Inchiesta

Il disagio mentale e il contesto di San Giovanni in Fiore

venerdì 14 gennaio 2005.
 
San Giovanni in Fiore ha un passato povero, di solidarietà, accoglienza, emigrazione. Lì vanno cercate le cause storiche del profondo degrado attuale, prodotto, assieme, dalla mancanza di lavoro e dalla speculazione politica. «Il Sud ha una doppiezza di fondo: una straordinaria umanità e un’assurda disumanità, che si manifesta in vecchie forme di controllo e oppressione. La permanenza individuale nello stato di minorità dipende dalla sicurezza ambientale. Il salto, l’uscita, è spesso una fuga». Questa l’analisi di Alfonso Maurizio Iacono, preside della facoltà di filosofia a Pisa e ordinario di storia della filosofia politica. La miseria del periodo successivo alla Repubblica venne contrastata, a San Giovanni, coi rapporti di vicinato e con la salda unità della famiglia, come agli inizi del Novecento. Spesso, ciò non bastò a contenere il problema né a creare prospettive migliori. L’attenzione di noti osservatori su precise dinamiche sociali del luogo e situazioni d’estrema disperazione non è fatto ultimo: assieme alla recente inchiesta di Gian Antonio Stella riguardo al quadro socioeconomico della città, si ricordano vari servizi giornalistici circa le clamorose proteste di centinaia di disoccupati, nel decennio dei mondiali italiani e della corruzione statale, ma anche una vasta produzione saggistica basata, in prevalenza, sullo studio dei rapporti fra emigrazione e psicopatologie - condotto dall’etnoantropologo Salvatore Inglese. Le cui intuizioni sul campo - presso il Centro di salute mentale - restano un punto di riferimento analitico, critico e politico. «Si può parlare, oggi, in ordine alle condizioni del distretto sanitario (che comprende i comuni di Caccuri, Savelli, Castelsilano, Cerenzia, con una popolazione di 24532 abitanti), d’un disagio di senso opposto, rispetto a quello esaminato da Inglese», spiega la psichiatra Elina Suffredini, direttore del Centro di San Giovanni in Fiore. «Gli emigrati che hanno scelto di tornare, e sono diversi, hanno un adattamento travagliato: non trovano più lo stesso ambiente di prima». Agata Mazzitelli, sua collega, prosegue nel particolare: «Si tratta di gente che, una volta qui, accusa la scarsezza di servizi e assistenza. Pensiamo alle madri con figli disabili, per le quali era perfettamente normale, all’estero, ricevere adeguato sostegno rispetto ai bisogni in famiglia. C’è una questione di risposta concreta alle esigenze individuali e di garanzie dei diritti fondamentali». Maria Grazia Andali ha rammentato di frequente la vicenda del nonno, venuto dalla Francia, in carrozzella e costretto ad acrobazie per causa delle tante barriere architettoniche. Il progetto comunale per l’abbattimento è fermo da oltre un anno presso l’ufficio tecnico, in attesa di determinazioni amministrative. Serafina Mauro, assistente sociale, tocca ancora i risvolti psicologici e sociali dell’emigrazione. «Molte volte, i figli di chi è partito sono cresciuti coi nonni. Questo ha comportato serie difficoltà, specie dopo la loro scomparsa». Il Centro del distretto sanitario segue 246 pazienti, di cui 87 fra l’età dell’adolescenza e i 35 anni. Ci sono almeno 20 casi al giorno: depressioni, disturbi di panico, deliri, anzitutto. Il personale, psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri, lavora in varie direzioni: si eseguono visite, psicoterapia, interventi sociali, day hospital, attività manuali e ludoterapia. La filosofia di fondo è presa da un pensiero raccolto da Lilly, la casa farmaceutica del Prozac e del Cialis: «Riabilitazione è sentirsi tutelati perché fuori ti evitano». «Recarsi al Centro è stigmatizzante», precisa Suffredini, che ci informa dell’«alta incidenza di patologie psichiatriche». In buona parte dipendenti, anche non direttamente, da disoccupazione e tossicodipendenza. «Senza un lavoro, è facile perdersi» - sottolinea il direttore del Centro, che aggiunge: «Il sangiovannese è attaccato ai propri canoni di vita. Possiamo parlare di un Super-Io fortissimo». Davanti alla scelta sulla base delle proprie convinzioni e sulla scorta dell’aspettativa sociale, della convenzione, la tendenza prevalente è repressiva: si annulla la propria personalità, per cedere al sistema di valori dominante. Su cui c’è da riflettere, per Saverio Saccomanno, psicologo del consultorio familiare, che segue fasi della maternità e sostiene minori con ostacoli nelle relazioni sociali. «Proviamo a guardare la nostra considerazione per ciò che è pubblico. Ci sono case orribili, all’esterno. All’interno, ci trovi, magari, i bagni turchi. C’è tutta una proiezione verso la propria famiglia, a discapito d’una socialità attiva e politica. Quando dirigevo le colonie, arredammo rapidamente degli spazi. Finito tutto, alcuni genitori dei bambini pensarono di prelevare il materiale pubblico rimediato per l’occasione. Dove sta - si chiede Saccomanno - il senso della collettività, dell’utile comune? Non possiamo prendercela coi più giovani, stavolta. La responsabilità è degli adulti». Lo psicologo arriva, poi, alla formazione. «C’è un disagio legato alla scuola; la quale non legge un malessere dei ragazzi in quanto persone. Spesso ci sono situazioni di isolamento dello studente rispetto alla classe. A volte, i ragazzi si sentono attaccati dai loro insegnanti. Poi, ci sono casi che denotano eccessive ingerenze dei genitori nei confronti dei figli o toppa leggerezza. Abbiamo provato a entrare nelle scuole. Il rapporto con l’esterno è vissuto, però, come invasione. Non c’è molta disponibilità». D’altra parte, già nel 1994, Nicoletta Magnaghi lamentava la strana immobilità e gelosia di dirigenti scolastici, di fronte a momenti d’approfondimento con specialisti del luogo. Sabato scorso, allo Scientifico di Rossano, i Mandara hanno presentato il loro ultimo disco, in un clima di profonda disponibilità dei docenti e di grande partecipazione degli allievi. Promosso da Gianni, così si fa chiamare il professore di religione del Liceo rossanese, s’è discusso di pace, all’incontro, geopolitica, strategie dell’informazione, significati della musica, integrazione delle differenze culturali. Questo, a San Giovanni in Fiore, non è possibile, salvo rare eccezioni. Saccomanno ci informa di un’iniziativa con una quinta della scuola elementare Corrado Alvaro, in cui s’è rappresentato il ciclo della riproduzione, con disegni e domande fra adulti e bambini - anche stimolanti, per attraversare un certo imbarazzo dei genitori in materia sessuale. «Una testimonianza - commenta Saccomanno - che si possono ottenere dei risultati, se si creano delle connessioni. Cosa che manca, nella nostra città, pur ricca di risorse umane e creative». Certo, rivoltare questo stato di cose è compito politico: occorre favorire scambi e cooperazione. Oggi, però, «c’è la peggiore classe politica di tutti i tempi», dice Luigi, ventenne. Mentre Agata Mazzitelli racconta di giovani deliranti, che vomitano i segni d’una religiosità di riti e miti, piuttosto diffusa a San Giovanni in Fiore. E di un’educazione religiosa, ancora molto viva, che non ha formato coscienze libere, capaci di affrontare criticamente i problemi del giudizio etico. C’è, piuttosto, un fanatismo diffuso, che si risolve, spesso, in una deliberazione negativa di tipo repressivo. Dietro ai sedativi di un’impostazione fideistica molto opinabile, che continua a passare pure per certe ore ricreative di religione, si nasconde il silenzio o il falso buonismo d’una vasta categoria di persone, che ignorano il dilagante disagio sociale e mentale prodotto da una cultura politica tribale, cieca rispetto alle priorità e resistente davanti agli interventi, improrogabili, in materia di emigrazione.

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