L’Italia che non c’è, la Calabria latitante e la rete contro l’Impero. La Voce del Fiore al posto della Voce di Fiore, la proposta di Maria Paola Falqui dopo l’annuncio di Emiliano Morrone di lasciare la direzione del giornale

venerdì 5 agosto 2011.
 

Quando, di recente, Emiliano Morrone m’ha richiamato all’ordine, ricordandomi che, oltretutto, sono una redattrice della Voce, io mi sono sentita risvegliabile. Mi sembrava, infatti, di non avere più qualcosa di veramente utile da dire o scrivere. Mi pareva di dovermi rifugiare per forza (di cose o di cause) nel quieto silenzio privo di preoccupazioni; tipo Trainspotting, senza, però alcaloidi, oppiacei e tofranilici. Ho (ri)scoperto, poco dopo, che questo sentimento nichilistico della mia generazione e, anzitutto dei miei amici, in cui c’è rassegnazione ma anche passione, bisogna pure trasformarlo in qualcosa di positivo, in azioni in rete. Mi sono ricomposta, in qualche modo, nonostante il dramma italiano della dirigenza politica e delle scelte elettorali degli italiani, dei partiti italiani. Mi sono chiesta da dove potessi iniziare. E sono andata, procedendo a passi lenti, al dramma psicologico che la nostra testata sta vivendo in questi ultimi giorni. Il direttore, che conosco da una vita praticamente, è in crisi esistenziale. E non ne ha fatto mistero; poi, è stranamente bersagliato. M’ha detto di non poterne più. "Sempre le stesse cose, gli stessi fatti", sintetizzava in un suo testo inedito su Wittgenstein, riferendosi sotto sotto alla sua San Giovanni in Fiore. Qual è il problema? Che a questo giornale, La Sala, Tiano e de La Fuente escludendo, mancano delle aperture, delle novità, la voglia di rigenerarsi e di proporre la questione meridionale in termini diversi dalla sperimentata caciara mediatico-saggistica. Può essere che un apporto femminile valga a riscoprire degli spazi troppo (colpevolmente) impediti. Può darsi che la Voce di Fiore possa mutare, di là da ogni magra o straripante retorica, assumendo il ruolo, non certo semplice, di Voce del Fiore. Come, peraltro, suggeriva, m’ha segnalato il direttore, il dottissimo Rosario Vieni. Voce del Fiore potrebbe essere ripristino della diversità della donna in chiave politica, un dominijannismo integrale, un’azione a tutto campo per decostruire e oltrepassare non solo il paradigma fallocentrico e fallocratico dell’Italia berlusconiana ma, in primo luogo, la schiavitù della donna nel Meridione, in Calabria anzitutto. Una subordinazione, come si sa troppo (poco), che ha dipendenze religiose, mitologiche e antropologice e che, in ogni caso, ci consegna ancora una figura femminile immobilizzata in un ruolo, in un’icona, in un abito. Se le raccomandazioni di La Sala su Dante Alighieri e sul cristianesimo autentico di Gianni Vattimo - da pratica coerente del pensiero debole -, ci offrono infiniti spunti di ricerca sul piano politico e della comunicazione, l’appello alla componente femminile dello Stivale, della Calabria e di San Giovanni in Fiore può produrre un nuovo e più potente coinvolgimento di energie, ribellioni e saperi. Quindi, rientrando in scena, o, in gioco, se vogliamo, intendo portare avanti questo messaggio: trasformiamo la Voce di Fiore in Voce del Fiore, posizionandoci sempre più su una linea d’opinione e confronto, piuttosto che identificandoci in uno strumento di mere news. Da qui, l’invito a discuterne in rete, partendo dai lettori più accaniti e dagli stessi redattori. So già che Emiliano Morrone è piuttosto contrario in merito al nome del programma, che poi dovrebbe riqualificare l’intera testata. Il direttore mi ha replicato sottolineando il fatto che "Fiore" è per lui un nome gioachimita, che indica il luogo da cui sarebbe partita la renovatio. "La Voce di Fiore" ha un significato, "Voce del Fiore" potrebbe essere una riedizione erotico-politica di certo femminismo o d’un maschilismo consumistico. Morrone ne fa un fatto formale, m’è parso di capire. Non riesce a staccarsi, comunque, dalle sue origini, per quanto abbia dichiarato che, data la dissoluzione - dal suo punto di vista - d’ogni possibilità di rinascita in Calabria, preferisce dedicarsi ad altre e più concrete battaglie. Avrebbe voluto, infatti, che la connotazione prima di questa testata fosse stata quella d’un mezzo, tecnologicamente potentissimo, per tematizzare i problemi e le urgenze del Mezzogiorno, a partire da Fiore. Certo, oggi c’è un problema di fondo, che mi sembra essere d’attualità e d’attualizzazione. Fiore, cioè San Giovanni in Fiore, ha un’attualità, come La Sala spesso precisa, di tipo metaforico: "Fiore è una metafora". Attualizzare l’originalità originaria del gruppo della Voce significa fare i conti con questo presente storico, a livello locale e globale. Vuol dire misurarsi col presente storico delle nostre e della nostra identità dinamica - di appartenenti, di membri della Voce. Può valere, per ultimo, quale sintesi di contraddizioni esistenti, in questo continuo sforzo - di tutti noi - di informazione/formazione pluralistica, e, in ogni caso, non incompatibili né tali da farci sparire. Proseguiamo, dunque, con o senza Emiliano Morrone. Cui va il merito di non sussistere.

Firenze, 13 dicembre 2006

Maria Paola Falqui


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