Il laboratorio di produzione culturale antimafia La Voce di Fiore solidale con la famiglia di Beppe Alfano

L’8 GENNAIO PER RICORDARE BEPPE ALFANO A BARCELLONA POZZO DI GOTTO

Beppe Alfano uno degli otto giornalisti assassinati dalla mafia in Sicilia
venerdì 8 gennaio 2010.
 

Commemorazione di Beppe Alfano, il cronista che denunciò gravi anomalie subendo per questo pesanti minacce finché non venne ucciso dalla mafia l’ 8 gennaio del 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina.

Il programma della commemorazione, per il 17° anniversario dall’uccisione di Beppe Alfano, prevede il raduno alle ore 15.30 in Via Marconi dove si trova la targa commemorativa.

Successivamente, i partecipanti marceranno da via Marconi verso i locali della vecchia stazione ferroviaria, in via Medaglia d’oro Stefano Cattafi, dove si svolgerà un incontro pubblico al quale parteciperanno, con il presidente dell’Associazione nazionale familiari vittime di mafia e figlia del giornalista Sonia Alfano, l’avvocato Fabio Repici, il leader dell’Italia dei Valori On. Antonio Di Pietro, Salvatore Borsellino, Gioacchino Genchi e il senatore del Pd Giuseppe Lumia, già presidente della Commissione parlamentare Antimafia e attualmente componente dello stesso organismo bicamerale.

La diretta della giornata per il grande Beppe Alfano

Giuseppe Aldo Felice Alfano detto Beppe, è stato un giornalista, professore e politico italiano nato ed ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. E’ uno degli otto giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia.

Più volte definito come un "cane sciolto", Alfano fu un vero e proprio segugio del giornalismo italiano e le sue inchieste, tanto scomode quanto azzeccate e fastidiose per i poteri deviati, lo portarono a perdere consapevolmente la vita l’ 8 gennaio del 1993.

Di orientamento politico di estrema destra, aderì ad Ordine Nuovo confluito poi nel Movimento Sociale Italiano, collezionando anche una espulsione dal partito nel quale militava per aver denunciato connivenze, silenzi ed atteggiamenti deprecabili di vario tipo di alcune cariche dell’ MSI. La sua attività politica lo portò ad abitare in diverse città d’Italia per fare poi ritorno nella sua terra natale, Barcellona Pozzo di Gotto.

Oltre che alla passione politica, si dedicò anche alla sua attività di insegnante di educazione tecnica presso la scuola media della vicina Terme Vigliatore ed al giornalismo.

Fu infatti corrispondente del quotidiano "La Sicilia" come cronista giudiziario per le vicende riguardanti la provincia di Messina, un territorio interessato in quel periodo da una sanguinosissima guerra di mafia e da sempre definito, erroneamente, una "provincia babba", inetta, stupida, per la presunta mancata capacità della criminalità locale di organizzarsi per sfruttare i grandi flussi di denaro. In realtà il sistema Messina definito dalla commissione antimafia presieduta da Nicki Vendola come un "Verminaio", è una macchina perfettamente collaudata che coinvolge tutti i livelli della vita cittadina e che destina il territorio a luogo di latitanza dorata per i super boss oltre che a stabile punto di incontro tra i poteri leciti e quelli illeciti. Non a caso Messina è la città con il più alto numero di logge massoniche di tutta Italia.

Beppe Alfano, conscio di questo sistema criminoso, denunciò le gravi anomalie del sistema Messina subendo per questo gravi minacce.

La sera dell’ 8 Gennaio del 1993, di ritorno dall’ ospedale nel quale la moglie, Domenica Barbaro, lavorava come infermiera, si fermò davanti casa e dopo aver fatto entrare la moglie in casa intimandole di chiudersi dentro, riparti alla volta di qualcosa o qualcuno che aveva attirato la sua attenzione. Fu ritrovato poche ore dopo, vicino casa, nella sua auto, con il finestrino abbassato, segno evidente che stesse parlando con qualcuno. Il suo corpo esanime presentava tre colpi di piccolo calibro. Uno sulla mano, evidentemente provò d’istinto a parare il colpo, uno al petto, uno sulla tempia destra e l’ultimo in bocca. Beppe Alfano doveva tacere e quell’ultimo colpo fu la firma che la mafia lasciò sul suo cadavere.

Le inchieste giornalistiche condotte da Alfano furono molte e si crede, ragionevolmente, che non abbia avuto il tempo di ultimarle tutte. Alfano era certamente venuto a conoscenza di qualcosa di inquietante, qualcosa che non doveva essere svelato, qualcosa che andava nascosto a tutti i costi e che portò la mafia barcellonese a decidere la sua eliminazione fisica.

La notte dell’omicidio, i Servizi Segreti Italiani, fecero irruzione in casa del giornalista sequestrando di soppiatto tutti i carteggi ed i documenti raccolti da Alfano. Il suo computer, esaminato soltanto un decennio dopo la sua morte, risultò manomesso svariate volte nel corso degli anni. Dei documenti così come del contenuto del suo computer non si ha pià traccia.

Le piste che gli inquirenti intrapresero dopo la sua morte furono molteplici e molte delle quali possono essere definite veri e propri depistaggi a mezzo istutuzionale.

Fu financo detto che Beppe Alfano fosse un viveur e che il suo omicidio fosse da ricollegare alla pista passionale. Sugli altri depistaggi, per rispetto alla famiglia ed al giornalista, non scriverò nulla poichè le voci e le supposizioni, sapientemente fatte circolare dalla mafia locale, sono tanto infamanti quanto assurde ed infondate. Ma questa è una consuetudine mafiosa ben conosciuta alle cronache. Quando l’eliminazione fisica non basta per spazzare via il pensiero di un uomo si prova ad infangarne la memoria.

E’ andata così per ognuno degli otto giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia. Peppino Impastato fu "suicidato", Cosimo Cristina si sucidò anch’egli perchè "era depresso", Pippo Fava era un "puttaniere", e cosi discorrendo omicio dopo omicidio.

Oltre alle piste improbabili, come quella passionale, si seguirono anche delle strade che riconducevano alle inchieste pubblicate da Alfano.

Il giornalista di Barcellona Pozzo di Gotto, tra le tante inchieste svolte, aveva ad esempio smascherato un’enorme truffa ai danni dell’Unione Europea attorno alla quale gravitavano gli interessi di Nitto Santapaola ed un sistema di assunzioni di amici e parenti di boss all’interno dell’ AIAS, l’associazione di assistenza ai disabili. Fu il presidente di quest’ultima associazione ad invitare calorosamente Alfano a smettere di svolgere la sua attività giornalistica e sempre quest’ultimo diede al giornalista l’annuncio della sua morte: "Alfano, tu al 20 di gennaio non ci arrivi".

L’ iter giudiziario che avrebbe dovuto fare chiarezza sulla sua morte si è fermato alla condanna dell’esecutore materiale, Antonino Merlino e del mandante Giuseppe Gullotti. Durante il corso dell’iter processuale sono stati assolti o archiviati diversi personaggi, sulle cui responsabilità non è mai stata fatta piena luce. Maurizio Avola, ex sicario di Cosa Nostra e collaboratore di giustizia, reo confesso di ben 80 omicidi tra cui quello di un altro giornalista siciliano, Pippo Fava, e coinvolto nelle stragi del 92, ha parlato agli inquirenti anche dell’omicidio Alfano. Secondo il pentito: "Beppe Alfano sarebbe stato ucciso da Cosa Nostra perché aveva scoperto che, dietro il commercio degli agrumi nella zona tirrenica messinese, si nasconderebbero gli interessi economici della Santapaola e d’insospettabili imprenditori legati alla massoneria. "Il vero mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, si chiama Sindoni, è un grosso massone [...] Sindoni è un potente massone che conosce tutta la magistratura, quella corrotta logicamente: ha importanti amicizie al Ministero e un po’ ovunque. Poi, sempre parlando di soldi, tantissimi giri di soldi insieme ai Santapaola, ai barcellonesi, ai messinesi, nel traffico delle arance. L’omicidio Alfano scaturisce perché il giornalista aveva capito chi era il vero boss nella sua zona e che amicizie avesse questa persona, un vero intoccabile. Il periodo non era quello giusto per fare quest’omicidio, però chi era il personaggio gli si doveva fare (non si poteva dire di no, ndr)".

In seguito il pentito dichiarerà di aver reso dichiarazioni soltanto sulla figura di Giuseppe Gullotti, ritrattando di fatto il resto delle cose dette. E’ proprio Avola a rivelare agli inquirenti che Beppe Alfano aveva scoperto che il super boss Nitto Santapaola si nascondeva proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, in via Trento, a pochi metri dall’abitazione del giornalista.

"La verità su Alfano? - ha dichiarato ancora il pentito - Gli inquirenti hanno puntato tutto sulla gestione dell’Aias, sbagliando. Lo dico perché in un primo tempo dovevo preparare proprio io il suo omicidio e quello di Claudio Fava. Marcello D’Agata mi bloccò dicendomi che, per Alfano, ci avrebbero pensato i barcellonesi, Pippo Gullotti e Giovanni Sindoni. Anche i killers sono del luogo. Due. [...] Esiste una ’superloggia’, una sorta di nuova P2 che ha deciso certe cose in Italia. Non ho raccontato questa verità ai giudici di Messina, proprio perché sapevo che Giovanni Sindoni è amico d’alcuni magistrati corrotti".

dal sito http://www.familiarivittimedimafia.com/

Il laboratorio di produzione culturale antimafia La Voce di Fiore esprime tutta la sua solidarietà alla famiglia di Beppe Alfano e si riconosce nella sua grande battaglia per la giustizia


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