Al di qua (non al di là) dell’ "edipo"!!!

U.K. ... o ... K.O.?! REGNO UNITO, ALLARME-SCUOLA: AGLI STUDENTI DI SUA MAESTA’ ... NON SI INSEGNERA’ PIU’ COME SI DIVENTA CITTADINI-SOVRANI, CITTADINE-SOVRANE. Dopo le "guerre di religioni" e la "rivoluzione inglese" ... si torna indietro?! Un articolo di Marcello Sorgi e un commento di Gianni Vattimo.

giovedì 14 settembre 2006.
 

UNA PROPOSTA CHE FA DISCUTERE IL REGNO UNITO: IN NOME DELLA FLESSIBILITÀ CULTURALE, GLI INSEGNANTI NON DOVRANNO PIÙ SPIEGARE COSA È «GIUSTO» E COSA È «SBAGLIATO»

Studenti di sua maestà al di là del bene e del male

di Marcello Sorgi (www.lastampa.it, 13.09.2006)

LONDRA. LA proposta è destinata a dividere, e non a caso negli uffici del ministero dell’Istruzione se ne parla con cautela. La vecchia, tradizionale scuola inglese, meritocratica e fondata sulla selezione dei più bravi, ne riceverebbe sicuramente un duro colpo. Perché si tratta, nientemeno, di abolire dal Curriculum nazionale, qualcosa di più dei nostri «programmi scolastici», una specie di costituzione della scuola a cui gli insegnanti devono riferirsi, il concetto di bene e di male, il dovere di far capire agli studenti cos’è «giusto» o «sbagliato».

Nella tradizione inglese, questa distinzione è sempre stata fondamentale e strettamente connessa al «patrimonio culturale britannico»: right or wrong, va da sé, a partire dalla propria storia, dal proprio paese, dai propri interessi e punti di vista. Ma adesso, nella moderna società inglese multietnica e multiculturale, e nel «new age» blairiano, quest’impostazione potrebbe rivelarsi superata, anzi lo è già, secondo il capo dell’Autorità per la definizione del Curriculum Ken Boston.

In un documento dal piglio riformatore, mirato a «dare più flessibilità al modo d’insegnare ai ragazzi tra gli 11 e i 14 anni», Boston riformula tutti i capisaldi del Curriculum. Nel vecchio testo, ad esempio, ai professori veniva raccomandato di «basarsi su valori duraturi e sviluppare principi» per spingere i ragazzi «a distinguere tra giusto e sbagliato». Nel nuovo, l’invito è più semplicemente a «basarsi su valori e convincimenti sicuri».

Selezione della leadership

Poi, ecumenico anche a costo di una certa genericità, il nuovo Curriculum prosegue così: via il riferimento alla «capacità di entrare in relazione con altri e lavorare per il bene comune», altro possibile spunto di controversia. D’ora in poi la prima non dovrà essere necessariamente finalizzata al secondo. È annacquata, anche se non del tutto cancellata, la selezione della «leadership», l’orgoglio di sentirsi meglio degli altri, saperli organizzare e, quando serve, comandare. Si tratterebbe, piuttosto, di «dare ai ragazzi l’opportunità di diventare creativi, innovativi, aver spirito d’iniziativa» e, solo in quest’ambito, «capacità di leadership». Per finire, via i continui riferimenti al «Britannic Heritage», il patrimonio tradizionale di cultura e valori del Regno Unito. Pur consapevole del venir meno di punti di riferimento magari ammuffiti, ma ben presenti nel bagaglio professionale dei docenti, il Curriculum riformato mira a «contribuire allo sviluppo del senso d’identità dei ragazzi attraverso la conoscenza e la comprensione del patrimonio spirituale, morale, sociale della diversificata società britannica».

«Diversificata», appunto: la chiave è tutta lì. Si tratta di riconoscere che right o wrong, per un inglese cristiano o per un pakistano musulmano residente in Inghilterra, magari anche nato qui, non sono, non potranno mai essere, la stessa cosa, e se questo è vero, se questo diventa il punto di partenza, ne discende che tutto il sistema dei valori, tutti i metodi di discussione vanno rivisti: ne va riconosciuta la «relatività», ne va incrementata la «flessibilità».

I sindacati risentiti

Che poi nel progetto - al momento, va ricordato, solo una proposta - di rinunciare a spiegare ai ragazzi il bene e il male, sia pure con tutto ciò che di arbitrario, a qualsiasi latitudine del mondo, contengono queste definizioni, la scuola inglese, la vecchia, disciplinata, autoritaria in qualche caso, istituzione che non ha conosciuto il ’68, non rischi di abdicare a se stessa, è possibile e da vedere, è sicuramente oggetto di discussione.

Lo dice, preparandosi ad alzare la voce, il sindacato degli insegnanti, che si dichiarano «risentiti» e anche un po’ espropriati dei contenuti del loro lavoro: «Rimuovere il riferimento al giusto e allo sbagliato può pregiudicare la sensazione di sicurezza e di fiducia nel proprio paese» dei ragazzi, spiega il sindacato. Anche per il professor Alan Smithers, del Centro per l’Educazione, come dire la facoltà di pedagogia dell’Università di Buckingham, «l’idea che si possa fare a meno di questi concetti è sbagliata e un po’ allarmante». Guardata invece con gli occhi di chi tutti i giorni si misura con le difficoltà di inserimento di immigrati e figli di immigrati nel sistema scolastico inglese, la proposta non è da gettar via. «Gli inglesi per primi conoscono l’altra faccia del loro meccanismo di selezione, severo ma alle volte troppo rigido - spiega Alessandra Gnudi, vicedirettrice di Focus Information Services, società non profit per i problemi di accoglienza e integrazione dei cosiddetti «expatriate» -. Troppe regole, troppi allarmi, troppe istruzioni finiscono spesso con il determinare nei ragazzi un rifiuto della disciplina, che, se non si esprime all’interno delle mura scolastiche, si sfoga poi a casa in ambito familiare o esplode in modo sconsiderato nel tempo libero degli adolescenti».

Classificazione degli studenti secondo i livelli di apprendimento, separazione, all’interno delle stesse classi, dei più bravi dai meno bravi, selezione continua: sono questi gli ingranaggi di un meccanismo (e in molti casi i suoi aspetti positivi) che, dall’asilo alla laurea, è fatto per selezionare i migliori e non per favorire a qualsiasi costo chi fatica a entrare nel sistema.

Genialità e disciplina

La pari opportunità esiste solo al punto di partenza, è visibile non solo nelle divise, obbligatorie e uguali per tutti, ma nelle regole che vengono continuamente spiegate e applicate, e, se rispettate, sono la vera chiave per realizzare le proprie aspettative. In altre parole, la genialità può portare al successo, ma è più facile arrivarci con la disciplina.

Che in un quadro come questo lo straniero, non solo il non occidentale, possa trovarsi in difficoltà, è logico. E non stupisce che la proposta del nuovo Curriculum scolastico, nel governo che ha varato di recente norme durissime per i reati dei minorenni del «sabato sera», sia venuta da Ruth Kelly, una cristiana molto vicina a Blair, molto osservante, molto schierata contro la criminalizzazione degli immigrati, e che ricorda vagamente la nostra Rosy Bindi. La Kelly ha fatto appena in tempo ad avanzarla, che un rimpasto l’ha messa fuori dal governo. Ora tutto è in mano ad Alan Milburn, nuovo ministro dell’Istruzione. Ma Milburn, per ammissione generale il più attraente membro del gabinetto, al momento è molto impegnato a cercare di prendere il posto di Blair. Chissà se avrà il tempo di riflettere se è «giusto» o «sbagliato» occuparsi più di questo che della scuola.


Non ci resta che la morale provvisoria

di Gianni Vattimo (www.lastampa.it, 13.09.2006)

Forse la reazione dell’Unione degli insegnanti alle nuove disposizioni per la scuola (dell’obbligo: ragazzi dagli 11 ai 14 anni) emanate in Gran Bretagna sono le più equilibrate: non c’è poi una gran novità, dicono, a cancellare il dovere precedentemente stabilito di «insegnare agli allievi a distinguere il bene dal male», poiché gli insegnanti già non lo facevano prima, almeno non nel senso rigido e dogmatico che ci si sarebbe aspettati. La frase che alludeva a quest’obbligo è stata sostituita da una che apparentemente è più generica: bisogna «incoraggiare gli alunni a sviluppare valori e credenze sicuri». E anche qui, non sembra ci sia molto da dire, benché sembri più difficile «incoraggiare» un ragazzo di dodici anni a farsi una sua Weltanschauung. Nel resto della direttiva, si attenua anche il richiamo al compito di trasmettere agli alunni i valori della tradizione culturale britannica in modo da sviluppare il loro senso di identità.

Non sappiamo se le scuole elementari e medie italiane siano dirette in base a criteri simili, ai primi ora cancellati o ai secondi. La generazione più anziana degli italiani che ha conosciuto la scuola fascista non ha nostalgia di un insegnamento che instilli i criteri del bene e del male. Anche le attuali dispute sul diritto delle famiglie a scegliere la scuola, eventualmente privata e confessionale, per i propri figli, mostrano che persino la mentalità conservatrice si ribella all’idea di una scuola pubblica «etica». Non importa se poi lo fa perché ne preferisce una ancora più orientata, come la scuola confessionale. Almeno su un punto concordano cattolici e laici: lo Stato democratico italiano non ha una morale ufficialmente preferita e raccomandata. Ma allora, si potrebbe domandare, che (diavolo) si impara a scuola? Soprattutto negli anni della fanciullezza e della primissima adolescenza? Un’espressione che ricordo, certo già dopo la fine del fascismo, era «educazione morale, civile e fisica». Non so bene che cosa fosse, probabilmente aveva da fare con il voto di condotta (anche questo assai contestato negli anni recenti, o forse addirittura abolito). Ma ho idea che lo si potrebbe riscattare con un riferimento nobile, quello alla «morale provvisoria» a cui Cartesio aveva deciso di conformarsi fino a che non avesse trovato una verità assoluta capace di indicargli anche la via della pratica. La scuola quando si rivolge a bambini o ragazzi molto giovani, insegni più o meno la buona educazione, che sarebbe già molto. I valori da accettare e ai quali ispirare le grandi scelte si scopriranno leggendo gli autori classici, studiando la storia, familiarizzandosi con la tradizione culturale (certo non abolendo le ore di italiano, per esempio, neanche a favore della ginnastica), guardando a qualche insegnante «modello», magari discutendo con i compagni extracomunitari, musulmani, indù e via dicendo. Tutto questo, alla fine, magari non piacerà nemmeno alle famiglie.

Fortunatamente, diremmo, se no che cosa significherebbe l’Edipo freudiano? Certo meglio un rispetto puramente «civile» per le regole del traffico (non voglio prendere una multa, né buscarmi uno scappellotto) che un manuale in cui, una volta per tutte, mi si dice che cosa è il bene e che cosa è il male; che funziona sempre solo come la censura sui film, facendo loro una pubblicità di ineguagliata efficacia.


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