[...] per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni ’90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994, oltre il 31 per cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7 per cento nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per cento del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell’anno, è rimasto in tasca poco più del 68 per cento della ricchezza nazionale.
Otto punti in meno, rispetto al 76 per cento di vent’anni prima. Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per capirci, l’8 per cento del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di euro. Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent’anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all’anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po’ di qui, un po’ di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef [...]
Il declino degli stipendi
di Maurizio Ricci *
La lotta di classe? C’è stata e l’hanno stravinta i capitalisti. In Italia e negli altri Paesi industrializzati, gli ultimi 25 anni hanno visto la quota dei profitti sulla ricchezza nazionale salire a razzo, amputando quella dei salari, e arrivare a livelli impensabili ("insoliti", preferiscono dire gli economisti). Secondo un recente studio pubblicato dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, nel 1983, all’apogeo della Prima Repubblica, la quota del prodotto interno lordo italiano, intascata alla voce profitti, era pari al 23,12 per cento.
Di converso, quella destinata ai lavoratori superava i tre quarti. Più o meno, la stessa situazione del 1960, prima del "miracolo economico". L’allargamento della fetta del capitale comincia subito dopo, nel 1985. Ma per il vero salto bisogna aspettare la metà degli anni ’90: i profitti mangiano il 29 per cento della torta nel 1994, oltre il 31 per cento nel 1995. E la fetta dei padroni, grandi e piccoli, non si restringe più: raggiunge un massimo del 32,7 per cento nel 2001 e, nel 2005 era al 31,34 per cento del Pil, quasi un terzo. Ai lavoratori, quell’anno, è rimasto in tasca poco più del 68 per cento della ricchezza nazionale.
Otto punti in meno, rispetto al 76 per cento di vent’anni prima. Una cifra enorme, uno scivolamento tettonico. Per capirci, l’8 per cento del Pil di oggi è uguale a 120 miliardi di euro. Se i rapporti di forza fra capitale e lavoro fossero ancora quelli di vent’anni fa, quei soldi sarebbero nelle tasche dei lavoratori, invece che dei capitalisti. Per i 23 milioni di lavoratori italiani, vorrebbero dire 5 mila 200 euro, in più, in media, all’anno, se consideriamo anche gli autonomi (professionisti, commercianti, artigiani) che, in realtà, stanno un po’ di qui, un po’ di là. Se consideriamo solo i 17 milioni di dipendenti, vuol dire 7 mila euro tonde in più, in busta paga. Altro che il taglio delle aliquote Irpef.
Non è, però, un caso Italia. Il fenomeno investe l’intero mondo sviluppato. In Francia, rileva sempre lo studio della Bri, la fetta dei profitti sulla ricchezza nazionale è passata dal 24 per cento del 1983 al 33 per cento del 2005. Quote identiche per il Giappone. In Spagna dal 27 al 38 per cento. Anche nei paesi anglosassoni, dove il capitale è sempre stato ben remunerato, la quota dei profitti è a record storici. Dice Olivier Blanchard, economista al Mit, che i lavoratori hanno, di fatto, perduto quanto avevano guadagnato nel dopoguerra. Forse, bisogna andare anche più indietro, al capitalismo selvaggio del primo ‘900: come allora, in fondo, succede poi che il capitalismo troppo grasso di un secolo dopo arriva agli eccessi esplosi con la crisi finanziaria di questi mesi.
Ma gli effetti sono, forse, destinati ad essere più profondi. C’è infatti questo smottamento nella redistribuzione delle risorse in Occidente dietro i colpi che sta perdendo la globalizzazione e il risorgere di tendenze protezionistiche: da Barack Obama e Hillary Clinton, fino a Nicolas Sarkozy e Giulio Tremonti.
Sostiene, infatti, Stephen Roach, ex capo economista di una grande banca d’investimenti come Morgan Stanley, che la globalizzazione si sta rivelando come un gioco in cui non è vero che vincono tutti. Secondo la teoria dei vantaggi comparati di Ricardo, la globalizzazione doveva avvantaggiare i paesi emergenti e i loro lavoratori, grazie al boom delle loro esportazioni. E quelli dei paesi industrializzati, grazie all’importazione di prodotti a basso costo e alla produzione di prodotti più sofisticati. «E’ una grande teoria - dice Roach - ma non funziona come previsto».
Ai lavoratori cinesi è andata bene, ma quelli americani ed europei non hanno mai guadagnato così poco, rispetto alla ricchezza nazionale. Sono i capitalisti dei paesi sviluppati che fanno profitti record: pesa l’ingresso nell’economia mondiale di un miliardo e mezzo di lavoratori dei paesi emergenti, che ha quadruplicato la forza lavoro a disposizione del capitalismo globale, multinazionali in testa, riducendo il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi sviluppati. Quanto basta per dirottare verso le casse delle aziende i benefici dei cospicui aumenti di produttività, realizzati in questi anni, lasciandone ai lavoratori le briciole. Inevitabile, secondo Roach, che tutto questo comporti una spinta protezionistica nell’opinione pubblica, a cui i politici si mostrano sempre più sensibili.
Ma il ribaltone nella distribuzione della ricchezza in Occidente è, allora, un effetto della globalizzazione? Non proprio, e non del tutto. Secondo gli economisti del Fmi, nonostante che il boom del commercio mondiale eserciti una influenza sulla nuova ripartizione del Pil, l’elemento motore è, piuttosto, il progresso tecnologico. Su questa scia, Luci Ellis e Kathryn Smith, le autrici dello studio della Bri, osservano che il balzo verso l’alto dei profitti inizia a metà degli anni ’80, prima che le correnti della globalizzazione acquistino forza. Inoltre, l’aumento della forza lavoro disponibile a livello mondiale interessa anzitutto l’industria manifatturiera, ma, osservano, non è qui - e neanche nei servizi alle imprese, l’altro terreno privilegiato dell’offshoring - che si è verificato il maggior scarto dei profitti.
Il meccanismo in funzione, secondo lo studio, è un altro: il progresso tecnologico accelera il ricambio di macchinari, tecniche, organizzazioni, che scavalca sempre più facilmente i lavoratori e le loro competenze, riducendone la forza contrattuale. E’ qui, probabilmente, che la legge di Ricardo, a cui faceva riferimento Roach, si è inceppata. Il meccanismo, avvertono Ellis e Smith, è tutt’altro che esaurito e, probabilmente, continuerà ad allargare il divario fra profitti e salari in Occidente.
Dunque, è la dura legge dell’economia a giustificare il sacrificio dei lavoratori, davanti alla necessità di consentire al capitale di inseguire un progresso tecnologico mozzafiato? Neanche per idea. La crescita dei profitti, sottolinea lo studio della Bri, «non è stato un passaggio necessario per finanziare investimenti extra». Anzi «gli investimenti sono stati, negli ultimi anni, relativamente scarsi, rispetto ai profitti, in parecchi paesi». In altre parole «l’aumento della quota dei profitti non è stata la ricompensa per un deprezzamento accelerato del capitale, ma una pura redistribuzione di rendite economiche».
La lotta di classe, appunto.
LA PAROLA RUBATA
Una lettera aperta all’ ITALIA (e un omaggio agli intellettuali: Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Jacques Lacan, Elvio Fachinelli)
di Federico La Sala
(www.ildialogo.org/appelli, 24.02.2004)
L’ITALIA GIA’ DA TEMPO IN-TRAPPOLA-TA.................e noi - alla deriva - continuiamo a ’dormire’ , alla grande! "IO STO MENTENDO": UNA LETTERA APERTA SULL’USO E ABUSO ISTITUZIONALE DELL’ "ANTINOMIA DEL MENTITORE".
Cara ITALIA
MI AUGURO CHE LE GIUNGA DA LONTANO IL MIO URLO: ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA, ITALIA! IL NOME ITALIA E’ STATO IN-GABBIA-TO NEL NOME DI UN SOLO PARTITO....E I CITTADINI E LE CITTADINE D’ITALIA ANCHE!!!
NON E’ LECITO CHE UN PARTITO FACCIA PROPRIO IL NOME DELLA CASA DI TUTTI I CITTADINI E DI TUTTE LE CITTADINE! FERMI IL GIOCO! APRA LA DISCUSSIONE SU QUESTO NODO ALLA GOLA DELLA NOSTRA VITA POLITICA E CULTURALE! NE VA DELLA NOSTRA STESSA IDENTITA’ E DIGNITA’ DI UOMINI E DONNE D’ITALIA!
Cosa sta succedendo in Italia? Cosa è successo all’Italia? Niente, non è successo niente?! Semplicemente, il nome Italia è stato ingabbiato dentro il nome di un solo PARTITO e noi, cittadini e cittadine d’ITALIA, siamo diventati tutti e tutte cret... ini e cret..ine. Epimenide il cretese dice: "Tutti i cretesi mentono". E, tutti i cretini e tutte le cretine di ’Creta’, sono caduti e cadute nella trappola del Mentitore.... e, imbambolati e imbambolate come sono, si divertono persino. Di chi la responsabilità maggiore?! Di noi stessi - tutti e tutte!
Le macchine da guerra mediatica funzionano a pieno regime. Altro che follia!: è logica di devastazione e presa del potere. La regola di funzionamento è l’antinomia politico-istituzionale del mentitore ("io mento"). Per posizione oggettiva e formale, non tanto e solo per coscienza personale, chi sta agendo attualmente da Presidente del Consiglio della nostra Repubblica non può non agire che così: dire e contraddire nello stesso tempo, confondere tutte le ’carte’ e ’giocare’ a tutti i livelli contemporaneamente da presidente della repubblica di (Forza) Italia e da presidente del consiglio di (Forza) Italia, sì da confondere tutto e tutti e tutte... e assicurare a se stesso consenso e potere incontrastato. Se è vero - come ha detto qualcuno - che "considerare la politica come un’impresa pubblicitaria [trad.: un’impresa privata che mira a conquistare e occupare tutta l’opinione pubblica, fls] è un problema che riguarda tutto l’Occidente" (U. Eco), noi, in quanto cittadini e cittadine d’Italia, abbiamo il problema del problema, all’ennesima potenza e all’o.d.g.! E, per questo e su questo, sarebbe bene, utile e urgentissimo, che chi ha gli strumenti politici e giuridici (oltre che intellettuali, per togliere l’uso e l’abuso politico-istituzionale dell’antinomia del mentitore) decidesse quanto prima ... e non quando non c’è (o non ci sarà) più nulla da fare. Se abbiamo sbagliato - tutti e tutte, corriamo ai ripari. Prima che sia troppo tardi!!!
ITALIA! La questione del NOME racchiude tutti i problemi: appropriazione indebita, conflitto di interessi, abuso e presa di potere... in crescendo! Sonnambuli, ir-responsabili e conniventi, tutti e tutte (sia come persone sia come Istituzioni), ci siamo fatti rubare la parola-chiave della nostra identità e della nostra casa, e il ladro e il mentitore ora le sta contemporaneamente e allegramente negando e devastando e così, giocati tutti e tutte, ci sta portando dove voleva e vuole ... non solo alla guerra ma anche alla morte culturale, civile, economico-sociale e istituzionale! Il presidente di Forza Italia non è ...Ulisse e noi non siamo ... Troiani. Non si può e non possiamo tollerare che il nome ITALIA sia di un solo partito... è la fine e la morte della stessa ITALIA!
La situazione politica ormai non è più riconducibile all’interno del ’gioco’ democratico e a un vivace e normale confronto fra i due poli, quello della maggioranza e quello della minoranza. Da tempo, purtroppo, siamo già fuori dall’orizzonte democratico! Il gioco è truccato! Cerchiamo di fermare il ’gioco’ e di ristabilire le regole della nostra Costituzione, della nostra Legge e della nostra Giustizia.
Ristabiliamo e rifondiamo le regole della democrazia. E siccome la cosa non riguarda solo l’Italia, ma tutto l’Occidente (e non solo), cerchiamo di non andare al macello e distruggerci a vicenda, ma di andare avanti .... e di venir fuori da questa devastante e catastrofica crisi.
Io, da semplice cittadino di una ’vecchia’ Italia, penso che la logica della democrazia sia incompatibile con quella dei figli di "dio" e "mammasantissima" che si credono nello stesso tempo "dio, papa, e re" (non si sottovaluti la cosa: la questione è epocale e radicale, antropologica, teologica e politica - e riguarda anche le religioni e la stessa Chiesa cattolica) si danno da fare per occupare e devastare le Istituzioni! Non si può tornare indietro e dobbiamo andare avanti.... laici, cattolici, destra, sinistra, cittadini e cittadine - tutti e tutte, uomini e donne di buona volontà.
Allora facciamo che il gioco venga fermato e ... e che si apra il più ampio e diffuso dibattito politico e culturale - si ridia fiducia e coraggio all’ITALIA, e a tutti gli Italiani e a tutte le Italiane. E restituiamo il nome e la dignità all’ITALIA: a noi stessi e a noi stesse - in Italia e nel mondo...... cittadini e cittadine della Repubblica democratica d’Italia.
Un semplice cittadino della nostra bella ITALIA!
Federico La Sala, (Martedì, 24 febbraio 2004)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Oltre il «voyeurismo fiscale»
Caccia agli evasori, la «via italiana» alla trasparenza *
Mai una volta che scegliamo la strada normale. La via italiana verso la convivenza civile è piena di buche, salti, scossoni, scontri, frenate e ripartenze. La nostra è una democrazia- rally, e la vicenda dei «redditi in Rete» ne è la prova. Non l’unica, né l’ultima. La più recente.
La retromarcia dell’Agenzia delle entrate, bacchettata dal Garante della privacy e indagata dalla procura di Roma, è tardiva: gli elenchi sono stati scaricati e adesso girano allegramente sulla Rete attraverso siti di condivisione, detti «p2p» («peer to peer», «da pari a pari»). È facile immaginare sviluppi della faccenda: aspettiamoci elenchi, per città o per professioni. Chi vorrà, saprà.
È solo «voyeurismo fiscale», o c’è dell’altro? La diffusione di quei dati è certamente irrituale, un altro modo per dire: discutibile. E, infatti, stiamo discutendo. Non perché «così si aiuta la criminalità organizzata », un argomento debole, che curiosamente accomuna Beppe Grillo, comico benestante, e Roberto Speciale, ex comandante della Guardia di finanza, ora parlamentare Pdl. I criminali, in certe parti d’Italia, guardano ai patrimoni reali, non ai redditi dichiarati.
Il motivo di perplessità è un altro. Molti cittadini considerano il reddito un «dato riservato», come un’informazione sanitaria o sessuale. Da anni i redditi vengono pubblicati dai giornali di provincia, nel silenzio del Garante e per la goduria dei provinciali. Ma questo non conta, apparentemente. Ora c’è Internet, che rende facile la consultazione. Quindi, stop! Fra trasparenza e riservatezza, tanti italiani scelgono la riservatezza. Molti di loro vanno capiti: perché un modesto 730 dev’essere di dominio pubblico? Anche gli uffici del personale sono irritati: il gioco del «divide et impera», basato sul segreto retributivo, diventa complicato. Ma più di tutti sono scocciati quelli che portano a casa 300 e dichiarano 40. Sono loro l’oggetto della curiosità e dell’indignazione: le migliaia di professionisti che dichiarano poco più della segretaria, non qualche dozzina di calciatori. È la stramba via italiana alla normalità, che passa attraverso le eccezioni. Per ripulire il calcio e la Banca d’Italia, s’è resa necessaria l’indiscutibile barbarie delle intercettazioni. Per arrivare alla decenza fiscale, dobbiamo passare attraverso l’indecenza dei dati in Rete?
Altra via non si vede. Non sono i controlli e le punizioni che spingono uno scandinavo, uno scozzese o un californiano a pagare le tasse. È la pressione sociale. La vergogna d’essere considerato - dai parenti, dai consoci al Lions Club, dagli amici del figlio - un evasore. Uno che costringe un altro a pagare di più. Uno che fornisce al fisco la giustificazione per alzare le aliquote, complicare le norme, aumentare i controlli. Uno che ti sorride, ma ti frega.
Chi s’arrabbia per la pubblicazione dei redditi va capito. Ma prima di regalargli la vostra solidarietà, chiedetegli - privatamente, s’intende - quanto dichiara, quante case ha in giro e che auto tiene in garage. La privacy è importante, ma è altrettanto importante rompere un’imbarazzante tradizione: l’Italia è l’unica, tra le grandi democrazie, dove l’evasione è epidemica. Forse per questo negli Usa e in Gran Bretagna nessuno s’è mai sognato di mettere i redditi in Rete. Forse per questo ogni sondaggio (compreso quello di Corriere.it) dice la stessa cosa: la maggioranza, probabilmente a malincuore, è a favore della pubblicazione dei redditi. Tutti guardoni? Non credo.
Beppe Severgnini
www.corriere.it/italians
04 maggio 2008
CACCIA AL 740
Redditi on line, indaga la procura
Il reato ipotizzato dal pm di Roma
è quello di violazione della privacy
E Ferrero loda Visco: «Solidarietà» *
ROMA La procura di Roma ha aperto un fascicolo di inchiesta sulla pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi disposta dall’Agenzia delle Entrate. L’inchiesta, al momento contro ignoti, è tesa ad accertare chi ha dato la disposizione ad agire in tal senso. Secondo quanto si è appreso, il reato ipotizzato è quello di violazione della privacy. Ieri l’«allarme privacy» lanciato dal Garante e l’offensiva del Codacons che ha annunciato denunce in 104 procure contro il viceministro uscente dell’Economia Vincenzo Visco. L’intervento del Garante della Privacy, comunque, non ha messo al sicuro le denunce dei redditi 2005 degli italiani da occhi indiscreti.
Nonostante lo stop dell’Authority all’Agenzia delle entrate le dichiarazioni sono ancora in rete grazie ai sistemi di file sharing che consentono la condivisione di file audio, video e appunto dati. Siti come e-mule a limewire, bit torrent o rapidshare permettono di scaricare anche a pagamento le dichiarazioni dei redditi degli italiani regione per regione. Dunque anche nelle poche ore in cui i dati sono rimasti in rete, mercoledì, i più «curiosi» hanno potuto leggerli e magari anche scaricarli sul proprio pc e poi condividerli con altri.
E in una nota Paolo Ferrero di Rifondazione comunista, ministro uscente della Solidarietà Sociale, loda l’iniziativa: «Voglio esprimere la mia piena solidarietà a Vincenzo Visco. Si parla tanto e si denuncia il ruolo della casta e poi alla prima iniziativa concreta che offre trasparenza a tutti i cittadini ecco che arriva l’attacco dei poteri forti. Vergogna».
* La Stampa, 4/5/2008
Ansa >> 2008-05-05 09:21
FISCO ON LINE: L’INCHIESTA ENTRA NEL VIVO
ROMA - Con l’inizio dell’esame della documentazione del Fisco entrerà domani nel vivo l’inchiesta della procura di Roma sul caso dei redditi degli italiani per l’anno 2005 finiti on line. Mentre il ministro degli Esteri Massimo D’Alema ritiene che la vicenda non costituisca "una violazione così paurosa" ed il Codacons annuncia la richiesta di risarcimento di 20 miliardi di euro da distribuirsi tra i 38 milioni di contribuenti italiani, il procuratore aggiunto Franco Ionta, titolare del fascicolo aperto ieri per l’ipotesi di reato di violazione della privacy, si appresta a studiare il carteggio dell’Agenzia delle Entrate che ha chiesto di acquisire tramite la polizia Postale.
Si tratta di documenti, quelli nei quali dovrebbero essere indicati disposizioni e modalità della messa in rete dei dati, ritenuti indispensabili per definire ruoli e responsabilità dell’iniziativa. Esaurita questa fase il magistrato provvederà a convocare dirigenti e funzionari del fisco per sentire la loro versione e, quasi certamente, anche il vice ministro dell’Economia Vincenzo Visco.
La posizione di quest’ultimo, che all’indomani della divulgazione dei dati parlò di decisione adottata in base alle norme in vigore, sarà subordinata all’eventuale configurazione di responsabilità nella vicenda. Stesso discorso vale per Massimo Romano, direttore dell’Agenzia delle Entrate.
Intanto il Codacons, che nei giorni scorsi aveva annunciato la presentazione di esposti a 104 procure, intende costituirsi parte civile nel procedimento aperto nella capitale e vuole chiedere, per i contribuenti interessati dal caso un megarisarcimento di 20 miliardi di euro, 520 per ciascuno di essi. Con un’istanza già presentata alla polizia postale si "chiede anche il sequestro degli elenchi da chiunque detenuti, anche attraverso l’oscuramento dei siti che ancora lo offrono in visione gratuita o a pagamento".
Il presidente dell’associazione, Carlo Rienzi, ha dichiarato che "il Consiglio di Stato, con numerose pronunce, ha definito esattamente ciò che è lecito e ciò che non lo è nella diffusione di denunce dei redditi". "Laddove - ha aggiunto - si tratti di redditi di soggetti che in vario modo sono alimentati da danaro pubblico o comunque destinati a finalità pubbliche è sicuramente ammissibile l’accesso alla denuncia dei redditi e la sua pubblicazione.
"E invece sicuramente da escludersi - ha aggiunto - la possibilità di pubblicare tutte le denunce dei redditi su internet in modo generalizzato, e ciò innanzitutto perché tale pubblicazione non garantisce più né sui soggetti che ne vengono in possesso, né sul rispetto dei limiti temporali della pubblicità degli atti". Intervistato oggi da Lucia Annunziata, Massimo D’Alema ha detto di non ritenere inopportuno "nascondere il proprio reddito, negli Stati Uniti viene ostentato". "Noto poi - ha aggiunto - che alcuni di certi moralisti che scrivono sui giornali sulla ’casta’, guadagnano dieci volte i politici. Sono anche loro una casta".
L’Agenzia delle Entrate spiega al Garante della Privacy perchè si è deciso di pubblicare le dichiarazioni. "Abbiamo soltanto applicato la legge"
Redditi online, il Fisco al Garante
"Una questione di trasparenza" *
ROMA - ’’Alla base della decisione l’applicazione della normativa sulla predisposizione e pubblicazione degli elenchi dei contribuenti e di quella del codice dell’amministrazione digitale. Un insieme di disposizioni che disegnano un quadro di trasparenza fiscale al quale l’Agenzia ha inteso attenersi’’. Così, in sintesi, l’Agenzia delle entrate ha risposto alla richiesta di chiarimenti del Garante della privacy a proposito della pubblicazione su internet dei rediti dei contribuenti italiani.
’’Il documento - prosegue il comunicato dell’Agenzia - ripercorre l’evoluzione delle norme che hanno regolato la pubblicità degli elenchi. E la norma, nell’attuale assetto dell’amministrazione finanziaria, attribuisce al Direttore dell’Agenzia la fissazione dei termini e delle modalita’ per la formazione e la pubblicazione degli elenchi. Si tratta, dunque, di una valutazione amministrativa assunta dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito della sua autonomia’’.
’’La forma di pubblicità dei dati reddituali prevista dal legislatore - spiega ancora la nota - consiste nella consultabilità dei dati da parte di chiunque. La ratio della norma è quella di favorire una forma di controllo diffuso da parte dei cittadini rispetto all’adempimento degli obblighi tributari. La scelta di Internet quale mezzo di comunicazione è stata fatta per adeguare i comportamenti dell’Agenzia a quanto stabilito dal Codice dell’amministrazione digitale varato nel 2005, che impone alla PA di utilizzare come strumento ordinario di fruibilità delle informazioni la modalità digitale".
"Il Codice - continua l’Agenzia - tra l’altro, impone alla PA l’uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili, sia individuali che collettivi, tra i quali si può inquadrare il diritto alla consultazione degli elenchi dei contribuenti. Si è ritenuto che le norme in materia di trattamento dei dati personali non precludano la diffusione dei dati reddituali tramite Internet, posto che la libera conoscibilità di essi da parte di chiunque è del tutto pacifica, come più volte affermato dallo stesso Garante’’.
’’La novità rispetto al passato - sottolinea quindi l’Agenzia delle Entrate - è rappresentata dal mezzo: Internet. Ma si tratta di una novità relativa in quanto occorre considerare come gli articoli abitualmente pubblicati dai giornali che riportano i dati reddituali dei contribuenti sono per lungo tempo liberamente consultabili sulla rete. In definitiva, la diffusione dei dati reddituali con modalità telematiche da parte dell’autorità pubblica costituisce un elemento di garanzia, trasparenza e affidabilita’ dell’informazione’’.
Infine, l’Agenzia esprime ’’piena fiducia nelle valutazioni del Garante della Privacy e della magistratura in relazione alle azioni intraprese a seguito della pubblicazione degli elenchi dei contribuenti on line. Piena collaborazione e’ stata assicurata alla polizia postale che ha acquisito la documentazione relativa alla decisione dell’Agenzia di rendere consultabili gli elenchi tramite Internet’’.
* la Repubblica, 5 maggio 2008
La motivazione acquisita dalla procura di Roma e pubblicata in Gazzetta
Compito dell’Agenzia interrompere in modo definitivo la diffusione dei dati
Redditi on line, stop definitivo
Garante: "Diffusione illegittima"
Il direttore delle Entrate non deve occuparsi del modo con cui diffondere i dati che invece è "prerogativa del legislatore" *
ROMA - La modalità utilizzata dall’Agenzia per diffondere i dati delle dichiarazioni dei redditi "è illegittima". E’ quanto afferma l’Autorità Garante per la privacy che ha concluso l’istruttoria avviata sulla diffusione, tramite il sito web dell’Agenzia delle entrate, dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi. L’Agenzia delle entrate, afferma il garante, "dovrà quindi far cessare definitivamente l’indiscriminata consultabilità, tramite il sito, dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi per l’anno 2005".
La procura di Roma, che ha aperto un fascicolo sulla pubblicazione on line dei redditi degli italiani, acquisisce agli atti dell’inchiesta la bocciatura del Garante. L’Autorità ha comunque previsto la pubblicazione della motivazione sulla Gazzetta Ufficiale. Sicuramente, volontariamente o meno, si è creato un precedente inedito che è giusto chiarire e a cui è giusto dare la massima pubblicità.
Non è chiaro, leggendo il testo della motivazione, come faccia l’Agenzia ad interrompere la diffusione visto che i dati, una volta sulla rete, ci restano per sempre. Il Garante invece si addentra con molti dettagli nei motivi della decisione presa da tutto il collegio, il presidente Francesco Pizzetti, Giuseppe Chiaravalloti, Mauro Paissan e Giuseppe Fortunato.
La decisione dell’Agenzia, si legge nella motivazione, "contrasta con la normativa in materia". Il primo responsabile sembra essere proprio il direttore dell’Agenzia delle entrate (dpr 600-1973) a cui "spetta solo il compito di fissare annualmente le modalità di formazione degli elenchi delle dichiarazioni dei redditi, non le modalità della loro pubblicazione, che rimangono prerogativa del legislatore".
Attualmente la legge prevede unicamente la distribuzione degli elenchi ai soli uffici territoriali dell’agenzia e la loro trasmissione ai soli comuni interessati e sempre con riferimento ai contribuenti residenti nei singoli ambiti territoriali. Internet, invece, arriva in un secondo in tutto il mondo. Un’altra storia, un mezzo "di per sè non proporzionato rispetto alla finalità della conoscibilità di questi dati".
Il Garante per la Privacy osserva che l’immissione in rete generalizzata e non protetta dei dati di tutti i contribuenti italiani (non sono stati previsti "filtri" per la consultazione on line) da parte dell’Agenzia delle entrate ha comportato una serie di conseguenze. "La centralizzazione della consultazione a livello nazionale - osserva il Garante - ha consentito, in poche ore, a numerosissimi utenti, non solo in iIalia ma in ogni parte del mondo, di accedere a innumerevoli dati, di estrarne copia, di formare archivi, modificare ed elaborare i dati stessi, di creare liste di profilazione e immettere ulteriormente dati in circolazione, ponendo a rischio la loro stessa esattezza". Non solo: il mezzo internet ha "dilatato senza limiti" il periodo di conoscibilità di dati che la legge stabilisce invece in un anno.
Un’ altra accusa riguarda il fatto che all’Autorità "non è stato chiesto il parere preventivo prescritto per legge". Illecita anche "l’eventuale ulteriore diffusione dei dati dei contribuenti da parte di chiunque li abbia acquisiti, anche indirettamente, dal sito internet dell’agenzia. Tale ulteriore diffusione può esporre a conseguenze di carattere civile e penale".
Ai giornali di carta o on line il Garante riconosce il "diritto-dovere" di rendere noti i dati delle posizioni di persone che, per il ruolo svolto, sono o possono essere di sicuro interesse pubblico, "purchè però tali dati vengano estratti secondo le modalità attualmente previste dalla legge".
L’Autorità per la privacy suggerisce al Parlamento di voler "mettere mano alla normativa alla luce del mutato scenario tecnologico".
Il garante ha stabilito, infine, di contestare all’Agenzia delle entrate, con separato provvedimento, "l’assenza di un’idonea informativa ai contribuenti riguardo alla forma adottata per la diffusione dei loro dati, anche al fine di determinare la relativa sanzione amministrativa".
* la Repubblica, 6 maggio 2008