Proprio come Gandhi con la sua pacifica protesta, il quale, nel 1930, per dimostrare allo stato inglese che il regime non avrebbe fermato il desiderio di rivalsa del popolo, giunse, dopo 24 giorni di cammino, al mar arabico, per ottenere il sale attraverso l’evaporazione dell’acqua di mare ,in maniera illegale perché ottenuta liberamente senza il pagamento della tassa, che non si oppose poi all’arresto e alle torture, così sta marciando il popolo del Venezuela.
La vera rivoluzione è quella che la gente sta combattendo contro il regime di Chavez, non quella che il dittatore vuol mostrare al mondo come se fosse la ‘revolución’ del popolo, la rivoluzione bolivariana. La protesta è per le strade di Caracas, l’ultima, circa 300.000 persone, non è stata nemmeno citata in tv, non esiste più RCTV, mentre quella finta organizzata e pagata dal governo, di poche migliaia di individui venduti per 25 dollari a testa, è stata ampiamente descritta nei tg del governo.
Una marea di persone per far capire a chi, troppo distratto da notizie fuorvianti, che il guerrafondaio e despota, oltre ad aver cancellato la possibilità d’espressione di chi non condivide il suo pensiero, sta portando il paese alla deriva. Tra qualche anno, se glielo si lascerà fare, ridurrà il paese in uno stato di estrema ignoranza, situazione ideale per poter rimanere al comando fino alla morte. Il metodo ricorda un po’ quello di Saddam Hussein, ma, senza andare troppo lontano, quello del suo maestro Fidel Castro.
Mi spaventa che ci sia ancora chi continua a difendere questo pazzo, gente che si dichiara del popolo e non si rende conto del male che sta facendo proprio alla povera gente, la quale, oltre ad essere privata di qualsiasi benessere economico, gli viene ora negata la libertà di parola e di pensiero.
Resta una guerra del sale, pacifica, atta a dimostrare che il fuoco della libertà non potrà mai essere spento dalla follia di un governo militare. Occorre aiutare il Venezuela a liberarsi, ancora una volta, da chi, possedendo il petrolio di tutti, sta stravolgendo la vita di una nazione. E’ importante adesso dare il giusto valore alle cose, non si tratta di credo politico, non esiste più comunismo, fascismo o altro, adesso si parla di democrazia assente, di libertà di parola negata.
Le elezioni venezuelane sono state alquanto sospette se si pensa a quanta gente sta contestando questo governo, il 62% che tanto vantano è stato ottenuto aumentando la popolazione votante a proprio piacimento:musulmani invitati, cubani ospiti e partecipazioni speciali, oltre ai naturali brogli abituali e tipici del Venezuela.
In realtà non c’è stata nessuna sorveglianza e i tanto pubblicizzati inviati si sono lasciati convincere a stare alla larga, senza contare che la gente votante era cosciente dell’esistenza di un ‘capta impronte’ che non rendeva anonima la scelta, e c’è da crederci perchè in Venezuela ci sono le proprie impronte anche sulla carta d’identità. Questo è il Paese di Chavez e si spera che qualcosa o qualcuno possa cambiare questa situazione che rischia di implodere e di danneggiarci in maniera irreversibile.
Secondo me bisogna andarci cauti ad esaltare Hugo Chavez Frias, è facile fare la figura da ignoranti o dimostrare di essere in malafede e, in entrambi casi, apparire inaffidabili. Ora che il mondo sta per liberarsi di Fidel Castro ci rimarrà, chissà per quanti anni ancora, il suo discepolo migliore, l’imperatore del Venezuela Hugo Chavez.
Ancora una considerazione
Il Venezuela, un po’ come succede in Italia, per alcuni anni ha avuto due facce. Dopo 44 anni dalla caduta di Marcos Perez Jimenez, il dittatore contestato da tutte le classi sociali, il 23 di gennaio di quest’anno, nell’anniversario, hanno marciato le due facce del Venezuela. Un gruppo dell’opposizione, contro la dittatura chavista e a favore della democrazia e l’altro che stava con il governo.
La Chiesa, che si è sentita profanata dagli attacchi di Hugo Chavez, ha visto le due marce come una lotta tra fratelli. Causa della guerra tra Caino e Abele è stato il despota.
Questo accadeva a gennaio, oggi il popolo di dimostranti, di pacifici ma decisi venezuelani che si opongono alla dittatura di Chavez è aumentato considerevolmente, tanto da far impallidire, come detto, la finta marcia a favore del governo. Il rifiuto a Chavez, visto in percentuali, è cresciuto del 75%, ogni giorno che trascorre si esaurisce di più l’ossigeno che alimenta il tiranni e le pentole, i coperchi, gli arnesi che in venezuelani usano per far rumore e rendere pubblico il loro malessere, stanno assordando tutti. C’è chi dice che questo è l’inizio della fine della rivoluzione chavista, ma altri, compreso me, pensano che il tono usato da questo mostro è una scorciatoia verso una dittatura della peggiore specie. L’aveva detto anche il ministro della Difesa, amico del rais, José Vicente Ranger: “la lotta sarà cruenta e non ci lasceremo togliere il governo”.
Difficile pensare al Venezuela come un paese che potrà tornare a godere di una democrazia senza spargimento di sangue e senza dolore per la gente. In questi giorni qualcosa sta maturando, la preoccupazione è tangibile e il malcontento non si può certo contenere in un barattolo sotto vuoto, la gente venezuelana è paziente, non agisce subito, ma, quando arriva al limite della sopportazione, in altre occasioni ha dimostrato di non lasciarsi intimorire da niente. Spero con il cuore che si tratti ancora di ‘marce del sale’ allo stile di Gandhi, ma temo che le voci che si sentono in Venezuela, si basino su decisioni diverse che ancora non ci è dato conoscere completamente.
Non parlo da ricco italo venezuelano come qualcuno, afflitto dalle solite fette di salame e dalla tipica invidia di chi non ha argomenti, ha detto. Non sono ricco e, sinceramente, non mi interessa esserlo, amo il paese dove sono nato e cresciuto, amo la razza con la quale ho convissuto e, se permettete, mi fa male osservare il cambiamento del carattere dei venezuelani. Malgrado la povertà di molti, il sorriso era sempre presente, oggi, la mancanza di libertà e il terrore del futuro, hanno cancellato anche quello. Chavez non c’entra niente con Simon Bolivar, mi spiace per lui. La rivoluzione è quella che porta alla libertà non all’oppressione.
Viva Venezuela mi patria querida, quien la libertó mi hermano fue Simón Bolivar
Cosmo de La Fuente
www.familiafutura.blogspot.com
Nota editoriale
La Voce di Fiore si propone, da sempre, di essere luogo del confronto e del dibattito. Per questo, non opera alcuna censura preventiva. Su Chavez, ad esempio, abbiamo avuto modo di ospitare le più diverse opinioni. L’articolo di questa pagina, di Cosmo de La Fuente, che ne ha scelto anche il titolo, è pubblicato integralmente.
Continueremo a essere così aperti, consapevoli che ciò serve all’informazione e alla democrazia. Dunque, chi volesse scrivere, può farlo utilizzando l’apposito spazio o inviando il proprio contributo in redazione.
Emiliano Morrone
Maduro: «Il Venezuela non s’arrende»
Intervista. Il presidente chavista dopo la dura sconfitta elettorale del governo: «Per difendere le nostre conquiste metto in gioco la mia vita. Certo abbiamo commesso degli errori, ma noi siamo da una parte sola: nella trincea comune di tutto il continente latinamericano»
di Geraldina Colotti (il manifesto, 10.12.2015)
INVIATA A CARACAS
Abbiamo incontrato il presidente venzuelano Nicolas Maduro per rivolgergli alcune domande dopo la sconfitta elettorale del governo.
Presidente, tanti gli interrogativi dopo il tracollo del voto e 17 anni di governo di sinistra. Questo è l’unico paese del sud del mondo in cui l’esercito - qui nella formula politica di “unione civico-militare” - è andato oltre il nazionalismo, coniugandosi al socialismo umanista. Nel nuovo quadro, che faranno le Forze armate? Torneranno a sparare sulla folla che protesta come nella IV Repubblica?
L’unione civico-militare si rafforza ogni volta che si presenta una difficoltà. È stato così durante il colpo di stato contro Chavez, nel 2002 e durante la serrata petrolifera padronale che ha cercato di mettere in ginocchio la rivoluzione bolivariana. E molta gente del popolo, che aveva marciato contro Chavez senza capire che la stavano portando verso un golpe, ha poi manifestato per riportare al governo il suo presidente, il 13 febbraio. Qui ci sono i protagonisti, Vladimir Padrino Lopez, attuale ministro della Difesa che nel 2002 era comandante del Batallon Bolívar, qui ci sono i ragazzi di quell’11,12 e 13 di aprile. Siamo quelli del 4 febbraio ’92, del Caracazo del febbraio ’89, e del 13 febbraio del 2002. Ad ogni 11, segue il 13. Siamo un 13 febbraio permanente, una unione civico-militare per la Patria, figli di Chavez, eredi di Bolivar... e di Lenin. Anche di Trosky, perché no? Non aggiungo Stalin altrimenti qualche compagno mi strozza... Il tempo in cui determinati corpi armati della Repubblica erano al servizio di interessi esterni, dei piani dell’Fmi, della privatizzazione, del saccheggio delle nostre risorse non hanno più legittimità storica.
Che ne sarà ora delle alleanze strategiche solidali a cui il Venezuela ha dato impulso in America latina? Si distruggerà l’Alba e Petrocaribe?
Dobbiamo prepararci a un terremoto di proporzioni devastanti, già annunciato dall’imprenditore Mauricio Macri in Argentina. La destra venezuelana è governata da Washington e dal Fondo monetario internazionale, che vedremo purtroppo tornare. Vuole distruggere tutti gli accordi di cooperazione con Petrocaribe, provocando una catastrofe umanitaria. Vuole azzerare le relazioni con la Cina, con la Russia e con il resto dell’America latina e dei Caraibi per cancellare la nuova indipendenza del continente. Vogliono snaturare il Mercosur, la Unasur, distruggere l’Alba. Ma saremo qui ad affrontarla. Siamo il partito della difficoltà. Siamo in una trincea comune tutto il continente. Il Comando Sud nordamericano ha già annunciato i suoi progetti. Ogni cinquant’anni, i documenti desecratati di Washington mostrano le strategie destabilizzanti messe in campo in altre situazioni storiche: in Guatemala, in Brasile, in Cile, le giovani generazioni vedranno confermato quanto stiamo denunciando sulla guerra economica e sui centri che costruiscono la guerra mediatica. John Kerry si crede il governatore del Venezuela, interviene a ogni piè sospinto nella politica interna e sovrana del nostro paese. Come ha fatto in queste elezioni, anche contro gli interessi del suo stesso popolo, le cui relazioni con il Venezuela bolivariano non sono mai state così strette.
In tutto il mondo, movimenti e sinistre hanno espresso solidarietà al socialismo bolivariano e ora s’interrogano sul destino del processo rivoluzionario ma anche sugli errori commessi.Dove concentrare l’analisi critica e quindi la solidarietà?
Sono infinitamente grato per le manifestazioni di affetto ricevute. Gli obiettivi della rivoluzione bolivariana sono quelli di tutti i popoli in lotta per la libertà e la pace con giustizia sociale. Interroghiamoci insieme con maggior determinazione. Abbiamo perso una battaglia. Un’elezione, per quanto importante, è solo una battaglia in un progetto più generale di trasformazione. Continueremo insieme al nostro popolo, cercheremo il dialogo anche e ora soprattutto con quella parte che si è lasciata convincere dalle menzogne della destra e che ora capirà sulla propria pelle di che natura sia quel «cambio» richiesto a gran voce dall’opposizione. Molti di quelli che non hanno conosciuto il vero volto di queste destre nella IV Repubblica, credono che i diritti conquistati con la rivoluzione bolivariana siano intoccabili. Ma non sarà così e sarà presto evidente. La solidarietà internazionale troverà sempre al suo fianco la rivoluzione bolivariana sui temi che ci accomunano: la libertà delle donne e delle diversità, la libertà di espressione, l’opposizione alla guerra e per l’indipendenza dei popoli. Siamo qui, non siamo disposti ad arrenderci. Per questo, metto la mia vita in gioco.
Venezuela: opposizione antichavista vince le elezioni legislative Maduro ammette sconfitta, Mud: battuto governo non democratico
di Redazione ANSA *
L’opposizione antichavista ha vinto le elezioni legislative in Venezuela, conquistando 99 dei 167 seggi dell’Assemblea Nazionale, contro i 46 del partito chavista. Lo ha annunciato Tibisay Lucena, presidente della Commissione nazionale elettorale.
Lucena ha comunque precisato che 19 seggi devono ancora essere attribuiti, giacché i risultati dello scrutinio non sono ancora considerati irreversibili. L’affluenza, che la responsabile del Cne ha definito "straordinaria", è stata del 74,25%.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha riconosciuto la vittoria dell’opposizione nelle elezioni legislative, in un messaggio televisivo trasmesso dopo la proclamazione dei risultati ufficiali da parte della Commissione elettorale nazionale (Cne).
"Con il voto abbiamo battuto democraticamente un governo che non è democratico": con queste parole Jesus Torrealba, segretario del Tavolo dell’Unità Democratica (Mud) ha festeggiato la vittoria dell’opposizione nelle elezioni legislative in Venezuela. Torrealba ha detto che i risultati contenuti nel "primo stitico bollettino" della Commissione nazionale elettorale (Cne) segnano solo l’inizio di "una fragorosa disfatta del governo e di una chiara vittoria dell’opposizione" che nello scrutinio finale sarà ancora più marcata. Rivolgendosi al governo, il dirigente antichavista ha detto che "il popolo ha parlato chiaramente. Le famiglie venezuelane si sono stancate di soffrire a causa del vostro fallimento. Ora basta! E’ ora di rispettare la volontà del popolo".
VENEZUELA BOLIVARIANO: IL CHAVISMO VINCE ANCHE SENZA CHAVEZ *
37436. CARACAS-ADISTA. Le ha tentate tutte il leader dell’opposizione venezuelana Henrique Capriles per rovesciare il governo bolivariano: prima disconoscendo il risultato delle elezioni vinte da Nicolás Maduro con uno stretto margine di voti e scatenando un’esplosione di violenza dal bilancio pesantissimo; poi promuovendo una strategia mirata a destabilizzare il Paese - ribattezzata dai chavisti “guerra economica” - e a diffondere, soprattutto all’estero, l’immagine di un Venezuela ormai in rovina, e nello stesso tempo cercando con grande energia una sponda in Vaticano, fino a farsi ricevere in udienza da papa Francesco; infine, sicuro della vittoria, tentando di trasformare le elezioni municipali dell’8 dicembre in un plebiscito sul governo, per accelerarne la caduta.
Gli è andata malissimo: la netta vittoria del fronte chavista - sei punti di vantaggio, su base nazionale, rispetto alla coalizione di destra e oltre il 75% dei municipi conquistati (malgrado la dolorosa perdita di Barinas, Valencia e Barquisimeto) - gli si è rivoltata contro come un boomerang, cosicché, come ha indicato il diplomático venezuelano Arévalo Méndez Romero, «ad essere delegittimato non è stato il governante, ma l’oppositore aspirante tale», sconfitto per la quarta volta consecutiva in 15 mesi, e quest’ultima volta in maniera tanto più amara in quanto inattesa, pensando Capriles di poter far leva sullo scontento provocato dalle difficoltà economiche in cui si dibatte il Paese. Scontento, tuttavia, non abbastanza profondo da mettere a repentaglio le tante conquiste sociali realizzate dalla rivoluzione bolivariana, e a cui il governo Maduro ha dimostrato di saper dare continuità.
Tuttavia, come scrive il giornalista e militante bolivariano Rafael Rico Ríos su Rebelión (9/12), non si è trattato, propriamente, neppure di una vittoria del governo Maduro, a cui va anzi rimproverato più di un errore, in termini di inefficienza e di mancanza di programmazione: «Non è stata una vittoria del governo, ma una vittoria ideologica», scrive Rico Ríos evidenziando come il popolo venezuelano, benché orfano del suo leader storico, «abbia assimilato con grande maturità e chiarezza il significato della lotta di e della contrapposizione tra due modelli economici», mostrando di saper ben distinguere tra «la difesa degli interessi di da parte dell’oligarchia e i possibili errori commessi dall’attuale governo.
Pertanto, se qualcosa non può fare ora il presidente è adagiarsi sugli allori: chiedendo e ottenendo dall’Assemblea nazionale, nel novembre scorso, l’approvazione della Ley Habilitante (che, come previsto dalla Costituzione, gli conferisce la possibilità di governare per decreto per un anno) Maduro si è assunto il compito di fronteggiare l’assalto della destra contro l’apparato produttivo del Paese, condotto attraverso la speculazione, l’accaparramento dei beni di prima necessità, alimenti compresi, il contrabbando e il mercato nero delle valute, e di trovare soluzione ai problemi mai risolti, come la corruzione, l’insicurezza e una spaventosa inflazione (a cui però andrebbero aggiunti anche lo scarso impulso all’industra nazionale, l’eccessiva dipendenza dal petrolio, i guasti legati al modello estrattivista). Già nei giorni precedenti alle elezioni, del resto, Maduro aveva lanciato un’offensiva - risultata determinante per la vittoria elettorale - contro «i responsabili della rapina ai danni del popolo», imponendo prezzi giusti per i generi di consumo, oggetto di speculazioni e aumenti ingiustificati, e intervenendo sui margini di profitto e sull’utilizzo dei dollari statunitensi che lo Stato concede alle imprese. E, all’indomani della vittoria, ha annunciato un nuovo impegno sul fronte della politica abitativa, della sicurezza e del miglioramento del sistema ospedaliero, nonché la ripresa di quel dialogo con la popolazione, ribattezzato “governo in strada”, intrapreso dal presidente appena tre giorni dopo il suo insediamento, quando percorse in lungo e in largo il Paese per discutere con il popolo di salute, educazione, politiche abitative, potere popolare.
Un cambio di passo, tuttavia, è quello che chiede Felipe Pérez Martí, già ministro della pianificazione economica nel governo Chávez negli anni 2002-2003 e convinto sostenitore degli ideali della Rivoluzione Bolivariana, secondo il quale, se Hugo Chávez «ha fatto molte cose bene», ha tuttavia anche commesso alcuni errori, a cominciare dalla sottovalutazione del tema della sostenibilità macroeconomica: quello che il governo è chiamato a fare ora, scrive (Financial Times, 11/12), è una profonda revisione della politica economica, mettendo mano all’enorme deficit fiscale, allo squilibrio cambiario e alla riforma del fisco. Se «Hugo Chávez è stato fonte di ispirazione per milioni di persone che, in Venezuela e nel mondo, credono che la giustizia sociale debba essere il cuore del contratto sociale di una società», il miglior modo «di preservare la sua eredità non è ignorare i problemi macroeconomici del Paese, ma porvi rimedio». (claudia fanti)
* Adista Notizie n. 45 del 21/12/2013
IL FILOSOFO TORINESE È STATO SPESSO OSPITE DEL GOVERNO VENEZUELANO ECCO PERCHÉ IL CAUDILLO MI HA AFFASCINATO
Hugo Chávez
Ecco perché il Caudillo mi ha affascinato
di Gianni Vattimo (La Stampa, 07.03.2013)
«Il n’est pas tombé, il est mort»: questa frase, riferita tradizionalmente - credo - a Jean Antoine Carrel, uno dei primi scalatori del Cervino, mi viene in mente ora mentre, con una commozione che riesce nuova anche a me penso alla scomparsa di Hugo Chavez. Anche lui non è caduto, ha tenuto duro fino alla morte, facendo della sua resistenza alla malattia un emblema della sua lotta politica per l’ideale di una America Latina «bolivariana». Per me come per tanti occidentali della mia formazione, Chavez aveva tutte le qualità per essere guardato con sospetto: militare, «golpista» almeno agli inizi della sua avventura politica, populista, «caudillo», e via dicendo.
Pregiudizi che continuano a ispirare molta dell’opinione «democratica» prevalente. Che non solo si fanno gioco dei sospetti (non provati, ma del tutto verosimili conoscendo la Cia e le imprese petrolifere) sul suo preteso avvelenamento da parte dei suoi nemici di sempre, ma che dimenticano la sostanza della sua immensa azione di riscatto del suo Paese e di tutto il Sud America.
Chavez ha ripreso, facendone una corposa realtà, quella che ormai era diventata una sorta di mito, l’eredità di Castro e del Che. Incontrando direttamente, nel corso di ripetuti soggiorni, fino all’ultimo in occasione della sua ennesima rielezione nel novembre passato, la realtà del Venezuela, era difficile non rendersi conto della verità che troppo spesso i media occidentali ci nascondevano: e cioè che, avendo ricuperato i proventi dell’industria petrolifera, Chavez ha avviato e in gran parte realizzato una epocale trasformazione emancipativa del suo Paese: scuole che anche nelle zone amazzoniche più remote hanno ridotto drasticamente l’analfabetismo, assistenza sanitaria gratuita e di qualità, programmi sociali che hanno debellato la povertà estrema in cui il Paese, tra i più ricchi di risorse naturali, versava sotto i regimi «democratici» di impronta neocoloniale.
Impressionante è stato tutto il piano delle «misiones»: una sorta di sistema di gruppi di intervento volontari dei cittadini, che affiancano l’amministrazione pubblica in settori particolarmente importanti.
Essendo gruppi volontari, è ovvio che chi vi si impegna siano i «chavisti», prestando così il fianco all’obiezione che si tratti di roba di regime. Non sono però chiusi a nessuno, basta decidere di partecipavi. Si è così diffusa una vitalità democratica «di base» che nelle nostre democrazie «mature» non si riesce nemmeno a immaginare.
Le misiones e la politica sociale sono ciò che ha colpito tanti intellettuali occidentali, primo fra tutti Noam Chomsky, o cineasti come Michael Moore e Oliver Stone. I quali, come gli altri visitatori, quando arrivano a Caracas domandano quali quotidiani leggere, e si accorgono che i media sono tutti, salvo la televisione di stato, anti-Chavez. Sarebbe questo un Paese dove non c’è libertà di pensiero, di informazione, di stampa?
Ma la forza dell’esempio di Chavez si vede anche e soprattutto da quello che è accaduto in tanti Paesi latino-americani negli anni recenti. Come Chavez sarebbe impensabile senza Castro, così Evo Morales, Correa, Mujica e gli stessi Lula e Cristina Kirchner sono impensabile senza Chavez. Tutti insieme costituiscono forse la sola grande novità della politica mondiale di questi decenni, molto più che lo sviluppo neocapitalistico di Cina e India. Un modello di democrazia di base a cui l’Europa dovrebbe guardare con più attenzione.
Hugo Chávez
Odio o amore, la fascinazione degli intellettuali
di Luca Mastrantonio (Corriere della Sera, 07.03.2013)
Nel gennaio del 1999 Gabriel García Márquez e Hugo Chávez hanno viaggiato assieme, dall’Avana a Caracas, su un aereo delle forze venezuelane. Si erano conosciuti durante un incontro con Castro. García Márquez si definiva un giornalista in pensione, Chávez era presidente del Venezuela da circa due settimane. Ma era un onore, per lui, conoscere lo scrittore colombiano, autore del romanzo Il generale nel suo labirinto, incentrato sulla storia di Simón Bolívar, letto e riletto in prigione. García Marquez - come raccontò in un articolo per la rivista Cambio - era magnetizzato da Chávez. Il «corpo di cemento armato», la «cordialità immediata, la «grazia da venezuelano puro».
Chávez parlò per tutto il viaggio. Raccontò la sua storia di povertà e trionfi, i suoi talenti, dal canto al baseball, la scelta militare, la formazione intellettuale, la rabbia sociale, il golpe fallito nel 1992 e la mossa di arrendersi a patto di parlare in tv a tutta la nazione. Quel video, annota García Márquez, «era il primo della campagna elettorale che lo avrebbe portato alla presidenza della Repubblica»; grazie all’amnistia arrivata dopo soli due anni e i consigli di un oscuro spin-doctor, l’argentino Norberto Ceresole, teorico del «caudillo» post-moderno.
Arrivati a Caracas - conclude nel suo articolo «L’enigma dei due Chávez» - García Marquez guarda dal finestrino una nebbiolina luminosa, come di stella distante, e conclude: «Mi venne l’impressione di aver viaggiato e conversato con due uomini opposti. Uno a cui la sorte ha dato l’opportunità di salvare il suo Paese. E l’altro, un illusionista, che potrebbe passare alla storia come un despota». Quale dei due fosse sceso da quell’aereo non è mai stato rivelato da Gabo.
Non aveva dubbi, invece, José Saramago. Sedotto a Caracas da come Chávez sapesse «toccare il cuore del popolo». Il nobel portoghese firmò un appello contro gli Usa per le presunte manovre dietro il golpe anti Chávez del 2002; Chávez lo scelse per sostituire la prefazione dell’ostile Vargas Llosa, peruviano, al Don Chisciotte in versione popolare. Nel 2005 Saramago intervenne per denunciare l’uso politico che gli anti-chavisti stavano facendo del suo romanzo Saggio sulla lucidità: «Mi hanno piratato un libro in Cina - scrisse - e in America Latina, ma nessuno mi aveva piratato un’idea», prima che l’opposizione venezuelana cercasse «di diffondere la falsa analogia tra il voto in bianco di cui si parla nel romanzo e l’astensione da loro invocata alle elezioni» in segno di protesta contro Chávez.
Dall’entusiasmo al livore. Altro che cuore. A Roberto Bolaño il caudillo venezuelano rivoltava lo stomaco. Non si può rifondare la sinistra - diceva a El Mercurio nel 2003 - se «continua ad appoggiare Castro, che è simile a un tiranno bananero». Il cileno lo trita nel sarcasmo di «Los mitos de Cthulhu», pubblicato nel Gaucho insopportabile: «Dio benedica i figli ritardati di García Márquez e i figli ritardati di Octavio Paz (...) Dio benedica i campi di concentramento per omosessuali di Fidel Castro e i ventimila desaparecidos dell’Argentina e la faccia perplessa di Videla e il sorriso da vecchio maschione di Perón e gli assassini di bambini di Rio de Janeiro e il castigliano di cui si serve Hugo Chávez, che puzza di merda».
La scrittura real-visceralista di Bolaño ribollì d’odio contro i chavisti che gestivano il Celarg, l’istituzione del premio Romulo Gallegos, che aveva vinto con il capolavoro I detective selvaggi nel 1999. Era giurato dell’edizione successiva, ma era stato falsificato il suo voto e fu messa in giro la voce che l’assenza era dovuta a biechi motivi economici (quando in realtà stavano peggiorando le sue già precarie condizioni di salute). Bolaño, nella lettera pubblicata dal giornale Tal Cual, invitò i «neo-stalinisti» dalla pancia piena come piccoli mafiosi a mettersi i soldi che gli dovevano dare e tutti i libri che aveva letto per loro, circa 250, là dove il Demonio, si dice, produca danaro.
Morto Chavez, l’accusa del vice Maduro
“E’ stato avvelenato come Arafat”
Nel Venezuela sale la tensione,
espulsi dal paese 2 funzionari Usa
di Giordano Stabile *
«Abbiamo ricevuto la dura e tragica notizia che il comandante Hugo Chavez è morto». A Caracas erano le 16 e 25. L’annuncio, laconico, del delfino del leader venezuelano, Nicolas Maduro è arrivato dopo una giornata convulsa, piena di colpi di scena. Una giornata segnata da una lotta contro la realtà che avanzava irrevocabile, nonostante la resistenza disperata dell’entourage dell’ex colonnello dei paracaduti divenuto l’eroe del Sudamerica, il «bolivariano» antagonista degli Stati Uniti, amico del popolo, di Cuba e di Castro.
«È un momento di profondo dolore», è riuscito ad aggiungere Maduro, interrompendosi fra i singhiozzi, mentre i militari intorno a lui gridavano «lunga vita a Chavez». Era il suo secondo discorso alla nazione in diretta tv. Il primo, poche ore prima, era servito ad annunciare un «attacco esterno del nemico imperialista», un complotto per «infettare» il presidente, farlo ammalare a morte», come era successo con Arafat. «Abbiamo seri sospetti su un attacco dei nemici della Rivoluzione al nostro caro leader. Abbiamo raccolte prove, ci sono diverse piste. La malattia che lo ha colpito è stata provocata dai nostri nemici», aveva scandito Maduro.
Ma nel denunciare il complotto per la prima volta aveva ammesso che le condizioni di Chavez era disperate. «Sta vivendo le sue ore più difficili». Erano anche le ultime. Intanto partivano le rappresaglie contro il nemico di sempre, gli Stati Uniti. Due funzionari dell’ambasciata, addetti militari, venivano espulsi. Uno, David Del Monaco, addetto militare aeronautico, a detta del governo venezuelano «stava cospirando contro la stabilità della patria, si è voluto riunire con nostri militari, le Forze Armate vanno rispettate, ha 24 ore di tempo per andarsene».
Ma lo stesso Maduro, fino ad una settimana fa, sosteneva che Chavez stava lottando energicamente per battere il tumore, che lo aveva colpito quasi due anni fa. Il ritorno a Caracas, una settimana fa, aveva riacceso le speranze, ma nell’aria, ovunque, c’era un clima già di lutto. Per molti, Chavez era addirittura già morto da giorni e il governo stava valutando qual era il momento migliore per annunciare la notizia. Si parlava, negli ambienti dell’opposizioni, di un annuncio «già pronto per Pasqua», durante le vacanze, il che avrebbe facilitato il controllo dell’ordine pubblico. Speculazioni spazzate via dalle parole e dalle lacrime di Maduro. Per il Venezuela, e per il Sudamerica, finisce un’epoca aperta nel 1998 e si spalanca un futuro incerto.
* La Stampa, 05/03/2013
La rivoluzione interrotta del caudillo che usò il petrolio per diventare eterno
di Omero Ciai (la Repubblica, 06.03.2013)
PENSANDO all’uomo che ha governato fino a ieri il Venezuela, vincendo quattro elezioni consecutive, vengono in mente i personaggi delle epopee letterarie dell’America Latina, come viene in mente la tragica parabola di Simón Bolívar, da cui Chávez trasse impulso e leggenda collocando nel palazzo di Miraflores perfino una poltrona vuota, quella del “Libertador”, accanto alla sua. Nel bene e nel male Chávez ha attraversato oltre un decennio di storia, determinandola con la forza delle sue intuizioni e delle sue scelte. Persino delle sue «ricette» politiche che, magari riviste e corrette, hanno fatto scuola in molti Paesi, dal Brasile all’Argentina, dall’Ecuador alla Bolivia.
Anche quando entrò sulla scena per la prima volta, il 4 febbraio 1992, guidando un fallito colpo di Stato militare contro il presidente Carlos Andrés Perez, aveva già le idee chiarissime. Dieci anni prima, insieme ad un gruppo di giovani militari, Chávez aveva fondato il «movimento bolivariano rivoluzionario 200» (allusione ai 200 anni dalla nascita di Bolívar), che nei loro obiettivi avrebbe dovuto «cambiare il Paese» allontanando dal potere i vecchi partiti e i vecchi oligarchi incapaci di affrontare e risolvere l’estrema povertà della maggior parte dei venezuelani.
Un passaggio chiave nell’avventura politica di Chávez fu il famoso «Caracazo » del 1989. Il 27 e 28 febbraio di quell’anno l’esercito represse nel sangue una rivolta popolare contro un pacchetto di misure anticrisi imposte dal Fondo monetario internazionale. La violenza dei militari fu particolarmente brutale in tutta la cintura dei quartieri popolari alla periferia di Caracas, e il numero delle vittime non fu mai reso noto ufficialmente (alcune fonti parlarono di 3500 morti).
Tre anni dopo, in memoria di quella strage, Chávez tentò il putsch. Andò male e si arrese quasi subito ma nei «barrios» della capitale divenne un eroe così venerato che per la rivincita doveva solo attendere il suo momento. Trascorse appena due anni in carcere e, appena uscito, riprese l’attività politica.
Il primo incontro con il leader che avrebbe guidato e appoggiato la sua ascesa, Fidel Castro, avvenne alla fine del 1994, pochi mesi dopo la sua uscita dalla prigione. Subito dopo fondò il movimento Quinta repubblica e la coalizione elettorale «Polo patriottico », che in poco tempo raccolse l’appoggio di tutte le formazioni della sinistra venezuelana. Il 6 novembre del 1998 finalmente il successo. Chávez venne eletto presidente con il 56,5 per cento dei voti.
Da quel momento la sua unica ossessione fu quella di trasformare in eterna la vittoria mobilitando una parte della società venezuelana, quella più indigente, contro l’altra, «los escualidos» (gli squallidi) della classe media alta e dell’aristocrazia, rurale e petrolifera.
Appena arrivato a Miraflores, il palazzo presidenziale nel vecchio centro barocco di Caracas, Chávez modificò la Costituzione, allungando a sei anni il mandato. Poi lo rese perenne: il presidente può ripresentarsi tutte le volte che può. Infine, al termine di un lungo braccio di ferro che si ricorda con il nome di «paro petrolifero», e dopo un golpe fallito contro di lui, tra la fine del 2002 e il 2003, conquistò le chiavi della cassaforte: il controllo personale e assoluto su Pdvsa, la holding del petrolio.
Una strategia perfetta che gli ha garantito il trionfo in tre elezioni successive: 2000, 2006 e 2012. Per oltre dieci anni ha fatto in Venezuela tutto quel che ha voluto, umiliando qualsiasi opposizione. Ha chiuso Rctv, la tv degli escualidos e ridotto all’obbedienza tutte le altre. Litigato con il re di Spagna e rotto con Washington. Ma soprattutto ha usato la sua grande risorsa, il petrolio, per modificare il ruolo geostrategico del Venezuela. Stringendo nuove alleanze con Cuba, l’Iran e infine la Cina.
Senza freni Chávez ha anche cercato di allungare la sua egemonia su Centro e Sud America, proponendosi come modello a molti personaggi in cerca d’autore. Dalla peronista Cristina Kirchner, nuova Evita dell’Argentina; a Evo, il presidente «indio» della Bolivia; a Daniel Ortega, il sandinista invecchiato male di Managua; fino a Correa, presidente caudillo dell’Ecuador. Suo mentore e spesso, finché ne ha avuto le forze, suo stratega, è stato Fidel Castro, che dopo anni di precario isolamento, post caduta del Muro e dell’Urss, aveva trovato in Chávez la capacità dissuasiva - milioni e milioni di barili di greggio - che dalla sua piccola e povera isola non avrebbe mai immaginato di possedere.
Nel suo Paese, confondendo sempre, da buon caudillo, il governo con lo Stato, ha occupato tutto quel che c’era da occupare. Riuscendo comunque a galvanizzare masse con le sue «misiones », i programmi sociali, che non hanno cambiato l’esistenza degli indigenti ma certo gliela hanno resa meno penosa e umiliante. Grazie a Chávez migliaia di venezuelani si sono potuti operare gratis, molti hanno avuto una casa, altri un paio di occhiali, altri ancora un vitalizio.
Giudicare oggi la profondità dei cambiamenti che è riuscito a realizzare non è facile. Bisognerà lasciar riposare tutta la sabbia della propaganda prima di valutare gli effetti del suo «socialismo del XXI secolo» ma non c’è dubbio che nella sua morte prematura c’è un aspetto crudele. Il suo tormento per diventare perenne s’è scontrato con un male incurabile. Così quella di Chávez è un’altra rivoluzione interrotta, abbandonata ai suoi precari epigoni, che lo trasformerà in un altro immortale o, se volete, più cinicamente, in un’altra effigie da t-shirt come Evita, il Che o Sandino.
Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo
di Gennaro Carotenuto *
L’America nella quale il giovane Hugo iniziò la sua opera era solo apparentemente pacificata dalla cosiddetta “fine della storia”. Questa, in America latina, non era stata il trionfo della libertà come nell’Europa dove cadeva il muro di Berlino. Era stata invece imposta nelle camere di tortura, con i desaparecidos del Piano Condor e con la carestia indotta dal Fondo Monetario Internazionale. Il migliore dei mondi possibili lasciava all’America latina un ruolo subalterno e ai latinoamericani la negazione di diritti umani e civili essenziali. Carlos Andrés Pérez, da vicepresidente dell’Internazionale socialista in carica, massacrava nell’89 migliaia di cittadini inermi di Caracas per ottemperare ai voleri dell’FMI. L’America che oggi lascia Hugo Chávez, ad appena 58 anni, è un continente completamente diverso. È un continente in corso di affrancamento da molte delle sue dipendenze storiche e rinfrancato da una crescita costante che, per la prima volta, è stata sistematicamente diretta a ridurre disuguaglianze e garantire diritti.
Non voglio tediare il lettore e citerò solo un paio di dati indispensabili. Nella Venezuela “saudita”, quella considerata una gran democrazia e un modello per l’FMI, ma dove i proventi del petrolio restavano nelle tasche di pochi, i poveri e gli indigenti erano il 70% (49 e 21%) della popolazione. Nel Venezuela bolivariano del “dittatore populista” Chávez ne restano meno della metà (27 e 7%). A questo dato affianco la moltiplicazione del 2.300% degli investimenti in ricerca scientifica e il ricordo che, con l’aiuto decisivo di oltre 20.000 medici cubani, è stato costruito da zero un sistema sanitario pubblico in grado di dare risposte ai bisogni di tutti.
Oggi che il demonio Chávez è morto, è sotto gli occhi di chiunque abbia l’onestà intellettuale di ammetterlo cosa hanno rappresentato tre lustri di chavismo: pane, tetto e diritti. Gli osservatori onesti, a partire dall’ex-presidente statunitense Jimmy Carter, che gli ha rivolto un toccante messaggio di addio, riconoscono in Chávez il sincero democratico e il militante che si è dedicato fino all’ultimo istante «all’impegno per il miglioramento della vita dei suoi compatrioti». No, Jimmy Carter non è... chavista. Semplicemente è intellettualmente onesto ed è andato a vedere. Tutto il resto, la demonizzazione, la calunnia sfacciata, la rappresentazione caricaturale, è solo squallida disinformazione.
Chávez entra oggi nella storia ed è già leggenda perché ha mantenuto i patti e fatto quello che è l’essenza dell’idea di sinistra: lottare con ogni mezzo per la giustizia sociale, dare voce a chi non ha voce, diritti a chi non ha diritti, raggiungendo straordinari risultati concreti. In questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. Ha chiamato il suo cammino “socialismo”, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava. Chávez diventa così leggenda perché, in pace e democrazia, ha realizzato quello che è il dovere di qualunque dirigente socialista: prendere la ricchezza dov’è, nel caso del Venezuela nel petrolio, e investirla in beneficio delle classi popolari. Lo ha fatto al di là della retorica rivoluzionaria, propria di anni caldissimi di lotta politica, da formichina riformista. Utilizzo il termine “riformista” sapendo che a molti, sia apologeti che critici, non piace pensare che Chávez non sia stato altro che un riformista, ma radicale, in grado di raggiungere risultati considerati impossibili sulla base di defaticanti trattative e su politiche basate sulla ricerca del consenso e sulla partecipazione. Chávez è già leggenda perché ha piegato al gioco democratico un’opposizione indotta, in particolare da George Bush e José María Aznar (molto meno da Obama), all’eversione, esplicitatasi nel fallito golpe dell’11 aprile 2002 quando un popolo intero lo riportò a Miraflores e nella susseguente serrata golpista di PDVSA, la compagnia petrolifera nazionalizzata. È il controllo di quest’ultima ad aver garantito la cassaforte di politiche sociali generose.
È questo che la sinistra da operetta europea non ha mai perdonato a Chávez. Per la sinistra europea l’America latina è un remoto ricordo di gioventù, non un continente parte della nostra stessa storia. È troppo facile archiviare la presunta anomalia chavista, che è quella di un Continente, l’America latina dove destra e sinistra hanno più senso che mai, ed è necessario schierarsi, come un’utopia da chitarrate estive, Intillimani e hasta siempre comandante. È troppo scomodo riconoscerne la prassi politica nelle due battaglie storiche che Hugo Chávez ha incarnato: la lotta di classe, che portò Chávez, il ragazzo di umili origini che per studiare poteva fare solo il militare o il prete, a scegliere di stare dalla parte degli umili, e quella anticoloniale che ha preso forma nel processo d’integrazione del Continente.
Il consenso, la partecipazione al progetto chavista, si misura proprio nella vigenza, nelle classi medie e popolari venezuelane, di un pensiero contro-egemonico rispetto a quello liberale dell’imperio dell’economia sulla politica. I latinoamericani hanno maturato nei decenni scorsi solidi anticorpi in merito. Chávez ha catalizzato tali anticorpi riportando in auge il ruolo della lotta di classe nella Storia, la continuità della lotta anticoloniale, perché i “dannati della terra” continuano ad esistere e a risiedere nel Sud del mondo e non bastano 10 o 15 anni di governo popolare per sanare i guasti di 500 anni. Lo accusano di aver usato a fini di consenso la polemica contro gli Stati Uniti. C’è del vero, ma non è stato Chávez a tentare sistematicamente di rovesciare il presidente degli Stati Uniti e non è il dito di Chávez ad oscurare la luna di rapporti diseguali e ingiusti tra Nord e Sud del mondo.
Si conceda a chi scrive il ricordo dell’intervista quasi visionaria che Chávez mi concesse a fine 2004 proprio sul tema della Patria grande latinoamericana. Sento ancora la forza del suo abbraccio al momento di salutarci. Con lui c’erano Lula e Néstor Kirchner, anch’egli scomparso neanche sessantenne nel momento di massima lucidità politica, dopo aver liberato l’Argentina dalla morsa dell’FMI e restaurato lo Stato di diritto in grado di processare i violatori di diritti umani. Poi vennero Evo Morales e tutti gli altri dirigenti protagonisti della primavera latinoamericana. A Mar del Plata nel 2005 tutti insieme sconfissero il progetto criminale di George Bush che con l’ALCA voleva trasformare l’intera America latina in una maquiladora al servizio della competizione globale degli USA contro la Cina. Dire “no” agli USA: qualcosa d’impensabile!
Adesso, seppellita la pietra dello scandalo Chávez, tutti sono certi che l’anomalia rientrerà, che Nicolás Maduro non sarà all’altezza, che il partito socialista esploderà per rivalità personali e che la storia riprenderà il proprio corso come se Hugo non fosse mai esistito. Chissà; ma cento volte nell’ultimo decennio i venezuelani e i latinoamericani hanno dimostrato di ragionare con la loro testa. Hanno dimostrato di non voler tornare al modello che hanno vissuto per decenni e che oggi sta divorando il sud dell’Europa. La forza del Brasile di Dilma come potenza regionale ha superato con successo vari esami di legittimazione. Il processo d’integrazione appare un fatto irreversibile che fa da pilastro all’impedire il ritorno del «Washington consensus». No, una semplice restaurazione non è all’ordine del giorno anche se dovesse cambiare il segno politico del governo venezuelano, cosa improbabile sul breve termine, anche per l’enorme emotività causata dalla scomparsa di un leader così popolare.
Da oggi qualunque governo venezuelano e latinoamericano si dovrà misurare con la leggenda di Chávez, il presidente invitto, quattro volte rieletto dal suo popolo, in grado di sopravvivere a golpe e complotti, che aveva tutti i media contro e che solo il cancro ha sconfitto. Di dirigenti come lui o Néstor Kirchner non ne nascono tanti e il futuro non è segnato. Ma il suo lascito è enorme ed è un patrimonio che resta nelle mani del popolo.
*
Gennaro Carotenuto
Dal sito: www.gennarocarotenuto.it
.-Venezuela, quarto mandato per Chavez
Il presidente si riconferma col 54,4%, Capriles al 44,4% *
CARACAS, 8 OTT - Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha conquistato il suo quarto mandato consecutivo vincendo le presidenziali col 54,4% dei voti. Il suo sfidante Henrique Capriles ha avuto il 44,4% delle preferenze. ’’Grazie al mio amato Pueblo! Viva Venezuela! Viva Bolivar!’’, ha commentato a caldo su Twitter il leader bolivariano.
Il cattivo esempio di Hugo Chávez
di Gennaro Carotenuto *
di Gennaro Carotenuto *
Mille commenti oggi si affannano a ragionare di percentuali e di erosione del consenso o mettono un cinico accento sulla salute del presidente che non avrebbe molto davanti. Eppure fino a ieri altrettanti commenti davano per sicura la sconfitta e sicuri i brogli (delle due l’una!), nonostante chiunque abbia toccato con mano, per esempio l’ex presidente statunitense Jimmy Carter, abbia definito esemplari le elezioni nel paese caraibico. Addirittura Mario Vargas Llosa dava così certa la vittoria di Capriles da prevedere l’assassinio di questo da parte del negraccio dell’Orinoco. Calunnie sfacciate. Ventiquattro ore dopo gli stessi editorialisti commentano il 55% di Chávez come una sconfitta del vincitore. Pace. Chi conosce la politica venezuelana sa come esistano geometrie variabili e storie di continue entrate e uscite sia da destra che da sinistra nell’appoggio al presidente che, fino a prova contraria -ne erano tutti sicurissimi- doveva essere bell’e morto di cancro per le elezioni di oggi. Invece non solo Chávez è vivo, e ne andrebbe elogiato il coraggio di fronte alla malattia ma si è confermato presidente del Venezuela.
Chávez ha vinto, che vi piaccia o no, sia per quello che ha fatto che per quello che rappresenta. Chávez ha vinto perché per la prima volta ha investito la ricchezza del petrolio in beneficio delle classi popolari che in questi anni hanno visto migliorato ogni aspetto della loro vita (salute, educazione, casa, trasporti). Non c’è nulla di rivoluzionario in questo, nonostante la retorica usata spesso a piene mani: “è il riformismo, stupido” direbbe Bill Clinton. È quanto rappresenta, invece, che fa essere Chávez rivoluzionario: conquistare pane e salute non è una conseguenza di un’economia affluente nella quale chi sta sopra può permettersi di essere così magnanimo da lasciare qualche avanzo. È un diritto fondamentale che va conquistato con la continuazione delle due battaglie storiche per la giustizia sociale e la dignità: la lotta di classe, nella quale il merito di Chávez è portare sulle spalle il peso del conflitto e quella anticoloniale, nella quale l’integrazione del Continente è un passaggio chiave.
In questo contesto la prima e più importante lezione del voto di ieri è che i venezuelani, e con loro buona parte del continente latinoamericano, non vogliono, ri-fiu-ta-no, la restaurazione liberale, la restaurazione dell’imperio del Fondo Monetario Internazionale, la restaurazione di un modello nel quale sono condannati a essere per l’eternità figli di un dio minore, mantenuti in una condizione di dipendenza semicoloniale dove le decisioni fondamentali sulla loro vita sono prese altrove. C’è un dato che a mio modo di vedere rappresenta ciò: in epoca chavista il Venezuela ha moltiplicato gli investimenti in ricerca scientifica di 23 volte (2.300%). Soldi buttati, si affrettano a dire i critici. Soldi investiti in un futuro nel quale i venezuelani non saranno inferiori a nessuno. I latinoamericani ragionano con la loro testa, hanno vissuto per decenni sulla loro pelle il modello economico che la Troika sta imponendo al sud dell’Europa e non vogliono che quell’incubo d’ingiustizia, fame, repressione e diritti negati ritorni. Il patto sociale in Venezuela non è stato rotto da Chávez ma fu rotto nell’89 quando Carlos Andrés Pérez (vicepresidente in carica dell’Internazionale Socialista) con il caracazo fece massacrare migliaia di persone per imporre i voleri dell’FMI.
Ancora oggi alcuni commenti irriducibilmente antichavisti (la summa per disinformazione è quello di Gianni Riotta su La Stampa di Torino) rappresentano il candidato delle destre sconfitto come un seguace del presidente latinoamericano Lula. Divide et impera. Erano i velinari di George Bush ad aver deciso di rappresentare l’America latina spaccata in due tra governi di sinistra responsabili e governi di sinistra irresponsabili. È straordinario come i Minculpop continuino a far girare ancora le stesse veline: l’immagine di Capriles progressista e vicino a Lula è stata costruita a tavolino dai grandi gruppi mediatici, a partire da quello spagnolo Prisa. Il curioso è che Lula rispose immediatamente “a brutto muso” di non tirarlo in ballo, perché lui con Capriles non ha nulla a che vedere e appoggia con tutto se stesso l’amico e compagno Hugo Chávez. Non importa: loro, i Riotta, facendo finta di niente, continuano imperterriti a definire Capriles come il Lula venezuelano. Allo stesso modo continuano a ripetere la balla sulla mancanza di libertà d’espressione in un paese dove ancora l’80% dei giornali fa capo all’opposizione. È un’invenzione, ma la disparità mediatica è tale che è impossibile farsi ascoltare in un contesto mediatico monopolistico. Non siamo ingenui: nella demonizzazione di Chávez c’è ben altro che l’analisi degli eventi di un continente lontano. C’è lo schierare un cordone sanitario alla benché minima possibilità che anche in Europa si possa ragionare su alternative all’imperio della Troika. Lo abbiamo visto con il trattamento riservato ad Aleksis Tsipras in Grecia e a Jean-Luc Mélenchon in Francia: non è permesso sgarrare.
Soffermarci su tale dettaglio ci svela una realtà fondamentale difficilmente comprensibile dall’Europa: è talmente impresentabile il neoliberismo che in America latina è oggi necessario nasconderlo sotto il tappeto e spacciare anche i candidati di destra come progressisti. Aveva un che di paradossale ascoltare in campagna elettorale Capriles giurare amore eterno agli indispensabili medici cubani elogiandone il ruolo storico. Come già il suo predecessore Rosales, sapeva che senza medici non ci sarebbe pace in un Venezuela che oggi conosce i propri diritti e non è disposto a rinunciarvi, altro merito storico di Chávez. I Riotta di turno tergiversavano non solo sul riconoscimento dei meriti storici di Cuba nella solidarietà internazionale (o la riducono ad un mero scambio economico, salute per petrolio) ma negano anche l’informazione che era quello stesso Capriles, giovane dirigente politico dell’estrema destra venezuelana, che l’11 aprile 2002 diede l’assalto all’ambasciata cubana durante l’effimero golpe del quale fu complice. Che vittoria per i cubani se quello stesso Capriles fosse davvero stato sincero nel riconoscerne i meriti!
Questo è il segno del trionfo di Chávez: nelle classi medie e popolari venezuelane vige oggi un discorso contro-egemonico a quello liberale dell’imperio dell’economia sulla politica, della falsa retorica liberale per la quale tutti i diritti vanno garantiti a tutti ma a patto che siano messi su di uno scaffale ben in alto perché solo chi ci arriva con le proprie forze possa goderne. In Venezuela, in America latina, stanno spazzando via tutte le balle che racconta da decenni il Giavazzi di turno sul liberismo che sarebbe di sinistra. Chi lo ha provato, e nessuno come i latinoamericani lo ha provato davvero, sa bene di cosa si parla e non ci casca più. È un discorso quindi, quello chavista, che riporta in auge l’incancellabile ruolo della lotta di classe nella storia, la chiarezza della necessità della lotta anticoloniale, perché i “dannati della terra” continuano ad esistere e a risiedere nel Sud del mondo e non bastano 10 o 15 anni di governo popolare per sanare i guasti di 500 anni.
Eppure il Riotta di turno liquida ancora oggi come “inutili” i programmi sociali chavisti. Che ignoranza, malafede e disprezzo per il male di vivere di chi non ha avuto la sua fortuna. Milioni di venezuelani, che avevano come principale preoccupazione della vita l’alimentazione del giorno per giorno, la salute spiccia (banali cure per un mal di pancia, operazioni alla cateratta del nonno) che la privatizzazione della stessa nega a chi non può permettersela, l’educazione dei figli, la casa, passando da baracche a dignitose case popolari, oggi godono di un sistema sanitario pubblico che ha visto decuplicare i medici in servizio, di un sistema educativo pubblico che ha visto quintuplicare i maestri, di un sistema alimentare pubblico che permette a molti di mettere insieme il pranzo con la cena. “Inutili”, dice Riotta, con una volgarità razzista degna delle brioche di Maria Antonietta. Oggi queste persone, escluse fino a ieri, possono spingere il loro tetto di cristallo più in alto, respirare di più, desiderare di più, magari perfino leggere inefficienze e difetti del processo e avere preoccupazioni, quali la sicurezza, più simili alle classi medie che a quelle del sottoproletariato nel quale erano stati sommersi durante la IV Repubblica. Questo i Riotta non possono spiegarlo: è così inefficiente il chavismo che ha dimezzato i poveri che nella IV Repubblica erano arrivati al 70%.
Rispetto al nostro cammino già segnato, il fiscal compact, l’agenda Monti, il patto di stabilità, dogmi di fede che umiliano le democrazie europee, Chávez in questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto, provato, modificato ricette, ben riposto e mal riposto fiducia nelle persone e nei dirigenti in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. È il caos creativo di un mondo, quello venezuelano e latinoamericano, che si è messo in moto in cerca della sua strada. Hanno chiamato questa strada socialismo, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava. Anche se il cammino è tortuoso e ripido, è la più nobile delle vette.
Gennaro Carotenuto su gennarocarotenuto.it
Gennaro Carotenuto
CHAVEZ O BARBARIE
di Fulvio Grimaldi *
Nella nostra condizione di schiavi coloniali non riuscivamo a vedere che la “Civiltà Occidentale” nasconde dietro alla sua scintillante facciata una muta di jene e sciacalli. E’ l’unico termine da applicare a chi si aggira per realizzare “compiti umanitari”. Una belva carnivora che si nutre di genti disarmate. Ecco cosa fa all’umanità l’imperialismo. (Che Guevara, all’Assemblea Generale dell’ONU, 1964)
* VEDI: CHAVEZ O BARBARIE | Informare per Resistere
http://www.informarexresistere.fr/2012/10/04/chavez-o-barbarie/#ixzz28dbk1Vuu
Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
AMERICHE - mondo
Chávez sì, Chavez no. In Venezuela è arrivata l’ora della scelta
di Geraldina Colotti (il manifesto, 6.10.2012)
Domani 19 milioni di venezuelani potranno decidere se confermare per la quarta volta l’attuale capo di stato o puntare sul candidato dell’opposizione. "Fame zero" e classe media: entrambi gli schieramenti invadono il campo avverso Gli indecisi sarebbero circa il 30% dell’elettorato. Si vota con un sistema giudicato a prova di brogli
«Vigileremo a che tutto si svolga in pace e con allegria». Con queste parole, Tibisay Lucena, presidente del Consejo Nacional Electoral (Cne), ha ufficialmente chiuso la campagna politica per le elezioni presidenziali in Venezuela, a mezzanotte di giovedì. Domani, 18 milioni e 900.000 aventi diritto potranno decidere se riconfermare per la quarta volta l’attuale capo di stato, Hugo Chávez Frias, o puntare sul candidato di opposizione, Henrique Capriles Radonski, che corre per la coalizione di centrodestra Mesa de la unidad democratica (Mud). In ogni caso, affideranno le loro preferenze a un sistema elettorale automatizzato, unanimemente riconosciuto a prova di brogli.
Nella IV Repubblica - prima che Chávez venisse eletto, nel 1998, con il 56% delle preferenze - per votare bastava mostrare la tessera. Adesso, prima di entrare nell’urna, ogni elettore deve lasciare la propria impronta digitale, che viene confrontata con quella custodita nel database generale, utilizzato per il rilascio della carta d’identità. Poi, per evitare il doppio voto, l’impronta viene registrata nell’archivio telematico il cui software è criptato: prima di installarlo, sono stati convocati gli schieramenti politici, ognuno dei quali ha ricevuto una password. La conta dei voti si fa a riscontro con il calcolo della macchina.
Un sistema elettorale maturo
Il sistema elettorale oggi «è sufficientemente maturo da non richiedere osservatori internazionali», ha affermato Tibisay Lucena, e perciò il Cne non ha rivolto inviti in questa forma. In compenso - ha aggiunto - sarà presente l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) per una «missione di accompagnamento» che implica «rispetto e considerazione tra pari». In questo quadro, il Partido socialista unido de Venezuela (Psuv) ha accreditato circa 51.000 invitati da ogni parte del mondo. L’opposizione, intorno ai 52.800.
Diversi rappresentanti della Mud si sono espressi contro la modalità di voto elettronico perché - dicono - intimorisce gli elettori. Però hanno scelto di utilizzare il sistema anche per le loro primarie interne. Un’ambivalenza che ha caratterizzato anche la campagna elettorale dell’opposizione. In quasi 14 anni, il governo "bolivariano" ha avuto il sostegno del voto popolare: 13 elezioni vinte e solo un referendum perso, per un pugno di voti. Per spazzarlo via, la destra ha giocato un po’ su tutti i tavoli: quello del golpe a guida Usa (2002) e della micidiale serrata petrolifera (2002-2003); quella del referendum per revocare Chávez (2004); quella del boicottaggio elettorale e del discredito, basato sul controllo che le deriva dai principali mezzi di informazione.
Sui siti della Mud, il modello delle «rivoluzioni arancioni» costruite nelle stanze dei poteri forti e i consigli di Gene Sharp che spiega nei suoi libri come innescarle, spopolano. Per quest’ultima tornata di elezioni (alle presidenziali seguiranno le regionali, a dicembre, e le comunali, ad aprile 2013), il blocco di centrodestra ha però deciso di rifarsi il look: avvalendosi - ha scritto la stampa di San Paolo - dei consigli del pubblicitario brasiliano Renato Pereira, capo strategia dell’impresa Prole.
Il volto presentabile del centro
Capriles - rampollo delle grandi famiglie, attivissimo nel golpe del 2002, uomo di destra proveniente dalle fila del partito Primero Justicia - si è presentato allora come il volto accettabile del moderatismo centrista: appetibile per i mercati internazionali e per quanti vedono come il fumo negli occhi qualunque tentativo di scalfire i grandi monopoli. Si è ammantato, anche, di un po’ di vernice progressista. Così, il programma della Mud («Petroleo para el progresso») che mira a riconsegnare il paese nelle mani dei grandi potentati economici, sostiene anche di voler mantenere (ma in termini assistenziali) alcune delle misure sociali portate avanti dal governo Chávez: non certo la nuova legge sul lavoro, che garantisce ampi diritti ai lavoratori e contro la quale si sono scagliate le imprese. Non la riforma tributaria, che prevede maggiori controlli fiscali e contro la quale i grandi imprenditori hanno già fatto ricorso alla Corte costituzionale. E tantomeno il piano di edilizia popolare della Mision vivienda. Si parla di un «Plan Hambre Cero», con un richiamo al programma «Fame zero» adottato in Brasile durante la presidenza di Lula da Silva. Capriles è d’altronde arrivato a dichiarare a più riprese la sua simpatia per l’ex presidente del Brasile, cercando di accreditare un presunto sostegno brasiliano alla sua linea politica. Solo che, in diretta dal Foro de São Paulo, dov’erano presenti tutte le sinistre latinoamericane, Lula ha espresso invece il sostegno totale del suo partito e il proprio personale alla candidatura di Hugo Chávez: «La sua vittoria sarà la nostra vittoria», ha dichiarato fra gli applausi Lula.
In basso a sinistra
Una politica della confusione, quella della destra, ben sintetizzata dallo slogan elettorale scelto da Radonski, «In basso a sinistra»: una indicazione per la scheda elettorale dov’è situato il suo simbolo, ma anche un richiamo (quantomai incongruo, dato il pedigree del personaggio e dei suoi alleati) alla campagna zapatista contro il verticismo dei governi.
Trasformismi per cacciare voti anche fra i ceti popolari, fidando sull’inevitabile usura del governo Chávez e sulla platea degli indecisi, valutata intorno al 30% dell’elettorato. Un dato enfantizzato oltremisura per delegittimare l’eventuale vittoria chavista, sostiene il campo della sinistra. In estate, persino un sondaggio di Datanalisis (appartenente a Vicente Leon, che sostiene l’opposizione) ha dichiarato che il 62% dei venezuelani considera positivo il bilancio del governo Chávez e lo rivoterebbe. Ma poi, altre inchieste di medesima provenienza hanno registrato una progressiva erosione del vantaggio tra l’attuale presidente e il suo sfidante.
Anche il governo bolivariano ha cercato di pescare nel campo avverso, mettendo fortemente l’accento sulle misure erogate a favore della classe media. Chávez ha peraltro condotto una campagna elettorale all’insegna del «Plan 1×10?», ovvero sull’impegno a moltiplicare per dieci ogni attivista bolivariano. E senza trionfalismi: «Vinceremo, ma non abbiamo ancora vinto. Non bisogna abbassare la guardia», ha affermato nell’ultima settimana di comizi. Entusiasmo da stadio
Per il discorso conclusivo di giovedì, Capriles ha scelto l’Avenida Venezuela di Barquisimeto, nello stato Lara, una delle più grandi strade del paese. Il mare di camicie rosse che sostiene «il processo bolivariano» ha invece invaso, simbolicamente, sette vie di Caracas, per affluire infine in Piazza Bolivar ad ascoltare il discorso di Chávez: «Il 7, sarà 7 a zero», dicevano i cartelli in piazza, sintetizzando l’entusiasmo da stadio che investe il paese a ogni tornata elettorale. Di fronte alla folla che lo acclamava sotto una pioggia battente, il "comandante" ha invitato questa «moltitudine bolivariana» a manifestarsi nelle urne: «In questo modo - ha concluso - gli daremo una bella batosta».
http://www.lapatriagrande.net/Referendum_venezuela_2009_chavez_hasta_2100_gana_vince.htm
Consiglio di leggere questo articolo del politologo italiano residente a Caracas, Attilio Folliero, se volete veramente capire qualcosa sul Venezuela e perchè il presidente Chavez è tanto amato dal popolo venezuelano (o comunque dalla maggioranza)
Purtroppo chi ha scritto l’articolo da notizie indubbiamente fuorvianti, ed inesatte come ad esempio quando dice che.... cito il testo della pagina web sopracitata
"Niente di più falso: il referendum non era affatto per consentire la rielezione indefinita di Chávez, ma per introdurre le modifiche alla Costituzione, di cui sopra"
L’articolo 230 della enmienda dice
Il periodo presidenziale è di sei anni, il presidente o presidentessa della repubblica può essere rieletto.
NO COMMENT
saluti da Luis ed informatevi bene visto che la rete lo permette
VIsto che quanto ho detto potrebbe essere poco chiaro o frainteso.
Purtroppo chi ha scritto l’articolo da notizie indubbiamente fuorvianti, ed inesatte come ad esempio quando dice che.... cito il testo della pagina web sopracitata
"Niente di più falso: il referendum non era affatto per consentire la rielezione indefinita di Chávez, ma per introdurre le modifiche alla Costituzione, di cui sopra"
Questo qui sopra è uno stralcio dell’articolo della pagina web indicata non è assolutamente il mio pensiero. E questo di sotto è il testo tradotto in Italiano della enmienda che permette chiaramente la rielezione indefinita.
L’articolo 230 della enmienda dice: Il periodo presidenziale è di sei anni, il presidente o presidentessa della repubblica può essere rieletto. NO COMMENT
saluti da Luis ed informatevi bene visto che la rete lo permette
Somos un grupo de venezolanos, residentes en Italia. Con la presente queremos representar y dar voz a nuestras ideas, gritar que no estamos de acuerdo con lo que esta pasando en Venezuela tramite la formaciòn de un grupo aun mas extendido, mas solido de personas (venezolanos/as, latinoamericanos/as, italianos/as, y otras/os), con el objetivo de crear una manifestacion contra la prohibiciòn de la libertad de expresion y la extinciòn de los derechos humanos. Estamos totalmente abiertos a recibir otros tipo de inciativas propuestas pos ustedes; asi mismo incluirnos en inciativas ya existentes y reales en el panorama italo-venezolano.
Creemos fielmente que aqui no se trata de el simple cierre de un canal televisivo (al cual todos estimamos, y apoyamos); va màs alla de eso: estan tratando de quitarnos los medios de comunicaciòn de masas con los cuales divulgamos y exprimimos normalmente nuestras ideas, y como todos bien saben cuando salimos a las calles venimos reprimidos mediantes perdigones, bombas lacrimogenas y aun mas triste por balas y otros medios de represion que anulan totalmente los derechos humanos de cada individuo. Creemos que con la violencia fisica no se puede llegar a ninguna soluciòn viable y que la educaciòn y la perseverancia son las principales armas de defensa de nuestro pueblo.
No a la indiferencia, no nos podemos quedar con las manos cruzadas, nuestra posiciòn es dificil ya que no estamos fisicamente presente, pero queremos hacer llegar a los medios de comunicaciòn italianos nuestra opiniòn, mediante nuestras vivencias y nuestra cultura. Hay una grave ignorancia en nuestra sociedad; se cree que el comunismo italiano y el comunismo venezolano son la misma cosa, y se equivocan, son dos conceptos totalmente divergentes, en latinoamerica, y principalmente en Venezuela reina un caudillismo, que se reconoce a lo lejos en un filo-castrismo. No queremos ser reprimidos!! La unica forma es manifestar y usar nuestros intelectos para hacer llegar una correcta informaciòn tramite distintos elementos multimediales y mediante nuestra voz. No paremos de aferrarnos a la verdad...
Esperamos sus adesiones; no sabemos aun la fecha precisa de la manifestaciòn, estimamos que serà la semana que viene, porque queremos pedir permiso a los respectivos ordenes judiciales para efectuar nuestras manifestaciòn pacifica sin ningun problema, y para poder contar con distintos periodistas italianos que den voz a nuestras opiniones, a lo que esta pasando. Lo que pediremos a dichos medios de comunicaciòn serà una mayor atenciòn hacia la situaciòn actual en Venezuela, y lo que pedimos a ustedes, es la presencia y el apoyo para esta iniciativa; les pedimos que si quieren aderir y luchar con nosotros, por la gente venezolana, pos sus familiare y amigos nos respondan esta mail y/o nos agreguen al contacto msn indicado a continuaciòn. Esperamos sus respuestas, sus opiniones y todo lo que nos quieran comunicar.
Gracias por su atenciòn y su apoyo...
...por una venezuela libre y segura... corre la voz y mandanos contactos... gracias
MAIL: LibertadXpresionVnzla@gmail.com
MSN: libertadxpresion_vnzla@hotmail.it
Purtroppo l’immagine di Chavez che arriva in Italia, per quel poco che si parla del Venezuela, non è quella reale. Io ho trascorso un mese a Caracas e la gente non è per niente contenta della situazione che sta vivendo... non la gente ricca che non vuole perdere i propri privilegi, io parlo della gente "normale" che ha paura anche a camminare per strada per la violenza che si respira in giro. Credo che Renzo parli così perché non ha vissuto tuto ciò sulla sua pelle, ti assicuro che essere lì è diverso! Io sono in continuo contatto con i miei amici venezuelani che ora si trovano a Caracas e stanno manifestando perché non gli venga negata anche la libertà di parola...ma questo in TV non ce lo fanno vedere!
LA LIBERTAD NO SE NEGOCIA...EL QUE TENGA OIDOS QUE OIGA
Simona