Ancora un Disegno di Legge vuole obbligare la blogosfera a iscriversi al Registro degli operatori della Comunicazione. I blogger potrebbero essere accusati di reati a mezzo stampa
di Mirella Castigli da www.vnunet.it
Pochi mesi fa tiravamo tutti un sospiro di sollievo: sembrava che la blogosfera fosse finalmente salva. I blog l’aveva scampata bella, anche sotto il secondo governo Prodi: un Ddl sull’editoria li voleva imbavagliare.
Ma il giurista Daniele Minotti ha scoperto che anche il Governo Berlusconi sta preparando un Disegno di Legge che potrebbe rendere obbligatoria l’iscrizione dei blog al Registro degli operatori di comunicazione (Roc), con implicazioni giuridiche. I blogger potrebbero infatti essere accusati di reati a mezzo stampa.
Verrebbero esclusi soli i blog che non fanno attività di impresa: ma bastano Google Adwords e piccoli banner per rendere anche un blog personale, "frutto dell’organizzazione imprenditoriale del lavoro".
Il Roc è il registro operatori di comunicazione presso l’autorità per le comunicazioni. L’iscrizione al Roc impegna in una dichiarazione annuale su come e quanto si guadagna e al pagamento di diritti annuali in rapporto agli stessi.
Se passasse la nuova normativa, non solo gli editori, ma anche i blog, come quello di Beppe Grillo, anche se gestito da un privato e non da un editore, diventererebbe ipso facto prodotto editoriale, soggetto alla normativa sulla stampa: quindi avrebbe limitazioni in caso di sequestro, ma otterrebbe responsabilità penali aggravate in caso di denuncia penale.
Cosa accadde nel 2007, il DDL Levi:
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Per firmare la petizione online contro questo DDL:
http://firmiamo.it/noallaleggeantiblog
Ritorna in Parlamento il ddl che fa tremare i blogger
di Francesco Costa *
L’incubo dei blogger italiani è tornato, e la rete è di nuovo in subbuglio. Motivo dell’agitazione la riproposizione del disegno di legge sull’editoria del deputato Riccardo Franco Levi, risalente alla scorsa legislatura e oggi tornato alla ribalta perché presentato nuovamente dal deputato del Pd e in discussione in Commissione Cultura. Non è complicato capire perché i blogger siano sul piede di guerra: se la proposta di legge Levi divenisse legge, moltissimi di loro dovrebbero iscriversi a un registro pubblico appositamente creato, il Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC), pena il rischio di una condanna per stampa clandestina.
Un anno fa - Per comprendere bene la questione, occorre fare un passo indietro. Ottobre 2007, Romano Prodi è Presidente del Consiglio dei Ministri, Riccardo Franco Levi è sottosegretario alla presidenza del consiglio. Sembra un secolo fa. Il consiglio dei ministri dell’allora governo di centrosinistra approva il disegno di legge Levi-Prodi sulla disciplina del settore dell’editoria, e su internet si scatena il putiferio. Il disegno di legge non comporta infatti solo l’obbligo dell’iscrizione al ROC ma anche l’estensione sui blogger della procedibilità per i reati a mezzo stampa. Di fatto, la norma entrando in vigore priverebbe i blog della caratteristica fondamentale che li ha resi uno strumento centrale della comunicazione e dell’informazione fatta dai cittadini: la facilità di utilizzo e l’immediatezza della pubblicazione. All’approvazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei Ministri seguirono numerose proteste degli utenti della rete, e alcuni componenti dell’allora maggioranza si sfilarono da quella decisione. Il primo a rompere le righe fu Antonio Di Pietro, al tempo ministro per le infrastrutture, seguito dall’allora ministro per le comunicazioni Paolo Gentiloni nonché dal presidente della commissione cultura della Camera, Pietro Folena. Condivisero tutti la stessa motivazione, riguardo il ddl: «Scusate, non lo abbiamo letto». A seguito delle proteste, Levi modificò il ddl così che l’iscrizione al Roc fosse obbligatoria solo per i siti internet che "non costituiscono un’organizzazione imprenditoriale del lavoro". E’ sufficiente però la presenza in pagina di un piccolo banner pubblicitario per rientrare nella categoria di "organizzazione imprenditoriale del lavoro", per cui la modifica non servì a rassicurare i blogger.
L’assalto geriatrico - La stampa estera si tuffò su questa ipotesi di legislazione senza precedenti in paesi democratici. Il Times si affidò al commento caustico di Bernhard Warner, secondo cui solo una classe dirigente anziana come quella italiana poteva elaborare una normativa così sgangherata sui blog e l’editoria online. «Romano Prodi, il primo ministro, ha 69 anni, e ha battuto il 71enne Silvio Berlusconi alle ultime elezioni. Il Presidente Giorgio Napolitano, 82, ha davanti ancora sei anni prima di finire il mandato; il suo predecessore ne aveva 86 quando lasciò il Quirinale. Nella sfortunata ipotesi che l’Italia dichiari guerra a qualcuno - proseguiva il quotidiano britannico - la decisione verrà da un capo di stato che aveva quasi vent’anni quando i tedeschi si arresero alla fine della seconda guerra mondiale. Penso che questa prospettiva sia una necessaria introduzione a qualsiasi discorso riguardo la politica italiana con chi non ne sa abbastanza. Se il governo italiano non vi sembra adatto al mondo moderno, la spiegazione è molto semplice: anche il vostro paese farebbe lo stesso, se fossero i vostri nonni a essere al potere».
Oggi - Il resto della storia è facile da immaginare: il governo Prodi cade prima che il ddl Levi possa finire in discussione nelle aule parlamentari e i blogger tirano un respiro di sollievo. Se non fosse che Riccardo Levi, rieletto alla Camera in questa legislatura, presenta nuovamente la sua proposta di legge, e questa sia da una settimana in discussione in Commissione Cultura alla Camera. I blogger sono di nuovo in subbuglio, e fanno quadrato tentando di resistere nuovamente a un’avanzata che minerebbe la loro libertà. In un paese in cui l’anzianità della classe dirigente e la scarsa dimestichezza con la rete sono fenomeni completamente trasversali, c’è solo da incrociare le dita e sperare che non si debba assistere al passaggio dell’ennesima legge miope e senza precedenti in materia di internet. A opera - stavolta - di un deputato democratico.
* l’Unità, 15.11.2008.
12 Novembre 2008
Legge “Ammazzablog”: protesta giusta ma...* E’ un uragano di protesta contro “l’ammazza-blog”. Eccolo: un gruppo su Facebook “Salva i Blog, contro il disegno di legge anti blog alla Camera” che in tre giorni raccoglie più di 1000 iscritti e lancia una petizione. Un articolo-denuncia del sito specializzato Punto Informatico che riassume la vicenda e cita l’urlo del blog di Di Pietro che parla di “disobbedienza civile” se questa legge dovesse passare e già promette assistenza legale per i disobbedienti. C’è perfino chi rispolvera il meritato sberleffo del Times di Londra che l’anno scorso parlò di “geriatria” all’attacco dei blog nel sistema politico italiano, a quel tempo presidente del consiglio era Romano Prodi.
Il rischio è reale - Insomma c’è chi vuole - sostiene questo movimento - applicare ai blog quella forma di censura particolarmente odiosa che consiste nel registrarsi presso l’istituendo Registro deli Operatori della Comunicazione (ROC).
Basta conoscere un minimo la rete per capire che questo obbligo sarebbe deterrente per chiunque volesse mettersi ad esporre le sue idee su internet. E non è che ci sia da star tranquilli: in questo paese è stato condannato per “stampa clandestina” un blogger singolo, un privato cittadino, da un giudice che evidentamente guarda al mondo di oggi con gli occhi degli anni ‘30 e che ignora che un blog semplicemente non è un giornale ma una forma diversa e nuova di esercizio della libertà d’espressione.
Insomma l’aria non è buona e il senso di allarme dei blogger è motivato. Ma stavolta....
Uno pensa: un altro decreto con carattere d’urgenza che passerà a camere blindate? Un altro “graffio” alla costituzione tipo che se butti una lavatrice in strada a Torino ti multano e a Napoli ti sbattono in galera?
La libertà non muore in commissione VII - Non sembra che le cose stiano così: se si leggono con pazienza sia la premessa che l’articolato (sono 30 pagine, ebbene sì) della proposta di legge presentata in commissione VII dal deputato Levi, già collaboratore di Prodi, si vede che nel quadro di un disegno di legge molto ampio a un certo punto si esclude espressamente che l’obbligo di registrazione possa riguardare il singolo cittadino-blogger.
Il testo si può leggere sul sito della Camera , anche se va detto che lo stesso deputato aveva presentato nel 2007 un testo analogo in cui questa specificazione era assente, fatto che procurò un’ondata di proteste molto forte e assai giustificata.
La zona grigia - Il comma 3, nel quale Levi ha esentato i blogger singoli dalla registrazione, non esaurisce, secondo i suoi critici, il problema. Si fa presente che poiché la registrazione sarebbe richiesta a chiunque realizzi con un gruppo di lavoro e con continuità dei profitti anche minimi sulla rete (con Google adsense c’è chi guadagna 100 euro al mese), questo aspetto potrebbe frenare lo sviluppo di tutta quella vasta “zona grigia” che sta fra il semplice blogging e i notiziari: le raccolte di contenuti tematici, si è detto perfino le “barzellette”. E si teme comunque che il peso deterrente dell’obbligo di registrazione finisca per pesare sulla forma d autoaggregazione libera che i blog intepretano.
Registriamo anche l’Onda? - Se non è ancora chiaro il problema, pensate a cosa sarebbe successo se il movimento degli studenti di queste settimane avesse dovuto porsi, prima di esprimersi, un problema di registrazione del blog. E in effetti - e questo è parere di questo blog che state leggendo - l’idea di inserire internet dentro una sistemazione generale dei media è bizzarra, votata all’insuccesso e potenzialmente pericolosa per la libertà di espressione in questo paese. Anche perché ormai i “mezzi” di internet non sono solo i blog: cosa fareste con i gruppi su Facebook o con twitter?
Lasciare la rete fuori dalle “sistemazioni” generali sarebbe una buona e necessaria idea.
La libertà è una sola e la rete può pesare meglio - E però una cosa va detta anche al “movimento” che nasce in questi giorni.
In realtà il nocciolo della faccenda qui sta in parte nella rischio “diffamazione” e dall’altra nel rischio “soldi” - visto che il disegno di legge si occupa anche di “sistemare” un quadro di soggetti che potrebbero accedere a finanziamenti pubblici.
Ora stiamo al timore che qualcuno “ammazzi i blog”. Una proposta di legge non è un decreto che passa a camere blindate in sette giorni e nove minuti. Tra una proposta di legge in una commissione e un colpo di mano del governo c’è una differenza. Con il cammino istituzionale di un disegno di legge un’opinione pubblica nuova e informata può interloquire e far pesare la sua voce.
Ma a patto di capire qual è la posta in palio . Ora gran parte degli opinionisti della rete ha taciuto in modo paradossale quando sono state discusse le norme sulla diffamazione dov’era in ballo il carcere per i giornalisti. Facile capire perché: “quelle riguardano il mainstream” si è pensato. Questa idea che ci sia una libertà dei giornalisti e una dei blogger è cieca e non vede il pericolo reale, che oggi sta in un “metodo” di decisione che sottrae ad ogni pubblico esame la decisione politica. La libertà non muore in VII commissione.
E anche questo agitarsi senza mai leggere un testo originale, senza andare mai alla fonte, non è una gran botta di autorevolezza. Seguire una discussione istituzionale è noioso, certo, più facile firmare una petizione on line: poi siamo tutti più liberi. Con un click.
* SCENE DIGITALI di VITTORIO ZAMBARDINO, Mercoledì, 12.11.2008