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Quella domenica delle Palme in cui Vattimo sedette nella chiesetta del quartiere Olivaro, a San Giovanni in Fiore. La cristianità di un gay e il satanismo di virili massoni della politica

domenica 16 marzo 2008.
 

La memoria mi aiuta. Curiosità diffusa, occhi puntati come l’obiettivo d’una telecamera. Infiniti piani sequenza.

Vattimo entrò con me a San Domenico, la piccola chiesa del quartiere Olivaro; abbandonato dalla politica. Dietro c’erano tutti i ragazzi del gruppo "Vattimo per la città".

Domenica delle Palme, coro in gran forma. Don Carlo, un prete di periferia attivo e simpatico, che rivolge un saluto a Gianni Vattimo, "filosofo di fama internazionale". "Benvenuto professore, benvenuto nella nostra parrocchia". E un "Alleluia" prolungato e infine acuto.

Quel giorno Gianni fece la comunione. Pregò a voce bassa, quasi seguendo la celebrazione del don, decisa, con tono forte e parole scandite.

Un’immagine irripetibile, che davvero rievocava in qualche modo l’ingresso trionfale di Cristo, figlio di Dio ma anche uomo politico.

Non accadrà più: un cristiano, maestro del pensiero più cristiano del presente, in una comunità emarginata ma vigorosa nella fede. L’incarnazione del pensiero debole fra i più deboli della Calabria, soggiogati da professionisti del sistema clientelare e da spudorati membri di sette masso-mafiose, dedite a ogni sorta di raggiro pur di mantenere il potere e scacciare ribellione e rivolta.

Nei giorni precedenti, c’era stata la commedia grottesca del "filosofo diavolo", andata in scena in un’altra chiesa con l’orazione del padre Marcellino, cappuccino catto-comunista col vizietto del patto, dell’accordo bonario col potere.

Con quel potere che Vattimo lo ha temuto così tanto da screditarlo all’elettorato locale con l’annuncio porta a porta: "E’ arrivato il frocio, non l’ombrellaio".

Davvero c’era Gesù, lì, dentro la Chiesa di san Domenico. Mai come quel giorno ne ho avvertito la presenza e sono stato convinto della sua esistenza, non solo storica.

Come in un sogno, però, tutto svanì presto; grazie alla disonestà intellettuale e morale di diabolici servitori del Male.

Ricordo lo spirito truffaldino di rappresentanti di partito davanti alle schede elettorali, rapaci e capaci nella protesta, nel pretendere scenicamente l’assegnazione del voto ai loro big, piuttosto che al simbolo innocente, Vattimo, d’un programma elettorale vero, fattibile, umano.

Quello fu l’ultimo treno perso da San Giovanni in Fiore (Cs), l’ultimo comune dell’Europa unita, quello in cui la mafia è palmare, e proprio per questo non avvertita.

A dispetto, purtroppo, della sua storia, di "san" Gioacchino da Fiore, della sua natura e dei suoi tanti cittadini onesti sparsi per il mondo od obbligati al silenzio.

Emiliano Morrone

Roma, 16 marzo 2008


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