Già pubblicato su il Crotonese di venerdì 13 aprile 2007
Dicono male di San Giovanni in Fiore. Dei suoi 18 mila abitanti ne sono rimasti meno della metà. L’attuale emigrazione di giovani e intere famiglie, spaventosa, rischia di diventare un luogo comune, un fenomeno privo di significato, un fatto naturale, nel posto, segnato da asfissiante e inutile assistenzialismo.
Non c’è impresa. L’economia è bloccata dall’interdipendenza fra rappresentanti dello Stato, centrali e periferici, e masse non emancipate.
Rispetto a questa situazione anche la Chiesa locale preferisce deviare, intervenendo dal pulpito su Pacs, Dico e stabilità della famiglia.
Parlano Battista Benincasa di Alleanza nazionale, Antonio Barile, il giornalista Saverio Basile e altri. “Quattrocentosettanta persone prendono 480 euro al mese standosene a casa”, denuncia Barile, consigliere comunale di Forza Italia. Benincasa ribadisce. Basile denuncia lo stato di crisi sulle colonne del mensile “Il Corriere della Sila”.
Mentre Salvatore Frijo, uomo di mezza età che andò all’estero con l’arcinota valigia di cartone, impreca: “Le è sfuggito il suicidio di un padre di famiglia, nello scorso dicembre; se lavorava...”. E prosegue: “La mamma di Antonio Silletta non è forse una vittima di questo sistema? Il sindaco dice che strumentalizziamo, che usiamo tragedie per indirizzare politicamente il discorso”. La signora Silletta morì di crepacuore in seguito alla barbara uccisione del figlio. Ed era una delle protagoniste della lotta per l’occupazione.
A San Giovanni in Fiore, in duecentoventi percepiscono un sussidio di 480 euro al mese, erogato dalla Regione Calabria con fondi del ministero del Lavoro. Le parti politiche ci disputarono la partita delle ultime regionali e comunali, a sentire l’una e l’altra campana. Antonio Barile si fece carico di ascoltare un folto gruppo di disoccupati, i quali, nel febbraio del 2004, presidiarono il municipio di San Giovanni in Fiore, terminato il reddito minimo di inserimento. Sperava di sistemarli tutti. Il centrosinistra indagò compatto su un progetto di formazione e tamponamento della povertà condotto dal forzista, con l’appoggio di Gianni Alemanno, all’epoca ministro dell’Agricoltura.
Barile chiarisce: “Scoppiò un ordigno a ridosso delle comunali del 2005. L’Ulivo locale intercettò un bando regionale pubblicato su importanti quotidiani nazionali, che prevedeva, per iniziativa dello stesso Alemanno, l’inserimento di 350 disoccupati calabresi in una graduatoria speciale”. Chiusa la quale, la Regione Calabria doveva avviare un progetto di formazione per operai forestali da inserire nel Parco nazionale della Sila.
Nel frattempo, la destra perse le elezioni regionali e “la sinistra, scoperto il bando, lo distribuì a chicchessia, pur di frenare l’avanzata di Barile”, precisa lo stesso consigliere azzurro. Il tentativo della destra era di assicurare l’assunzione di tutti coloro che protestarono nel 2004. “I criteri di quella graduatoria furono concepiti male”, ammette Barile. Ma in Regione governava la destra. La graduatoria subì controlli, verifiche e aggiustamenti. Alcuni inseriti nella lista si trovano dal giudice penale per aver dichiarato il falso. Ciò avvenne pure per la lista del reddito minimo.
Ma il fatto sorprendente è che la mancata nomina dell’ultimo membro d’una struttura amministrativa, per questioni burocratiche fra Regione e governo centrale, blocca a oggi l’avvio d’un progetto di formazione per le persone in graduatoria. Così, queste ricevono dallo Stato un mensile di 480 euro senza poter far nulla.
Non ci sarà mica la volontà di Stato e Regione, dello stesso colore politico, di indurre questa gente a una subordinazione indignitosa? Sarà questo un calcolo già fatto da altri, di diversa bandiera? L’erogazione durerà un anno, trascorso il quale coi soldi del ministero del Lavoro non sarà raggiunto alcun risultato.
Eppure Maroni, che ai tempi dell’operazione era il ministro delegato, diceva d’essere contrario ad elargizioni improduttive e parlava male dell’esperienza del reddito minimo di inserimento - introdotto da Livia Turco - a Enna, Isola Capo Rizzuto e San Giovanni in Fiore. Dove non ci sono mai stati provvedimenti circa eventuali abusi da parte di politici nell’organo deputato all’assegnazione.
Una storia analoga riguarda le cooperative di San Giovanni in Fiore. Dopo le azioni di Antonio Barile e le contromosse della sinistra, una massiccia e imprevista partecipazione al bando regionale di concorso non permise l’inserimento dei manifestanti del 2004 nella celebre graduatoria. Di quel gruppo ne entrarono solo quindici. Barile corse ai ripari e, sempre con l’aiuto di Alemanno, individuò un’altra misura, sostanzialmente identica a quella precedente. Anche Benincasa, di An, lavorò su questo fronte e, pare, Salvatore Audia, coordinatore del Partito democratico meridionale per la provincia di Cosenza.
Per evitare esclusioni di sorta, Alemanno si impegnò col ministero del Lavoro a produrre un’intesa con la Regione Calabria che coinvolgesse delle cooperative. A San Giovanni in Fiore ne sorsero sei, per un totale di 250 iscritti. Questi oggi percepiscono 480 euro al mese, sempre per un anno, e non fanno nulla. Il motivo sta nel fatto che “in Regione non s’accordano per far partire dei progetti di formazione già esistenti”, sottolinea Barile.
Il Comune di San Giovanni in Fiore sta per andare in dissesto per causa d’una vertenza da parte di operai dell’ex Fondo sollievo, non pagati secondo la tariffa minima per gli idraulico-forestali. Il municipio dovrebbe rendere vari milioni di euro.
La vicenda è identica, sul piano fisiologico, alle due ricordate. La stessa riguarda l’indicata interdipendenza fra rappresentanti istituzionali dello Stato e masse non emancipate, in cui c’entrano gli eterni avvicendamenti nelle sale del potere dello Stato centrale, della Regione e del Comune.
C’è un continuo rimpallo di responsabilità, fra sinistra e destra, che sta distruggendo una città operosa quale era San Giovanni in Fiore. La verità è che agli alti livelli la politica crede che non ci sia altro, per la Calabria e San Giovanni in Fiore, se non disumana assistenza. La verità è che angoli depressi come San Giovanni in Fiore vengono ancora considerati bacini di voti e cimiteri di coscienze, perfino da politici del luogo.
Se col reddito minimo sono stati bruciati complessivamente più di 50 miliardi di lire, col fondo sollievo oltre 100 e con queste ultime misure 5 miliardi e dispari, senza alcun risultato in termini di occupazione e produttività, significa che il sistema vigente è una mafia non riconosciuta come tale, che procede e, indisturbata, causa danni e vittime.
Nel maggio del 2004, in bella vista sul Corriere della Sera, San Giovanni in Fiore venne definita l’“emblema della degenerazione morale, politica ed economica del Mezzogiorno”. Il giudizio non fu azzardato né per clamore. Gian Antonio Stella scese a fare un’inchiesta sul capoluogo silano. Spuntarono paradossi davanti ai quali lo stesso giornalista si pizzicò le guance: seimila disoccupati, milleduecento beneficiari del reddito minimo, seicentotrenta del Fondo sollievo della disoccupazione, centosettanta lavoratori di utilità sociale, quattromilacinquecento pensionati, ventidue autosaloni, dieci macellerie. Lo colpirono le macchine in circolazione, nuove e fiammanti.
Ermanno Bencivenga, filosofo e docente nell’Università di California, in una sua recente visita in città, s’è meravigliato della mancanza d’una libreria.
Paola Baruffi, reporter di Sky, venuta in Sila per un servizio su Gianni Vattimo, non ha saputo spiegarsi le ragioni delle tante case ammassate nella zona alta, sviluppate in lungo, vuote e in eterna costruzione.
Michele Nanni, operatore televisivo, non è riuscito, giorni fa, a riprendere l’abbazia dai suoi cori notturni, causa l’irreperibilità dell’unica chiave per l’accesso, contesa fra Chiesa e Comune.
Di fatto, San Giovanni in Fiore sta morendo.
Mentre questo avviene, il sindaco Nicoletti si difende lesto e rigido dalle accuse sul suo trasferimento dall’ospedale. Bada, poi, a divulgare un’immagine della città che non sta nemmeno nei sogni e che il grande Calvino non avrebbe concepito.
Tutto è allo sconquasso, al collasso, alla fine.
La gloriosa sede della spiritualità di Gioacchino da Fiore è ridotta a squallido crocevia di trafficanti di droga e profittatori di parte, con illegalità e immoralità sparse, compiaciute.
E, per chiudere, la tranquillità serafica d’una società cieca; o malata di rassegnazione.
Emiliano Morrone
SULLE NUOVE CONDANNE DI SIX TOWN
“Six Towns”, quelle condanne sono una lezione per chi ha negato la realtà dei fatti
di Emiliano Morrone (Iacchite, 25 Ottobre 2019)
Ho appena letto delle condanne di alcuni imputati nel processo relativo all’inchiesta “Six Town” della Dda di Catanzaro, che ha certificato, direi confermato, la presenza della ‘ndrangheta a San Giovanni in Fiore (Cosenza) e dintorni, di cui scrivevo nel 2007 con Francesco Saverio Alessio e Biagio Simonetta, tra insulti dal versante della politica, offese e perfino forme di intimidazione.
Non sono affatto felice di queste condanne, perché dei giovani dovranno passare in carcere un pezzo importante della loro vita, che invece avrebbero potuto trascorrere in libertà insieme ai rispettivi cari. Né mi interessa più, soffrendo per la loro sorte, che a distanza di 12 anni sia emersa quella verità che con Saverio e Biagio raccontavamo in grande solitudine, con dolore e inquietudine personali. Rifletto, piuttosto, sul fatto che il nostro territorio non ha dato opportunità di lavoro e realizzazione a molti ragazzi. Alcuni sono partiti dalla Calabria, altri hanno scelto la strada sbagliata. E medito sulle responsabilità di una classe politica che ha spesso seguito le logiche della clientela e dei favoricchi, che ha ignorato lo spopolamento crescente come il fenomeno criminale, che non ha guardato al futuro, al bene della collettività.
Vorrei nominare ad uno ad uno quei politici, quei soggetti arroganti che a lungo, anche per cieco opportunismo, hanno negato senza ritegno la realtà dei fatti, accusando me, Saverio e Biagio di rovinare l’immagine del luogo. Non lo faccio perché non ha più senso: non serve commentare l’evidenza, e ormai la nostra gente ha capito chi bada all’interesse generale e chi si fa i cazzi suoi. Un pensiero, però, lo voglio rivolgere alle persone che adesso la giustizia ha punito, esprimendo loro umana considerazione con la speranza che nel tempo possano riabilitarsi e ritornare senza pregiudizi nella comunità di appartenenza. In fondo pure loro sono - per certi versi - vittime di quell’affarismo politico che qui ha prodotto povertà e disagio sociale.