Editoriale

Why not, gli eroi tv e la ripresa della Questione meridionale

sabato 5 ottobre 2013.
 

Tutti assolti. La Cassazione ha archiviato Why not, stabilendo la verità giudiziaria.

Indirettamente seguiranno, in ordine sparso: il ritorno politico di Agazio Loiero, un ricupero di punti per Comunione e Liberazione e la caduta dell’eroismo accreditato all’ex pm Luigi de Magistris, sindaco di Napoli.

Qualcuno ricorderà d’aver già bollato l’inchiesta come film nel film, come riprova dell’inefficienza o politicizzazione della magistratura. Quel fronte può adesso incassare; pur se il tema della giustizia è declinato con estrema pochezza: ridotto a scontro fra le parti politiche, ciascuna col suo credo interessato.

Alle manifestazioni in Calabria e a Roma io c’ero, ancora ragazzino. Avevo un altro giudizio sulle cose, quando il Csm si occupò di de Magistris e in sua difesa firmammo in centomila. Tendevo a dividere la società in buoni e cattivi, santi e demoni, pensando che vi fosse una sfida permanente tra gli uni e gli altri, sempre distinti.

Così il pm di Why not incarnava ai miei occhi l’erede di Paolo Borsellino; molta stampa lo aveva dipinto in questi termini. Saviano aveva scritto Gomorra, che iniziava a diffondersi come testo del coraggio, della riscossa. In Calabria Aldo Pecora e Rosanna Scopelliti rappresentavano, secondo i media, la reazione dei figli di una terra marginale, schiacciata da una corruzione politica spaventosa, dedotta dagli inquisiti in consiglio regionale.  

Il 2007 fu l’anno zero in Calabria: tutto sembrava scosso, agitato da un’onda legalitaria di grandi speranze, da un fermento morale inusitato, da una solidarietà sociale che pareva superare, per intensità e potenza, quella meccanica che caratterizza gli ambienti inquinati, i posti di mafia, ’ndrangheta e camorra.

Michele Santoro raccontava questo fenomeno civile, ne rimarcava con le telecamere ben orientate gli aspetti più emozionali, struggenti, televisivamente redditizi. Ricordo, in proposito, la copertina di Annozero col pianto di una ragazza del liceo classico di Catanzaro e la domanda, a singhiozzi, «per chi dobbiamo votare?». Successe che quella domanda, apparentemente circoscritta e fugace, esprimendo un senso di debolezza e inquietudine si trasformò in una ricerca collettiva del messia, con la solita certezza di trovarlo fuori regione.

L’idea preminente era che il territorio fosse ormai compromesso, che non esistesse figura o gruppo in grado di piegare il malaffare; sia per i noti rapporti fra clan e politici, sia per la dipendenza di tanti calabresi dai circuiti di palazzo, che - fece emergere Why not - controllava in largo il mercato del lavoro.

Il popolo identificò il magistrato ostacolato dal potere con il candidato ideale, dunque il meccanico che poteva cambiare i pezzi della burocrazia e restituire la Repubblica allo Stato. Per questo, de Magistris incassò una marea di voti alle elezioni europee del 2009.

In secondo luogo, la cultura antimafiosa fu degradata a discorso nel salotto televisivo, di cui - tra una chiacchiera e una risata, tra lacrime e ammiccamenti - il sistema si servì per creare dei simboli di una lotta civile priva di pensiero, abili a negoziare la parte in cambio di sbocchi futuri.

Oggi quel popolo delle centomila firme calabresi è sepolto da un pezzo. Ognuno si è ritirato nel suo privato: nella propria quotidianità, nella propria rassegnata delusione, nel bisogno di sopravvivenza economica e psicologica. Capisco che non si poteva continuare senza un coinvolgimento vero; so bene che la sconfitta si digerisce nel tempo e lascia sempre ferite nella carne.

La verità, di là dalla pronuncia della Cassazione su Why not, è che in Calabria non abbiamo saputo elaborare l’alternativa politica a un potere che ha prodotto subordinazione, disoccupazione ed emigrazione.  

Credo che da qui si possa ritentare l’unità tra le voci dell’impegno civile calabrese. Tuttavia, serve un forte denominatore comune, inevitabilmente altro dall’antimafia che abbiamo espresso, limitata al racconto di usi e costumi criminali, senza soluzioni per il degrado e lo spopolamento.

Il punto di partenza, ne sono fermamente convinto, è la ripresa politica - nella sua attualità - della Questione meridionale, accompagnata dall’acquisto e dalla promozione di prodotti locali. Dobbiamo puntare sulle risorse calabresi, anche artistiche, culturali e intellettuali.

È fondamentale rivolgere lo sguardo all’interno e imparare a dire della nostra terra. Possiamo esportare una cultura della libertà e dell’emancipazione elaborata in Calabria, sostenuta da noi stessi, dai nostri giornali, dalle nostre tv. Senza i programmi del Nord, i loro vecchi silenzi, i loro eroi dell’audience.

Emiliano Morrone

Pubblicato su Il Quotidiano della Calabria del 4 ottobre 2013, a pagina 17.


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