INDICE:
I
Il preludio
Il millile di supermiliardari
Un secolo di grandi mutamenti
Il tramonto della Modernità
La Post-Modernità
II
La società consumista
La fine della storia
Ipotesi di alternative
La prima rivoluzione possibile del terzo millennio
Conclusione
IPOTESI SULLA GRANDE TRASFORMAZIONE GLOBALE
Gli umani fino a ieri avevano con-stituito il mercato, oggi il mercato, diventato l’unico dio globale, ha de-stituito gli umani.
di Augusto Vegezzi *
Il preludio
La globalizzazione non è un circuito mercantilistico planetario, è un mutamento totale in corso, la prima unificazione dell’Umanità e della Madre terra attraverso la diffusione della Civiltà occidentale: economia industriale e commerciale, tecno-scienza, cultura postmoderna massmediatica-consumista-digitale-dello spettacolo e tv etc. Quella del "villaggio cybernetico globale" è una metafora adottata da McLuhan per indicare come, con l’evoluzione elettronica dei mezzi di comunicazione in tempo reale a grande distanza, il mondo sia diventato “piccolo” e abbia assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio. Le distanze siderali che in passato separavano le varie parti del mondo si sono ridotte e il mondo stesso ha smarrito il suo carattere di infinita grandezza per assumere quello di un villaggio.
Il progetto, a firma Usa, prese corpo conferenza degli Alleati a Bretton Woods (Usa), giugno del 1944, che sancì il predominio mionetario del dollaro e la costituzione del Fondo Monetario Internazionale e della World Bank. Dopo la guerra lo scacchiere geopolitico registra il declino dei grandi imperi coloniali, la germinazione di nuovi stati e il predominio planetario di Usa e Urss, che formano due blocchi opposti, uno democratico liberale, l’altro comunista, in conflitto per l’egemonia mondiale.
Nasce la “guerra fredda”, congelata dal pericolo nucleare che caratterizzerà il periodo dal ’47 all’’89, cadenzato sulle tensioni e crisi tra le due superpotenze, talvolta debordate in guerre locali, sul forte sviluppo dell’economia industriale occidentale tra picchi e depressioni e dal lento logorio politico ed economico del blocco sovietico. In Italia e Occidente prevalgono orientamenti liberal-democratici che, grazie a forti rivendicazioni popolari, avviano riforme di garanzia delle libertà fondamentali, sindacali e perequative tra ricchi e poveri, forme di Welfare sanitario e istruzione per tutti etc.
Negli Usa l’espansione economica, stimolata dal complesso industriale-militare, è intensa e articolata sulle fusioni che generano grandi Corporazioni e sull’ estensione del Terziario, per cui il Capitale si finanziarizza, mentre l’egemonia passa ai manager, non senza contrasti e crisi cicliche. Il trend della formula magica r > g (rendimento sul capitale > tasso di crescita economica) tende a diminuire anche per l’esistenza di un duro fisco progressivo.
I ceti possidenti reagiscono fortemente con una serie di iniziative che inaugurano la rivoluzione postmoderna: tramonta il sistema taylorista e fordista, la platea dei lavoratori viene ridotta dalla meccanizzazione elettronica, il potere sindacale è sminuito, il consumismo moltiplica il settore terziario, la Tv, vertice dei massmedia, promuove le merci e il mito del consumo, l’americano diventa un consumer compulsivo. Questa reazione culmina negli anni ’80 dopo l’elezione del presidente Reagan negli Usa e della Thatcher a Premier nel Regno Unito, che avviano la Deregulation con riforme neoliberali che favoriscono il mercato e la concorrenza, riducono o aboliscono le garanzie del Welfare, tagliano il carico fiscale dei patrimoni (perfino del 60% negli Usa). Il primo millile (1 per 1000 della popolazione) e tutto il primo decile (19%) godono del più alto tasso di redditi e la middle class s’inquadra felicemente nel mercato consumista, blandita dalla Tv- spettacolo che plasma il conformismo di massa.
Questa ondata neoliberale si diffonde in tutti gli stati industrializzati, e tracima mediaticamente in quelli controllati dall’Urss, in crisi economica per le enormi spese militari e politico- sociale, con un mix di principi di libertà e democrazia e di miti del benessere e del consumo, che porta alla disgregazione del blocco comunista inaugurata dal crollo del Muro di Berlino nell’89. Il modello socioeconomico e culturale americano si irraggia incontenibile in tutto il pianeta, dotato di un innegabile potere di fascinazione e conversione, per cui convince e recluta la maggioranza delle popolazioni sviluppate e acculturate, sia di quelle meno evolute (ma non nell’Islam), con grandi effetti costruttivi e distruttivi, analizzati nei prossimi paragrafi.
Decolla così con ampi consensi la Globalizzazione massmediatica-cybernetica-consumista nel panorama geopolitico, non certo il Leviatano né il Behemoth di Hobbes, ma una nebbia pervasiva, invasiva e determinante e una rete più forte dell’acciaio che avvolgono il Pianeta, tutto modificando, distorcendo e rimodellando a loro immagine e somiglianza. Come un’inedita divinità che ha assunto una realtà incoercibile e un potere irresistibile su tutto: culture, religioni, arti, economie, società, stati etc., infine insinuandosi nella testa e corpo e cuore degli umani, finendo per influenzarne l’identità personale. Ovunque la Globalizzazione diffonde sistemi politici-sociali modellati vagamente su quello americano, dove l’architettura della democrazia formale è molto forte e la società nutre ideali di libertà e democrazia radicati e battaglieri, ma l’influenza e i poteri della finanza e dei ceti conservatori sono incoercibili e spesso prevalenti.
Tali sistemi rappresentano senz’altro un’evoluzione in molti Paesi, ma non in quelli europei, dove disaggregano modelli di stato democratico sostanziale, con governi e popolo soggetti a Costituzioni e leggi garantiste, Welfare evoluti, fiscalità progressive, diritti di libertà, voto, lavoro, partiti e sindacati legittimati etc., con inevitabili pesanti involuzioni che registriamo anche in Italia. Qui assistiamo ad un appannarsi della dialettica democratica e dei poteri legislativi mentre cresce quello esecutivo, all’archiviazione delle garanzie dei lavoratori, alla riduzione delle coperture del welfare, a un crescente disagio che alimenta reazioni emotive e populiste con derive fascistoidi.
A livello planetario con l’industrializzazione galoppante si realizza un’espansione economica che sconfigge la fame, prima insuperabile nelle economie agricole. In queste la produzione è naturale, cioè condizionata e limitata dalle leggi naturali, e in dieci millenni non ha quasi mai debellato la miseria e la fame. Per contro l’industria elabora, grazie al lavoro umano, materie o prodotti della natura di valore quasi nullo trasformandoli in oggetti con valori d’uso e di mercato moltiplicati, assicurando così alla maggioranza delle persone un accesso al benessere e anche ai poveri un livello minimo di sussistenza.
Nebbia e rete sono metafore dell’enorme potere e del fondamentale assoggettamento del Pianeta alla casta di supermiliardari di marchio soprattutto americano fruitrice di immense ricchezze.
Il millile di supermiliardari
Le raffinate analisi economico-finanziarie e sociali di Thomas Piketty ne Il capitale nel XXI secolo, rilevano che la distribuzione della ricchezza e dei redditi a livello mondiale è assolutamente sbilanciata a favore di una gerarchia piramidale di super ricchi: il primo millile, 1 per mille della popolazione adulta controlla il 20% del patrimonio totale, cioè 43,4 trilioni di dollari, i successivi 6 il 21%, 45 mld, poi il 7,7% il 42%, 102 mld, il 32% il 13%, 33 mld, infine il 68,7% inferiore della popolazione mondiale 3 mld di adulti, che possiede il 3% del patrimonio totale, 7,3 mld.
Tra i due estremi, tra gli happy few e l’oceano dei disperati della terra ristagna il mare della middle class, circa un miliardo, che si spartiscono con notevoli squilibri 33 mld contro i 200 del vertice. Sembrano cifre incredibili e spudorate ma sono confermate da una rilevazione: i capitali dei cento più ricchi del mondo equivalgono ai beni dei 3 miliardi più poveri.
Altri dati clamorosi e istruttivi: il valore complessivo delle attività finanziarie internazionali è passato dal 50% al 350% del Pil globale dal 1970 al 2010, raggiungendo in dollari 280mila miliardi - solo il 25% del quale legato agli scambi di merci; e il valore dei ‘derivati’ negoziati eslege e fuori dalle Borse e in gran parte legati alle valute a fine giugno 2013 raggiunge 693mila miliardi di dollari. Fin qui quanto riportato da Limes.
Piketty evidenzia che il millile, indenne da vincoli legali e fiscali, introita i profitti, mentre fa gestire questo diluvio finanziario ad alti manager e banchieri del centile, che ricompensa regalmente, i quali arricchiscono i loro collaboratori, primi anelli di una catena di rapporti omertosi.
Il vertice finanziario, un inedito club di rentier assenteisti, si garantisce privilegi e franchigie cooptando e corrompendo alti quadri del potere mondiale: politici, banchieri, industriali, burocrati, tecno-scienziati, intellettuali, artisti, professionisti etc., che a loro volta, grazie ai consumi opulenti, coinvolgono nel decile schiere di fornitori di servizi e merci dell’alta moda e dello spettacolo. Si tratta di una folla di ricchi speculatori e clientes co-beneficiari del trend della diseguaglianza crescente, r>g, i quali pure ottengono franchigie e favori per vie corruttive inquinando il sistema.
Dai tempi di Roma il più alto livello di r>g fu raggiunto nel 1910, durante la Belle Epoque, e ricuperato, dopo lunghe oscillazioni verso il basso, nel 2010. Tirando le somme, negli ultimi 40 anni, senza saperlo, le dinamiche finanziare ed economiche con i loro movimenti, cicli e crisi hanno imposto le loro dure condizioni e pretese agli Stati grandi e piccoli del pianeta, pregiudicandone la tradizionale sovranità. E noi abbiamo pacificamente vissuto mentre il millile superricco si insediava al vertice della piramide mondiale e oggi, grazie al suo strapotere finanziario, esercita un potere neofeudale sulla globalizzazione in corso, cioè sull’omogeneizzazione dell’umanità per la prima volta dalla sua origine 2-3 milioni di anni fa’.
Un secolo di grandi mutamenti
Senza saperlo abbiamo vissuto in un’epoca di rivoluzioni che paiono rincorrersi e sovrapporsi per convergere nella Grande trasformazione globale che è culminata in un mutamento antropologico dall’uomo edipico (caratterizzato secondo Freud da un forte Super-io), auto-diretto, ascetico, spartano, dedito a famiglia, lavoro risparmio, fiero della propria identità e del proprio onore, all’uomo postedipico, etero-diretto, individualista, narcisista, amorale, libertino e consumista.
Come si è arrivati a questa situazione e quali aspetti negativi e positivi essa presenta?
Le premesse della nuova evoluzione risalgono all’eredità della Prima guerra mondiale: il tramonto degli imperi e dell’aristocrazia, l’espansione della borghesia industriale, della società di massa, delle ideologie rivoluzionarie di destra e di sinistra. La Seconda guerra mondiale poi produsse altre gigantesche distruzioni e trasformazioni mondiali: il crollo degli imperi coloniali, il conflitto per l’egemonia globale di Usa e Urss, l’emergere di nuovoi grandi stati extraeuropei.
In Italia e Europa occidentale, distrutte dalla guerra, dopo il 1945 si sviluppa un’economia industriale di ricostruzione, matrice negli anni ‘60 di un neocapitalismo di sviluppo accelerato. Il trentennio dal ’45 al ’75 verrà poi definito glorioso in Francia e miracolo economico in Germania e in Italia. Qui il decollo della nuova industrializzazione dal ’48 comporta negli anni ’60 un’emigrazione interna spettacolare dal Sud al Nord e dalle campagne alle città, che crescono smisuratamente.
Nel contempo si snoda la seconda Rivoluzione agricola che, dopo diecimila anni dalla prima in Mesopotamia, innesca la brusca decadenza e morte del mondo contadino, paradossalmente assassinato dal giunto cardanico. Grazie a questo congegno, infatti, la meccanizzazione del lavoro nei campi espelle negli anni tra il ‘60 e l’80 quel 30% dei lavoratori che occorrono nelle fabbriche. Pochi si accorgono della scomparsa e nessuno cerca e scopre l’assassino.
I contadini, espulsi dalle campagne con il loro secolare retaggio di stenti, fatica, fame, solitudine e disperazioni (“La terra è bassa.”), sono felici di approdare nelle comunità cittadine (“La città rende liberi”.), di lavorare nelle fabbriche, di ottenere salari sicuri e consumi crescenti, di accedere alla socialità urbana di cinema, teatri, balere, infine perfino di lasciarsi allegramente alle spalle con la miseria anche tradizioni e costumi rigidi e castiganti e destini di umiliazione e disperazione. Mentre così s’integrano nelle città coi ceti operai e insieme finalmente si affacciano a un limitato benessere, invece le classi agrarie e della rendita perdono il primato, soverchiate da quella degli industriali.
Comunque la società continua ad ispirarsi alle grandi narrazioni ideologiche del Cristianesimo, dell’Illuminismo e del Marxismo, mentre l’élite economica conserva i valori dell’etica weberiana della produzione e del risparmio, del rigore dei costumi, del divieto di passioni e sentimenti, che trasmettono anche alle classi lavoratrici.
Nel 1963 un governo di centro-sinistra, che vede coalizzati Dc e Psi, favorisce il boom economico e accende le speranze di progresso democratico e sociale. Si respira un’aria di rinnovamento, si diffondono le antenne tv e le Fiat 500, si canta ’Nel blu dipinto di blu’, l’urbanizzazione galoppa, le autostrade accorciano lo stivale, i consumi aumentano.
Il neocapitalismo promette un’economia avanzata, dal volto umano e in rapida crescita, che prospetta ricchezza per tutti (perché i capitali si usano per produrre e non solo per farli crescere in borsa). Il trend storico della forbice tra ricchezza dei privilegiati e quella del resto della popolazione, espresso dalla formula r>c, viene capovolto da una più equilibrata distribuzione determinata dal virtuale pieno impiego. E’ il decollo della società del benessere, con i suoi benefici, miti e obiettivi, riassunti dalle Tre emme: mestiere, moglie, macchina.
Novità sociologica assoluta, il benessere favorisce il differenziarsi e cadenzarsi delle generazioni, in particolare lo sviluppo autonomo di quella dei giovani, che, anche grazie alla disponibilità di tempo e mezzi, si conquista un’identità e presenza culturale e sociale, subito percepita nella sfera economico-commerciale e investita dalla pubblicità.
Nel maggio del 1968, innescata dalle rivolte dei giovani americani, si sviluppa in Francia una ribellione studentesca antiautoritaria in nome del diritto alla parola, cioè a valere come uomini con una volontà e una visione personale, che rifiuta il principio di autorità di origine patriarcale caratterizzante l’educazione e l’etica clerical-borghese. E’ una ribellione che rifiuta la formazione disciplinare e formale indirizzata alla preparazione di docili funzionari dello stato e dell’economia, perché i giovani rivendicano il diritto di parlare e vivere le proprie scelte in prima persona, individualmente e in gruppo. Con passione e dedizione si impegnano a cambiare la cultura con forme partecipative, sperimentazione, innovazione sulla base di una coscienza critica e storica che mira a cambiare la vita, la società e lo stato in senso democratico. Parigi risuona di grida: “Noi pensiamo e vogliamo... l’impossibile. L’immaginazione al potere. Vietato vietare. È solo l’inizio, continuiamo la lotta...”
Anche in Italia (e in tutta l’Europa occidentale) la nuova generazione, che si è formata nel decennio del boom economico, prendendo alla lettera le promesse di democrazia liberale ed egualitaria retaggio della Liberazione e della Costituzione, si ribella al sistema autoritario patriarcale ingessato in normative e convenzioni astruse e soffocantei mentre rifiuta le vessazioni delle gerarchie scolastiche e universitarie, i programmi vetusti e obsoleti e le restrizioni imposte dalla morale repressiva e dalla religione formalista.
Con tutta la forza vitale della loro età, lungi dal piegarsi e adattarsi ai riti disciplinari della maleducaciòn, come hanno dovuto fare le generazioni precedenti, i giovani danno avvio alla Contestazione. Nelle scuole e nelle università prima, poi anche tra gli altri giovani, si attacca il sistema delle gerarchie, dei poteri, delle regole ossificate ed opprimenti in nome della libertà, del pensiero critico e della costruzione di una vita migliore. Non ci sono profeti o capi carismatici, ma è un processo spontaneo di crescenti, dilaganti gruppi che ampliano la sfida e la lotta contro la Scuola, la società e lo Stato, cercando vie per realizzarsi e creare stili di vita e valori più liberali e democratici.
La rivendicazione del diritto di esprimersi trova fondamento nella forte crescita del valore del soggetto, dell’Io, della responsabilità personale, delle scelte autonome in opposizione alla passiva accettazione di un destino pre-scritto dalla società. I giovani vogliono far valere le loro esigenze, emozioni e idee, vogliono nuove forme di vita, di comunità, di convivenza. E lo vogliono tutti insieme, tutto e subito. In gergo freudiano: l’Io si auto-afferma in coniugazione e dialettica con gli altri Io e lotta sulla spinta degli impulsi vitali (libido) in un processo comunitario che rifiuta le imposizioni socio-culturali e famigliari (Super-Io).
Mai si era vista tanta passione coinvolgere masse crescenti di giovani sia in riunioni, assemblee, cortei come negli studi di economia, teoria sociale, filosofia, politica, analisi critiche dell’esistente. Il commento di Michel de Certeau sulla Francia vale anche per l’Italia: “Non credo si possa parlare di rivoluzione compiuta ... [piuttosto] di rivoluzione simbolica. ... Oggi, [il 3 maggio 1968, a Parigi] è la parola a essere stata liberata. In tal modo si afferma, feroce, irreprimibile, un nuovo diritto, venuto a coincidere con il diritto di essere un uomo e non più un cliente destinato al consumo o uno strumento utile all’organizzazione anonima dell’economia o dello stato”.
Non una ribellione aggressiva ma una liberazione festosa, e come tale si diffonde in tutta Italia contro gli adulti ma anche tra molti adulti che numerosi costituiscono nuove realtà come Medicina democratica, Stampa democratica, Giustizia democratica, Movimento femminista, Maestri di sci democratici, e tante altre categorie, perfino quelle dei diplomatici, poliziotti, preti etc.
Inizia così in Italia il tramonto dell’egemonia patriarcale e autoritaria sulla società della diseguaglianza, della gerarchia di nobili, borghesi grandi, medi e piccoli, del padre-padrone, del padrone delle ferriere, del burocrate despota, del matrimonio indissolubile con annesso libertinaggio maschile, dell’inferiorità femminile, dell’autorità come arbitrio, delle convenzioni e dei galatei come norme, dell’aborto clandestino, del divorzio via uxoricidio, dei lavoratori con scarse garanzie, dei proletari etc.
Il Movimento del ’68, fondamentalmente anti-autoritario, funziona come catalizzatore delle rivendicazioni della centralità dell’essere umano, giovane o adulto, uomo o donna, della sua responsabilità personale e dei suoi diritti costituzionali, ancora misconosciuti nella società pre-‘68.
Così il Movimento trova convergenze con le grandi lotte degli operai, che nel contempo stanno sconvolgendo le città, in conflitto contro una crisi economica che vede i profitti stabili mentre falcidia i salari. La classe lavoratrice ingaggia forti lotte sindacali e spontanee (gatto selvaggio), suscitando allarme nelle oligarchie economiche, che contrattaccano con la ristrutturazione industriale post taylorista-fordista. Di qui ancora più imponenti scioperi operai ai quali partecipano gli studenti, alternando parole d’ordine: Potere operaio. Potere studentesco. Sembra profilarsi un confronto finale.
Il tramonto della Modernità
Le prime percezioni che la strategia capitalista messa in atto per contrastare e depotenziare le lotte è radicale e profonda risalgono al 12 maggio1972, quando lo psicanalista Lacan a Milano in una conferenza gremita di sessantottini ci annuncia l’“evaporazione” del padre e del Super-io: il nuovo discorso del capitalista, infatti, ordina di godere e di sacrificare tutto in nome del godimento. Reagiamo con una salva di fischi e di insulti in nome della rivolta anti-autoritaria del formidabile ’68 e dell’immaginata rivoluzione operaia. Ma nulla è come appare. In seguito scopriremo che, senza saperlo, avevamo insieme inscenato gli ultimi conflitti e il canto del cigno della classe operaia e della Contestazione.
Che la strategia vincente dei poteri dominanti sia di largo respiro ce lo spiega un altro francese, Michel Foucault, che mette in luce, come, oltre agli interventi di ordinamento, coazione e sfruttamento sulle classi popolari tendenzialmente anarchiche, essi attuino anche una rete di organizzazione e formazione in sintonia con la meccanizzazione robotizzata e con la dilagante cultura massmediatica consumista, dello spettacolo, della Tv e della nascente cibernetica.
Nel processo industriale robotizzato si consuma la marginalizzazione degli operai come forza produttiva (e quindi, in termini marxisti, l’estinzione della classe rivoluzionaria) selezionati e cooptati nella lower middle class o esclusi ed espulsi nel Lumpenproletariat. Protagonisti nelle tecnostrutture industriali diventano le conoscenze, le scienze-tecnologie, cioè la knowledge, e dunque la knowing class, chiave e domina della produzione, caratterizzata come un circuito dinamico in perpetua crescita di straordinaria complessità che mobilita ed esalta insieme il ruolo inventivo e agonistico degli individui e la cooperazione nella ricerca integrata.
La Post-Modernità
Val la pena ribadire che, senza saperlo, abbiamo vissuto in un’epoca in cui l’accelerazione dei cambiamenti sociali è stata vertiginosa come non mai dall’origine dell’umanità. Basti ricordare i tre milioni di anni che l’homo erectus ha trascorso senza mutamenti fino alla rivoluzione cognitiva dell’homo sapiens, circa 75 mila anni fa’; poi un’altra stasi, interrotta dalla Rivoluzione agricola, circa 10 mila anni fa’. Ebbene, a noi sono bastati pochi decenni per cancellare anche il ricordo del mondo contadino, fondamento di tutte le grandi Civiltà antiche fino alla Rivoluzione industriale borghese. Quanti secoli dovranno poi passare per superare la barbarica società feudale, spazzata via con una lunga lotta cominciata nel XII secolo, culminata nella Rivoluzione francese del 1789, dalla società borghese, dei liberi cittadini responsabili della vita comunitaria e protagonisti dello sviluppo economico, definitiva origine della Civiltà industriale moderna?
Gli ultimi quarant’anni sono, invece, bastati per le mutazioni inaudite che stanno dissolvendo tradizioni, ideologie, religioni, istituzioni, mentalità, psicologie, geo-economie, geo-politiche ... e omologando l’umanità.
Per capire “La grande trasformazione globale” bisogna registrare con Lyotard la fine della Modernità, cioè dell’età delle “grandi narrazioni ideologiche (illuminismo, idealismo, marxismo), che avevano giustificato la coesione sociale e orientato il rinnovamento con le idee e utopie rivoluzionarie: Illuminismo, Idealismo, Marxismo.
Il sociologo Bauman conferma questo tramonto. Secondo lui alla morale ispirata a norme razionali universali che regola rigorosamente gli umani come produttori inquadrati nello stato e nella società moderna, solida, si sostituisce la società liquida dei consumatori, individui fragili e contradditori che si omogeneizzano in forme sociali labili e volatili e si realizzano nella gara all’acquisizione di merci, privilegio riservato ai ricchi, mentre i poveri, in quanto senza denaro, sono privati non solo delle merci che ma anche dell’identità.
Paradossalmente questo processo di mercificazione ed emarginazione, che accompagna la globalizzazione, discrimina e penalizza i poveri del mondo condannandoli alla sofferenza, alla frustrazione e alla fame, al rifiuto del loro essere soggetti sociali, ma non provoca contrasti o ribellioni. Grazie alle magie profuse dalla televisione i dannati della terra premono sì sui confini del mondo dell’opulenza consumista ma per accedere come comparse a Wonderworld.
Questa complessa globalizzazione incide profondamente sullo scacchiere geopolitico, sul sistema degli stati e loro politica interna, tutti vittime del depotenziamento e del declino sia delle sfere di egemonia internazionale, sia di governance interna, sia dei ruoli di sovranità democratica popolare.
Anche il processo di individualizzazione dell’homo consumer si presenta complesso. Approfondisce Lacan: “Io credo che nella nostra epoca la traccia, la cicatrice dell’evaporazione del padre è quello che potremmo mettere sotto la rubrica generale della segregazione. Noi pensiamo che l’universalismo, la comunicazione della nostra civiltà omogeneizzi i rapporti fra gli uomini. Al contrario, io penso che ciò che caratterizza la nostra era - e non possiamo non accorgercene - sia una segregazione ramificata, rinforzata, che fa intersezioni a tutti i livelli e che non fa che moltiplicare le barriere.”
Nel vortice tumultuoso delle varie “rivoluzioni” che, come si è visto, hanno o stanno sconvolgendo la società italiana: neocapitalismo, industrializzazione, inurbamento, estinzione del mondo contadino, tramonto delle grandi narrazioni, vaporizzazione dell’Edipo etc. la voce del capitalista che rende “obbligatoria” per tutti una vita di godimento ottiene un ascolto e un successo travolgenti perché solo egli stesso possiede il mezzo per diffonderla capillarmente, inoculandola come un virus direttamente nella testa della gente: la Televisione.
Su scala internazionale si registra già negli anni ’70 l’avvio del post-fordismo, la ristrutturazione mondiale della divisione sociale del lavoro, la riorganizzazione tecnologica delle forme produttive, la destrutturazione della classe operaia, la manipolazione e adesione del consenso sociale con mass media di “disinformazione”, dell’industria culturale, dell’utopia del consumismo, vanificando nei fatti quanto i soggetti sociali della sinistra e del movimento andavano proponendo e agendo portando di fatto all’evanescenza e all’obsolescenza i soggetti stessi.
II
La società consumista
Paradossalmente, mentre si continuavano le ultime lotte moderne per la Liberazione democratica ed egualitaria, Silvio Berlusconi, inconscio agente del nuovo World Plan, pone le basi del suo impero finanziario e della sua influenza politica con un uso spregiudicato e incontrastato della televisione commerciale un business plan che con enormi introiti, diffonde pubblicità regalando infotainment una linea editoriale “modello Bagaglino” che bandisce ogni comunicazione come indagine, critica e proposta di realtà, cultura e civiltà, lanciando una miscela di spettacolo, divertimento e pubblicità che solletica le pulsioni egoiste, edoniste e qualunquiste della società non lesinando sfondi pecorecci e riuscendo ad influenzare a tal punto i cittadini da ridurli a spettatori passivi, sudditi etero-diretti, narcisi egolatri, votati al guadagno e al successo, ognuno lupo di ogni altro. La felicità è a portata di mano, basta premere il pulsante giusto. I tempi lunghi della preistoria degli umani - milioni di anni - e della loro storia - migliaia o centinaia di anni - sono ormai alle spalle.
Nella frenesia di partecipare alla grande abbuffata promessa dal mercato e instillata giorno dopo giorno dalla Tv, le strutture comunitarie e i vincoli matrimoniali, familiari e amicali si allentano, evaporano con l’Edipo il Super-ego, l’etica del dovere e della disciplina, i costumi di moderazione e frugalità, predomina in ogni singolo il Super-es con i suoi impulsi libidici e distruttivi, stregato dagli allettamenti economici, ludici ed erotici del mercato e quindi costretto a lavorare sempre di più per consumare sempre di più.
Di qui una società di individui dimentichi delle consuetudini tradizionali e bisognosi di galoppanti desideri e di gratificazione immediata; una società che vede inoltre tramontare gerarchie secolari e diffondersi, subalterna a una piccola piramide di ricchi e super ricchi (10,2% della popolazione), una middle class anonima e anomica di soggetti (40%), mentre il resto annaspa ai margini o precipita nella povertà.
Delineare la figura dell’uomo o della donna consumer non è semplice perché non si tratta più dell’essere libero, razionale ed emancipato soggetto della Modernità ma di un “mutante” della post-Modernità, che vive in una società mutante in una Terra mutante. Perfino il cosmo, infatti, non è più quello di una volta, matematicamente meccanicistico, ordinato, statico e indiscutibile, comunemente conosciuto fino a metà ‘900 e incentrato su la Terra, la Luna, gli altri Pianeti, il Sole, la Galassia, il cielo stellato sopra di noi (“e la legge morale in noi”, concludeva serafico Kant). Ora sappiamo di miliardi di stelle, milioni di galassie, buchi neri, strisce, Big Bang, dinamismi e curvature spaziali, differenze temporali, indefinità, teoria ipotetica del Tutto etc., cioè che popoliamo una briciola sperduta di un universo in movimento, quasi liquido.
Anche l’identità dell’homo consumer si presenta ambigua e complessa. Approfondisce Lacan: “Io credo che nella nostra epoca la traccia, la cicatrice dell’evaporazione del padre è ... una segregazione ramificata, rinforzata, che fa intersezioni a tutti i livelli e che non fa che moltiplicare le barriere.”
Noi umani, una moltitudine di individui in velocissima trasformazione, con identità lacerate e schizofreniche, rapporti interpersonali fluidi e fragili, interessi contraddittori, liberi ma diabolicamente influenzati a soddisfare desideri e pulsioni micidiali per i legami affettivi o formali, in definitiva in perpetua sperimentazione e perciò insicuri, ma coinvolti totalmente nel mondo della simulazione somministrata attraverso i media, che mentre contraffanno ogni realtà secondo le esigenze del mercato, ci seducono con lusinghe e illusioni a immaginare la soddisfazione di ogni desiderio.
Il cittadino del Wondeworld consumista è schizofrenico, egocentrico ed etero-diretto, il suo amore di sé non si esprime più come volontà di potenza ma desiderio di esibizione, consenso, godimento e riconoscimento attraverso i consumi.
Se l’identità del borghese si fondava sulla proprietà e quella del capitalista sulla produzione, quella del Consumatore si basa sull’acquisizione ed esibizione delle merci che la società postmoderna offre mistificando, mercificando ed estetizzando l’intera realtà. Quanto più acquisiamo e consumiamo, tanto più valiamo. Il superfluo diventa necessario e the life is now. Di qui il mantra: tutto e subito. I costi? Quelli sono risolti con un lavoro compulsivo e pagamenti differiti, a rate. Così il sistema ci confeziona il presente e il futuro, trasmettendoci, tramite la cultura e l’informazione dei media, una visione ottimistica della realtà e del potere e promettendo attraverso beni e benefici materiali soddisfazione e felicità smisurate.
La moda, il design, l’enogastronomia, lo sport, la vita sociale, tutto diventa spettacolo, allettamento, richiamo a pulsioni acquisitive, sessuali, competitive. Di qui i tratti distintivi del middle man: l’individualismo, il narcisismo, l’egolatria insieme con un voyeurismo passivo stregato dalle finzioni della Tv. Ciò che viene trasmesso appare la copia filmica del reale; invece ci somministra simulazioni, cioè spettacoli eufemisti e selezionati della realtà che trasmettono archetipi e modelli di consenso e consumo in chiaro o subliminari. Le res gestae sono sostituite dalla persuasione occulta.
Tramite i mass mass-media non solo la politica è sequestrata da una casta autoreferenziale che, intrecciando legami, affari e ideologia, governa a fronte di un popolo sovrano degradato a elettorato passivo da coltivare con elargizioni e promesse e da consultare il meno possibile. In questo scenario di totale fruizione drogata anche la Cultura e l’Arte perdono l’aura, il marchio di esperienza interiore e la vocazione di svelamento e critica dell’esistente, fagocitate nella sfera ludica e venale dell’intrattenimento e relax di soggetti acritici e libidici magnetizzati da un mondo estetizzato in funzione commerciale.
Sotto la scorza del bon ton o del burlesque la middle class è una giungla darwiniana in cui la lotta per la sopravvivenza è soppiantata dalla lotta per l’autoaffermazione attraverso l’apparire, emblematicamente rappresentata dalla moda dilagante dei selfie. Tutto è fluido, liquido. L’auto-contemplazione trasforma i tradizionali obiettivi del borghese: il denaro, il successo, il potere, in mezzi.
Senza saperlo, oltre Machiavelli (il fine giustifica i mezzi), pure Nietzsche viene plagiato: dio è morto, anzi tutti gli dei lo sono, sostituiti dal dio mercato. Certo, sopravvivono le tradizioni devozionali e le superstizioni popolari e fioriscono nuovi culti esoterici, ctonici e mondani, tipo New Age etc. Ogni tendenza alla socialità, alla solidarietà e all’ aggregazione per contro è out, fuori trend.
I valori morali ed etici sono ridotti a formule pubbliche e icone vuote. Dietro alle apparenze del burlesque trionfante il disagio sociale ed economico appare palpabile e crescente ma occultato dalla convergenza ossimorica di individualismo edonistico, per cui ciascuno persegue il principio del piacere immediato, e familismo cinico, che stravolge il senso etico della famiglia in un’amorale complicità parentale. Se ci si appella all’etica, all’onestà, all’amore, spesso lo si fa per ingannare e sfruttare meglio.
Last but not least a complicare e moltiplicare i mutamenti si è aggiunta la rivoluzione cibernetica, iniziata dalla diffusione del Commodore 64 nel 1984, anno emblematico se si ricorda il romanzo apocalittico di George Orwell, e divenuta pandemica con una continua produzione di strumenti meccanici (hardware) e sistemi intellettuali (software) che modificano continuamente su scala mondiale le strutture della società, della cultura, della vita e il modo di pensare delle persone. Il www pervade il Pianeta trasformandolo in un villaggio cibernetico.
E’ la quarta rivoluzione della comunicazione umana: la prima, oltre 200 mila anni fa’, fu la conquista dell’oralità grazie alle parole, la nascita delle lingue, strumenti fondamentali e insostituibili delle relazioni interpersonali. La seconda la scrittura, la terza la stampa, tre mutazioni capitali che sopravvivono ma modificate da quella in corso, che porta al centro della conoscenza l’udito con un orizzonte illimitato rispetto alla vista, senso fondamentale della galassia di Gutenberg, e trasforma la nostra percezione dello spazio e del tempo, non più determinati su misure fisse, ma fluidi e duttili: le autostrade elettroniche ci connettono in tempo reale con ogni luogo e persona, mentre i voli aerei permettono di raggiungere ogni luogo in poche ore.
Il tempo e lo spazio si sono contratti ma questa rivoluzione è ininterrotta e ogni giorno ci sorprende con nuove invenzioni e orizzonti impensabili. E il futuro irrompe: Nuove ricerche e scienze, grazie all’informatica, in tutta la Terra ricercano ... "oltre il nuovo": mentre fisica statistica, termodinamica, meccanica quantistica, consentono inaudite macro conoscenze su stelle, galassie, buchi neri, antimateria etc.-, nano-biotecnologie, biologia dei sistemi epigenetica, neuroscienze, fantastiche micro conoscenze ... Noi cambiamo da umani gutenberghiani lettori centripeti, lenti, logici, interiori, ordinati, disciplinati, consequenziali, meditativi, morali, legati al passato a umani cibernetici ascoltatori centrifughi, frenetici, fantasiosi, estroversi, ipersensibili, emotivi, orientati a gratificazioni e successi immediati, siamo vicini a costruire sistemi artificiali equivalenti ai sistemi biologici complessi come noi, a costruire insomma dei fratelli cibernetici.
Un lato oscuro del www invece si è affermato, dissolvendo sogni e illusioni. “I nuovi Padroni dell’Universo si chiamano Apple e Google, Facebook, Amazon e Twitter. Al loro fianco, la National Security Agency, il Grande Fratello dell’era digitale. E poi i regimi autoritari, dalla Cina alla Russia, che hanno imparato a padroneggiare a loro volta le tecnologie e ormai manipolano la natura stessa di Internet.”
Una sorta di “totalitarismo cibernetico” si dispiega attraverso una deriva economico-commerciale a fini di profitto delle multinazionali americane che gestiscono la Rete con un controllo illimitato dei cibernauti, spiati, schedati, catalogati e usati a fini di marketing e talvolta anche di sorveglianza politica, militare o poliziesca. Anche i più acclamati protagonisti fondatori, da Bill Gates, a Page e Brin, a Steve Jobs, che sembravano aprire un mondo di libertà, fanno parte del sistema di potere monopolistico che promuove la Globalizzazzione con obiettivi di potere e profitto.
La fine della storia
In Italia la trasformazione consumistica ha assunto dimensioni devastanti perché il suo orchestratore, dopo avere diffuso infotainment con le sue Tv ha assunto anche poteri politici, che gli hanno consentito di ampliare l’eterodirezione mediatica, di rimodellare lo stato, la dialettica politica e il costume sociale secondo un archetipo autoritario personalistico e l’ideologia consumista.
I risultati sono evidenti: uno stato bloccato da una politica autoreferenziale e solo formalmente democratica e da una burocrazia obsoleta, un sistema di partiti e di sindacati in crisi oe una popolazione che ha abbandonato i grandi ideali di rinnovamento, liquefatto la polarità destra e sinistra e si è ridotto del 40%, stemperandosi in una moltitudine accasciata e rissosa in cui prevalgono l’individualismo e il qualunquismo, i ricchi sono sempre più ricchi, la borghesia, impoverita è scivolata nella middle class, che ha integrato i lavoratori non licenziati, mentre il resto sopravvive.
Anche gli unhappy few, ancora dieci anni fà protagonisti di grandi dibattiti ideologici e di lotte sociali a favore o contro fascismo, liberalismo, cristianesimo sociale, socialismo, comunismo, rivoluzione marxista etc., sono spariti o sparenti, in misteriosi modi contaminati dal maistream consumista, che nella misura in cui non li coinvolge direttamente, con lauti salari e visibilità, magari li invischia con tablet, infiniti altri gadget e la metastasica rete. Anche chi resiste col suo magari sofferto Super-ego e i suoi ideali morali e politici, si trova isolato, frastornato e passivo, monade dispersa come tante altre nel frastornante mainstream che satura tutto colla coazione al godimento E come dire di no?
Non è facile. Anche rifiutando tutti gli allettamenti e volendo sfuggire alle insidiose catene e malie dominanti, nessuno ha una risposta alla domanda cruciale: Che fare?
Ipotesi di alternative
Se Berlusconi può rappresentare la figura emblematica di questa società magmatica più che liquida, la sua parabola esistenziale potrebbe essere una metafora ben augurante. Wonderwold si pretende l’età dell’oro che segna la fine della storia. Ma le ultime migliaia di anni sono un cimitero di imperi e civiltà che si immaginavano imperiture. “Il salto della tigre” di Benjamin non perdona.
Nello stesso 1972 dell’annuncio di Lacan, Gilles Deleuze e Félix Guattari pubblicavano l’Anti-Edipe, che confermava l’evaporazione del Super-ego ma esaltando la jouissance come emancipazione dal capitalismo. Il padrone avrebbe sì ordinato il godimento ma in funzione di un’intensificazione e massimizzazione del lavoro per la massimizzazione del consumo e quindi del profitto. Di qui una schizofrenia del capitalista, liberatore e asservitore, e dei lavoratori, affrancati dal Super-ego ma inchiodati nella catena di produzione. Jouissance invece significa la liberazione degli impulsi vitali nella gioia di vivere, godere, sperimentare, inventare, trasgredire, trascendere, insomma di aprire orizzonti e di incentivare avventure, un’energia dirompente per il capitalismo e ogni forma di coazione.
Anche l’italiano Recalcati fornisce una riflessione promettente integrando e correggendo lo schema lacaniano con il concetto hegeliano di riconoscimento. L’uomo non è solo desiderio di godimento, di consumo di persone o merci: ma soprattutto desiderio dell’altro o altra come soggetti desideranti alla ricerca di affettività, riconoscimento, completamento, rivelazione: e così con le cose e il mondo.
Queste elaborazioni di psicanalisti rintracciano fermenti di corrosione e rottura dell’omologazione consumista, che fanno emergere disagi, angosce, depressioni e psicosi. L’evaporazione del Super-ego “capitalista” non è una liberazione e genera conflitti schizofrenici irresolubili se non con il recupero dell’identità personale e vitale, del valore dell’uomo protagonista, responsabile e creativo della propria vita insieme agli altri, che rifiuta il mercato come un dio elargitore ai consumer di merci, e per contro le riconverte a orizzonte di scambio di valori d’uso tra esseri umani.
Altri disagi, fratture, contraddizioni e conflitti emergono e vanno incrementati in funzione di una Liberazione autentica anche per evitare che l’evidente instabilità della piramide pikettiana finisca travolta per implosione o per colossali ribellioni dei dannati della terra con l’esito più tragico: il trionfo di barbarie e caos.
Fissando la lente sulla situazione italiana, scopriamo ampie fasce sociali marginalizzate ed escluse, i disoccupati, i non occupati, gli esodati e in particolare il ghetto dei milioni di giovani senza lavoro o precari, divisi, sfruttati e privati della vita oggi e in futuro, una Lumpen middle class percorsa da disagi, frustrazioni, velleità e risentimenti, inasprita dalle infinite promesse di felicità offerte dalla comunicazione disinformativa del marketing economico e politico, tutti belli e vincenti, secondo la Tv, la nuova Circe che riduce gli umani ad animali consumanti.
Un enorme potenziale di riscossa arde negli animi di questa gioventù sacrificata in un mondo di ricchezza trionfante. Contro ogni resistenza e formazione di spiriti liberi, oltre a corporativismo, familismo, narcisismo, darwinismo sociale, più insinuante e micidiale di tutti, imperversa il dogma panglossiano che questoa è la migliore delle società possibili e che non vi è altra società che questa. Così i meccanismi manipolati della dinamica politica bloccata e del consenso sociale drogato bloccano e soffocano ogni espressione e ricerca di alternativa. Quella fascia sociale di disperati, rassegnati inerti perché divisi e subornati, in futuro può diventare parte di un blocco sociale antagonista? Non si tratta di una variante post-moderna della classe già in sé rivoluzionaria, che sta maturando e diventando per sé, coscientemente, rivoluzionaria. Eppure, malgrado tutto, se quel potenziale crescente divampasse ed esplodesse, che succederebbe?
Tentiamo un’ipotetica profezia. Questi nostri giovani col tempo crescono e diventano adulti, aumentano anche i loro istinti di sopravvivenza e riproduzione, i loro bisogni libidici e le loro fantasie parentali, fanno sesso e figliano, costituiscono famiglie, vedono crescere con i figli i bisogni e la miseria, mentre le élites accumulano fruizioni, ricchezze e lussi, esasperando il loro avvilimento e sfruttamento. La loro rabbia trabocca, inventano un mito fondante e insorgono. Una tremenda jacquerie rovescia i potenti.
Ahinoi: un incubo. Alla guida del paese s’insediano i più ambiziosi ed eloquenti dei Call Center, degli addetti all’archiviazione, dei temporanei delle Poste, dei manovali della logistica, distribuzione, pubblicità, fast food etc.
La prima rivoluzione possibile del terzo millennio
Vi sono focolai di dissenso e di rottura, frange e categorie che potrebbero convergere con la massa dei precari, conferendo alla loro rivolta il valore aggiunto di fondamentali competenze economiche, scientifiche e tecniche. Le forze propulsive cruciali che oggi organizzano, producono e guidano l’Italia, come ogni altro paese del Wonderland globale, sono quelle del know how, dell’intelligenza scientifica e strumentale, della scienza-tecnologia, sono gli operatori dei centri di ricerca di Matematica, Fisica, Chimica, Medicina, Ingegneria, Elettronica etc., quelli delle Scienze antropologiche e sociali, quelli dell’Industria e del Terziario.
Si tratta di una categoria sociale presente in tutto il mondo e portatrice di una Cultura, di un Sapere, di un’Etica ispirate alla razionalità critica, all’indagine rigorosa, alla verifica logica e logico-sperimentale. Gente che rappresenta tutte le etnie e lingue, unita nella ricerca e nel sapere da un interscambio continuo.
Mai nell’avventura degli umani si è presentata una tale occasione di unificarsi e non su basi militari od economiche di dominio e sfruttamento.
Centrali e insostituibili nella rete mondiale delle tecnostrutture industriali, hardwhere, sono le conoscenze, le scienze-tecnologie, la knowledge, e con questa le altre forme di saperi umanistici, arti e musica comprese, dunque la knowing class, chiave e domina della produzione, un circuito dinamico di hardware e software in perpetua crescita di straordinaria complessità che mobilita ed esalta insieme il ruolo inventivo emulativo e la cooperazione integrata dei tecno-scienziati-umanisti.
Certo ora i baroni di tutti i settori culturali, artistici, musicali, dello spettacolo e della moda sono parte integrante della casta dominante, e dirigono tutto il sistema solo grazie allo sfruttamento di centinaia di migliaia di giovani scienziati, specialisti, umanisti, tecnici di tutte le etnie, lingue e zone del mondo in vari modi da loro utilizzati e subornati, che nei centri di ricerca e nei sistemi economici e nel sociale lavorano, indagano, sperimentano, inventano, producono, insomma gestiscono tutto il sistema senza riconoscimenti adeguati.
Anch’essi sono abitanti dopati di Wonderwold, come gli altri, quindi consumer, eterodiretti e inoltre cooptati generosamente in rapporto alla loro importanza in una scala d’accesso al 10,1 centile, vertice della piramide pikettiana abdicando dalle responsabilità e opportunità di guidare l’emancipazione dell’intera umanità assestata nel resto della classe media, e la metà pauperizzata della popolazione.
Ma quello statuto epistemologico della scienza, della tecnica dei saperi che ispira loro una ricerca razionale libera e disinteressata, soggetta solo ai principi della verifica logico-matematica e sperimentale o comunque rigorosa e critica ne fa degli antagonisti al giogo dello sfruttamento e del profitto.
Oggi essi subiscono ancora lo sfruttamento e le scelte delle Gerarchie dominanti che tolgono loro scelte e potere di decisione anche in merito al futuro e subiscono questa umiliazione e subalternità, irreggimentati dall’utopia meritocratica e allettati dal mito di una cooptazione nell’olimpo, a costo di disagi, frustrazioni, depressioni, rabbia destinati a nutrire una consapevolezza della loro enorme potenzialità di lotta e riscatto.
Anche questa, come tutte le autocrazie, è condannata dall’autoreferenzialità e brama inesauribile di potere e ricchezza a perdere il controllo della situazione globale, che sotto la nebbia rimane un caos continuamente arginato e continuamente debordante. La sovranità del primo millile si immagina inattaccabile e immortale, ma aumentando ineluttabilmente i profitti, cooptando esclusivamente i propri rampolli e gravando sul servilismo, si priva di forze nuove e rigeneranti mentre, relegando a un’esistenza di febbrile lavoro e consumismo dopato la middle class e di frustrazione e umiliazione le ultime generazioni nonché escludendo i dannati della Terra, finirà per perdere il controllo. Certo, i meccanismi manipolati della dinamica politica bloccata e del consenso sociale drogato con l’utilizzo spregiudicato dei media, ora deviano o soffocano ogni espressione antagonista; ma quando la fame e la disperazione dei dannati della terra s’incontreranno e convergeranno con le mortificazioni e la collera dei giovani ghettizzati e i diritti misconosciuti dei lavoratori dei saperi e delle tante minoranze antagoniste, suonerà anche l’ora finale per la Liberazione democratica ed egualitaria.
Infatti oggi la conoscenza è patrimonio sociale che si costruisce con la collaborazione di tutti, un potenziale enorme per una maturazione della società su prospettive di partecipazione democratica. Si stanno diffondendo esperimenti fondati sulla cibersocialità, che rifiuta lo spirito competivo, individualista e narcisista del consumismo mentre insieme valorizza gli spazi intersoggettivi e gli individui con i loro obbiettivi, bisogni e ideali utilizzando gli hardwhere e i softwere digitali.
Di qui “comunità di pratica e apprendimento” orizzontali, ispirate a collaborazione ed emulazione per il miglioramento individuale e comune, che promuovono informazione e partecipazione culturale, sociale e politica, basi di cogestione democratica di comuni e piccole città. Un modello che può diffondersi e influenzare le gerarchie del potere.
Conclusione
Un dubbio personale. Nel Wonderworld dello spettacolo e del consumo anche al critico è assegnato surrettiziamente il ruolo mediatico di una simulazione distrattiva che l’ingenuo crede un’alternativa rivoluzionaria?
*La prima parte (I) dell’articolo è già apparsa sul bollettino edito dall’associazione culturale "dalla parte del torto" (anno XVIII, numero 69, Parma estate 2015).
Ho letto tutto il saggio di Gughi [Augusto Vegezzi] e mi complimento con lui per il suo sforzo poderoso di sintesi su una materia così vasta e complessa. Uno degli aspetti migliori del saggio consiste nella tensione pratico-utopica, di resistenza e di lotta etico-politica che lo attraversa e lo anima, nella ricerca di un’alternativa alla forma data della globalizzazione.
Mi riconosco pienamente in tutto ciò e mi limito brevemente a esprimere due sole riserve, una relativa alla valutazione del Sessantotto, tutta positiva, solo formidabili quegli anni, senza vederne anche o senza almeno accennare alle sue ombre (ad esempio lo stalinismo, l’emmellismo, il settarismo, il culto della violenza rivoluzionaria, il sei politico, etc.); la seconda riserva concerne la conclusione, mi sembra infatti che questa parte sia un po’ carente, ma non è certo solo Gughi che si trova in una impasse reale, nella difficolta’ di proporre indicazioni alternative praticabili...
In definitiva, comunque, ancora complimenti per il suo scritto appassionato e appassionante, a tratti molto lucido e rigoroso...
Franco Toscani
L’umanità è in pericolo
di João Pedro Stedile (Comune-info, 2 luglio 2015) *
Durante il periodo della Guerra Fredda, tra gli anni 1945-1990, i giornali annunciavano ogni giorno che l’umanità si trovava di fronte al pericolo di una guerra nucleare, che avrebbe distrutto il nostro pianeta. Per fortuna questo non è avvenuto. Tuttavia, ora, ci troviamo di fronte ad un pericolo simile, che non arriverà dalle bombe o dalle guerre, con la loro stupida distruzione. Ora siamo di fronte a una distruzione lenta, graduale, ma permanente, dei nostri popoli. Una distruzione prodotta dall’uso di veleni agricoli e dal controllo che le multinanzionali hanno degli alimenti di tutta l’umanità.
Con l’egemonia del neoliberismo e del capitale finanziario, negli ultimi venti anni, l’economia mondiale è stata dominata dal capitalismo e controllata da non più di cinquecento imprese transnazionali. Queste detengono il 58 per cento di tutta la ricchezza, ma danno lavoro solo all’8 per cento della popolazione. E questa forza egemonica controlla anche l’agricoltura e la produzione alimentare. Meno di cinquanta imprese controllano in tutto il mondo la produzione di veleni agricoli, la costruzione di macchine agricole, controllano l’agroindustria e il commercio degli alimenti. Ci hanno imposto una matrice tecnologica basata sui semi geneticamente modificati, sulla meccanizzazione su larga scala e l’uso intensivo di veleni.
Espellono manodopera dalle campagne, che va a gonfiare le città e a migrare verso altri paesi. Le imprese multinazionali di Expo Milano sono quelle che producono Lampedusa! Questo modello dell’agrobusiness è anti-sociale, è insostenibile a medio termine sotto l’aspetto economico ed ecologico.
Perché è un modello che distrugge la natura ed esclude le persone dal loro sviluppo. Come diciamo in Via Campesina è una agricoltura senza agricoltori! E questo non ha futuro. Le conseguenze sono lì davanti ai nostri occhi, denunciate anche da papa Francesco, nella sua enciclica (leggi anche Il Cantico che non c’era di Paolo Cacciari) e nelle sue dichiarazioni.
Questo modello distrugge la biodiversità, perché i pesticidi uccidono ogni essere che vive in quello spazio, siano essi piante, batteri o animali. Contaminano l’aria e l’acqua. E i loro residui vanno negli alimenti, che, consumati quotidianamente, si trasformano in malattie di ogni genere, e in particolare generano cancro, perché distruggono le cellule del corpo umano.
Qui in Brasile, dopo aver implementato questo modello, sono state espulse quattro milioni di famiglie contadine. E il paese è diventato il più grande consumatore al mondo di veleni agricoli. E ogni anno, ci sono 500.000 nuovi casi di cancro tra la popolazione, come ha denunciato l’Istituto nazionale del cancro, del ministero della salute. Questo è il costo che il popolo paga, per permettere che alcune aziende facciano soldi esportando soia, cellulosa, etanolo e carne di manzo.
Ma al capitale non interessa la vita umana, lo stare bene, l’equilibrio della natura. Al capitale interessa solo il profitto, l’accumulazione di ricchezza. Per tutto questo noi ci uniamo a tutte le voci del mondo, ora in questo Convegno alternativo di Milano, per dire che l’Expo di Milano è l’esposizione del profitto e della morte.
È l’Expo dell’esibizionismo di una mezza dozzina di imprese transnazionali, che lo usano come propaganda ideologica per giustificare, legalizzare il loro modello che concentra, esclude e si impadronisce di tutti gli alimenti nel mondo, che elimina le abitudini culturali dei popoli.
Non dobbiamo scoraggiarci davanti alla dimensione del potere economico. Le sue contraddizioni stanno già evidenziandosi in tutto il mondo, e la società sta divenendo cosciente che questo modello non serve all’umanità. Sono sicuro che nei prossimi anni avremo molte manifestazioni in tutto il mondo, perchè ci siano cambiamenti, e possiamo costruire un altro modo di produrre cibo, nel rispetto della natura e delle abitudini alimentari di ogni territorio.
Il futuro non è a Milano e nei loro conti bancari. Il futuro è nell’agricoltura che produce cibo sano.
*Militante del Movimento Sem Terra -MST in Brasile e di Via Campesina Internazionale (messaggio preparato per il convegno di Milano del 26 giugno: Nutrire il Pianeta o le multinazionali?)
Altri articoli sull’Expo.
Editoriale
L’alternativa radicale alla globalizzazione
di Guido Viale (il manifesto, 02.09.2014) *
Molte delle minacce che incombono sul nostro pianeta - e di cui poco si parla - sono già fatti. Innanzitutto la data che renderà irreversibile un cambiamento climatico radicale e devastante si avvicina. A questo vanno aggiunte tutte le altre forme di inquinamento e di devastazione, sia a livello globale che locale, che lasceranno a figli e nipoti un debito ambientale ben più gravoso dei debiti pubblici su cui politici ed economisti si stracciano le vesti.
Governi e manager hanno per lo più cancellato il problema dalla loro agenda: la green economy promossa a quei livelli non è un’alternativa al trend in atto, ma una serie scollegata di misure, spesso dannose, che ne occupano gli interstizi. L’Italia, che ha una strategia energetica (Sen) recepita dal governo Renzi, ne è un esempio: ha impegnato cifre astronomiche nelle fonti rinnovabili a beneficio quasi solo di grandi speculazioni che devastano il territorio, ma dentro un piano energetico incentrato su trivellazioni e trasporto di metano in conto terzi. È una visione miope che distrugge, insieme all’ambiente, anche l’agognata competitività, e chiude gli occhi di fronte al futuro.
Viviamo ormai da tempo in stato di guerra: l’Italia - ma non è certo un’eccezione - è già impegnata con diverse modalità, tutte contrabbandate come «missioni di pace», su una decina di fronti. Ma questi interventi, che non sono mai guerre dichiarate, alimentano un meccanismo irreversibile: si armano o sostengono Stati o fazioni per combatterne altri o altre, che poi si rivoltano contro chi le ha armate in un alternarsi continuo dei fronti che non fa che allargarli. Dal conflitto israelo-palestinese alla guerra tra Iraq e Iran, dalla Somalia all’ex Jugoslavia, dalle due guerre contro l’Iraq all’Afghanistan, e poi all’Algeria, alla Libia, alla Siria e di nuovo all’Iraq, e poi in Ucraina, l’establishment dell’Occidente ha ormai perso il controllo delle forze che ha scatenato.
È difficile riconoscere coerenza a scelte (ciascuna delle quali ha o ha avuto una sua «logica») che messe in fila testimoniano la mancanza di una visione strategica. Il soffocamento o la degenerazione di molti processi nati da rivolte popolari contro miseria e dittature sono il risultato di una mancanza di alternative alla diffusione del caos che la «democrazia occidentale» - ormai identificata con il dominio feroce dei «mercati», cioè con una competitività universale - non è più in grado di prospettare e che le forze antagoniste non sono ancora capaci di proporre.
Entrambi quei trend sono destinati a produrre un crescendo continuo di profughi, sia ambientali che in fuga da guerre e miseria, destinati a sconvolgere la geopolitica planetaria. Già ora, e da anni, paesi come Pakistan, Siria, Giordania, Libano, Iraq, Turchia, Tunisia, sono costretti a ospitare milioni di profughi, molti dei quali si riversano poi - e si riverseranno sempre più, a milioni e non a decine di migliaia - in Europa. Pensare di affrontare questi flussi con politiche di respingimento è non solo criminale, ma del tutto irrealistico. Ma avere milioni di nuovi arrivati da «ospitare», con cui convivere per molto tempo o per sempre, a cui trovare un’occupazione, evitando di innescare in tutto il paese focolai di infezione razzista (e di reclutamento per milizie del terrore) rende addirittura risibili le politiche economiche e sociali di cui dibattono i nostri governi, tutte calibrate sui decimi di punto di Pil. È un dato che dovrebbe in realtà ridefinire in tutta Europa le politiche relative a scuola, sanità, abitazione, lavoro e cultura: i temi su cui noi stiamo riflettendo, mobilitandoci o cercando di lottare.
Molti di quei focolai accesi dalle strategie, o dalla mancanza di strategia, dell’Occidente nel corso degli ultimi decenni (Ucraina, Medio Oriente e Maghreb), poi trasformatisi in incendi, rischiano anche di interrompere l’approvvigionamento energetico dell’economia europea. Le conseguenze potrebbero essere deflagranti sia per la produzione che per le condizioni di vita e la mobilità. Ma anche in questo caso la governance europea non va più in là del giorno per giorno.
Di fronte a scenari come questi si evidenzia tutta la miopia delle politiche dell’Unione messe in atto con l’austerity, il fiscal compact, gli accordi come TTIP e TISA, l’eterna melina sul coordinamento delle politiche degli Stati membri. Qui tuttavia una strategia chiaramente perseguita c’è: mettere la finanza pubblica con le spalle al muro: non per «liberalizzare», ma per privatizzare tutto l’esistente: imprese e servizi pubblici, beni comuni, territorio, ma anche esistenze individuali e percorsi di vita; mettere con le spalle al muro il lavoro, per privarlo di tutti i diritti acquisiti in due secoli di lotta di classe; instaurare il dominio di una competitività universale: non, ovviamente, tra pari, ma dove i più forti siano liberi di schiacciare i più deboli.
Tuttavia anche in questo caso gli effetti vanno al di là del previsto: sono le stesse «teste pensanti» dell’establishment ad ammettere, anno dopo anno, che i risultati non sono quelli che si attendevano. Soprattutto ora che vengono al pettine contemporaneamente molti di quei nodi: deflazione, deindustrializzazione, disoccupazione, dipendenza energetica, guerre senza sbocco, disastri climatici, profughi. Ma non hanno vere alternative; e mettere toppe da una parte - cosa in cui Mario Draghi è maestro - non fa che aprire falle da un’altra.
Dunque un «piano B» non esiste. Dobbiamo lavorarci noi e questo deve essere l’orizzonte politico, e prima ancora culturale, di qualsiasi iniziativa, anche la più minuta, di cui ci occupiamo.
Non lasciamoci scoraggiare dalla sproporzione delle forze e delle risorse: in sintonia con noi ci sono altre migliaia di organizzazioni sparse per il mondo (e forse un passo importante per cominciare a coordinarci a livello europeo è stato fatto con la lista L’altra Europa; e non è né il primo né l’unico); e poi, ci sono milioni o miliardi di esseri umani che hanno bisogno di trovare in nuove pratiche e nuove elaborazioni un punto di riferimento per sottrarsi a quel «caos prossimo venturo» di cui già sono vittime. La radicalità di un movimento, di un programma, di un’organizzazione, cioè la loro capacità di misurarsi con lo stato di cose in essere, si misura su questo sfondo: si tratta di sviluppare a trecentosessanta gradi il conflitto con il pensiero unico e con la cultura e la pratica della competitività universale e le sue molteplici applicazioni, per promuovere al loro posto le condizioni di una convivenza pacifica, egualitaria, democratica e solidale tra gli umani e con la natura.
È stata la globalizzazione a spalancare le porte alla competitività universale. Noi dobbiamo pensare e praticare nell’agire quotidiano alternative che valorizzino i benefici dell’unificazione del pianeta in un’unica rete di rapporti di interdipendenza e di connettività, ma in condizioni che non facciano più dipendere la sopravvivenza di alcuni dalla morte di altri, il reddito di alcuni dalla miseria altrui, il successo di un’azienda dalla rovina dei concorrenti, il mantenimento o la «conquista» di un lavoro dall’espulsione di chi ne resta escluso, la «ricchezza delle nazioni» (il Pil!) dalla miseria delle rispettive popolazioni.
Queste alternative riconducono tutte alla riterritorializzazione dei processi economici: non al protezionismo, che non è più praticabile; non al confino in ambiti economici chiusi con il ritorno a valute nazionali in competizione tra loro; non alla ferocia di identità etniche e culturali fittizie che ci mettono in guerra con chiunque non le condivida; bensì alla promozione ovunque possibile - e certamente non in tutti i campi e per tutti i bisogni - di rapporti quanto più stretti, diretti e programmati tra produttori e consumatori di uno stesso territorio, ridimensionando a misura dei territori di riferimento, ovunque possibile, impianti, aziende, reti commerciali e il loro governo.
La trasferibilità del know-how a livello planetario ormai lo consente per molti processi, a partire dalla generazione energetica; il recupero dei materiali di scarto ci può rendere più indipendenti dall’approvvigionamento di materie prime; i servizi pubblici locali riportati alla loro missione originaria possono connettere un governo democratico e partecipato della domanda (di energia, alimenti, trasporto, di gestione del territorio, di cura delle persone, di promozione della cultura, dell’istruzione, dell’integrazione sociale) con misure di sostegno all’occupazione, di conversione ecologica delle attività produttive, di risanamento del territorio e del costruito. Si può così costruire, dentro il villaggio globale creato dalla circolazione dell’informazione e dall’interconnessione delle esistenze di tutti, le basi materiali di una vita di comunità ricca di relazioni.
Una strada che è la base irrinunciabile di un progetto politico alternativo per Europa e per il mondo intero; che va imboccata e seguita in ogni situazione in forme differenti e specifiche; ma tutte insieme possono fornire dei modelli a chi decide di imboccarla.
Una premessa*... di civiltà
di Federico La Sala *
Al di là dell’etica edipica, generale e cattolica, e dello spirito del capitalismo: cambiamo il paradigma che finora ha governato il mondo...
L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide vuol essere un ’manifesto’ sul coraggio di servirsi della propria intelligenza, oggi - per diventare uomini liberi e donne libere, cittadini sovrani e cittadine sovrane, non imprenditori e imprenditrici, sfruttatori e sfruttatrici, della propria o dell’altrui ’forza-lavoro’. Esso riprende il discorso avviato in La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica (Antonio Pellicani editore, Roma 1991) e in Della Terra, il brillante colore (Edizioni Ripostes, Roma-Salerno 1996) e propone una nuova prospettiva di ricerca e una possibile via di uscita da duemila e più anni di labirinto: una ontologia chiasmatica, segnata da una relazione non più azzoppata e accecata dalla cupidigia del sapere-potere edipico-capitalistico, ma da una relazione illuminata dal sapere-potere dell’amore, umano e politico, di sé, dell’altro e dell’altra.
Al fondo di questo lavoro, come di quelli precedenti, c’è la persuasione che “il campo - tavolo da gioco, la ben rotonda sfera entro e su cui ancora stiamo a giocare” (cfr. Le “regole del gioco” dell’Occidente, in La mente accogliente..., cit., pp. 162-189), sta diventando sempre di più un campo di sterminio, e c’è la volontà di contribuire al crescente e vasto sforzo di ritrovare le ragioni e le radici del nostro stesso esistere e di riaffermare - al di là della necessità e del caso - la libera scelta per l’essere, non per il nulla.
Uscire dai cerchi di filo spinato che delimitano dappertutto il nostro presente storico è la scommessa. Come fecero i militari italiani internati nel lager tedesco di Wietzendorf (cfr. il Presepio del lager - Natale 1944, ricostruito nella Basilica di sant’Ambrogio, nel Natale 2000) e fece Enzo Paci, anch’egli in un lager tedesco [nello stesso: con Paul Ricoeur, Mikel Dufrenne, Giovannino Guareschi e Altri - fls] nel 1944 (cfr. Nicodemo o della nascita, in Della Terra..., cit., pp. 120-125), oggi non possiamo che riaprire la mente e il cuore alle domande fondamentali e cercare di dare a noi stessi e a noi stesse le risposte giuste: Come nascono i bambini? Come nascono le bambine? Qual è il principio di tutti gli esseri umani? Come si diventa esseri umani? Come io sono diventato Io? Cosa significa che io sono il figlio, la figlia, dell’UNiOne di due esseri umani?... Essi avevano cominciato a capire l’enigma antropologico dell’Egitto dei Faraoni, delle loro Piramidi e delle loro Sfingi, e il ’segreto’ di Betlemme, del presepio di Greccio (1223) e di Francesco e Chiara di Assisi.
Sull’orlo dell’abisso, non ci resta che venir fuori dallo stato (cartesiano-hegeliano) di sonnambulismo: seguire il filo del corpo (l’ombelico!), riacchiappare il senso della vita, e riattivare la memoria delle origini. Con Kant, con Feuerbach, con Marx, con Nietzsche, con Freud, con Rosenzweig, con Buber, e con Kafka ... si tratta di capire il significato della “spada” impugnata dalla “Statua della Libertà”, ritrovare “la fotografia dei genitori” (cfr. America) e riconciliarci con lo spirito di quei due esseri umani, di quei due io, che hanno fatto UNO e dato il via alla più grande rivoluzione culturale mai verificatasi sulla Terra - la nascita di noi stessi e di noi stesse e dell’intero genere umano - e riprendere il nostro cammino di esseri liberi e sovrani, figli della Terra e dello Spirito di D(ue)IO. Camminare eretti, senza zoppicare e con gli occhi aperti, è possibile. Non è un’utopia. (Milano, 20.01.2001 d.C.).
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* Cfr. Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide. Considerazioni attuali sulla fine della preistoria, in forma di lettera aperta (a Primo Moroni, a Karol Wojtyla, e p. c., a Nelson Mandela), Edizioni Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp. 7-8.
La buona volontà è importante. Il desiderio di aiutare e sostenersi reciprocamente sono pietre fondanti della solidarietà sociale. Ma la confusione su ciò contro cui stiamo combattendo è probabilmente uno dei nostri maggiori problemi. Non saremo in grado di creare affari per spodestare il business!
Una economia del dono degna di questo nome implica una trasformazione massiccia di dimensioni alle quali, francamente, la maggior parte di noi ha paura di pensare. Apprezzo i miei amici con cui ho soprattutto goduto una generosità e una reciprocità incommensurabili.
Credo che la nostra speranza sia che quello spirito simile ai primi anni di vita nelle braccia delle nostre madri e dei nostri padri, dove tutto veniva offerto gratuitamente e con amore, possa essere la base di una trasformazione a livello sociale.
Forse è possibile. Ma se così è, dovremo comprendere il dibattito politico le dinamiche istituzionali ultime che faciliteranno una tale trasformazione. Non accadrà solo perché lo desideriamo, o perché proviamo molto amore per coloro che ci circondano. Se ci riuniamo per discutere di queste idee ma dobbiamo sempre tornare a una vita dove la logica predominante è far soldi per pagare i conti, continueremo a pedalare a vuoto per un lungo tempo a venire.
* Cfr. Chris Carlsson, Il dono e il rifiuto del mercato (Comune-info, 12 febbraio 2014)
PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO E DELLA SUA TEOLOGIA "MAMMONICA" (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006). CON MARX, OLTRE.
RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTA’: UN NUOVO PARADIGMA. MARX, IL "LAVORO - IN GENERALE", E IL "RAPPORTO SOCIALE DI PRODUZIONE - IN GENERALE".