugno 2006