Commento

L’inchiesta Why not traduce giuridicamente una realtà di commistioni e collusioni che in Calabria esiste da tempo. La Ndrangheta può essere battuta, ma solo se la società civile reagisce

venerdì 16 gennaio 2009.
 

Ho la netta impressione che fin qui non si sia colto - di là dal preciso accertamento delle responsabilità penali, che, in corso, spetta solo alla magistratura - il significato che ha per la Calabria l’inchiesta Why not.

Nel merito mi pare che, in generale, politica e stampa si soffermino ancora, seguendo la vecchia logica delle fazioni, sull’antitesi fra giustizialismo e garantismo, risalente alla dimenticata Mani pulite; come se ogni valutazione critica debba per forza ricondursi all’uno o all’altro schieramento. Ai Di Pietro e agli Sgarbi e Berlusconi, per esplicitare con noti riferimenti politici.

Per anni, l’Italia è stata «vittima», passi il termine, d’una riduzione di sé che è valsa a inasprire le tensioni sul tema della giustizia.

Oggi il quadro non è mutato, nonostante l’avvento della rete, che permette, ma ad una minoranza di utenti con specifiche conoscenze tecniche, di assumere ed elaborare le informazioni in circolo. Da un lato, c’è chi pensa che una pronta repressione serva a risolvere i problemi dell’amministrazione pubblica nazionale, in parte “deviata” dalla corruzione. Dall’altro, c’è chi ritiene che non siano ammissibili accanimenti di magistrati e giornalisti nei confronti d’un indagato od imputato, sino a sentenza definitiva. E la vigilanza etica della società civile a cui esortava Paolo Borsellino, dove la mandiamo?

Poi, ci sono le posizioni intermedie e le contraddizioni dell’uno e dell’altro fronte. Per esempio, sulla vicenda di Bruno Contrada, ex numero tre del Sisde, c’è chi respinge integralmente, nonostante la condanna in Cassazione, ogni riprovazione per la condotta del poliziotto; emersa, in vero, in tutte le sedi processuali. Parimenti, in vari dibattiti ritorna l’inquietante storia del presentatore televisivo Enzo Tortora, innocente, che a mio avviso rappresenta anzitutto la fallibilità della giustizia, fatta da - e per gli - uomini.

Riguardo all’operato dell’ex pm Luigi De Magistris, già titolare di Why not, la politica calabrese ha mantenuto sostanzialmente due posizioni: pro e contro. Con in mezzo risentimenti personali, a volte iperbolici e perfino grotteschi, di indagati di spicco; unitamente a una certa repulsione di derivazione ideologica, in seno all’antimafia, nei confronti dei collaboratori di giustizia - secondo il compianto giurista Federico Stella, che all’Università Cattolica di Milano insegnava Cesare Beccaria, «preziosi per scardinare intere organizzazioni criminali».

In un servizio giornalistico apparso sul quotidiano Il Sole 24 Ore del 13 gennaio, è riportata un’affermazione di Antonio Saladino, tra le principali figure dell’impianto d’accusa di Why not. Lo stesso Saladino, interrogato dalla Procura di Paola, che dell’inchiesta ha il filone dei finanziamenti Ue, ha definito le specie di movimenti oggetto di verifica come «ammortizzatore sociale». Sollecitata a procedere da Roberto Galullo, autore del pezzo, la Procura di Paola dovrà sentire nuovamente Saladino, che di recente sta pure rilasciando delle interviste alla stampa nazionale.

Stando a Il Sole 24 Ore, e indipendentemente dalla posizione di Saladino - che, parlando coi magistrati, ci ha comunque fornito del materiale significativo -, in Calabria c’è un sistema di clientele che giova in primo luogo a certa classe politica, permettendole di rimanere al suo posto, di cumulare i voti necessari a occupare posizioni strategiche di potere.

Lo stato delle indagini di Why not ci consente di concludere che l’inchiesta traduce una realtà preesistente, di cui forse siamo diventati più consapevoli per i racconti e gli echi della cronaca. Di solito, quando qualcosa è troppo evidente non si visualizza mai. E da noi le commistioni sono sempre state palesi.

Gli sprechi in Regione, datati e risaputi, gli innumerevoli distaccamenti amministrativi, la moltiplicazione degli uffici, la lunga incapacità di razionalizzazione delle risorse, l’assoggettamento a società private che gestiscono servizi essenziali e molti rapporti poco trasparenti fra pubblico e imprenditoria hanno piegato la Calabria e aumentato vertiginosamente l’emigrazione per lavoro. Chi resta deve contentarsi del «posticino», della sistemazione temporanea e improduttiva, in cambio del fatidico voto. E questo è un danno, prima che un dramma, soprattutto per i più giovani.

Tutto sommato, che in Calabria esistano o meno comitati d’affari coperti dall’esoterismo, come Agostino Cordova tentò di provare negli anni Novanta da procuratore di Palmi, non modifica le parziali risultanze di Why not sul sistema, tipicamente calabrese, di gestione della cosa pubblica.

Nel Nord ricco e organizzato, Tangentopoli svelò l’esistenza di rapporti consolidati fra industria, finanza e partiti. In Calabria non si può negare che tanta politica abbia lavorato, sistemando masse di questuanti e lobby di prenditori, per mantenere una condizione di sottosviluppo diffuso, funzionale alla propria sopravvivenza.

Invertire la rotta è possibile, ma solo prendendo atto del fenomeno, che sicuramente porta con sé il marchio made in Italy, ma che in Calabria ha assunto proporzioni molto più importanti. Basti pensare, ma deve essere confermata in giudizio, all’agilità con cui dirigenti del Comune di Crotone si sarebbero mossi per favorire il progetto “Europaradiso”, del miliardario israeliano David Appel, assieme a presunti affiliati alla ’ndrangheta.

È giunto il momento di rinunciare tutti ad ammiccamenti e favori e di cominciare a pretendere programmi concreti dalla politica. La giustizia farà il suo compito. Ma molto dipenderà dalla nostra società, che per ora è largamente familistica o, peggio, «sparente».

Emiliano Morrone

13 gennaio 2008

Questo articolo di commento, inviato a Il Quotidiano della Calabria, non è stato pubblicato dal direttore del giornale calabrese. La motivazione ufficiale, data all’autore, è che il pezzo contiene un riferimento a un altro articolo, pubblicato su un altro giornale. Si tratta dell’articolo di Roberto Galullo, pubblicato su "Il Sole 24 Ore" del 13 gennaio 2009 a pagina 15, al cui link si rinvia per opportuna conoscenza.

Sul tema Why not e dintorni, si consiglia vivamente la lettura dei seguenti articoli di Roberto Galullo:

1) L’interrogatorio di Saladino e le mosse di Mario Pirillo;

2) Lamezia: Mangiardi inchioda la cosca davanti al prefetto;

3)Napoletano a Lamezia alle prese con Iannazzo e Giampà;

4) Mangiardi, Spadaro e De Masi;

5) Catanzaro, Salerno, il balzo di De Magistris, Tommaso Loiero, suo fratello Agazio e la stampa cattivona;

6)Licio Gelli in tv, Massoneria, De Magistris e le dichiarazioni della parlamentare dell’Antimafia Angela Napoli.


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