’NDRANGHETA: quando i politici non applicano le sentenze definitive - bandiera nera di LEGAMBIENTE al sindaco Vallone

Crotone, Parco archeologico: il sindaco e le confische mancate

’NDRANGHETA: Per la fondazione Odyssea dell’ex presidente della Provincia, Sergio Iritale, dopo due ispezioni ministeriali bocciato l’accordo con la Soprintendenza archeologica
domenica 5 luglio 2009.
 

fotografia di Francesco Saverio Alessio, 1986

CROTONE - C’è anche il sindaco Peppino Vallone nell’elenco di Legambiente sugli amministratori locali “che si sono distinti per azioni od omissioni ai danni dell’ambiente marino e costiero”. Al primo cittadino, ancora alle prese con i postumi della sconfitta elettorale, in occasione del passaggio della ‘Goletta verde’ in programma il 17 luglio prossimo per il consueto monitoraggio delle acque di balneazione, Legambiente consegnerà la ‘bandiera nera’, il vessillo che ogni anno assegna a coloro che si rendono colpevoli o complici di illegalità ai danni delle coste e del mare, attribuendogli la qualifica di ‘pirati del mare’.

Ma cosa ha fatto Vallone per meritarsi una così poco nobile onorificenza?

Legambiente lo tira in ballo per la vicenda delle costruzioni abusive nel parco archeologico sul promontorio Lacinio, che a due anni dalla sentenza con la quale la Corte di cassazione ne ha ordinato la confisca, non sono state demolite.

Al sindaco viene attribuita la responsabilità della “grave inerzia sul fronte del ripristino della legalità a Capo Colonna, dove trentacinque manufatti abusivi permangono indisturbati, nonostante una sentenza della Cassazione dopo un iter giudiziario cominciato nel 1995, e impediscono lo sviluppo dell’area archeologica”, spiega la motivazione contenuta nel rapporto ‘Mare monstrum’, il dossier con il quale l’associazione ambientalista rende noto ogni anno i numeri delle illegalità sui litorali della Penisola.

Un iter giudiziario lungo tredici anni

La vicenda giudiziaria degli immobili abusivi a Capo Colonna ha inizio nel 1995 quando il pretore dell’epoca dispone il sequestro di trentacinque manufatti, tirati su nel corso degli anni senza che qualcuno si accorgesse di qualcosa, nonostante il via vai di mezzi pesanti e muratori.

Da quel sequestro scaturisce un processo penale con l’accusa di lottizzazione abusiva che va avanti per oltre otto anni. Nel febbraio 2004 arriva finalmente la prima sentenza, emessa dal giudice monocratico Armando Dello Iacovo, nei confronti dei trentacinque imputati: cinque vengono assolti, quattro sono nel frattempo deceduti, gli altri vengono prosciolti perché il reato si è prescritto.

La sentenza riconosce comunque che quelle trentacinque costruzioni sono state edificate abusivamente e dunque devono essere confiscate.

A marzo del 2006 il processo approda davanti ai giudici della Corte d’appello i quali, tuttavia, non possono che confermare l’inammissibilità dei ricorsi proposti dai difensori dei proprietari degli immobili, per effetto della ‘legge Pecorella’ che abolisce il ricorso in appello di fronte a sentenze di assoluzione o alla dichiarazione di prescrizione.

Ai proprietari non rimane che ricorrere in Cassazione, ma anche in quella sede i ricorsi vengono rigettati e diventa definitivo ed efficace a tutti gli effetti il provvedimento di confisca emesso dal giudice monocratico.

Dalla pronuncia della Suprema corte sono trascorsi oltre due anni e quelle costruzioni sono ancora al loro posto, mentre sulle vicende del parco archeologico, tagliato in due dai manufatti confiscati, è caduto un silenzio inquietante.

“Niente da fare”, aggiunge Legambiente. “Nonostante l’ordine di confisca della Corte di cassazione, il Comune di Crotone non alza un dito e i trentacinque manufatti abusivi che sfregiano l’area archeologica di Capo Colonna sono ancora lì (...) la vergogna di cemento, fatta di villette, condomini, scalinate a mare e cortili, che impedisce il completamento del parco archeologico, resta intatta e la possibilità di ottenere un cospicuo finanziamento per trasformare Capo Colonna in un importante centro archeo-turistico si allontana”.

“Le ‘bandiere’ quest’anno sono state assegnate dopo aver vagliato i casi di abusi edilizi sui quali gli Enti locali, non essendoci più intoppi di natura burocratica, potevano intervenire ma non l’hanno fatto”, rincara la dose Antonio Tata, responsabile del circolo Legambiente Crotone.

“Simbolicamente - aggiunge Tata - la ‘bandiera nera’ è stata assegnata a tutte le istituzioni che si sono defilate da questa vicenda, come il ministero per i Beni e le Attività culturali che, attraverso la Soprintendenza archeologica della Calabria, avrebbe dovuto scendere in campo in prima persona perché quelle aree e quei manufatti abusivi sono destinati allo Stato, a maggior ragione dopo la sentenza della Suprema corte”.

Il promontorio alla mercè di chiunque

Dopo l’attivismo dell’ex soprintendente Elena Lattanzi che insieme al Comune avviò i primi espropri, da anni su Capo Colonna è sceso uno strano silenzio. Un silenzio che ha favorito operazioni ancora più strane.

Come l’acquisto, da parte della Provincia, di villa Berlingieri, nel momento in cui l’immobile doveva essere espropriato ad un prezzo di molto inferiore a quello sborsato dall’Ente intermedio: un precedente molto pericoloso per gli espropri che ancora mancano all’appello.

O il tentativo della Provincia di realizzare un attracco per i natanti nei pressi della spiaggetta di Cicala, con tanto di base in calcestruzzo tra gli scogli, per fortuna bloccato sul nascere dalla Capitaneria di porto dopo la denuncia apparsa su questo giornale.

Oppure il blocco dei lavori per il completamento del Parco archeologico che rischia di perdere gli ultimi cinque milioni di finanziamento. Ed ancora la bocciatura da parte della Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici delle nuove passerelle in legno (legno non cemento armato come l’attracco di Cicala) che avrebbero dovuto collegare l’area sacra del tempio con gli scavi dietro il santuario mariano, liberando il promontorio dal muro di cinta di casa Sculco per allungare il belvedere sul mare.

Oppure il tentativo di consegnare le chiavi del promontorio alla fondazione Odyssea dell’ex presidente della Provincia, Sergio Iritale, poi abortito dopo due ispezioni ministeriali che bollarono l’accordo con la Soprintendenza archeologica, retta in quel momento dal duo Zarattini-Prosperetti, come palesemente illegittimo.

Infine il tentativo di spostare altrove il nuovo santuario di capo Colonna, finanziato dalla Regione ed in predicato di sorgere (guarda caso) in parte sull’area occupata da alcune delle costruzioni abusive confiscate, di proprietà della famiglia Grande-Aracri di Cutro, tentativo portato avanti alla vigilia delle elezioni comunali del 2005 dalla segreteria cittadina di Forza Italia.

ilcrotonese.it


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