Editoriale

Calabria, politica di mescolamenti, il paradigma della finzione nazionale

Il Sud che non capisce e gli elettori legittimano le conversioni dei pascià
venerdì 25 settembre 2009.
 

«Tutto poteva succedere, un imprevisto prevedibile e la mente si fa labile». Era una canzone d’amore, suonata elettronicamente e interpretata con trasporto e dolcezza dai 99 Posse, la voce femminile Meg, il rapper partenopeo Zulù.

L’Italia è il luogo privilegiato delle contraddizioni; specie in politica, forse la sede prima dei miracoli, in cui il possibile svanisce e l’impensabile s’avvera. Ci sono almeno tre nazioni nel Belpaese, il Nord, il Centro, il Sud. Ognuna con passo, coscienza, mentalità e costumi propri. E c’è l’altro Stato, che si contrappone a quello legalmente costituito o lo seduce e condiziona. La memoria è cancellata dalla rapidità dell’informazione e dalla potenza del marketing; una volta esistevano i giornali e il Carosello. Nel contesto, il Mezzogiorno e la Calabria s’allontanano dall’Europa, incapaci di affrontare la nuova Questione meridionale, collegata alla tenuta di remoti assetti ed equilibri politici, all’emigrazione progressiva, alla permanenza di assistenzialismo e clientelismo, all’espansione della ’ndrangheta, alla perdita delle risorse. Umane, culturali, ambientali.

Venerdì 18 settembre sarà presentata a San Giovanni in Fiore la «mozione Franceschini», del Partito democratico. Non senza la convinzione dei sostenitori che apra a un corso nuovo; specie in Calabria, in largo governata alla giornata e priva d’una classe dirigente libera, d’una ferma idea di sviluppo.

I relatori saranno Marco Minniti, viceministro dell’Interno nella passata legislatura; Attilio Mascaro, assessore all’Urbanistica del Comune di San Giovanni in Fiore (Cs); Mario Pirillo, parlamentare europeo e già assessore regionale all’Agricoltura; Salvatore Procopio, dirigente, dimesso, del dipartimento che faceva capo a Pirillo; Nicola Adamo, ex vice del governatore calabrese Agazio Loiero; Franco Laratta, deputato della Repubblica. Mascaro era tra i collaboratori di Mario Oliverio, presidente della Provincia di Cosenza ora per Pierluigi Bersani, candidato alla guida del Pd nazionale. Pirillo fondò il Partito democratico meridionale con Loiero, oggi pro Bersani. Enza Bruno Bossio, moglie di Adamo e da tanto ai vertici del partito, sta con Bersani. Nei governi D’Alema, il quale porta Bersani, Minniti fu sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Laratta sarebbe, gli scrivono dai gruppi su Facebook, una speranza di rinnovamento; anche alimentata dalla presenza in commissione parlamentare Antimafia, dalla quale è presto uscito, lasciando il posto a Walter Veltroni.

Proprio Laratta, che, giovane, propone e comunica, si trova adesso nella posizione di maggiore imbarazzo. Pirillo e Adamo hanno una storia di procedimenti giudiziari che, di là dagli esiti, si ripercuote significativamente sulle azioni del partito e delle correnti interne.

Visto il quadro - con analogie e fotocopie ovunque e nell’altro polo - si può solo ribadire, e con amaro distacco, che rimpasti e mescolamenti prevalgono sulla necessità d’una svolta vera; soprattutto qui, dove la disoccupazione mortifica la storia e le potenzialità d’una terra ricca, saccheggiata, spopolata. Sembra quasi che di stagione in stagione i partiti, ecco la finzione politica, elaborino un nucleo teorico di valori e ideali, attuabile in concreto da figure, i soliti, a cui gli elettori concedono il diritto di ripensamento, conversione, rappresentanza.

Con strategie dall’alto, i partiti badano a loro stessi e determinano la politica in modo artificioso, trascurando la base. Perlomeno, non realizzano mai le riforme di cui hanno bisogno: pulizia, moralità, ricambio, a favore dell’emancipazione della società. Nei partiti, c’è sempre un rapporto inconcepibile tra centro e periferia, sedi romane e regionali, locali, in virtù del quale s’invera una sorta di coincidenza degli opposti, il vecchio con l’emergente, il transfuga col motivato. Uomini diversi e distanti si ritrovano gomito a gomito a promuovere percorsi politici improbabili, fittizi, spesso dettati da mere scadenze elettorali. Questa forzatura nuoce anzitutto al Sud e ai suoi angoli più depressi. E tale è San Giovanni in Fiore, che detiene il primato italiano di emigrazione e disoccupazione, davanti al quale dovrebbero cadere le smentite, sfacciate, di chi marcia nella conservazione.

Dal 24 al 26 settembre, si terrà nella città il congresso internazionale su Gioacchino da Fiore, dedicato alle sue figure. Verranno studiosi, solo di riferimento cattolico, persino dall’estero. Il 25, Veltroni, mozione Franceschini, presenterà il suo ultimo libro, “Noi”. Il 26, Nicola Piovani, Oscar per le musiche del film “La vita è bella”, suonerà presso il teatro all’aperto dietro l’Abbazia florense; ancora ingabbiata e in parte sequestrata dalla Procura della Repubblica di Cosenza, per insicurezza statica e presunti danni - durante il restauro finanziato dall’Unione europea - dei tecnici scelti dal Comune e del responsabile unico del procedimento.

Riccardo Succurro, presidente del Centro studi gioachimiti ed ex sindaco diessino di San Giovanni in Fiore, ha dichiarato alla stampa che il congresso è un «evento mondiale». Certamente è un appuntamento internazionale, ma dovrà esserlo per San Giovanni in Fiore e il suo futuro, senza partigianerie e furbate di partito. Avrà i saluti rituali di Laratta, di Oliverio e del consigliere regionale Antonio Acri (Pd), originari del posto. In concomitanza, il Comune ha previsto una lettura della Divina Commedia in abbazia; bene.

Nei giorni del congresso, si potevano evitare iniziative riconducibili a una parte politica. È probabile che né gli accademici invitati né Veltroni e Piovani sappiano dell’abbandono in cui versa il monumento più importante della spiritualità gioachimita, per cui l’amministrazione municipale ha scaricato integralmente sulle soprintendenze; senza spiegare, mostrando le carte, la vicenda della nomina dei direttori dei lavori. Il caso dell’Abbazia florense, mostruosamente imprigionata dentro un’impalcatura e mai restituita alla sua funzione e alla città, è un’onta collettiva che non si può nascondere con lo spettacolo o, mai accada, l’occupazione partitica di spazi culturali.

Vigilerà qualcuno?

Pasolini chioserebbe: «L’intelligenza non avrà mai peso, mai nel giudizio di questa pubblica opinione. Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai da uno dei milioni d’anime della nostra nazione, un giudizio netto, interamente indignato: irreale è ogni idea, irreale ogni passione, di questo popolo ormai dissociato da secoli, la cui soave saggezza gli serve a vivere, non l’ha mai liberato».

Emiliano Morrone

già su il Crotonese del 18 settembre 2009, a pag. 33


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