Una storia fantastica da divulgare

Contea di Ulùla, nello Stato estero della ’ndrangheta. Eletto Brachicefalo. I "deboli" non si inchinano

giovedì 2 luglio 2009.
 

Questa sotto è una storia inventata, al cui cospetto anche il famoso libro che contiene il verso «arma virumque cano» appare rigorosa cronaca di eventi.

Il testo che segue, dedicato con stima all’amico e collega Paride "Il ciromista", può girare dappertutto. Divulghiamolo liberamente, sapendo che nessuno potrà mai querelarci, non essendoci riferimenti a luoghi e personaggi reali. In particolare, pubblicandolo sui blog impegnati, offriremo al lettore, qualunque sia la sua provenienza, degli spunti per la lotta alle mafie e al malaffare, che si possono vincere con la parola e la creatività. Vi chiediamo solo di far girare il più possibile questo scritto, convinti che ciò sia particolarmente utile. Anzitutto ad allargare la coscienza sulle priorità politiche.


Persino i peggiori cedono. L’eletto è di regola riverito, pure da chi, con ostinata opposizione, non l’ha portato e votato.

A volte, l’opportunismo è perfino naturale; c’entra Darwin. Conviene il mea culpa, bisogna dare l’impressione di pentirsi, come folgorati dal nuovo capo, la cui legge è impietosamente nei numeri.

E’ d’uopo fingere. Occorre recitare, imparare a strisciare come serpi, giacché inginocchiarsi è insufficiente e può svelare i veri intenti. Per un problema di postura, di colonna vertebrale, di scarso controllo dei muscoli facciali.

E’ assurdo avversare i cavalli di razza; è un gioco al massacro, illogico, inutile, rovinoso. E’ stupido farlo, se è verosimile che vincano. Ma è da pazzi seguitare, se questi, scelti dal popolo, prima entità metafisica, sono giunti al potere in tripudio. Salvo che, per ulteriore perversione, non si voglia attenderne l’investitura ufficiale, prima di cambiare i connotati.

Noi siamo più che peggiori, siamo "pessimi", "osceni", citando per Bene; irriverenti. Va detto, non abbiamo né capo né, soprattutto, coda. Per cui non possiamo abbassare questa appendice animale, pur volendo. La vita ci ha ridotti a cani da guardia, con le orecchie appuntite, rabbiosi, uno spoilerino all’osso sacro, forse minuscola antenna satellitare.

Dunque, consapevoli dei nostri limiti anatomici e cerebrali, diremmo pure biochimici, proseguiamo alla stregua di kamikaze; evitando la sottomissione di rito - ai margini per altri anni, in cui governerà Brachicefalo. Egli è l’eletto, l’Illuminato della Contea di Ulùla, luogo del possibile e dell’improbabile, nello Stato estero della ’ndrangheta. A scanso di equivoci, scriviamo Stato con la maiuscola per non significare "condizione".

Brachicefalo, personaggio di mera fantasia creato da penne di elettronico qualunquismo, ha passato il turno, battuto l’avversario a furor di popolo. Sicché sono iniziate le danze, come sempre: tir e uomini fumanti nelle strade di Mànnara, in cui la gente brama scure e Boia come fossero cibo. Tanto rumore e sudiciume, volantini, cartelli, striscioni e cartacce sparsi in terra. Passerà qualcuno a raccattarli, magari non pagato, e finiranno in una nuova, mirabolante discarica; un’idea di Brachicefalo, dominatore incontrastato, al di sopra della Cupola.

C’erano tutti alla festa della notte, la prima d’una lunga serie, sicuro l’esito dell’adunata. Tirapiedi e lustrascarpe, attacchini e piattole, fellatori e "lingue allenate a battere il tamburo". C’erano gli efebi e i gradassi, gli usurai e i crapuloni, i ruffiani e i prenditori, gli scribacchini e i pasticcieri, i venduti e gli ominicchi. C’era il meglio d’una minoranza rupestre, amante di obbrobbrio e sodomia. Sì, perché in tutta la nazione, da "Addah" a "Rio Tada", la filo-sofia è stata identica: schifare i cittadini per eleggere gli schifosi.

Così, per l’ultimo voto, nello Stivato dell’indecenza periodica s’è giusto pronunciata la minoranza; stando "alta sui naufragi", cioè in dissenso, la maggioranza degli aventi diritto.

Nelle altre contee dell’Itanta, è avvenuto uguale: i baroni sono andati a palazzo coi voti della minoranza, più considerata della maggioranza astenuta; evidentemente intollerante, stanca di promuovere il meno peggio.

E allora via all’agricoltura, ché crescano piselli e fave, con fanciulle a battere decreti e relazioni per semenza. Spazio ai giovani, che si occuperanno di sbucciare lupini in cambio di fiorini e fioretti.

S’apra lo zoo, con l’Ippopotamo nella melma, immune dal procombere, pio e smargiasso cogli operai; la Iena che, pingue, sghignazza spelacchiata; il Criceto che si rigira mentre i baffi lo precedono; l’Orso ludico incollato al videopoker; il Maremmano che, piegato, traduce il gregge; la Pantera che si distende; il Cinghialino che si sollazza, il Macaco che perpetua lo ieri.

Nelle more e nei lamponi, la ’ndrangheta si rafforza, i "casalesti" permangono costruttori in Contea e un Garofano aderisce alla Salta, la società dei balzi.

Brachicefalo, vecchio regista inamovibile e garante dell’altrui lavoro, si gode lo spettacolo; tronfio e camaleontico. Sarà il baluardo, stavolta, della legalità. Lui che la Contea l’ha affossata con elargizioni, oppressioni, afflizioni, speculazioni, abusi e trame perfetti.

"Ma noi no", non lo riveriamo. Pur "deboli", non lo faremo. A costo di crepare.

23 giugno 2009

Emiliano Morrone

Francesco Saverio Alessio

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