Fox non è Lutero e Ratzinger ... non ha sbagliato (ma nemmeno fatto bene)!!!
95 TESI?! FORSE NE BASTA UNA SOLA!
Una breve considerazione
di Federico La Sala *
Caro Direttore
A proposito delle 95 TESI (Matthew Fox, “95 tesi sulla porta della cattedrale di Wittenberg. Di nuovo!”, Adista, n. 46 del 18 giugno 2005) ..... devo dire che il sogno-desiderio di Fox di ottenere lo stesso effetto di Lutero è totalmente campato in aria!!! Proprio il primo punto non quadra: denuncia una cecità politica e teologica, che non ha niente a che fare (a mio parere) né con Lutero .... e nemmeno con la stessa Chiesa Cattolica (al di là delle critiche) dello stesso Papa “Ratzinger”.
Eccolo: "1. Dio è Madre e Padre". Fox, Chi ha “dimenticato” o addirittura ha “ucciso”? Fox, fin dal principio, ha tolto di mezzo ... il Principio, proprio Dio - lo Spirito Santo!!! Attenzione: Dio non solo è Madre e Padre, ma è anche e soprattutto Dio stesso! Non c’è alcun Dio, se non Dio!!!
Con i Due, manca il Terzo, che - in verità - è il Primo. Questo ci ha detto Gesù, il Figlio: il Padre è lo Spirito Santo, l’Amore che unisce i Due, li eleva e li costituisce in Madre e Padre, che danno vita al Figlio, che è il quarto.... E ogni cristiano e cristiana su di sé, nel farsi il segno della croce (che noi stessi e noi stesse siamo: prendi la tua croce e seguimi ... sulla strada del Padre Nostro, Amore) dovrebbe saperlo. A partire da se stesso e da se stessa, chi lo fa - il segno di “croce”! - ricorda e dice a se stesso e a se stessa che è rinato e rinata nello spirito dell’Amore (non del Cristo di Bush, né di papa Benedetto XVI, ... né di nessun altro!!!): In Nome del Padre, in Nome del Figlio (che è qui e ora testimonia la realtà, la vita e la verità, dell’unione del padre e della madre - dx e sx del proprio corpo), lo Spirito Santo - Amore...è! Così sia ... e così è!
A mio modesto parere, credo che affermare “io, dall’Amore di D(ue)IO ... e non li dimentico” sia più rispondente all’antropologia (biblica e umana, in generale), alla tradizione dei nostri padri e delle nostre madri, alla Lingua d’Amore.... e alla nostra stessa Costituzione Italiana (non di quella edipico-dogmatica della chiesa cattolico-romana!!!).
Voi siete dei: io divento e sono un “dio”, che solo nell’incontro, nel riconoscimento, e nel dialogo con un altro “dio” o un’altra “dio”, diventiamo e divento, siamo e sono, Uno con l’Amore, lo Spirito Santo, il Padre Mio - e Nostro!
Questa è la Legge, e questo il grande comandamento di Gesù (non del papa del IV sec. d. C. - papa Benedetto XVI): "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?". Costui rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso". E Gesù: "Hai risposto bene; fa questo e vivrai"“(Luca: 10, 26-28) - invitando così (come si può notare) a non cancellare né "Dio", né "il prossimo", e né "te stesso"!!!
L’Amore non separa né alza ponti levatoi o steccati. Né il Padre, né la Madre, e neppure il Figlio o la Figlia, o, che è lo stesso e come vuole Fox, “Madre e Padre” è Dio. Michele, l’arcangelo Michele, sta lì a ricordarcelo da sempre!!! Il suo Nome è un Urlo che risuona dall’inizio e per tutta la storia e giunge fino al cuore del nostro stesso presente: Chi è come Dio?! (questo significa il suo Nome!). Chi pretende di esserlo, fosse pure il Santo Padre, ... la Santa Madre, o la Santa Figlia o il Santo Figlio, è solo un povero Lucifero - o, se “madre e padre”, ... due poveri diavoli.
L’Amore, questo vuol dire Amore , significa che il ’cerchio’ non si chiude né può chiudersi mai - ad opera di nessuno e intorno a nessuno (fosse uno, fossero due, o fossero diecimila - la ’società’ in cui regna Amore è ‘aperta’ - questo né Popper né tantomeno Pera lo sa!!!), diversamente è la ricaduta nell’orizzonte pre-evangelico, greco-romano o ... new age, e sempre fuori dalla grazia di Dio, dell’Unico Sole, dall’Amore stesso!
Lutero lo sapeva: solo Dio salva!!! E, del resto, non è questo anche il senso di tutta la buona novella? Preceduto da Socrate, Gesù l’aveva ripetuto, chiarito e detto senza mezzi termini - contro ogni tentazione: solo Dio è buono!!!
L’evangelista Giovanni cosa scrive? La Luce, l’Amore .... accoglierLa, accoglierLo! Di questo esser capaci, tutti e tutte - al di là di ogni “platonismo per il popolo” e di ogni ‘cattolicesimo’ di parte!!!
Questo è il problema: avere il coraggio di aprire gli occhi, di vedere, di assaggiare - sì, anche di assaggiare! "Sapere aude!": a questo invitava il vecchio “cinese” di Koenigsberg! Egli la sapeva lunga e non cedette mai alle lusinghe né del materialismo né dell’idealismo né del relativismo né dello scetticismo .....né ai sogni di un visionario dell’epoca. Egli sapeva della "grande luce": l’aveva vista e aveva capito! Perciò esortava: abbi il coraggio di sapere (di servirti della tua propria intelligenza, per conoscere e ... assaggiare!) - abbiate il coraggio, non abbiate paura!!! Altro che astenersi! Ma da che?! Dal dialogo, dall’amore, e dalla conoscenza?! Mah !!!
L’unica cosa da fare è proprio quella di aprire di più e meglio gli occhi, tutti e due! - e deciderci ad accogliere la luce che viene da fuori e da dentro di noi stessi..... dall’altro e dall’altra, da noi stessi - tutti e tutte, non da Mammona o da Baallone. L’Unico nostro "Padre" - l’unico Solo, l’Amore di D(ue)IO... indica e mostra chi siamo e chi possiamo diventare: figli e figlie di “Dio”, figli e figlie della “Relazione” di cittadini-sovrani e cittadine sovrane di una società fondata su una nuova, salda, e robusta Alleanza, Costituzione. O, se no, che cosa?!!!
Chiarito questo unico, personale - di ognuno e di tutti e di tutte, e fondamentale primo punto, possiamo aprire il dialogo ... e, se si vuole, cominciare a discutere le 94 Tesi. O no?!
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www.ildialogo.org/filosofia, Venerdì, 17 giugno 2005
CERCHIAMO DI NON DARE ...
I NUMMERI *
Conterò poco, è vero:
- diceva l’Uno ar Zero -
ma tu che vali! Gnente: proprio gnente!
Sia ne l’azzione come ner pensiero
Rimani un coso voto e incorcrudente.
Io invece se me metto a capofila
De cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
E’ questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so’ li zeri che je vanno appresso
TRILUSSA, Poesie scelte, Mondadori.
FILOLOGIA, ANTROPOLOGIA, E STORIA: IL MESSAGGIO EVANGELICO, "IL FIGLIO DELL’UOMO", E IL "DIO AMORE", IL "DEUS CHARITAS"... *
Il nuovo libro di Ravasi. In parole e in opere: così si racconta Gesù
Il cardinal Ravasi ricostruisce la “biografia” di Cristo in una traversata della Scrittura che fa dell’Incarnazione un principio storico e interpretativo
di Alessandro Zaccuri (Avvenire, mercoledì 27 ottobre 2021)
Nessuno meglio del cardinale Gianfranco Ravasi conosce la complessità con la quale è chiamato a confrontarsi chi voglia ripercorrere la vicenda di Gesù. È una tradizione ricchissima, che risale perlomeno alla Vita Iesu Christi data alle stampe nel 1474 dal certosino Ludolfo di Sassonia, precoce best seller di età umanistica del quale si contano 88 edizioni. Ma anche prima, anche nella lunga stagione del Medioevo la storia del Figlio dell’Uomo era stata raccontata più volte, attraverso le immagini della Biblia Pauperum diffusa ovunque in Europa, nelle cattedrali più sfarzose come nelle più remote pievi di campagna. Per non parlare del Novecento, che è l’epoca di Giovanni Papini e di François Mauriac, di Norman Mailer e di José Saramago. Il «pensoso palpito» del Cristo di Ungaretti si percepisce chiaramente anche nel tempo dell’inquietudine e della secolarizzazione, secondo una traiettoria che lo stesso Ravasi ripercorre con la consueta precisione all’inizio di questa sua Biografia di Gesù. Secondo i Vangeli (Cortina, pagine 256, euro 19,00, in libreria dal 28 ottobre). A dispetto dell’apparente semplicità, titolo e sottotitolo meritano di essere esaminati con attenzione, perché comporre una biografia di Gesù “secondo i Vangeli” significa anche addentrarsi in una “biografia dei Vangeli”.
Forte della sua autorità di biblista, il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura segue appunto questa strada, che è quella di un’esegesi tanto ragionata quanto appassionata. Non per niente, la “vita di Gesù” che più di ogni altra somiglia a questa di Ravasi è l’estroso Volete andarvene anche voi? di Luigi Santucci, uno scrittore che dello stesso Ravasi è stato amico e perfino complice sul piano spirituale e intellettuale. In quel libro, anziché ricondurre l’esistenza terrena di Cristo a uno schema narrativo, Santucci trasceglieva alcuni brani o versetti salienti e li commentava con la sua sensibilità di narratore e credente. Il metodo di Ravasi è un altro, ma risponde alla medesima logica di aderenza al testo.
C’è una biografia dei Vangeli, dicevamo, che coincide con la scoperta e con la valorizzazione della loro dimensione storica. Ravasi, com’è noto, non ha mai considerato come dato dirimente l’antichità del singolo frammento, preferendo insistere sul principio di storicità interna che preside alla struttura del canone neotestamentario, a sua volta convalidato dalle attestazioni di ambito profano (su tutte, il celebre dispaccio di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano e la controversa ma comunque sintomatica menzione da parte di Giuseppe Flavio). Radicati nella storia, i Vangeli non sono tuttavia resoconti storici in senso stretto, ricorda Ravasi. Fin dal principio nel racconto della vita di Gesù gli elementi di cronaca si mescolano con l’interpretazione da parte della comunità dei discepoli, che in questo modo si fa partecipe dell’Incarnazione: proprio perché si è fatto uomo, Cristo può essere fatto oggetto di racconto; proprio perché è Dio, non può essere raccontato se non nella consapevolezza del mistero.
A rigore, la biografia dei Vangeli comincia fuori dai Vangeli stessi. Ravasi indica come punto germinale la dichiarazione di fede che, nella Pasqua dell’anno 57, Paolo riproduce nella Prima lettera ai Corinzi: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e fu sepolto. È risorto il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Cefa e quindi ai Dodici». La novità buona del kerygma si colloca qui, nell’indissolubilità tra Passione, Risurrezione e testimonianza proclamata dall’annuncio originario. Questo è anche il fuoco prospettico dell’intera Biografia di Gesù, nella quale Ravasi non si limita a passare in rassegna i quattro Vangeli, registrando le peculiarità di ciascuno dei Sinottici e argomentando la singolarità del testo di Giovanni.
L’aspetto più coinvolgente della sua Biografia di Gesù sta nell’individuazione dei grandi nuclei tematici che si ripresentando nelle sequenze narrative maggiori. Quelle riferite alla morte e Risurrezione, anzitutto, ma anche i racconti dell’infanzia, nei quali l’intonazione letteraria si fa più evidente, senza per questo inficiare la consistenza del fatto storico. Particolarmente convincente, fino a imporsi come l’aspetto più originale del libro, è la scelta di concentrarsi in modo specifico sulle due componenti essenziali del linguaggio di Gesù. La parola efficace delle parabole e il gesto eloquente dei miracoli sono indagati da Ravasi in capitoli carichi di spunti per la meditazione personale. «Le mani di Gesù - scrive tra l’altro l’autore - toccano ripetutamente carni malate, operano su persone sofferenti, s’intrecciano con le sue parole di speranza. Piaghe, organi paralizzati, corpi devastati o inerti sono ininterrottamente sotto l’azione di quelle mani».
Così come non comincia nei Vangeli, il racconto della vita di Gesù non si esaurisce in essi. A fianco del canone si situa infatti la lussureggiante biblioteca degli apocrifi, alla quale nel corso del tempo hanno attinto con larghezza artisti, poeti e narratori. Molte immagini alle quali siamo abituati e non poche figure fatte segno di devozione provengono da questa zona che Ravasi non manca di attraversare nelle ultime pagine del libro. Ancora una volta, si ritorna all’essenziale, ai giorni fatidici della condanna a morte e della Pasqua. Ripercorriamo così le peripezie di Pilato, che da personaggio storico diventa nella narrazione degli apocrifi esempio morale. E ci imbattiamo nella “correzione” più struggente, quella che nel Vangelo di Gamaliele rimedia al mancato incontro tra Gesù e la Madre. Episodio poi carissimo alla devozione popolare, a conferma di come la storia «di un Dio che si fa crocifiggere sul Golgota» (è la geniale sintesi di Borges) non smetta mai di essere raccontata.
* NOTARE BENE:
MESSAGGIO EVANGELICO E FIGLIO DELL’UOMO [nel senso di "Adamo" ed "Eva", di "Giuseppe" e "Maria"! - "Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell’uomo [="Filius hominis" = "υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου"] deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell’uomo?»"(Gv. 12,34=C.E.I.]).
LEZIONE DI "ANDROLOGIA" DI PAOLO DI TARSO. Prima lettera ai Corinzi, 11, 1-3: "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo [gr. ἀνήρ, ἀνδρός «aner, andròs - uomo»], e capo di Cristo è Dio" .
Federico La Sala
Tubinga.
Addio a Eberhard Jüngel, maestro della teologia
Il pensatore luterano è scomparso martedì all’età di 86 anni. Al centro della sua opera come pensare e dire Dio nell’epoca che ne ha sentenziato la morte e l’Amore agapico
di Giuseppe Lorizio (Avvenire, mercoledì 29 settembre 2021)
All’inizio anni ’70 del secolo scorso il teologo di Tubinga Eberhard Jüngel, morto martedì all’età di 86 anni, pubblicava un breve saggio intitolato Tod. Ho sempre pensato che alla morte bisognasse iniziare a pensare da subito e non attendere le fasi finali della vita. Ne fui molto colpito e gli scrissi, anche perché, con padre Xavier Tilliette, stavo scrivendo sull’argomento, in quello che poi sarebbe diventato il mio saggio Mistero della morte come mistero dell’uomo (Dehoniane, 1981). Mi rispose con grande affabilità e dimostrando interesse verso il mio umile lavoro di giovanissimo studente di teologia.
Cosa ho imparato da quel libro? Intanto che «l’essenza della morte è l’irrelazionalità», ossia la solitudine, ma che questa è anche la condizione dell’esistenza autentica. Ma, aggiungeva: «La morte deve essere e deve diventare ciò che l’ha resa Gesù Cristo», ovvero l’attestazione del primato di Dio e non di altri sulla nostra esistenza terrena, perché: «Là dove non possiamo fare nulla, egli è presente per noi». Penso e ne sono profondamente convinto che abbia affrontato la cupa signora di Samarcanda con questo spirito.
L’ho incontrato sia alla Lateranense, nei colloqui teologici ispirati dall’allora rettore Angelo Scola, sia a Tubinga per la presentazione dei risultati della ricerca interconfessionale. Ciò che mi ha stupito nella sua riflessione intorno a Dio mistero del mondo (Queriniana, 1982) è l’attenzione che da parte di un teologo certamente di matrice luterana veniva rivolta alla dimensione cosmico-antropologica della Rivelazione e l’elaborazione della dottrina dell’analogia, ritenuta comunemente monopolio dell’ambito propriamente cattolico-tomista.
Da teologo protestante egli, che pure all’epoca assumeva come interlocutore il pensiero del cattolico Erich Przywara, ha continuato a sostenere una radicale incompatibilità fra analogia entis e analogia fidei, in rapporto alla contrapposizione paolina fra giustizia della legge e giustizia della fede, e ciò in nome di un’assoluta e radicale fedeltà alle originarie intenzioni di Karl Barth, che nella fase dialettica del suo pensiero riteneva l’analogia entis un’invenzione dell’Anticristo. Quest’ultimo ha anche vissuto una radicale conversione a riguardo, approdando all’analogia charitatis, anch’essa analogia entis e analogia fidei nello stesso tempo, in quanto non solo esige di essere pensata nel duplice orizzonte della dimensione cosmico-antropologica e storico-escatologica della Rivelazione. E qui ci viene incontro un ulteriore fondamentale contributo offerto dal pensiero di Jüngel non solo al pensare teologico, ma alla stessa filosofia, in dialogo con Paul Ricoeur: si tratta della metafora come luogo e modalità propria del linguaggio credente. Sicché la “metaforica” diviene per chi scrive la “metafisica dell’Evangelo”.
Questa prospettiva reclama, dietro le spinte sia della critica filosofica all’ontoteologia, sia della rivendicazione teologica della prospettiva credente, l’elaborazione di una “metafisica della carità”, ossia agapica, capace di indicarne l’orizzonte di senso e nella quale la metafora del Padre e del suo rapporto generativo col Figlio e, insieme a Lui, con lo Spirito, possa finalmente assumere la forma dell’“icona verbale”, capace di sconfiggere ogni idolatria e di aiutarci a recuperare l’orizzonte eucologico e poetico originario della metafora, che eccede ogni analogia e ogni ulteriore concettualizzazione, esprimendosi semplicemente nella preghiera che “obbedienti al comando del Salvatore, osiamo” ripetere quotidianamente.
E così torniamo al tema della morte, pensata e vissuta dal teologo, come luogo nel quale sorge un nuovo rapporto con Dio, in quanto Egli stesso, scrive ancora in Morte, «subisce l’irrelazionalità della morte che aliena da Lui gli uomini. Dio si inserisce proprio là dove i rapporti e le relazioni vengono meno». Sicché «dove tutte le relazioni sono state interrotte, solo l’amore ne crea di nuove».
L’irruzione dell’Amore agapico e incondizionato sconfigge la morte e al tempo stessa ri-crea una nuova relazione con Dio e con gli altri, ossia con l’a(A)ltro. E ciò può accadere in quanto «Che Dio sia divenuto uomo implica ch’egli partecipi con l’uomo della miseria della morte», così come accaduto a lui e accadrà a ciascuno di noi.
Jesus. Chi era costui? Antropologia filologia archeologia filosofia teologia cristologia pedagogia ...
IL "CIMENTO" DELL’ACCADEMIA GALILEIANA E LA "PIETRA” DEI FILOSOFI: "PROVANDO E RIPROVANDO"!
A riorganizzare le idee, a sollecitare ulteriori riflessioni e approfondimenti sugli importanti e vitali "rapporti tra cemento, cimento e cimentare" ("Ggimentu, gimmientu e ggimintare"), e a non cadere nel delirio di onnipotenza della preghiera nient’affatto evangelica e nient’affatto infantile, troppo “infantile” (“Cristo lo voglio io per Padre/ la Madonna la voglio per Madre/ S. Giuseppe lo voglio per fratello,/ I Santi tutti li voglio per parenti / Affinché mi scampino da tutti i cimenti” - vale a dire, i serpenti-parenti), tenendo conto delle precisazioni del prof. Polito e delle mie "vecchie" note relative al suo articolo "Serpente? Presente",
RICORDO
che il motto della ACCADEMIA DEL CIMENTO ("Accademia dell’esperimento"), nel solco del "Saggiatore" di Galileo Galilei, è
"PROVANDO E RIPROVANDO".
Solo su questa strada, valendosi "del proprio intelletto senza la guida di un altro", con l’uso della propria "bilancetta", è possibile trovare all’interno dalla caverna la "pietra da costruzione" ("lapis philosophorum") e al contempo l’uscita dallo Stato di minorità (Kant).
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«Dio che è “oscurità sovraessenziale, che non ha nome e non avrà mai nome” (Eckhart)»
Il dialogo e la verità da vivere
di Mattew Fox (la Repubblica, 02.10.2013) *
È un piacere poter prendere parte all’importante dialogo ispirato dallo scambio di lettere tra Eugenio Scalfari e papa Francesco. Nel corso del lavoro preparatorio per il mio libro Lettere a papa Francesco ho letto il libro che riporta le conversazioni tra Bergoglio e il rabbino argentino (e scienziato) Skorka, per cui so bene quanta importanza attribuisca il nuovo pontefice al dialogo e a un profondo scambio di idee, e soprattutto quanto sia «vulnerabile» all’ascolto attento e all’apprendimento. È questa, a mio parere, la chiave del dialogo: parlare e ascoltare per imparare, non semplicemente per «segnare dei punti». È questo che fa di papa Francesco una boccata d’ossigeno dopo trentaquattro anni di papi che sembravano più inclini a dettare le risposte e anche le domande, senza dare quasi mai la sensazione di avere qualcosa da imparare.
La modestia del pontefice attuale è palese non solo dal suo rifiuto di trasferirsi nei palazzi pontifici, ma anche dalla sua disponibilità a prendere la penna in mano e rispondere con sincerità, dal profondo del cuore, alle domande poste da Scalfari. Papa Francesco, come molti gesuiti, conserva la smania di apprendere, e questo per me è motivo di lode. Sono i saccenti, che avvolgono tutte le loro risposte in dogmi rigidi e congelati e domande preconfezionate, che tradiscono il significato più profondo e lo spirito di avventura che una religione sana dovrebbe avere.
La verità, che la si apprenda da una persona che si autodefinisce «atea», o «laicista», o «credente », o «agnostica», o «non credente», non è vincolata a un’unica espressione. Quello che conta nel dialogo è quella parte di verità che impariamo gli uni dagli altri. La verità è qualcosa che viviamo, non qualcosa che congeliamo in dogmi e credenze liofilizzati. E poiché la viviamo, siamo in grado, a prescindere dalla nostra ideologia, di provare un’ammirazione comune per persone che ci hanno mostrato, attraverso la vita che hanno vissuto, la verità della giustizia, della bellezza, della gioia o della generosità.
La domanda diventa: in che genere di Dio crediamo? Che genere di Dio rifiutiamo? Cantiamo le lodi di un Dio del Controllo e degli imperi? O di un Dio dei poveri e di chi non ha voce? Un Dio del razzismo, del sessismo, dell’omofobia o dell’antropocentrismo, oppure un Dio della Condivisione, dei poveri, della giustizia razziale. Voglio proporre qualche altro genere di Divinità che vale la pena di venerare.
La Divinità apofatica è il Dio del silenzio, della contemplazione, dell’ascolto attento, del niente più proiezioni, il Dio che è «oscurità sovraessenziale, che non ha nome e non avrà mai nome» (Eckhart). Questo Dio ci insegna a tacere, ad apprezzare il silenzio e ad andare in profondità, e a non presumere più che chiunque di noi conosca la grandezza di Dio. In questo modo ci aiuta a placare il cervello rettile (sì, la «bestia» che è in tutti noi) lasciando spazio alla nostra intelligenza più recente, la Compassione.
Un’altra dimensione della Divinità su cui vale la pena dialogare è quella della Luce. Con la scienza che oggi ci insegna che «la materia è luce congelata » (parole del fisico David Bohm), possiamo fare piazza pulita del pericoloso dualismo tra materia e spirito, perché lo Spirito in tutte le culture del pianeta è definito come «Luce » (vedi ilBuddha - «Sii una luce per te stesso» - e il Cristo - «Io sono la luce del mondo»), ma la materia secondo la scienza odierna incorpora la luce. L’incarnazione dello spirito è ovunque, anche nella materia in tutte le sue dimensioni. Vale la pena discuterne e dialogarne.
Naturalmente, l’insegnamento che Dio è Giustizia (Tommaso d’Aquino: «Dio è giustissimo ») è un terreno comune, in questo momento critico della storia della Terra e dell’umanità, dove tantissime cose sono messe a rischio dai cambiamenti climatici e da sistemi economici che favoriscono i ricchi e rendono i poveri più numerosi e più poveri. La giustizia ecologica, la giustizia di genere, la giustizia economica: sono tutti nomi di lavoro per Dio, il Dio della giustizia. Quanto alla giustizia ecologica, il poeta Bill Everson commenta che «la maggioranza della gente conosce Dio nella natura o non lo conosce affatto». La natura è sacra. Dio è dentro la natura, non al di sopra o al di là di essa. È questo che significa lo spirito; è questo, sicuramente, che significa l’Incarnazione.
Sono stato felice di leggere Enzo Bianchi, nel suo contributo a questo scambio, parlare di Dio in quanto Vita e di come «ognuno di noi sia uno specialista, un esperto della vita». Dio è intrinseco alla natura e alla storia, alla materia e alla vita, perché la vita è sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di meraviglioso, qualcosa di straordinario, qualcosa di bello.
Un modo utile per definire attraverso il linguaggio le nostre esperienze del Dio in quanto Vita è dare nome al dispiegarsi e svelarsi (la rivelazione) del Dio in quanto Vita come la Via Positiva (le nostre esperienze di sgomento, meraviglia, gioia, bellezza), la Via Negativa (le nostre esperienze di silenzio, oscurità e anche dolore, sofferenza e cuore spezzato), la Via Creativa (l’impeto di co-creazione e creatività, e lo sgomento che si genera in questo processo) e la Via Trasformativa (l’opera di giustizia, compassione, guarigione e celebrazione). Dio non è un sostantivo. Dio è un verbo. Se non sperimentiamo queste dimensioni della Divinità siamo destinati a parlare soltanto e non agire: solo parole e niente cammino.
Voglio proporre alcuni modi per tenere vivo questo importante dialogo e celebrare la vita in tutte le sue variazioni e meravigliose dimensioni, e gli aspetti Sacri legati a tutto questo. Sì, siamo in parte «bestia» e la nostra avidità, la nostra brama di potere, la nostra invidia, la nostra capacità di odiare parlano alle nostre ombre e alla nostra necessità di autoesaminarci e cercare assistenza nella psicologia, oltre che nella religione, per guarire e trovare perdono e cambiare nel profondo. Dialoghiamo fra noi e impariamo le lezioni profonde e spesso antiche dei nostri antenati: possiamo innalzarci al di sopra del nostro cervello rettile e dare corpo al nostro cervello mammifero, che è compassionevole. Non mi dite qual è l’ideologia di cui vi ammantate. Ditemi piuttosto quale contributo date alla Vita, la Vita Sacra. Questo è il tipo di dialogo che cerco.
* Matthew Fox è l’autore di “In principio era la gioia”, Creatività e, di prossima pubblicazione, “Lettere a Papa Francesco”, entrambi di Fazi Editore. (Traduzione di Fabio Galimberti)
Il teologo scomodo e le sue tesi "luterane"
di Vito Mancuso (la Repubblica, 1 aprile 2011)
Era il 31 ottobre 1517 quando Lutero inchiodava sul portone della chiesa di Wittenberg le 95 tesi contro le indulgenze papali dando origine alla Riforma protestante. All’indomani dell’elezione di Joseph Ratzinger al soglio pontificio il 19 aprile 2005, il teologo americano Matthew Fox inchiodava sul medesimo portone di Wittenberg altre 95 tesi contro il papato di oggi. E dopo Wittenberg, ora è la volta di Roma.
Fox infatti si trova nella capitale per un dibattito con me (domenica alle 12) nel contesto della rassegna «Libri Come» attorno al suo libro In principio era la gioia (Fazi) a seguito del quale egli venne costretto a lasciare l’ordine domenicano dopo 34 anni di permanenza dietro pressione dell’allora cardinal Ratzinger in qualità di Prefetto della «Congregazione per la Dottrina della Fede», e a Roma, presso un’importante basilica, Fox ripeterà il simbolico gesto di Lutero.
Ma c’è ancora bisogno di un gesto così e di altre 95 tesi? Il luogo scelto da Fox è Santa Maria Maggiore (domenica alle 10), il cui arciprete è Bernard Francis Law, cardinale e già arcivescovo di Boston, rimosso nel 2002 per aver insabbiato numerosi casi di pedofilia e nominato nel 2004 da Giovanni Paolo II titolare dell’antica basilica romana, nonché membro attualmente di sette congregazioni vaticane. C’è ancora bisogno delle 95 tesi? Il lettore legga le tesi 8 e 68 e risponderà da sé. Qualche giorno fa in seguito al terremoto in Giappone un cattolico «doc» quale Roberto De Mattei (vicepresidente del Cnr!) dai microfoni di Radio Maria ha dichiarato che le catastrofi naturali sono un’esigenza della giustizia di Dio. C’è ancora bisogno delle 95 tesi? Il lettore legga le tesi 4 e 5 e risponderà da sé.
Dopo l’apertura di Benedetto XVI sull’uso dei preservativi nel libro-intervista Luce del mondo del novembre 2010 dove il papa li giudica un «primo atto di responsabilità», la Congregazione per la Dottrina della Fede si è affrettata a distanza di un mese (velocità supersonica per la curia romana) a pubblicare un documento per dire che non c’è nulla di nuovo e che i preservativi rimangono intrinsecamente cattivi come sono sempre stati. C’è ancora bisogno delle 95 tesi? Il lettore legga le tesi 70 e 71 e risponderà da sé.
Gli esempi potrebbero continuare, ma il centro della questione è che il mondo manifesta a chi lo sa leggere un grande bisogno di spiritualità che l’offerta religiosa tradizionale non riesce talora neppure a comprendere. Matthew Fox non offre un nuovo vangelo né le sue 95 tesi pretendono di essere infallibili. È solo un onesto, attuale e simpatico tentativo di tornare a far capire alla coscienza contemporanea quali grandi ricchezze sono in gioco nella spiritualità. Il lettore legga la tesi 46 e vedrà da sé il dischiudersi di grandi orizzonti vitali.
Le tesi di Fox
1) Dio è Madre e Padre.
4) Dio come Padre punitivo non può essere una divinità adorabile, bensì un idolo al servizio del
potere assoluto. La rappresentazione di un Dio maschile punitivo è in contraddizione con l’essenza
della divinità che è sia femminile materna che virile paterna.
5) «Tutti i nomi che noi diamo a Dio sono dovuti alla nostra immaginazione» (Meister Eckhart).
Coloro che definiscono Dio ente punitivo, sono essi stessi vendicativi.
8) Tutti gli uomini, maschi e femmine, sono chiamati ad essere profeti, il che significa opporsi alle
ingiustizie.
46)L’anima umana è creata per il cosmo e non sarà contenta finché non saranno uniti l’una con l’altro e
dalla loro unione non sorgerà devoto rispetto, inizio di saggezza.
68) La pedofilia è una colpe terribile, ma il suo occultamento per opera della gerarchia è ancora più
esecrabile.
70) Gesù non ha mai parlato di preservativi, di controllo delle nascite o di omosessualità.
71) Una Chiesa che si occupa più di abitudini anomali nella sfera sessuale che di ingiustizia è
essa stessa malata
Benedire anziché incolpare
di Gianni Vattimo (La Stampa, 2 aprile 2011)
Il libro di Matthew Fox In principio era la gioia inaugura degnamente la nuova collana di teologia diretta da Vito Mancuso e Elido Fazi, che ne è l’editore (pp. 423, 19,50). Lo si può e deve raccomandare senz’altro come fonte di edificazione spirituale, come manuale di meditazione, come guida per una possibile esperienza mistica. Come molto spesso la teologia non è edificante, così l’edificazione sembra prestarsi poco a discussioni e argomentazioni teologiche.
Che il libro sia qualcosa di più di un banale testo di edificazione, tuttavia, lo possiamo indurre dal fatto, per nulla trascurabile, che in conseguenza della sua pubblicazione (1983) l’autore fu espulso (1993), per iniziativa dell’allora cardinale Ratzinger, capo del Sant’Uffizio, dall’ordine domenicano, nel quale era stato discepolo di un grande teologo come Chenu. Se per alcuni già questa espulsione è una raccomandazione positiva, ce n’è un’altra che si scopre solo dopo la lettura delle dense trecento pagine del libro, e che suona così «Tutto questo libro, in realtà, non è altro che l’esposizione della spiritualità degli anawim , degli oppressi» (p. 331).
Non occorre dunque motivare ulteriormente la simpatia che sentiamo fin dall’inizio per il libro e il suo autore. Anche se alcuni elementi che lo caratterizzano suscitano qualche resistenza: la sistematicità della costruzione, che ripete e anche rinnova certi schemi tipici dei manuali di spiritualità della tradizione cattolica, con la articolazione di Via positiva, Via negativa, Via creativa, Via trasformativa; la fluviale abbondanza delle citazioni messe in esergo ai vari capitoli, dove è convocata tutta la storia della mistica, della poesia, del pensiero spirituale non solo dell’Occidente (e che ha anche il senso positivo di offrire una specie di summa antologica di questo pensiero). Soprattutto, ciò che attrae ma anche respinge nel libro, è il suo tono «positivo», che fa pensare talvolta a certe forme di nuova religiosità «americana» (New Age) verso cui nutriamo rispetto ma che non sentiamo nostre.
Il perché di un certo disagio verso quest’ultimo aspetto del libro è anche la sua sostanza teorica e teologica. La reazione di sospetto è motivata per l’appunto da ciò che ancora domina la nostra esperienza religiosa: siamo tutti figli di Agostino, direbbe Fox, cioè succubi di un’educazione che ci ha abituati a pensare la storia della salvezza come redenzione dalla caduta originaria nel peccato. Non per nulla il titolo inglese del libro è Original Blessing , Benedizione originale. Noi di originale abbiamo sempre conosciuto soprattutto il peccato: l’atto d’amore che ha dato luogo alla creazione, la benedizione originale, è stato subito macchiato dalla storia del serpente e della mela. La storia dei nostri rapporti con Dio è una storia di caduta, pena e redenzione, anche questa però operata solo in forza di un sacrificio, di una pena che lo stesso Figlio di Dio si sarebbe caricato sulle spalle sopportando il dolore della Crocifissione.
Ma, dice Fox, «nessuno credeva al peccato originale prima di Agostino», così per esempio Sant’Ireneo di Lione che scriveva duecento anni prima di lui (p.49). La «benedizione», l’atto di amore con cui Dio crea il mondo e ci dà la vita è un’idea biblica molto più originaria. Agostino ha costruito la dottrina del peccato originale solo negli ultimi anni della sua vita, fondandosi su un passo della lettera di Paolo ai Romani (5,12) che egli legge come se dicesse che con Adamo tutti gli uomini hanno peccato, e perciò portano in sé la stessa colpa. La filosofia occidentale (Kant: l’idea del «male radicale») ha ripreso questa dottrina ritenendo che l’inclinazione al male sia un dato naturale nell’uomo, con conseguenze importanti anche sul modo di intendere la società. E anche tutto il modo che abbiamo ereditato di considerare il corpo, i sensi, l’erotismo è profondamente legato a questo primato del peccato.
Fox si propone l’impresa niente affatto semplice di ripensare il cristianesimo fuori dalla corrusca
luce che vi ha imposto l’agostinismo. Non certo facendo come se di peccato non si debba più parlare
egli stesso, nelle quattro sezioni in cui illustra le sue quattro «vie», dedica pagine intense a come si
configura il peccato dal punto di vista di ciascuna di esse: che si riduce sempre a una qualche formadi resistenza inerte (egoistica, conservatrice) contro la positività della relazione con il mondo, con la
natura, con gli altri.
Ma le disavventure che ha incontrato con la gerarchia cattolica avvertono della difficoltà anche teorica della sua posizione, almeno sul piano dottrinale. La Chiesa ha sempre lasciato molta libertà ai tanti mistici che Fox richiama nel libro, da Ildegarda di Bingen a Meister Eckhart a Giuliana di Norwich a Simone Weil - certo non a Giordano Bruno, che è uno dei grandi ispiratori di questo testo.
Ma sul piano della dottrina accettata e insegnata il discorso era ed è ancora molto più rigido. Ognuno di noi, e Fox stesso e i suoi discepoli, può (dovrebbe anzi) praticare in privato la propria religione con questo spirito di benedizione dimenticando la cupa idea della colpa collettiva. Ma da questa idea dipendono troppe «discipline», rapporti di potere, veri e propri privilegi della casta (!) sacerdotale perché una proposta di rinnovamento teologico e spirituale come questa non si scontri alla fine con la necessità di una autentica rivoluzione. Forse sarebbe ora, ma vi pare che sia il tempo propizio?
Il bene originario della nuova teologia cattolica
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 13 marzo 2011)
Qualche cosa si muove,oltre agli scritti del papa, nella teologia cattolica. È uscito anche in italiano un volume che ha già raggiunto nel mondo tirature enormi, analoghe a quelle pontificie, il testo di Matthew Fox «In principio era la gioia» (Fazi Editore), con introduzione di Vito Mancuso, che spiega la interessante novità del testo. Mentre la teologia cattolica tradizionale parte dal peccato («originale», appunto) e sul male si basa, la nuova teologia di Fox si basa, invece, sul bene: annunciato, proclamato, diffuso. Una impostazione che nel cattolicesimo non è nuova, anche se è stata troppo minoritaria. Fox cita alcuni grandi autori troppo dimenticati: tra gli altri Ildegarda di Bingen, Francesco di Assisi, Tommaso d’Aquino, Meister Eckhart, Giuliana di Norwich, Matilde di Magdeburgo, Nicola Cusano, Pierre Teilhard de Chardin, Thomas Merton, papa Giovanni XXIII ed altri grandi.
Fox vuole modificare il tradizionale percorso cattolico verso Dio che ha inizio dal peccato, come si può vedere dall’inizio della messa e anche del rito del battesimo.
La visione cattolica ufficiale si caratterizza come riparazione di qualcosa che si era rotto, come restaurazione di qualche cosa di originario che era andato perduto, come liberazione da un carcere nel quale si sarebbe stati chiusi. A essere originario, invece, grida Fox è il bene e il cristianesimo deve tornare ad essere benedizione: teoria e pratica che dice il bene. Il titolo dell’opera in inglese è, infatti, «Original blessing».
La benedizione e non il peccato, la gioia e non il dolore: una nuova pedagogia di cui la società e il cristianesimo hanno estremo bisogno. Positività, mistica. Non a caso Ratzinger, qualche anno fa, aveva condannato le posizioni troppo nuove di Fox che oggi arrivano anche in Italia. Vedremo se si diffonderanno.
«Sfido la Chiesa come Lutero»
intervista a Mattew Fox
a cura di Maria Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 17 febbraio 2011)
«Non peccato originale», non umanità caduta, ferita, e poi redenta da Gesù Cristo. Ma un Dio creatore panenteistico (presente in tutto e in tutti). La morte come fatto naturale, parte del ciclo vitale e non conseguenza del peccato di Adamo. «La benedizione originaria» della creazione sopravanza la Redenzione. Sono le tesi espresse nel libro di Matthew Fox, intitolato appunto Original Blessing, che uscì in America nel 1983 e ora viene tradotto da Fazi in Italia con il titolo In principio era la gioia. Un testo nel quale la tradizione cattolica e apostolica si tramuta in una religiosità sapienziale, femminista, ecologica, sensuale, a forte venatura vitalistica e new age.
Matthew Fox, l’allora cardinal Ratzinger ha «condannato» il suo libro come «pericoloso e fuorviante». Qual è stata la sua reazione alla elezione a Papa di un «allievo» di Agostino, che lei accusa di essere alla radice della teologia negativa e pessimistica del peccato?
«È stata quella di andare a Wittenberg, in Germania, durante il tempo di Pentecoste e appendere 95 tesi alla stessa porta dove aveva appeso le sue Martin Lutero. Mi è sembrato particolarmente appropriato perché Ratzinger è stato il primo Papa tedesco in centinaia di anni, ma soprattutto per far risaltare la profonda necessità di una riforma della Chiesa dei nostri giorni. Penso che le mie 95 tesi indichino l’appropriata direzione verso cui dobbiamo muoverci. Gli eventi che sono accaduti dopo che è stato fatto Papa, compreso lo tsunami di rivelazioni sulla pedofilia dei preti e sulla copertura dello scandalo da parte della Congregazione della dottrina della fede che lui guidava, indicano che le mie azioni erano giustificate».
Il grande convertito inglese Chesterton esprime concetti molto simili a quelli di «Original Blessing». Ma sostiene anche che la Chiesa cattolica è il solo «posto dove tutte le verità si incontrano». Perché lei non è d’accordo?
«Chesterton era in molti modi un celebrante della teologia della "benedizione originaria" o della bellezza e bontà originarie. Nel suo libro su san Tommaso d’Aquino (che lessi da ragazzo e influenzò il mio desiderio di diventare un domenicano) egli parla del "vecchio puritanesimo agostiniano"e del pessimismo che l’Aquinate ha combattuto così fortemente. Quanto all’ecclesiologia di Chesterton, la nostra conoscenza del mondo è cresciuta dall’inizio del XX secolo, quando lui scriveva. E abbiamo appreso dal Concilio Vaticano II che lo Spirito Santo lavora attraverso tutte le tradizioni. E che la Chiesa istituzionale è semper reformanda. Chesterton ha scritto che il diavolo si trova sia nella Chiesa che nel mondo».
Il Credo codificato nel 325 al Concilio di Nicea afferma: «Confesso un solo battesimo per il perdono dei peccati».
«Questo Credo parla della remissione dei peccati (al plurale) e non della remissione di uno solo (il peccato originale). Il battesimo degli adulti "ripuliva"le persone dai peccati del passato e le accoglieva nella nuova vita in Cristo. Il battesimo dei neonati li accoglie nella comunità dei fedeli nel mondo e nella pienezza di vita con Cristo. All’opposto della falsa caratterizzazione fatta da Ratzinger del mio libro, io non nego il peccato originale. Io contesto quello che noi intendiamo con questo. La parola "peccato" è molto problematica e non compare da nessuna parte nella consapevolezza ebraica (cioè di Gesù). Non è una parola biblica».
Papa Wojtyla sta per essere dichiarato beato: il suo approccio non era positivo, creativo, in una parola, come direbbe lei, benedicente?
«Come per il fatto che sia beatificato, ci sono degli interrogativi. A cominciare dal fatto che ha sostenuto la canonizzazione di un uomo violento come Escrivá, il fondatore dell’Opus Dei». E le folle che lo hanno seguito? «Non credo che il culto del papato o grandi folle necessariamente parlino di rinnovamento della Chiesa. La papolatria non è una virtù. Alcuni scritti di Giovanni Paolo II sono mirabili, ma credo che la storia mostrerà soprattutto che ha sradicato la teologia della liberazione e le comunità di base in America Latina. Senza contare la sua completa indifferenza per il coraggio e la santità di laici e membri del clero, centinaia dei quali sono stati torturati e uccisi nella stessa America Latina per difendere i poveri e proclamare la Buona Novella della Giustizia in un modo concreto (Oscar Romero era solo una di queste persone sante). Gli incarichi assegnati a una gerarchia di estrema destra (spesso dell’Opus Dei); il rifiuto di onorare il principio di collegialità fissato dal Concilio Vaticano II; l’appoggio a padre Maciel, fondatore della Legione di Cristo, persino dopo che le rivelazioni sulla sua pedofilia erano state rese pubbliche; lo sminuire le donne, il rifiuto persino di prendere in considerazione il clero sposato o le donne prete, anche quando i sacramenti sono denegati a molti per mancanza di sacerdoti; l’appoggio a movimenti fanatici di laici che in realtà non sono di laici, come Comunione e Liberazione, l’Opus Dei e la Legione di Cristo; le denunce profondamente omofobiche; la restaurazione dell’Inquisizione contraria all’insegnamento e allo spirito del Vaticano II: tutto ciò non mi fa esprimere ammirazione».
Lei ha lasciato l’ordine domenicano durante il papato di Wojtyla...
«Io non ho lasciato l’Ordine domenicano, ne sono stato espulso. Ho lottato 12 anni per restare e ho avuto l’appoggio di molti domenicani, soprattutto in Olanda. Il Concilio Vaticano II era focalizzato sul rinnovamento della Chiesa, ma la gran parte delle dichiarazioni su questo sono state negate durante i papati di Wojtyla e Ratzinger. Questo è il motivo per cui molti pensatori di Chiesa che conoscono un po’ di storia ritengono che l’attuale pontificato e quello precedente siano scismatici».
Scismatici?
«Un Papa e la sua curia (non importa quante dozzine siano stati fatti cardinali e quanti siano occupati a canonizzarsi uno con l’altro) non vincono un Concilio. Nel grande scisma del XIV secolo, in cui tre persone reclamavano contemporaneamente il papato, fu il Concilio di Costanza che destituì tutti e tre i Papi e ne elesse uno nuovo. Penso che sia il tempo di un cattolicesimo post Vaticano, una vera cristianità cattolica. Forse la Città del Vaticano ha qualcosa da imparare dal Cairo. Bisognerebbe detronizzare i dittatori e ripulire un sistema corrotto, così lontano dagli insegnamenti del Vangelo. Penso che lo stesso Gesù potrebbe nuovamente rovesciare i tavoli dei mercanti nel tempio, se giungesse sulla scena ecclesiale corrente».
Si tramanda che alla fine della vita San Tommaso abbia detto: «Tutto quello che ho scritto è paglia». Lei è autore di bestseller, sottoscriverebbe questa frase?
«Come avido lettore dell’Aquinate, sono felice che i suoi lavori siano stati salvati e che non abbiano fatto la fine della paglia. La sua esperienza mistica, nella cui prospettiva aveva visto tutto il suo lavoro "come paglia" a paragone della luce di Dio, è un’esperienza profonda su cui dobbiamo meditare. Tutti i nostri sforzi nel mondo del lavoro, della vita familiare e della nostra cittadinanza sembrano paglia nel grande schema della storia. Questo non significa che noi non siamo qui per lavorare duro, giocare e amare generosamente. Questo significa soltanto che siamo meri strumenti di un dramma di 13,7 miliardi di anni che chiamiamo universo». Ma non dell’evoluzione cosmica parlava Tommaso...
Il tempo dell’anima
di Vito Mancuso (la Repubblica, 17 febbraio 2011)
Ci sono libri che mettono paura a chi detiene il potere. Forse anche così si spiega il paradosso di un bestseller pubblicato in America nel 1983, tradotto nelle principali lingue del mondo e che arriva in Italia solo ora col titolo In principio era la gioia.
L’autore, Matthew Fox, prima della pubblicazione era un padre domenicano, ma dopo venne espulso dal suo ordine dietro iniziativa dell’allora cardinal Ratzinger in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Così Fox commenta l’accaduto: «Dalla reazione esagerata di Ratzinger al messaggio di speranza, creatività e responsabilità di questo libro, ho imparato che la fazione patriarcale del Cristianesimo è legata a filo doppio con il peccato originale (...). Ha definito questo libro "pericoloso e fuorviante" e mi ha fatto espellere dall’ordine domenicano (...). Io sono convinto che a essere pericolosa e fuorviante sia la crescita del controllo patriarcale, del pessimismo, dell’antropocentrismo e dell’ideologia del peccato originale». Fox intende restaurare il più autentico cristianesimo in fedeltà all’ideale originario del fondatore, l’ebreo Gesù di Nazareth, per una spiritualità non-dualistica, amica di Dio e amica del mondo, fedele al mondo e proprio per questo fedele a Dio, la spiritualità della gioia quieta e della perfetta letizia vissuta da Ildegarda di Bingen, Francesco d’Assisi, Meister Eckhart, Giuliana di Norwich, Matilde di Magdeburgo, Teilhard de Chardin, Thomas Merton e molti altri grandi spirituali.
Nonostante i suoi libri siano tradotti in 42 lingue, Matthew Fox è sconosciuto in Italia. Eppure il nostro paese avrebbe un motivo in più per interessarsi di lui, vale a dire il fatto di essere la patria di un altro ex frate domenicano che pure faceva paura al potere ecclesiastico e che per questo venne bruciato vivo il 17 febbraio 1600 a Roma in Campo de’ Fiori, Giordano Bruno. Pur nel rispetto delle proporzioni e senza voler fare in alcun modo di Fox un Bruno redivivo, vi sono tuttavia alcune concrete analogie: l’appartenenza all’ordine domenicano, l’ostilità della Chiesa gerarchica, l ’importanza della scienza per la loro spiritualità, l’interesse per le altre religioni, e infine il nucleo stesso della proposta spirituale che per entrambi si caratterizza come religiosità cosmocentrica basata su tre punti fondamentali: 1) immanenza di Dio nella natura e conseguente abbattimento del dualismo Dio-Mondo; 2) spiritualità come riconoscenza verso la vita; 3) lotta contro la cupa ideologia del peccato originale.
Con il libro di Matthew Fox si apre la collana fondata e diretta da Elido Fazi e me con il nome "Campo dei Fiori". I motivi che ci hanno spinto a questa iniziativa risiedono nella qualità spirituale del nostro tempo, un’epoca senza più una religione condivisa ma con una grande domanda di spiritualità. È precisamente questa domanda che la nostra collana intende laicamente interpretare. Al di là di chi vive la spiritualità come disciplinata obbedienza a un’istituzione e di chi, sul fronte opposto, nega la dimensione universalmente umana della ricerca spirituale, con questa collana intendiamo promuovere una spiritualità come fiducia nella vita, libertà critica, amore per la bellezza, comunione con la natura e con gli esseri umani.
Abbiamo chiamato la collana "Campo dei Fiori" in omaggio alla libera ricerca spirituale che condusse Giordano Bruno sul rogo dell’Inquisizione cattolica nella quasi omonima piazza di Roma. Prima e dopo di lui altri uomini e altre donne subirono la medesima sorte. Vennero uccisi solo perché avevano idee religiose diverse rispetto a quelle del potere ecclesiastico costituito. Uccisi in modo da procurare loro le sofferenze più atroci. Uccisi in modo che del loro corpo non rimanesse più nulla, le ceneri disperse nel Tevere o in Arno o nel Po, o semplicemente ammonticchiate con le verdure marcite e lo sterco degli asini e dei cavalli in un angolo della piazza dell’esecuzione, dove di solito si aveva un gran accorrere di popolo, e quindi di animali. Bruciandoli, si volevano impedire due cose: che sulla loro tomba si originasse un culto e che i loro corpi si ricomponessero nel giorno dell’ultimo giudizio al momento della "risurrezione della carne".
Sarebbe bello, oltre che giusto, che queste vittime del fanatismo venissero ricordate anche da coloro che oggi difendono la sacralità della vita, come monito esemplare per comprendere che non esiste
Ebrei e cristiani, una disputa (e un mistero) in famiglia
di Vittorio Messori (Corriere della Sera, 19 gennaio 2010)
In questi giorni, torrenti di parole per la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga romana, eretta là dove sorgeva il ghetto e orientata in modo da fronteggiare, quasi a sfida, la basilica, la più grande del mondo, che copre il sepolcro di un tal Simone. Un pio giudeo, costui, un oscuro pescatore sul lago di Tiberiade, rinominato Kefas, Pietro, da un certo Gesù, colui che, storicamente, altro non è se non un predicatore ambulante ebraico dell’epoca del Secondo Tempio, uno dei tanti che si dissero il Messia atteso da Israele.
Il solito esaltato, all’apparenza (e tale apparve a un burocrate di Benevento, della famiglia dei Ponzi, chiamato controvoglia a giudicarlo), un visionario. Punita con la più vergognosa delle morti, quella riservata agli schiavi. Un illuso di cui si sarebbe perso il ricordo se i suoi discepoli- tutti circoncisi e fedeli alla Torah- non avessero cominciato a proclamare, con una testardaggine intrepida, che quel rabbì finito in malo modo era risorto ed era davvero l’Unto annunciato dai profeti.
Quel gruppetto di ebrei riuscì a convincere altri ebrei, prima a Gerusalemme e poi nelle sinagoghe dell’emigrazione, dove si recarono ad annunciare che l’attesa millenaria di Israele aveva avuto compimento. La messe maggiore tra i correligionari la fece un credente entusiasta, un altro figlio di Abramo, un Saulo detto Paolo che, perché le cose fossero chiare, precisava subito ai correligionari di essere «circonciso l’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo, figlio di ebrei». Anch’egli, come Pietro, finì ucciso dai pagani a Roma e anche sul suo sepolcro fu costruita una gigantesca basilica. Se da tutta l’Europa, per tutto il Medio Evo, folle di pellegrini convennero salmodianti e penitenti sul Tevere, è proprio per venerare la sepoltura di quelle due «colonne della fede»: entrambe, costituite da giudei sino al midollo.
A lungo, i pagani non si preoccuparono di distinguere, dividendo sbrigativamente gli ebrei in due gruppi, quelli che alla loro fede aggiungevano questo esotico Cristo e quelli che lo rifiutavano: noiose dispute, querelles teologiche viste tante volte all’interno di ogni religione.
Benedetto XVI, leggo in una cronaca, aveva con sé una piccola Bibbia che ha posato sul sedile dell’auto, scendendo davanti alla sinagoga. Ebbene, tra i 73 libri che compongono quel Testo su cui si fonda la fede della Chiesa solo Luca e, forse, Marco non sono figli di Israele. Tanto che si preferisce oggi sostituire l’indicazione di «Antico» e «Nuovo» Testamento con quella di «Primo» e «Secondo» Testamento, per sottolineare la continuità e l’omogeneità del messaggio. Perché ricordiamo tutto questo, e molto altro ancora che potremmo allegare? Ma perché numerosi commentatori, anche in questi giorni, sembrano dimenticare che, qui, vi è una storia in famiglia e, al contempo, un mistero religioso.
È una storia di fede, e di fede soltanto: il «laico» può soltanto intravederne, e spesso in modo fuorviante, i contorni esterni. È un confronto tra figli di Abramo, sia per nascita che per adozione. E anche questo aspetto familiare ne spiega le asprezze, non unicamente da una parte: gli Atti degli Apostoli e le lettere di Paolo mostrano quanto dura sia stata la reazione del giudaismo ufficiale nei confronti degli «eretici». Ma chi ignora che i contrasti più aspri sono proprio quelli tra parenti stretti, che le guerre più temibili sono quelle civili? Fratelli, coltelli. Il cristianesimo è da duemila anni la fede in un Messia di Israele annunciato e atteso nei duemila anni precedenti da quello stesso Israele che poi in parte- ma solo in parte- non lo ha riconosciuto.
Per l’ennesima volta, molte delle analisi e opinioni di questi giorni non sembrano consapevoli che qui siamo al di là delle categorie della storia, della politica, della cultura. I rapporti interni al giudeo-cristianesimo non sono un «problema» affrontabile con le consuete categorie: sono, lo dicevamo, un Mistero. Parola di Saulo-Paolo, e proprio ai Romani: «Non voglio, infatti, che ignoriate questo Mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte d’Israele è in atto fino a quando saranno entrate tutte le genti. Allora, tutto Israele sarà salvato, come sta scritto». In ogni caso, anche gli «induriti», sono «amati a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili».
Del tutto insufficienti, qui, le sapienze di politologi e intellettuali che non siano consapevoli che il confronto tra ebrei e cristiani appartiene non alla storia, ma alla teologia della storia. Solvitur in Excelsis: qui vi è un enigma, troppo spesso doloroso, che trova spiegazione solo nei Cieli, per dirla con quel grande filosofo e insieme grande cristiano che fu Jean Guitton.
Un nuovo Concilio Vaticano III
di Rosario Amico Roxas *
Un silenzio ovattato è calato sulla documentata proposta del cardinale Carlo Maria Martini che ha chiesto un "Concilio Ecumenico Vaticano III".
Dal momento che molte determinazioni del precedente Concilio vengono disattese o annullate, è opportuno che la Chiesa ritrovi unità attraverso un nuovo Concilio, per chiarire i termini di un dibattito che rischia di creare fratture che potrebbero diventare insanabili. Che nel dibattito intorno alla religione si siano inseriti personaggi esterni ed estranei, conferma l’esigenza di un tale sommo incontro, affinché nulla sia lasciato alla libera interpretazione, o peggio, a esibizionismi blasfemi che vogliono solo seminare zizzania in un mondo che non appartiene loro.
La Chiesa non è un uomo, sia pure dotato di grande erudizione, non è una interpretazione o un fatto storico; la Chiesa è Cristo con il suo insegnamento che può necessitare di adattamento ai tempi in taluni argomenti che coinvolgono l’ordinaria quotidianità, ma non certo di interpretazioni o di elucubrazioni dottrinali.
Il tema fondamentale della pace nel mondo non trova una indicazione unitaria; lo stesso Nuovo Catechismo del 1992, redatto dalla Congregazione per la dottrina della Fede, allora presieduta dal card. Ratzinger, non esprime una condanna rigorosa della guerra e di tutte le guerre, lasciando ampio spazio all’ipotesi di accettazione di una "guerra giusta", affidando la valutazione circa la "giustezza" a "coloro che hanno la responsabilità di governo (Hitler, Mussolini, Stalin, Pinochet, Saddam, Bush, etc.). Uccidere si può - per «legittima difesa»-, che può arrivare ad essere perfino un «grave dovere». Fare la guerra si può - come si può ricorrere all’uso della forza militare, tutte le volte «che si ha la certezza di un durevole e grave danno subito». Eliminare un altro essere umano, insomma, è lecito, se questo serve all’interesse degli Stati, dei governi, dei grandi poteri.
Anche l’enciclica "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII, venne ammorbidita nella condanna senza mezzi termini delle guerre espressa dal Pontefice, nella traduzione, redatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, dal testo latino a quello italiano, spagnolo, francese, portoghese, tedesco, inglese (ho potuto consultare solo queste traduzioni), aggiungendo un "quasi", che non esiste nel testo originario, nel quale è scritto che in una età come la nostra.... "quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda", diventata nella traduzione.... "riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia"; quel "quasi" aggiunto arbitrariamente lascia aperte le porte per la valutazione di una "guerra giusta".
Così le guerre sono possibili per il Vaticano quando sono "guerre giuste", mentre per le nazioni che le dichiarano unilateralmente diventano "guerre preventive" e per altre nazioni governate da fedeli servitori del più forte assumono, ipocritamente, la veste di "missioni di pace".
E’ solo uno dei temi che necessita approfondimento, ma altri incombono, come la laicità degli Stati e la reciprocità del rispetto dei ruoli; lo sviluppo equilibrato dell’economia globalizzata che deve globalizzare la solidarietà verso i più deboli e non solo i mercati opulenti. Un nuovo, e urgente, Concilio, quindi, per fare rinascere l’unità interna alla Chiesa ed escluda i mestatori; un Concilio che proponga una visione originaria della fede e che coinvolga tutte le comunità di base, lì dove alberga la Fede più genuina.
Rosario Amico Roxas
* Il dialogo, Domenica, 14 ottobre 2007
Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione
di ADISTA *
Importante iniziativa di Adista che ha tradotto e messo a disposizione gratuitamente il libro "Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione" edito dalla Commissione Teologica Internazionale della ASETT, Associazione Ecumenica dei Teologi/ghe del Terzo Mondo, in risposta alla notificazione vaticana sulle opere di Jon Sobrino.
Care lettrici, cari lettori,
segnaliamo un’importante novità sul nostro sito. Si può leggere finalmente anche in italiano, scaricandolo gratuitamente dalla home page di www.adista.it, il libro digitale "Bajar de la cruz a los pobres: cristología de la liberación" ("Deporre i poveri dalla croce: cristologia della liberazione") della Commissione Teologica Internazionale della ASETT, Associazione Ecumenica dei Teologi/ghe del Terzo Mondo.
La traduzione italiana, curata da Adista, dell’originale spagnolo (che, insieme alla traduzione in inglese, è disponibile agli indirizzi www.eatwot.org/TheologicalCommission e http://www.servicioskoinonia.org/LibrosDigitales) è presentata dal teologo Carlo Molari e presenta due contributi in più: di Aloysius Pieris e dello stesso Molari (è possibile leggere l’originale )
Il libro della Asett è la risposta di circa 40 teologi della liberazione alla Notificazione vaticana sulle opere di Jon Sobrino (autore dell’epilogo del libro), ma non solo: è una difesa, appassionata e potente, della cristologia della liberazione, quella che Leonardo Boff, nel prologo, definisce "una teologia militante che lotta per ’far scendere dalla croce i poveri’".
È questa voce potente quella che è oggi offerta anche al pubblico italiano, attraverso un nuovo metodo che l’Asett ha voluto sperimentare: quello di un libro digitale, libero e gratuito, che, scrive José María Vigil, coordinatore della Commissione Teologica Internazionale della Asett/Eatwot, "può essere regalato e inviato da chiunque per posta elettronica e che potrà anche essere stampato su carta mediante il procedimento della "stampa digitale", un metodo che permette di stampare su carta quantità minime di esemplari (5, 10, 20...), a un prezzo praticamente uguale a quello di un libro normale".
Per scaricare il libro, clicca qui
* IL DIALOGO, Mercoledì, 06 giugno 2007
Presentato Gesu’ di Nazaret , il libro di Benedetto XVI.
"Non è un atto magisteriale ma una mia libera ricerca storica"
Il Papa ai lettori: "Liberi di contraddirmi"
La fatica letteraria del professor Ratzinger
In dieci capitoli la storia della vita di Gesù. Rinviata l’infanzia
"Gesù è ebreo ma è andato oltre l’ebraismo"
ROMA - Correggetemi, se volete. Assomiglia a Wojtyla quando appena nominato Pontefice disse: "Se sbaglio mi corigerete" , l’affermazione di Benedetto XVI contenuta nella prefazione del suo libro che uscirà il 16 aprile, giorno del suo ottantesimo compleanno, e che è stato presentato oggi a Roma: "Siete liberi di contraddirmi". Il libro s’intitola Gesù di Nazaret, che, precisa il Pontefice, si scrive senza acca.
"Questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale ma è unicamente l’espressione della mia ricerca personale del volto di Cristo" si legge nella premessa. "Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione".
Benedetto XVI lo ha sempre detto: il volume potrà essere discusso liberamente da chiunque "perché non vincola all’infallibilità pontificia, non trattandosi di un testo inserito nel Magistero Papale nè in atti ufficiali del Mandato Petrino".
Il libro - Il Papa ha dedicato alla stesura del libro "tutti i momenti liberi" fino al settembre 2006, data in cui ha completato le bozze. Si tratta di un volume diviso in 10 capitoli dedicati alla figura umana di Gesù, dal battesimo fino alla trasfigurazione. La parte relativa all’infanzia è stata "rimandata" dal Pontefice alla seconda parte del libro di cui però non è ancora nota la data di uscita. Per ora, il Papa teologo ha preferito quindi concentrarsi sull’attività "pubblica" di Cristo. Il libro, soprattutto, pur affrontando tutte le questioni più spinose, a cominciare dalla stesura dei Vangeli, archivia tutte le immagini fantasiose su Gesù di cui pullula la letteratura degli ultimi anni.
"Gesù non è mito ma storia" - Tutta la storia del Dio che muore e che risorge "è accaduta realmente". "Gesù non è un mito, è un uomo fatto di carne e sangue, una presenza tutta reale nella storia". E’ uno dei passaggi più delicati e importanti del libro di Benedetto XVI. "Possiamo visitare i luoghi e seguire le vie che Egli ha percorso - scrive Ratzinger nella sezione dedicata alle Grandi immagini del Vangelo di Giovanni -. Possiamo, per il tramite dei testimoni, udire le sue parole. Egli è morto ed è risorto".
Il vangelo di Giovanni - Parlando della questione giovannea, cioè di chi sia effettivamente l’autore del Vangelo di Giovanni, Benedetto XVI sostiene che "il quarto Vangelo poggia su conoscenze straordinariamente precise dei luoghi e dei tempi, e pertanto può solo essere opera di qualcuno che aveva grande familiarità con la Palestina dei tempi di Gesù". "Il testo - prosegue - ci guida verso la figura di Giovanni di Zebedeo, ma non procede esplicitamente a questa identificazione". E se L’Apocalisse "nomina espressamente Giovanni come suo autore", "rimane aperta la domanda se l’autore sia il medesimo". Ratzinger ricorda che "dai tempi di Ireneo di Lione (morto nel 202 circa), la tradizione della Chiesa riconosce all’unanimità Giovanni di Zebedeo come il discepolo prediletto e l’autore del Vangelo". Tuttavia "in epoca moderna sono sorti dubbi sempre più forti riguardo a questa identificazione".
"Allo stato attuale della ricerca - aggiunge - è senz’altro possibile scorgere in Giovanni di Zebedeo quel testimone che difende solennemente la sua testimonianza oculare", ma "la complessità nella redazione del testo solleva tuttavia ulteriori domande". Benedetto XVI afferma che "dietro il testo vi è, ultimamente, un testimone oculare, e anche la redazione concreta è avvenuta nella vivace cerchia dei suoi discepoli e con l’apporto determinante di un discepolo a lui familiare".
"La vera pretesa del Vangelo - spiega - è quella di aver trasmesso correttamente il contenuto dei discorsi, l’autotestimonianza di Gesù nei grandi confronti svoltisi a Gerusalemme, affinchè il lettore incontri davvero i contenuti decisivi di questo messaggio e in esso l’autentica figura di Gesù".
"Gesù dà la vita" - E’ uno dei concetti-chiave dell’insegnamento di Benedetto XVI: "Questa è la grande promessa di Gesù: dare la vita in abbondanza". E tramite questo Gesù dà all’uomo "l’unica cosa di cui ha bisogno".
Il Papa ne parla a partire dalle "grandi immagini" del Vangelo di Giovanni (l’acqua, la vite e il vino, il pane, il pastore), da cui nel libro Ratzinger fa discendere la sua interpretazione del mistero dell’Eucaristia. "Gesù - spiega - promette di mostrare alle pecore il ’pascolo’, ciò di cui vivono, di condurle davvero alle sorgenti della vita".
Ampia e profonda la visione teologica in cui il Pontefice dispiega la sua esegesi degli episodi evangelici, dalla simbologia dell’acqua al miracolo di Cana passando del pane.
"La nuova bontà di Dio non è acqua zuccherata"- Il cristianesimo non è buonismo e non è una morale. E anche se oblio di Dio e mito del successo hanno trasformato la "giusta laicità" in un profano laicismo, la ricerca della verità di Dio resta un "segnavia" per la ragione dell’uomo. La verita di Dio va cercata "nella comunione con Gesù".
"Gesù è ebreo ma è andato oltre il giudaismo" - Pur essendo stato "un vero israelita", Gesù "è andato oltre il giudaismo". Questa distinzione ricorre più volte nel libro testo, dove Ratzinger si inserisce esplicitamente nel dibattito tra Cristo e il rabbino di cui parla Jacob Neusner in A Rabbi talk with Jesus.
"Dio non è madre" - Lo scrive Benedetto XVI: "Nonostante le grandi metafore dell’amore materno, madre non e’ un titolo di Dio, non e’ un appellativo con cui rivolgersi a Dio’’. Il papa si pone la domanda se ’’Dio non è anche madre’’ visto che ’’il paragone dell’amore di Dio con l’amore di una madre esiste’’ e appare già nell’antico Testamento e nella tradizione ebraica. Ma aggiunge subito il papa ’’resta per noi normativo il linguaggio della preghiera di tutta la Bibbia’’ dove ’’l’immagine del padre era ed è adatta a esprimere l’alterità tra Creatore e creatura, la sovranità del suo atto creativo’’.
* la Repubblica, 13 aprile 2007
UNA ’SOLLECITAZIONE’ DEL 2003 !!!
RAGIONE E FEDE: PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE.
Un omaggio a CUSANO... e un appello.
di Federico La Sala. *
La situazione planetaria, ormai, è di costante e quotidiano allarme generale e, unitamente ai centomila problemi indotti dal cosidetto progresso oggi chiamato sviluppo, uno scontro di civiltà pende come una spada di Damocle sull’intera umanità. Ripensare tutto e ri-trovare "ciò che è comune" è la sfida che il nostro presente pone a tutti e a tutte: in particolare, rifondare la democrazia e trovare le radici comuni delle varie religioni sta diventando sempre più un passo non solo necessario ma urgentissimo. Il tentativo qui fatto ( cfr., qui sul sito http://www.ildialogo.org: Noi, i pesci senz’acqua, con la raccolta dei miei piccoli diversi e ’occasionali’ contributi) va in questa direzione. La convinzione è che, sulla strada di Freud, riprendendo il suo discorso sull’edipo (e ricollocando tale incrocio di relazioni a prima dello strutturarsi dello stesso narcisimo), sia non solo possibile fare luce sulla figura di Giuseppe e giungere a ritrovare la vivente-pietra della "relazione pura" della donna con l’uomo, e dell’uno e dell’altro con il figlio o la figlia, e dell’intero genere umano con la Terra e con il Tempo, ... ma anche riportare serenità e pace all’interno dell’intera famiglia umana. Ripartendo dalla relazione di uomini e donne in carne ed ossa, e dalla nascita di ognuno e di ognuna di noi stessi e di noi stesse e dalla relazione (al di là di un biologismo e naturalismo accecato e accecante ) dei nostri stessi padri e delle nostre stesse madri, è possibile finalmente comprendere che ogni essere u-ma-no nasce dall’unione, dall’alleanza, dal rapporto sociale e culturale di due esseri umani, non dal caso o da un ’incidente’ biologico o tecnico , ... e riequilibrare il campo delle relazioni! Significa finalmente capire, cioè, che la famosa ’rivelazione’ della dea parmenidea che l’Essere è, e che il non-essere non è, riposa su una chiarificazione essenziale - a partire dal nostro proprio presente storico - di natura logica ed etica: in principio era il Logos.... E di qui, a quel ’comandamento’ Ama il prossimo tuo come te stesso che non dice altro che la stessa cosa e che è prima di tutto e sopratutto una scoperta, un’acquisizione culturale, e una verità antropologica, e non un’invenzione di preti e di sacerdoti! A partire da se stessi e da se stesse, si tratta di rimettere insieme tutti i ’pezzi’ dell’intera drammatica storia della nostra (planetaria) cultura e iniziare un nuovo cammino: 1) Fuori del tutto non c’è Dio (Dio è morto e noi l’abbiamo ucciso: è un punto cruciale della riflessione di Nietzsche e il punto d’approdo dell’intera filosofia contemporanea); 2) Non c’è Dio se non Dio (è l’affermazione fondamentale della religione islamica); 3) Non c’è Dio, se non il Dio dei nostri padri (è l’affermazione fondamentale della religione ebraica); 4) Non c’è Dio, se non il Dio delle nostre madri (è l’affermazione fondamentale della religione cristiana e cattolica). Se non ora, quando? Bisogna ripartire dalle radici, da qui - dalla relazione e dalla nascita di noi stessi e noi stesse. E’ l’ antropologia che insegna alla politica... e alla teologia: FUORI DEL TUTTO NON C’E’ NESSUN DIO, SE NON IL DIO DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI. Da qui ripartire, dall’essere, tutti e tutte, figli e figlie della relazione di uomini e donne, da questo fatto -culturale attuale, e da questa consapevolezza - senza riduzionismi e senza fondamentalismi, per fare verità e riconciliazione: non ci sono altre strade. Oggi non abbiamo più altra via per proseguire, se non quella della verità e della vita.... Un GRANDE concilio, in terra!, tra tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà di tutta la Terra, come quello immaginato IN CIELO nel Quattrocento da Nicola Cusano, "per placare la follia dell’ira e di aiutare la verità a manifestarsi", in LA PACE DELLA FEDE, penso che sia da mettere all’ordine del giorno dei lavori. Un O.N.U. rinnovato, un UNO della filosofia, della politica, e delle religioni. AL PIU’ PRESTO: ora, non domani. Federico La Sala.
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www.ildialogo.org, Lunedì, 07 luglio 2003
Giovanni Paolo II a Casablanca - nel 1985 - baciò il Corano, e a Gerusalemme(26.03.2000) , al Muro del Pianto così pregò:
"Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e i suoi discendenti per portare il tuo Nome fra i popoli. Siamo profondamente rattristati per il comportamento di coloro che nel corso della storia hanno provocato sofferenze a questi tuoi figli e chiedendo il Tuo perdono vogliamo impegnarci in una fratellanza sincera con il popolo dell’Alleanza".
Se vogliamo proseguire sulla strada della pace, della riconciliazione e del dialogo, non possiamo non pensare all’altro lato del problema e pensare alla lezione di Freud: si tratta di andare al di là di Scilla e Cariddi e di ogni biologismo e diabolico razzismo - al di là dell’ "edipo" (l’ordine simbolico di "mammasantissima": l’alleanza Madre-Figlio: Giocasta-Edipo), e saper amare il padre e saper amare la madre: Abramo-Sara, Abramo-Agar ... Giuseppe-Maria). "Dio" non vuol dire "menzogna": Dio è Amore ... e allora cerchiamo di usare bene questa "Parola", di coniugarlo bene questo "Verbo"!!! (12 settembre 2006, 7.30).
Federico La Sala