Il pezzo è anche anche su Ammazzateci tutti, che ha promosso il sit-in pro De Magistris con un’energia formidabile
Il sit-in a Roma del Comitato pro De Magistris davanti al Consiglio superiore della Magistratura si è concluso alle 13,30 dell’otto ottobre con un intervento in Piazza Esedra di Aldo Pecora, portavoce del movimento antimafia “Ammazzateci tutti”, Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano, ucciso da Cosa Nostra nel 1993, e di Emiliano Morrone, giornalista e autore, insieme a Francesco Saverio Alessio, del libro “La società sparente”, sui rapporti fra ’ndrangheta e politica in Calabria.
Con una straordinaria partecipazione di giovani, movimenti e associazioni provenienti da tutta l’Italia e con la fattiva collaborazione del gruppo romano di Beppe Grillo, il Comitato si è ritrovato in Piazza dell’Indipendenza alle 9,30 del mattino.
Da subito, una serie di annunci a favore della legalità in Calabria e in Italia da parte di Aldo Pecora, seguito da Francesco Precenzano, presidente dell’associazione “Gens” di Cosenza, e da giovani studenti e lavoratori venuti apposta dal Veneto, dalla Lombardia, dalla Campania e dalla stessa Calabria.
Adesso, le firme raccolte contro il trasferimento del giudice De Magistris, titolare a Catanzaro dell’inchiesta Why not, nella quale, fra l’altro, è indagato il presidente del Consiglio dei Ministri con importanti politici e rappresentanti istituzionali, sono oltre 90 mila. Nei pressi di Piazza dell’Indipendenza, mobilitazione generale per la raccolta di ulteriori firme, durante tutto lo svolgimento del sit-in.
Molti passanti si sono uniti alla manifestazione e hanno aderito al Comitato, dimostrando che la questione etica è centrale in Italia e che la politica non può ignorare le reazioni dei cittadini, i quali ormai non si fidano delle rappresentanze. Il Comitato pro De Magistris ha espresso fin dall’inizio grande fiducia verso il Consiglio Superiore della Magistratura, ribadita più volte nei ripetuti interventi di Aldo Pecora. I tanti giovani presenti hanno espresso solidarietà verso il giudice, considerandolo “il difensore dei cittadini onesti e della legalità perduta nella nazione”.
La manifestazione, svoltasi con grande civiltà e senso di responsabilità, ha dimostrato soprattutto l’attaccamento delle nuove generazioni ai valori e ai princìpi della Costituzione. Verso mezzogiorno, è arrivata la notizia del rinvio al 17 dicembre della decisione del Csm sul trasferimento di De Magistris, che, uscito dal palazzo del Consiglio Superiore della Magistratura, ha ricevuto un’ovazione del Comitato, segno che forse certa magistratura sta supplendo molto bene la componente politica. Secondo i giovani manifestanti, “in una fase di precarietà nel lavoro e di incertezza generale, è fondamentale che si recuperi la trasparenza amministrativa e che la giustizia sia effettiva, concreta”.
Emiliano Morrone ha ribadito, rivolgendosi al Presidente della Repubblica, “garante per eccellenza”, che “non possono esserci squilibri nell’ambito dei poteri dello Stato e che solo se è assicurata la legalità il Sud può sperare di non sparire”. Sonia Alfano ha testimoniato in prima persona la sua vicenda di figlia d’un giornalista antimafia ucciso per il suo coraggio e rispetto alla cui morte non c’è ancora giustizia. Ancora, la Alfano ha raccontato della “leggerezza” di Mastella, testimone di nozze di un mafioso, poi pentito. Aldo Pecora s’è dichiarato soddisfatto, insieme a tutto il Comitato, per la scelta di rinviare al 17 dicembre la decisione sul trasferimento di De Magistris. “Continuerà a tutto campo - ha ribadito Pecora - il nostro impegno per sostenere il giudice, cui deve essere permesso di ultimare l’inchiesta Why not; organizzeremo a Roma una grande manifestazione in dicembre, raccogliendo anche un milione di firme per impedire che De Magistris venga spostato da Catanzaro”. Francesco Precenzano ha sottolineato che “ciò che sta ora avvenendo in Calabria potrebbe avvenire nel resto dell’Italia e che solo una convinta reazione collettiva all’abuso di potere può assicurare una sana ingegneria sociale”.
L’appuntamento, quindi, è per la metà di dicembre, dove a Roma si ritroverà nuovamente il popolo di Internet, dei giovani e dei movimenti, per chiedere allo Stato di vigilare sul futuro della giustizia.
Roma, 8 ottobre 2007
Il coperchio saltato
di Ida Dominijanni (il manifesto, 09 ottobre 2007)
In un posto come l’Italia, che ha il passato che ha, azionare la maniglia dell’allarme terrorismo è una tattica di manipolazione emotiva facile e rischiosa, che un ministro della Repubblica dovrebbe guardarsi bene dall’usare, se non dati alla mano e strategie di contrasto in tasca. Clemente Mastella non solo la usa senza dati e senza strategie di contrasto, ma la tira fuori in un posto come New York, che quanto a terrorismo vive il presente che vive, e paragonandosi a Aldo Moro, che il senso delle proporzioni gli dovrebbe sconsigliare di scomodare. Ma Clemente Mastella il senso delle proporzioni l’ha perduto da un pezzo, a giudicare dalle sue scomposte movenze sul caso De Magistris, anzi De Magistris-Santoro. Movenze-boomerang, visto che il Csm, inondato dalle troppe «incolpazioni» ministeriali, non ha potuto che rinviare il giudizio sul magistrato, con ciò stesso smentendo l’«urgenza» del suo trasferimento invocata dal guardasigilli. Urgente resta invece il caso Calabria che il caso De Magistris ha scoperchiato, e che scoperchiato resta quali che siano - speriamo l’opposto dei desiderata di Mastella - i destini del magistrato. Il guardasigilli non è solo a voler richiudere in fretta quei coperchi: militano con lui due governi, quello nazionale e quello regionale, e quella larga parte dell’informazione, nazionale e regionale, stampata e televisiva, che a sua volta milita per loro. E’ una militanza cieca e sorda, per almeno tre ragioni.
Primo. Il ceto politico di centrosinistra farebbe bene a guardare quello che sta accadendo in Calabria e altrove deponendo lo schema politica-antipolitica e i fantasmi del ’92, e aguzzando la vista sul presente. Di antipolitico, nelle piazze di Catanzaro come in quelle di Bologna, non c’è proprio niente. Fatti salvi i resti di qualunquismo, che fanno parte del dna nazionale, di ingenuità, che fanno parte del dna giovanile, e di rozzezza alla vaffa, il messaggio è evidente: è una domanda di politica diversa, più trasparente, più giusta, più efficiente, più vicina. L’obiettivo non è far fuori la politica: è far sì che politica e affari non siano sinonimi, e nemmeno classe politica e casta, o risorse pubbliche e fortune private, o potere politic+o e controllo del mercato del lavoro, o potere amministrativo e devastazione ambientale. C’è una soglia, questo dice la vituperata piazza, oltre la quale questi sinonimi non sono più tollerabili. Il governo di centrosinistra, nazionale e regionale, non ha nulla da chiedersi, se non da rimproverarsi, a questo proposito? Entrambi dicono di voler rispondere con i fatti e le opere. E’ un ottimo proponimento, purché i fatti e le opere seguano davvero: tra i fatti rientrando, ad esempio, un processo di autocritica e autoripulitura del ceto politico. E’ quando non scattano questi processi politici che scattano i processi giudiziari, nonché i processi di piazza, e a quel punto c’è poco da lamentarsi.
Secondo. Per ragioni evidenti e note, in Calabria una domanda di politica più trasparente, più giusta, più efficiente e più vicina coincide con una domanda di legalità. Nessuno potrebbe onestamente sostenere che quello della legalità sia un problema inesistente; ma nessuno potrebbe onestamente sostenere che sia tutto in carico a questo o quel magistrato, e al solito derby fra ceto politico e procure. La legalità, in uno stato di diritto, è fatta di molti elementi. Dell’esercizio delle libertà fondamentali, tanto per cominciare, che nelle regioni ad alto tasso di criminalità non è affatto scontato. E di un insieme di procedure, che non passano per le aule di giustizia. Prima di lanciarsi nell’ennesimo tentativo di riforma costituzionale, il centrosinistra di governo farebbe bene a fare il punto delle riforme già attuate: disfatto lo stato nazionale e fatto lo stato federale, chi fa che cosa, e chi controlla chi? Competenze, procedure, verifiche sull’uso delle risorse: davvero non c’è niente da mettere a regime? E perché - ripetiamo una domanda già fatta da queste colonne - le ispezioni sulle procure scattano, e quelle sui depuratori no?
Terzo. Come lo stato di diritto, anche il garantismo è fatto di molti elementi, ma è tipico del dibattito italiano degli ultimi quindici anni, a destra e a sinistra, dimenticarsene sempre qualcuno. Il garantismo prevede che la magistratura eserciti il controllo di legalità sul ceto politico, osservando a sua volta la legalità nelle procedure d’indagine. Accadeva a sinistra quindici anni orsono, quando c’era da processare il pentapartito della prima Repubblica, che l’accento cadesse spesso e volentieri sul controllo di legalità e meno spesso e volentieri sulla correttezza delle procedure, anche quando c’era di mezzo qualche manetta di troppo. Accade adesso, sulle inchieste di De Magistris che riguardano il centrosinistra della seconda Repubblica, che l’accento cada sempre sulla correttezza delle procedure e mai sul controllo di legalità. C’è chi, sul Foglio di ieri, ha definito questa inversione «una nemesi farsesca». Non arriveremo a tanto, ma solo perché non c’è niente da ridere.