La ’ndrangheta della Locride ha realizzato da decenni in Piemonte una vera e propria politica di espansione e colonizzazione dei territori del Nord Italia, tramite la creazione di "locali", cioè di gruppi criminali affiliati.
Ciò emerge dalle dichiarazioni rese dal pentito Rocco Varacalli, oggi riportate su La Gazzetta del Sud. Il pentito ha spiegato alla Dda di Torino come le ’ndrine operanti nel comprensorio di Platì e Natile di Careri (RC) si siano insediate nel Piemonte ed abbiano realizzato l’identica struttura di ’ndrangheta del paese di origine.
"Dalle dichiarazioni del pentito emerge un particolare interessante - scrive La Gazzetta - la circostanza che l’attività di traffico di droga era strettamente ancorata al coinvolgimento di soggetti che la praticavano in seno alle ’ndrine di Platì e di Natile di Careri. Solo questi soggetti avevano la possibilità di accedere ai canali di approvvigionamento di consistenti quantitativi di cocaina".
Varacalli sottolinea che "proprio la struttura gerarchica caratteristica della operatività delle ’ndrine, dunque, era alla base dello svolgimento delle attività di traffico di sostanze stupefacenti; ma soprattutto, la riconducibilità di queste strutture alle ’ndrine rappresentava la credenziale per poter svolgere questa attività". "Ma se il meccanismo di operatività era collaudato - continua La Gazzetta - certamente spietata era la legge operante, legge che conduceva a punizioni drastiche in caso di violazione delle regole. Esempio assai significativo il contrasto tra Pasquale Marando e i propri cognati, facenti riconnesso alla gestione dei proventi del traffico di sostanze stupefacenti. A causa dei contrasti, secondo il collaboratore di giustizia, Marando non aveva esitato a eliminare i propri cognati cadendo poi vittima della ritorsione degli altri congiunti. Dunque, regole spietate e intransigenti che garantivano alla struttura una sopravvivenza sia alle logiche individualistiche interne, sia agli interventi posti in essere dalle forze dell’ordine".
Aldo Pecora