Fanno discutere le frasi del candidato favorito alla leadership del Partito democratico
"La moglie di Berlusconi è una persona che stimo, con grande curiosità culturale"
"Veronica Lario nel Pd? Nulla di strano"
Veltroni apre, ma è duello con la Bindi
Replica polemica del ministro: "Proposta improbabile, al partito serve gente normale"
BARI - "Non c’è nulla di strano, è una persona che stimo, con la quale ho avuto modo di discutere, è una persona con grandi curiosità culturali ed intellettuali". Walter Veltroni torna così sul suo invito rivolto a Veronica Lario, moglie del leader del centrodestra Silvio Berlusconi e affidato alle colonne del settimanale "A".
A Bari con Massimo D’Alema e Dario Franceschini per una manifestazione sul Partito Democratico, il sindaco di Roma torna così su una questione che ha stimolato la curiosità di molti. "Veronica Lario ha dei valori che - continua Veltroni - mi sembrano interessanti e attenti ai temi dei diritti civili".
Veltroni racconta di aver incontrato Lady Berlusconi in Campidoglio e di averla trovata "open minded, con la mente aperta e con una grande autonomia intellettuale". Spingendosi fino a ipotizzare il suo ingresso in un’eventuale squadra di governo. Affermazioni che Veltroni spiega così: "E’ solamente una manifestazione di stima, non c’è nessuna squadra, è l’idea di un Paese civile nel quale le persone si possono stimare, possono rispettarsi e possono incontrarsi e parlare anche al di là delle appartenenze di ciascuno". E non, assicura il sindaco di Roma "un colpo basso a Berlusconi". Di cui, però, si ignora la reazione. Come quella di Veronica Lario che, a quanto risulta, non ha replicato all’invito di Veltroni.
L’apertura del sindaco di Roma non è piaciuta invece ai suoi concorrenti nella corsa alla guida del Pd. Una bocciatura secca è arrivata soprattutto da Rosy Bindi. "Veltroni vuole Veronica Berlusconi nel Pd? Questa è l’esternazione più improbabile che ho sentito dall’inizio della campagna per le primarie", ha commentato il ministro. "Il punto è molto semplice - ha aggiunto la Bindi - dobbiamo deciderci se alle oligarchie dei partiti vogliamo sostituire le oligarchie della società civile". Il Partito democratico, ha concluso, deve essere "il partito degli italiani normali, quelli che la mattina escono di casa, fanno fatica con il sistema dei trasporti che abbiamo ad andare a lavorare, che hanno il problema dei figli, della crescita della famiglia. Se non irrompe nella politica questa Italia perderemo l’ennesima occasione".
* la Repubblica, 3 ottobre 2007.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
DUE POLI(?), DUE "POPOLI"(?), E L’ITALIA ALLA DERIVA. AVANTI TUTTA: "UCCIDETE LA DEMOCRAZIA"!!!
ELEZIONI PRIMARIE NEL PARTITO DEMO(N)CRATICO
di Lucio Garofalo *
Il genio profetico di Pier Paolo Pasolini preconizzava (a ragione) che “il fascismo potrà risorgere a condizione che si chiami antifascismo”. Eccolo servito. Si chiama PD: Partito Demo(n)cratico. Tale partito non è ancora nato, ma già si sta rivelando una forza politicamente subdola e pericolosa, perché concretamente antidemocratica e soprattutto antioperaia. Purtroppo si confermerà tale nel tempo.
Nei prossimi anni il PD costituirà il peggior avversario politico dei diritti, degli scopi e degli interessi della classe operaia e dei lavoratori salariati in Italia, soprattutto dei giovani lavoratori precari ed extracomunitari. Vedrete, gente di poca fede! Per rendersene conto basterebbe riflettere liberamente su alcune proposte politiche di stampo sicuritario e poliziesco avanzate da Walter Veltroni durante la sua campagna elettorale, sui temi della sicurezza e dell’ordine pubblico, in materia di immigrazione e su altre questioni concernenti il lavoro e la convivenza civile e democratica nella nostra società. Si tratta di ipotesi e contenuti palesemente anticostituzionali, che nemmeno la peggior Lega di Bossi, Borghezio e Calderoli si sarebbe mai azzardata a promuovere. Eppure, il sindaco-sceriffo di Roma rappresenta il futuro leader di un partito che osa battezzarsi “democratico” ed egli stesso si spaccia ed osa definirsi un politico “buonista”. Anzi, molti lo rimproverano proprio di essere fin troppo “buonista”. Figuriamoci allora se fosse stato un “cattivista”!...Ma veniamo alle primarie nel PD. Già il fatto che per votare occorre pagare un euro, quasi fosse un balzello supplementare da sommare agli altri tributi, mi puzza tanto di estorsione e racket mafioso, quasi una sorta di “pizzo politico” da versare ai boss della malavita politico-istituzionale del “centro-sinistro”, ormai dominato ed infestato dal PD che sta per: Partito Dirigista, Partito Danaroso, Partito Delinquenziale, Partito Demoniaco, Partito Dolo(ro)so, Partito Deceduto... Tutto, tranne un Partito autenticamente Democratico. Non c’è proprio nulla da fare. Il nostro è un popolo ignorante, rozzo ed analfabeta.
Con il termine “analfabetismo” mi riferisco esattamente all’analfabetismo politico, quello che BertoldBrecht disprezzava come il peggior analfabetismo. E aveva ragione! Le elezioni primarie del PD non costituiscono affatto un momento di grande partecipazione democratica, ma segnano ufficialmente il decesso della “democrazia” nel nostro paese, se mai questa fosse stata viva. Una “democrazia” morta e sepolta, grazie anche al Partito (anti)Democratico. Un destino cinico e beffardo, quello della “democrazia” italiana, un democrazia da sempre monca e incompiuta, ed ora definitivamente azzerata e priva di senso. Votare alle primarie del PD è peggio che votare per il Grande Fratello o un altro reality-show: equivale a una farsa grottesca, in cui partecipano e si esibiscono tanti ridicoli “bamboccioni” manovrati da vecchi burattinai (massonico-mafiosi e piduisti, filo-golpisti, clerico-fascisti etc.), vecchie volpi demo(n)cristiane. Questo discorso vale per le primarie sia a livello locale, sia ai livelli superiori, fino al vertice nazionale. Dove trionferà il veltronismo, versione aggiornata del populismo più diabolico e “sinistro”: il nuovo fascismo.
Lucio Garofalo
L’analfabeta politico
Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, né s’interessa degli avvenimenti politici. Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine, dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è talmente somaro che si inorgoglisce e si gonfia il petto nel dire che odia la politica. Non sa, l’imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, il mafioso, il corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.
Bertoldt Brecht
* il dialogo, Martedì, 16 ottobre 2007
Proteggiamo i partiti da se stessi
di BARBARA SPINELLI (La Stampa,7/10/2007)
Mancano pochi giorni all’elezione della persona che guiderà il nuovo Partito democratico, e molte parole son state spese dai candidati per dire le proprie preferenze programmatiche, il desiderio di suscitare nei cittadini più partecipazione democratica, l’aspirazione a superare la crisi della politica con nuovi modi di pensarla, farla, comunicarla. Si è parlato anche di cose futili, come l’età dei candidati e la loro appartenenza a un sesso o a un altro. È una futilità dimostrata dalla storia: il socialista Jospin sfidò Chirac insultando la sua tarda età, alle presidenziali francesi del 2002, e sparì addirittura dal secondo turno. Ségolène Royal puntò sul proprio esser donna: il successo non le arrise.
Di una cosa tuttavia si è parlato poco nella campagna delle primarie, o comunque non sono state approfondite due domande cruciali: a cosa serva avere un partito organizzato piuttosto che un movimento o una rete fluida di simpatizzanti, e quale debba essere il rapporto che il partito ha con il governo, quando quest’ultimo è del proprio campo.
Eppure è questo il tema essenziale, su cui i candidati sicuramente hanno meditato ma che non hanno spiegato bene ai propri elettori. Si accenna spesso al danno che un partito invasivo arrecherebbe al governo Prodi - o viceversa degli effetti nocivi che l’impopolarità di Prodi avrebbe sul partito - ma così si elude la questione che non è contingente bensì permanente: è la questione se il governo debba tener conto del partito o dei partiti fino a esserne sommerso, oppure se debba avere una sua autonomia e preminenza.
Se debbano esserci regole che assicurino una separazione di poteri, competenze, autonomie. Anche in questo caso la storia serve, essendo la partitocrazia un male non solo italiano. Anche la Germania, per esempio, lo conosce. Helmut Schmidt cancelliere fu ridotto all’impotenza dal proprio partito, su missili Nato e riforme economiche, e prima vide restringersi i margini per manovrare, poi perse l’alleato liberale, infine fu soppiantato nell’82 da un’alleanza fra Kohl e liberali. Eppure i socialdemocratici avevano vinto le elezioni del 1980, dando una possente maggioranza a Schmidt. Il partito ebbe quasi vergogna di quella vittoria e preferì perdere. Lo stesso minaccia di ripetersi oggi: per conquistare le sinistre estreme il leader Spd, Kurt Beck, vorrebbe congedarsi dal riformismo di Schröder (pensioni a 67 anni, durata più breve dell’indennità di disoccupazione per chi ha più di 50 anni e rischia il prepensionamento) e in tal modo non solo sovverte il lavoro dei ministri socialdemocratici - tra cui il vicecancelliere Müntefering - ma distrugge un riformismo che ha dato risultati eccellenti, come riconosciuto dagli stessi democristiani.
In Italia il rischio è assai simile: che il futuro leader del Partito democratico non abbia chiaro in mente quale sia il preciso compito della sua formazione, e quali ne siano i limiti. L’attenzione dei principali candidati sembra concentrarsi più sulla governabilità (con chi governare? con chi mantenere il potere?) che sul programma e sulla difesa di alcuni punti salienti nel caso il governo non riesca ad attuarli tutti. Ad esempio: come difendere i Dico, o l’opportunità di una legge sul conflitto d’interessi, o l’abolizione delle leggi ad personam? Il partito può insistere su questi punti anche se il governo pare rassegnato e l’unanimità dei consensi impossibile.
Il candidato che fin qui ha posto la questione con maggiore scrupolosità è Rosy Bindi. Volutamente, ha sottolineato la propria lealtà al governo Prodi: senza dargli lezioni, senza confondere la corsa alla leadership partitica con la corsa a Palazzo Chigi. La sua formazione cattolica è inoltre all’origine di una sua vigile cura della laicità: e non solo quella che distingue tra politica e religione, ma anche quella che traversa la politica e implica separazione nitida fra programma di partito e azione di governo, funzione profetica del primo e funzione operativa del secondo, tempi dell’uno e dell’altro, cultura e azione. Tale separazione sembra in lei istintiva. I suoi simpatizzanti forse la voteranno anche per questo.
Questo tipo di laicità è fondamentale, nelle democrazie dove l’esecutivo fatica a farsi valere. Attuarla restituendo all’esecutivo la preminenza non diminuisce la forza del partito, né la sua capacità d’interferenza. Non è infatti dall’interferenza in sé che occorre guardarsi, ma dall’interferenza arbitraria che diventa dominio e predominio. Sono questi ultimi che sfibrano non solo i governi amici ma deturpano i partiti stessi, visto che essi non si esauriscono nel governare ma debbono durare oltre i governi, e vivere se necessario periodi di opposizione senza disperdersi in campagne elettorali permanenti che tengono tutti a galla allo stesso modo. Quest’arte di durare e non solo galleggiare, se sarà trovata, servirà non solo alla sinistra: nessuno a destra - neppure Casini - pare possederla.
I partiti sono oggi contestati in Italia, non senza motivi. Essi producono oligarchie interessate alla conservazione del potere più che aristocrazie profetiche, come spiegava negli Anni 10 e 20 del secolo scorso lo studioso tedesco Robert Michels, molto scettico su democrazia e organizzazione partitica: ogni organizzazione produce ineluttabilmente oligarchie conservatrici, diceva. Per questo era preferibile il leader carismatico a quello burocratico, figlio dell’organizzazione. Il disprezzo per i partiti democratici condusse Michels ad ammirare dittatori che vollero abolire i partiti. Da socialdemocratico che era, divenne fascista. Il leader carismatico o demagogico rappresenta la risposta alla «legge ferrea dell’oligarchia», che Michels considerava una spregevole fatalità. Queste oligarchie interessate a mantenere potere e consensi sono più forti e deleterie se il partito soverchia e insidia il governo amico.
La governabilità lo interesserà più del governare, i consensi immediati più delle idee. Ogni convinzione minoritaria gli apparirà sconveniente, fastidiosa. Si affermerà l’idea, non necessariamente giusta, che un partito che si rispetti debba avere, su tutto, idee che piacciano ai più. Così non dovrebbe essere: un partito può avere idee minoritarie anche per un periodo lungo, senza perdere nobiltà. Non metterà in cima alle proprie preferenze, su praticamente qualsiasi tema, quelle che si chiamano oggi «larghe intese» o «idee condivise». Anche questo è rispettare la frontiera laica fra partito e governo, fra interferenza e dominio. I partiti devono avere un ruolo profetico, più penoso per i governi. Devono tenere la rotta se vogliono traversare epoche prospere e carestie, di governo e di opposizione. Trascurare tale compito sfocia facilmente in un pericolo grande: la cooptazione, cui si ricorre per proteggere oligarchie e primati sui governi.
La cooptazione è descritta con tinte nere da Michels, e stupisce l’attualità delle sue parole. Si coopta chi raccoglie consenso nel campo avversario e può prendere il nostro potere, e si agisce così: «I leader dell’opposizione ottengono nel partito alte cariche e onori e così vengono resi innocui, in quanto in tal modo sono loro precluse le cariche più importanti ed essi rimangono nei secondi posti senza influenza notevole e senza poter sperare di diventare un giorno maggioranza; per contro essi condividono ora la responsabilità delle azioni compiute insieme agli avversari di una volta». È una denuncia antipolitica su cui vale la pena meditare, vista la frequenza con cui il fenomeno ricorre nella storia. L’apertura di Sarkozy a uomini di sinistra è di questo tipo. Dello stesso tipo sono le aperture di alcuni candidati del Pd a oppositori come Gianni Letta o Tremonti.
I partiti restano utili, nonostante siano ancora una volta, oggi, percepiti come casta. Ci vuol coraggio a difendere chi vi milita continuativamente, e perfino a chiamarli partiti. È utile anche l’organizzazione che essi tendono a darsi: che non produce fatalmente oligarchie con vocazione prevaricatrice ma permette di fissare limiti, di evitare dismisure, esorbitanze. Veltroni dice con acume che urge «uscire dai recinti»: ma i partiti hanno una loro geografia, e geografia è recinzione di territori. Solo così si smentisce quel che in Michels è tentazione totalitaria, oltre che acido fatalismo. I partiti proteggono la politica non dalla rabbia di Grillo (non è lì il pericolo) ma dalle lobby, dagli interessi particolari, dai demagoghi. Sono preziosi a condizione che diventino una forza grande, e però conscia dei propri limiti: è la sfida delle elezioni del 14 ottobre.
Ottomila alla I convention dei Circoli della libertà della Brambilla al Palafiera
Il Cavaliere regista del successo e vero padrone di casa. Evitato il bis del flop di Scelli
Silvio porta in trionfo Michela
E lei: "Nessuno ci potrà fermare"
Il Cavaliere: "Siete la dimostrazione della nostra vitalità. Il governo dopo il 14 ottobre non avrà più maggioranza. Andiamo a votare con questa legge. Siamo al 63 per cento"
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - Silvio prende per mano il primo meeting dei Circoli della libertà ed è un successo. Lo prende per mano in tutti i sensi. Berlusconi sale sul grande palco bianco del padiglione 8 del Palafiera di Roma mano nella mano con Michela Vittoria Brambilla che sfoggia il solito tailleur nero ma questa volta pantalone. E prende per mano l’organizzazione: sono di Forza Italia gli uomini che curano l’evento, ovunque nelle bandiere e negli striscioni c’è l’azzurro di Forza Italia, e sono per lo più elettori del Cavaliere quelli che hanno viaggiato per ore in pullman per arrivare fin qua nonostante tuoni e temporali. Lo si capisce dai cartelli - "Forza zio Silvio", "Silvio ti aspettiamo" - e dalle interviste che gli zelanti cronisti della tv di Michela Vittoria Brambilla raccolgono tra le 15 e le 16.30, "aspettando - dicono - i nostri presidenti, Silvio e Michela". Anche nella colonna sonora della convention c’è lo zampino del Cavaliere: il motivetto "La libertà vive con noi/la libertà è dentro noi" ricorda tanto l’altro, un po’ liso "E forza Italia...".
La regia del Cavaliere. Temendo che la convention della Brambilla e dei suoi presunti 5.300 circoli potesse essere un flop - come quello di Maurizio Scelli a Firenze nel marzo 2006 - il Cavaliere ha dato ordine ai suoi di prendere in mano la cosa: pullman, trasporti, logistica, location, tempi, allestimento, scenografia (enorme logo "Circolo della Libertà" sullo sfondo di uno striscione con su scritta la parola libertà in tutte le lingue) affidati infatti allo staff che da anni lo segue nelle sue convention.
Due piccioni con una fava: da una parte il Cavaliere doveva evitare una possibile figuraccia alla Brambilla - in fondo chi può veramente misurare il peso specifico dei presunti 5.300 circoli? - dall’altra era bene mandare un messaggio chiaro dopo le polemiche dell’estate: i Circoli sono una creatura di Silvio Berlusconi. E anche la rossa Michela Vittoria Brambilla. Li ha voluti lui, "brava Michela, bravi tutti, siete la prova della nostra vitalità". Si mettessero quindi tranquilli i generali azzurri che tanto hanno polemizzato quando MVb ha depositato il simbolo Cdl (Circoli della libertà): nulla si muove nei circoli se non c’è l’imprimatur del Cavaliere.
Come un anno fa. Merito di Silvio o di Michela - probabilmente di entrambi - fatto sta che nel padiglione 8 della Fiera di Roma, dei 10 mila posti disponibili ne restano pochi liberi. Ci sono le solite parole d’ordine: "via i comunisti", "in difesa della libertà". C’è molto sud - specie Puglia e Calabria - e ci sono tante donne. Ma non sono nuovi alla politica. Quasi tutti sono qui, dicono, "per mandare a casa il governo Prodi. Ci abbiamo già provato un anno fa, non ci siamo riusciti ma ora basta". Un anno fa, il 2 dicembre, Forza Italia, orfana dell’Udc, portò un milione di persone in piazza contro la Finanziaria. Ci sono i circoli di Peschiera Borgomeo ("vogliamo il cambiamento"), di Brindisi, di Mantova ("siamo qui per recuperare fiducia"), di San Severo ("siamo la parte attiva dell’Italia") e così via da Paestum, da Firenze (circolo Oriana Fallaci: "Non vogliamo la tranvia"), da Caserta, Trecase, Nocera Inferiore, Isernia, tanti circoli dalla provincia di Catanzaro e di Bari, tutti per "mandare a casa un presidente di regione comunista". Molti alla fine dicono "Forza Silvio", talvolta "Forza Italia". E si scordano di Michela.
"Nessuno ci può più fermare". Come che sia l’incubo di Michela - dimostrare di esistere - si dissolve davanti alla folla compatta della Fiera di Roma. "Siamo più di quindicimila: poi c’è ancora qualcuno che dice che i nostri circoli non esistono. Siamo una grande forza e nessuno ci potrà più fermare", attacca la Brambilla. "Questo non è che l’inizio", aggiunge ringraziando il leader di Forza Italia che le ha lasciato il palco, "del resto - gli sorride - so che siamo nel tuo cuore". "La sinistra - spiega - ha l’abitudine di guardare la gente dall’alto in basso e poi di spremerla con le tasse. I cittadini sono stanchi di essere trattati in questo modo e da qui nasce quella che viene chiamata anti-politica". "A chi vi considera dei fantasmi - ha concluso - voglio dire: state attenti perché questi fantasmi perderanno la pazienza e vi manderanno tutti a casa".
"Con il Pd non ci sarà più maggioranza al Senato". Berlusconi aspetta circa mezz’ora prima di salire sul palco. Ed è, senza nemmeno dirlo, il solito trionfo. Ha una traccia scritta tra le mani ma dice, "scusa Michela, te la lascio, andrò a braccio". Ci sono problemi col microfono - ma forse è solo la ’rossa’ un po’ troppo veemente con lo strumento - e lui: "C’è un tecnico audio comunista". Il ghiaccio è rotto. Parla per 45 minuti, la scaletta è sempre la stessa: "i comunisti", "la difesa della libertà e dei sogni". Poi snocciola sondaggi: "Io ho la fiducia di 63 italiani su cento, Prodi ce l’ha di 19 italiani e mezzo. Questa maggioranza non è più lo specchio del paese e non può più governare". Miele per gli 8 mila del padiglione. "In aula hanno ancora la maggioranza ma vi assicuro, perché lo sappiamo, che dopo il 14 ottobre i 159 senatori non si sentiranno più vincolati alla loro maggioranza". La nascita del Pd sarà "una specie di via libera". Altri calcoli degli uffici studio del Cavaliere assicurano poi che "si può andare a votare anche con questa legge. E al Senato avremmo una maggioranza di 39 senatori". Finale classico con pioggia di cartoncini argento, lacrime e emozioni. Michela Vittoria Brambilla si fionda sul palco, gli stringe la mano, se la porta verso la guancia, si accarezza. Ma il Cavaliere lascia il palco in tutta fretta. Si butta nella folla. Michela resta qualche passo indietro.
* la Repubblica, 6 ottobre 2007.
Pro memoria per il 14 ottobre 2007
di Augusto Cavadi
Lettera ’aperta’ e, se si vuole, ’circolare’ sulle "primarie" del 14 ottobre 2007
Care amiche e cari amici,
come forse sapete, domenica 14 ottobre 2007 ci sarà la possibilità (versando 1 euro) di votare per l’assemblea costituente nazionale (prima scheda) e per l’assemblea costituente regionale (seconda scheda) del Partito Democratico.
In tanti abbiamo espresso le nostre perplessità , di metodo e di merito, sulla formazione di questo nuovo partito (vedi, tra gli altri, il mio articolo su "Repubblica - Palermo" del 29.9.07, consultabile e scaricabile dal mio blog : www.augustocavadi.eu) che dovrebbe costituire una proposta di sintesi fra le culture della Repubblica post-fascista (socialismo riformista, cattolicesimo democratico, liberalismo progressista). Tuttavia è anche vero che, quando si avvia un processo, si può stare a guardare come va a finire ma si può anche entrare dentro per cercare di determinarne - in misura sia pur minima - l’evoluzione.
Allo stato, dunque, capisco benissimo chi non se la senta di andare a votare per le primarie del PD. Se però decidete di farlo, può essere utile sapere che:
* non si vota direttamente un candidato alla segreteria nazionale o un candidato alla segreteria regionale, bensଠper una lista (bloccata: dunque senza possibilità di esprimere preferenze) di candidati all’assemblea costituente regionale che faccia riferimento ad un aspirante segretario regionale e per una lista (anch’essa bloccata) di candidati all’assemblea nazionale costituente che faccia riferimento ad un aspirante segretario nazionale;
* in Sicilia questo significa: per gli organismi regionali, si può votare o per una lista collegata a Genovese (sindaco di Messina) o per una lista collegata a Messana (sindaco di Caltanissetta). Si tratta di due brave persone, ma connesse con tutta l’area moderata degli ex-democristiani: francamente non so se valga la pena esprimere la preferenza per una lista piuttosto che per un’altra. L’unico elemento leggermente a favore di liste collegate a Messana è che sono liste create in sana disobbedienza alle perentorie indicazioni centralistiche di DS e di Margherita.
Per gli organismi nazionali, sempre in Sicilia, è possibile scegliere fra liste collegate a Veltroni (sono quelle volute ufficialmente dai vertici di DS e Margherita), liste collegate a Letta (anche lui una brava persona, ma pericolosamente vicino ad ambienti un po’ ballerini) e liste collegate a Rosy Bindi.
* Per garantire che anche in Sicilia, al momento di votare per il segretario nazionale, ci fosse un minimo di pluralismo, alcuni di noi (che pure non militiamo nell’ambito dei cattolici popolari) abbiamo accettato di candidarci nelle liste pro-Bindi: perché è una donna, perché è una donna impegnata nel sociale, perché è una donna impegnata nel sociale con atteggiamento più ’laico’ di tanti credenti e persino noncredenti.
* Domenica 7 ottobre parto per un giro di conferenze in America Latina e tornerò - a cose fatte ! - il 22 successivo. Tutta la mia "campagna elettorale" (!) è dunque affidata a questo messaggio: votate, in qualsiasi collegio elettorale italiano o siciliano, per Rosy Bindi. Se appartenete, per caso, al collegio "Palermo 9" (Arenella, Vergine Maria, Valdesi, Mondello, Partanna, Tommaso Natale, Isola delle Femmine, Capaci, Torretta, Ustica), sappiate che il vostro voto per la Bindi ’passa’ attraverso una lista di tre persone: l’ex-senatrice della Rete Annamaria Abramonte (che, in quanto capolista, ha maggiori probabilità di rappresentarci nell’assemblea di Roma), Augusto Cavadi e Caterina Majolino. A parte me, dunque, una lista di persone pulite ed esterne, in atto, ai meccanismi tipici dei partiti.
A ben rivederci!
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.eu
YouTube presenta «Candidati alle primarie»
di Alessia Grossi *
Per le primarie del Pd tutti e cinque i candidati hanno raccolto quante più forze tecnologiche possibile per arrivare agli elettori. Siti web, liste di blog, schiere di finestre sul mondo. E ovviamente anche l’oblò per eccellenza, YouTube. Così Walter Veltroni ed Enrico Letta, ad esempio, lanciano dai rispettivi siti ufficiali video tematici, discorsi, incontri per dire tutto a tutti. YouTube si conferma un must del quale certo non può fare a meno la nuova politica tesa ad arrivare anche negli angoli più nascosti dove s’annida l’indifferenza. Caso a sé la macchina martellante del altrimenti sconosciuto ai più Mario Adinolfi che evidentemente con i mezzi ci gioca per arrivare ad un fine, quello di rendersi noto, almeno. Ma tra tutti i post istituzionali voluti e controllati dai candidati qualcosa è sfuggito alla ruggente macchina dei comitati. Niente di terribile, video filmati di elettori e sostenitori dell’uno e dell’altro che a mo’ di Barak Obama e Hillary Clinton accompagnano ironicamente la campagna YouTubiana ufficiale o ufficiosa. A voi qualche esempio e a voi l’invito a continuare la nostra ricerca alla scoperta del lato goliardico di elettori ed eletti.
«Sogno di una notte di mezzo ottobre».
Il video - sogno postato su YouTube presenta i candidati alla segreteria del Partito Democratico a fumetti. Waltman (Walter Veltroni) e i suoi maggiori competitori Rosy Bindi ed Enrico Letta. «Vittoria annunciata alle primarie» è il commento del regista. Così compare Veltroni nel ruolo di protagonista in calzamaglia e mantello alla maniera di Superman. Pugno alzato buca lo schermo. Sullo sfondo notturno i suoi simboli stilizzati. Basilica di S. Pietro e sagoma della quercia. La luna, appena dietro la collina ha invece il volto di Rosy Bindi. Come nei migliori fumetti la candidata sfidante dice la sua nella nuvoletta. «Io propongo di riformare la politica e mi mandano sulla Luna» e scompare. Intanto sotto la quercia tanti puntini colorati come fiori di campo urlano in coro il tormentone diessino «facci sognare». Ed ecco di nuovo Waltman dalla cui nuvola esce il suo «Bisogna pensare in grande» e ancora tutti sotto il suo mantello svolazzante continuano ad invocare il sogno. «Meglio restare coi piedi per terra» entra Enrico Letta. Appena visibile nella notte lunare illuminata dalla Bindi, lo si riconosce dalla giacca che tiene sulla spalla. Parte un applauso ad accompagnare il ritorno di Waltman, sempre più grande a invadere la tavola. «Con un partito nuovo cambieremo l’Italia» e vola via come ogni grande eroe che si rispetti. Torna la luce del giorno, va via la Bindi-Luna, l’inquadratura passa sui fiorellini sotto l’albero del passato partito ancora urlanti quel «facci sognare» evocatore. «...Se non fa male il risveglio» continuano i titoli di coda. Il video ironico «per il voto del 14 ottobre» si conclude con un invito agli elettori. «Informatevi prima e controllateli poi». «Per quanto intenzionalmente ironico e divertente il video vorrebbe essere anche un invito all’impegno consapevole nella nuova formazione» si legge accanto al post. È chiaro comunque per chi parteggi il regista. SuperWalter non è a caso l’attore protagonista.
Altro video, altre preferenze. Il regista questa volta non lascia niente all’interpretazione. Per uno sceneggiato satirico politico YouTubiano tutto nostrano non potevano mancare riferimenti alla storia, di Roma e di Veltroni. «L’imperatore Walter ha superato il fiume Rubicone» e nell’inquadratura si vede un esercito schierato. Nella seconda scena i dadi fanno da sfondo alla famosa: «Alia iacta est» (sic!), il dado è tratto. Ed ecco comparire sulla scena il fu Walterman ora in armatura nera, «Walter l’è pronto allo scontro». Sul volto di Rosy Bindi la scritta «pochi avversari» parla da sé. «Con poche speranze» a commento dell’immagine del senatore Furio Colombo la dice lunga. Che tipo di scontro si profila se Veltroni imperatore è solo contro nessuno? Ed eccolo infatti tornare in scena accanto alla lupa capitolina, il sottopancia dice: «Orgogliosi di essere romani». «Ma qualcuno può fermarlo» tranquillizza il regista. «Rosy SkyWalker tifiamo per te!». «Ma riuscirà Rosy SkyWalker a sconfiggere Darth Walter? La risposta la avremo solo ad ottobre, intanto questo è il trailer del film».
* l’Unità, Pubblicato il: 04.10.07, Modificato il: 04.10.07 alle ore 16.20
"Cara Veronica, restiamo lontani"
Flavia Prodi risponde alla moglie del Cavaliere: "Non si può dire che i due poli siano uguali"
di MARIA CORBI (La Stampa, 10/10/2007 - 7:39)
MERCATALE VAL DI PESA.«Cosa ci fate qui ad ascoltare due maestrine?». Flavia Prodi si stupisce che tra la platea di 30 anime nel paesino di Mercatale ci siano anche giornalisti. E’ arrivata insieme alla sua amica Valeria Fargion, capolista per Rosy Bindi in Toscana, senza autoblu e con il look «detesto fare la first lady» che la contraddistingue: polacchine allacciate, tailleur chiaro, golf girocollo. E’ qui per «sostenere Rosy» dice. «Ma quale è la novità? «Credo che la Bindi sia la traghettatrice del contenuti che mi stanno a cuore nel Partito democratico». Stasera si parla di welfare alla Casa del Popolo. Lei, sorride e tra molti «non fatemi dire cose che non ho detto» e molti « di questo non parlo», alla fine si lascia andare. Difficile tirarle fuori qualcosa del dibattito nato dalla «proposta» di Veltroni a Veronica Lario (declinata) che non è piaciuta per niente proprio alla Bindi.
Signora Prodi, ci dica almeno cosa pensa delle dichiarazioni della signora Berlusconi che legge nella proposta di Veltroni l’inizio della fine del muro tra i due schieramenti...
«Una cosa è il rapporto costruttivo tra maggioranza e opposizione, una cosa è dire che non ci siano più contenuti propri nei due schieramenti. E visto che siamo qui a parlarne, basti pensare all’idea di welfare dell’opposizione, molto diversa dalla nostra».
Qualcuno può vedere nel suo appoggio dichiarato a Rosy Bindi una volontà di fare politica?
«Si può fare politica a vari livelli e spero che il Pd al suo interno li consenta tutti. Io sono entrata in questa partita solo per quel che mi interessava, ben attenta a non pestare i piedi a nessuno. In famiglia di politico ne basta uno... ma poi non è nemmeno questo il problema».
Allora in futuro c’è una possibilità...
«Non ho nessuna intenzione di fare politica, a me piace insegnare, studiare non prendere decisioni. Per quanto riguarda il Partito democratico i candidati sono tutti rispettabili, ma ritengo che ciascuno debba scegliere quello che porta nel partito democratico le istanze che più lo rappresentano. Io e Rosy lavoriamo da anni insieme e mi sembra a scelta più naturale appoggiarla, oltre al fatto che è una donna».
Quanto conta il fatto che sia una donna nella sua scelta?
«Conta certo, anche perché le donne in politica fanno spesso una palestra importante in settori considerati “femminili” come la Sanità, la Solidarietà sociale, dove si devono gestire situazioni difficili e articolate e che fanno maturare una capacità di governo molto consistente».
Parlando di welfare entra nell’argomento anche la polemica sui «bamboccioni» di Padoa-Schioppa. Cosa ne pensa?
«Ormai qualsiasi pretesto è buono per inasprire la dialettica polemica, ma credo che sui giovani che fanno fatica a lasciare le case hanno ragione un po’ tutti. In questo fenomeno contano certamente le difficoltà che i ragazzi hanno confrontandosi con il precariato, la difficoltà economica che ostacola la loro indipendenza, ma è anche vero che oggi le famiglie sono cambiate, ci si sta bene, non sono più un luogo di conflitto, di genitori che impartiscono regole e figli che devono seguirle. E anche questo fa si che si stia più volentieri a casa».
Le tasse sono bellissime?
«Cerchiamo di non far diventare le tasse una parolaccia», per questo spiega Flavia Prodi, bisogna iniziare dalle politiche sociali.