[...] Credo che, al di là del dovere di difendere i diritti dei nostri connazionali che vivono all’estero, oltre ad essere la loro voce in parlamento, noi provenienti dall’estero, possiamo essere latori d’un plusvalore acquisito fuori dai confini italiani. Abbiamo cioè, già “digerito” fenomeni di integrazione e di globalizzazione che impegnano, oggi, l’Italia .
Possiamo, dunque, apportare una ventata di sprovincializzazione, possiamo essere d’aiuto per la comprensione di processi già vissuti altrove.
Alcuni di noi provengono da realtà che sono all’avanguardia. Il Canada è una di queste, il paese dal quale provengo.
Stesso dicasi dell’Australia e per gli USA. Noi ci sentiamo cittadini del mondo, siamo la sintesi, non la somma di due esperienze, di due culture, in questo senso possiamo essere veicolo di arricchimento. Mi riferisco soprattutto ai processi di integrazione, di cittadinanza, di arricchimento culturale, cose su cui, in Italia, siamo ancora un passo indietro.
Proveniamo da paesi dove non esistono differenze di razza e di colore della pelle e neanche quei “fenomenucci” poco gradevoli ma che esistono in Italia per esempio nella differenza tra l’uomo e la donna [..]
Intervista all’on. Gino Bucchino eletto all’estero, Canada
«Devo lamentare che noi eletti all’estero, non veniamo praticamente mai consultati dal Vice ministro Danieli»
A voi 18 eletti all’estero va mosso un appunto: non frequentate quanto gli altri parlamentari italiani, i luoghi di incontro informali. Mi riferisco al Transatlantico in primis che è un luogo che serve a socializzare con gli altri colleghi. Perché?
Forse per due motivi. Uno è quello di non aver ancora capito la logica e l’importanza di questo “struscio” in Transatlantico. Effettivamente, è un laboratorio politico perché è anche lì che si creano le alleanze, che si scambiano opinioni, che si decidono attività anche importanti.
E’ vero questo che mi dice. Noi eletti all’estero, forse, siamo ancora un po’ osservatori di quanto sta succedendo e non è escluso che ci adegueremo presto anche in questo.
L’altra cosa è che stiamo letteralmente impazzendo dalla mole di lavoro che ci siamo accollati, per cui non ci viene neanche in mente di fermarci a chiacchierare. Succede che, non appena abbiamo qualche momento libero, ci precipitiamo dietro ad un computer o corriamo in ufficio per portare avanti il nostro lavoro.
Questo avviene perché partiamo in ritardo rispetto a tutti quanti gli altri. Abbiamo bisogno di recuperare anni di silenzio a cominciare dalla questione emigrazione per approdare alla condizione degli italiani all’estero.
Viviamo sicuramente l’ansia del momento, la paura di non riuscire ad arrivare in fondo perché il tempo vola velocissimo. E’ già trascorso quasi un anno. Credo che questo 2007 e parte del 2008, sarà il periodo decisivo, passato il quale saremo di nuovo in campagna elettorale e, quindi, bisognerà pensare a quello che succederà dopo.
Viviamo, cioè, la sensazione di non avere tempo anche perché siamo sommersi, veramente, di molto lavoro. Si pensi che, oltre al lavoro delle Commissioni in qualche modo correlate alle questioni che riguardano l’estero, ci occupiamo anche di altro. Io personalmente, mi occupo anche della questione immigrazione, dei percorsi di integrazione degli immigrati in Italia. In questo senso, sento di poter offrire un contributo notevole avendo già vissuto la stessa esperienza all’estero.
Faccio parte della Commissione Affari Sociali, sono medico, ho sempre lavorato in stretto rapporto con la società italiana di medicina delle migrazioni (SIMM) e cerco di dare una mano per quanto sia nelle mie possibilità.
Ma che vi succede? Siete scollati, qualche volta, disorientati, i vostri sforzi non hanno ottenuto né la visibilità, né i risultati che meritavate.
Sono passati nove mesi. In nove mesi madre natura si adopera nel miracolo della vita. E’ un termine temporale congruo per fare bilanci e parlare della cose fatte e di quelle messe in cantiere.
Noi eletti all’estero, non ci muoviamo all’unisono, questa è la verità. Una verità che mi rattrista profondamente perché stiamo rischiando di buttare alle ortiche una occasione eccezionale.
Di farci sentire e di fare sapere a tutti quanti ed a tutta l’Italia che ci siamo.
Credo che, al di là del dovere di difendere i diritti dei nostri connazionali che vivono all’estero, oltre ad essere la loro voce in parlamento, noi provenienti dall’estero, possiamo essere latori d’un plusvalore acquisito fuori dai confini italiani.
Abbiamo cioè, già “digerito” fenomeni di integrazione e di globalizzazione che impegnano, oggi, l’Italia . Possiamo, dunque, apportare una ventata di sprovincializzazione, possiamo essere d’aiuto per la comprensione di processi già vissuti altrove. Alcuni di noi provengono da realtà che sono all’avanguardia. Il Canada è una di queste, il paese dal quale provengo. Stesso dicasi dell’Australia e per gli USA. Noi ci sentiamo cittadini del mondo, siamo la sintesi, non la somma di due esperienze, di due culture, in questo senso possiamo essere veicolo di arricchimento. Mi riferisco soprattutto ai processi di integrazione, di cittadinanza, di arricchimento culturale, cose su cui, in Italia, siamo ancora un passo indietro.
Proveniamo da paesi dove non esistono differenze di razza e di colore della pelle e neanche quei “fenomenucci” poco gradevoli ma che esistono in Italia per esempio nella differenza tra l’uomo e la donna.
Si pensi al discorso delle pari opportunità. In Italia, si assiste ancora ad una certa meraviglia e a qualche risolino nel vedere una donna autista di autobus o pilota di aerei, qualcuno addirittura fa gli scongiuri quando ne vede una al volante. Proveniamo da Paesi dove, invece, queste differenze non esistono, potremmo portare queste esperienze in parlamento.
Non crede che sia venuto il momento di aggregare i vostri sforzi?
La difficoltà più grande, secondo me, è la mancanza di unità che ci impedisce di parlare con una sola voce. Forse siamo entrati già in quel meccanismo perverso della difesa del proprio collegio elettorale da un punto di vista squisitamente utilitaristico ed elettorale. Molti di noi stanno già cercando di difendere o di moltiplicare quella visibilità che ci permette, poi, di raccontare, per recuperare meriti, di provare quanto siamo stati bravi nel nostro lavoro. Il tutto per meritare, eventualmente, la rielezione. Ciò, devo dire con grande sincerità, è una cosa che mi disturba non poco.
Stiamo buttando via una grande opportunità di essere utili e puntare i piedi in parlamento, di farci sentire che siamo un gruppo forte, che abbiamo dei diritti da rivendicare sui quali non intendiamo transigere.
Noi eletti all’estero, siamo spesso ridotti ad andare a mendicare attenzione per poter fare queste cose, lasciando i nostri spazi a quanti hanno più capacità di crearsi una maggiore visibilità a nostre spese.
Mi riferisco anche, non ho alcun timore a dirlo, al Vice Ministro degli Esteri con delega per gli italiani nel mondo, Franco Danieli il quale, avendo ben capito che noi non siamo uniti, che ognuno procede un po’ per la propria strada, di queste divisioni, ne trae, per cosi’ dire, vantaggio. Egli, appurato il fatto che non rivendichiamo questa necessità di unità di lavorare insieme, non viene a cercarci e, legittimamente, raccoglie i frutti anche di ciò che singolarmente ognuno di noi porta avanti annettendone i frutti nel proprio portafoglio.
Lamento, in particolare, per esempio, che non c’è colloquio, non ci si confronta non si interloquisce, cosa necessaria nella dialettica che deve errerci tra il governo, in particolare all’annunciato, ma e’ rimasto tale, tavolo di lavoro e confronto fra Governo e parlamentari eletti all’estero. Neanche con noi parlamentari dell’Unione esiste questo tipo di comunicazione che, in qualche modo, facciamo parte di questo governo.
Devo lamentare che noi eletti all’estero non veniamo praticamente mai consultati nella maniera più assoluta. Ci vengono comunicate riunioni o iniziative appena due giorni prima senza dare adito ad un minimo di preparazione.
Mi riferisco, per esempio, alla proposta di legge sta per approdare in sede di Commissione e quindi, in un secondo momento in parlamento, per quanto riguarda il diritto di cittadinanza.
E’ una legge importantissima che consentirà, agli immigrati in Italia di ottenere il diritto di cittadinanza. L’art. 10 della legge riguarda il riacquisto della cittadinanza per i connazionali all’estero che, per vari motivi, l’hanno perduta. Ecco, l’on. Bressa, nel presentare, al seminario che ha tenuto alcuni giorni fa (per chi legge il 29 gennaio), alla nostra domanda su come mai non fosse stato previsto alcun intervento da parte dei parlamentari all’estero direttamente parte in causa nel provvedimento, ha risposto, in buona fede, che egli si era consigliato con il Vice Ministro degli Esteri e che, da lui, aveva avuto disco verde.
Tale atteggiamento, ha lasciato tutti noi sbigottiti e sorpresi. E’ una ulteriore testimonianza del fatto che il Vice Ministro degli Esteri cammina da solo. Soprattutto dopo il lavoro preliminare che avevamo fatto tutti noi, firmatari fra l’altro di una proposta di legge sulla cittadinanza, il cui contenuto e’ stato recepito in toto dalla proposta di legge “Bressa”.
Altro esempio. Giorni fa, c’è stato un giro di contatti in Svizzera presi dal Vive Ministro Danieli. I parlamentari eletti in Svizzera, sebbene invitati al seguito, non sono stati affatto coinvolti né hanno avuto lo spazio che meritavano. Allo stesso modo, non sono stati consultati i rappresentanti CGIE. Non c’è stata neanche una piccola riunione.
La Svizzera, insomma, non è il Canada o gli USA dove è impossibile fare una riunione globale. E’ un fazzoletto di terra dove si può organizzare una riunione generale con tutti gli addetti ai lavori senza problemi. Questo è un vero disagio non senza accordare a Danieli i meriti a lui dovuti soprattutto in tema di finanziaria con il suo intervento al Senato.
La Bicamerale dell’on. Tremaglia allora si rivela risolutiva?
E’ una strada da valutare attentamente. Non dobbiamo abbandonare questa idea solo perché proviene dall’opposizione. Non dobbiamo avere nessun tipo di pregiudiziale nei confronti della Bicamerale. Non possiamo rimanere disuniti. Stiamo valutando anche, e forse soprattutto, delle soluzioni non direi alternative, ma delle strade operative anche più veloci nel tempo quale quella della Costituzione o della ricostituzione dei Comitati degli italiani nel mondo, sia al Senato che alla Camera.
Questa è la strada che stiamo seguendo in questi giorni ma che non esclude assolutamente che si possa anche arrivare ad una Bicamerale quale sede importante ed opportuna dove si possa discutere di tutte le problematiche degli italiani all’estero.
E la Commissione permanente richiesta al Senato che fine ha fatto?
Sembra ci siano dei cambiamenti in corso d’opera. Se non vado errato, da notizie pervenutemi proprio nella giornata di ieri (30 gennaio), il senatore Micheloni ha detto che questa richiesta dovrà essere mutata, anche per il Senato, in un Comitato.
Ripeto, non escludiamo e non abbiamo alcun pregiudizio nei riguardi di una Bicamerale, né abbiamo timori. Se l’interesse nostro è quello di lavorare seriamente per gli italiani all’estero, se vogliamo che essi portino questa ventata di sprovincializzazione in Italia, non dobbiamo avere nessun timore che questa Bicamerale possa essere connotata politicamente e cioè frutto di una proposta dell’opposizione. Non ci interessa questo nella maniera più assoluta per cui è un percorso che non va escluso ed è un percorso che, probabilmente, seguiremo.
Politica estera. L’atteggiamento degli eletti in America del Nord è diverso da quello degli eletti in America del Sud nei riguardi degli americani, gli uni pro e gli altri contro.
Personalmente, il mio atteggiamento nei confronti degli americani, è quello di non sudditanza anche se di riconoscimento di un alleato importantissimo del quale noi non possiamo fare a meno.
Ma devo dire che abbiamo il dovere di essere fortemente critici non senza rivendicare una pari dignità. La nostre comunità residenti in America del Nord, sono state fortemente contrarie all’intervento degli USA in Iraq.
Quella è stata una guerra non necessaria, una guerra stupida e dalle guerre stupide, bisogna stare molto lontani. Abbiamo espresso anche delle perplessità sul fatto dell’allargamento della base di Vicenza ma sentirsi obbligati solo perché il governo precedente, il governo Berlusconi, aveva accondisceso, mi sembra un argomento senza costrutto.
La situazione di sudditanza dell’Italia nei confronti degli USA, non mi piace ma, a dire il vero, devo dire che non mi sia piaciuta nemmeno ai tempi di quando noi eravamo al governo.
Quando, cioè, il primo ministro era Massimo D’Alema, ci fu quella tragedia per noi a causa di uno stupido esercizio di divertimento di piloti americani che andarono a troncare di netto i cavi di una funivia procurando una dozzina e più di vittime. Nemmeno un mese dopo, Massimo D’Alema andò in visita negli USA come se niente fosse successo.
Pacs. Passa la linea del governo su famiglia e coppie di fatto, la legge verrà presentata entro il 15 febbraio. Quale esperienza importa del Canada in questo senso?
E’ una esperienza anni luce distante dalla realtà italiana. Si tratta, qui, di legittimare, con grande fatica, delle ovvietà. Non è giusto creare delle famiglie di serie A e famiglie di serie B. Esistono dei diritti, uno Stato laico quale il nostro ha il sacrosanto dovere di difendere i diritti di tutti i propri cittadini.
E’ il solito deficit della politica nei confronti della società che in Italia è molto marcato. La realtà è ben chiara ed è quella di migliaia, di un numero elevatissimo di coppie che vivono assieme e che hanno deciso di non sposarsi non vedo perché, a queste coppie, non debba essere riconosciuta la totalità dei diritti. Per alcune manifestazioni, oggi, non si può fare altro che indignarsi.
Si pensi che, solo tre anni orsono, dopo la tragedia di Nassiria, al Vittoriano, ci fu la commemorazione ufficiale della memoria dei caduti, alla presenza del Presidente Ciampi, alla quale furono invitati i familiari dei soldati e civili italiani lì deceduti. Ebbene, una donna che non era sposata con una delle vittime, ma che era convivente da anni, non fu fatta entrare proprio perché non era la moglie ma la compagna di una delle vittime. Basterebbe questo episodio per arrivare alla consapevolezza di provvedimenti necessari.
Si nega alle coppie omosessuali di poter adottare bambini e forse e’ giusto cosi’, anche io sono convinto che la nostra societa’ non e’ ancora pronta ma parimenti, si ignora che questa sia già una realtà in altre parti del mondo e, quindi, è doveroso non ignorare il fenomeno. Certo, occorre una preparazione a sostegno soprattutto dei bambini, ma da qui a rifiutare di parlarne, ci corre e non è un atteggiamento responsabile.
Ci tengo però a sottolineare, ricordare e ribadire che il nostro è uno Stato laico, la Chiesa su questo, ha il diritto di dire la sua, ma non quello di invadere entrando a gamba tesa nella politica.
Ha un “colpo” in canna attualmente? Una novità?
Il 6 dicembre del 1907 a Monongah, nella west Virginia USA, 100 anni fa, in questo paesino sperduto, erano presenti centinaia di lavoratori italiani. Mi sono sempre chiesto come abbiano fatto a raggiungere quel posto dal momento che, quando l’ho visitato io, qualche mese orsono, era già una bella impresa arrivarci. Eppure c’erano e lavoravano in miniera.
Il 6 dicembre 1907, lì, morirono 362 lavoratori, più di 200 furono italiani. In realtà, il numero delle vittime, presumibilmente, ha superato le 500 unità se si considera che molti di loro avevano parenti al seguito che li aiutavano nel lavoro.
In quello che resta di un cimitero abbandonato, dove le tombe sono in uno stato pietoso, vi sono sepolte le vittime italiane, 84 di loro molisani, una cinquantina calabresi, ma anche abruzzesi, campani, pugliesi, piemontesi e lombardi.
Questa è la tragedia più grande che abbia segnato a lutto il lavoro degli italiani nel mondo, la più tragica. Ho visto un cimitero dissestato, tombe spaccate, ecc.
Ho presentato, come primo firmatario, una interrogazione a risposta immediata al Ministro degli Esteri (il 30 gennaio per chi legge) per chiedere se il governo non intenda promuovere iniziative adeguate per riportare l’attenzione alla drammatica vicenda di Monangah e ridare, ai protagonisti, il riconoscimento e l’onore che meritano.
Senza, con questo, togliere a Marcinelle il riferimento simbolo del lavoro e del sacrificio degli italiani nel mondo, ho inteso, con l’interrogazione, chiedere se non sia opportuno promuovere la costituzione di un Comitato di Onore con la partecipazione di rappresentanti delle Istituzioni italiane, delle Autorità statunitensi, dei rappresentanti delle regioni più direttamente interessate, dei parlamentari del Nord America e se non sia il caso di ridare dignità alle strutture del cimitero che ospita i resti degli italiani morti sul lavoro.
Sono il primo firmatario ma anche Fedi, Farina e Narducci, Bafile hanno firmato. Sono sicurissimo che tutti i 18 avrebbero sottoscritto questa interpellanza.
Salvatore Viglia