Vizi e virtù tra Calabria e Lombardia

Dopo le ultime vicende di Reggio e Milano
giovedì 25 ottobre 2012.
 

Nei giorni scorsi si sono imposte prepotentemente all’attenzione di una sempre più assopita opinione pubblica la vicenda Reggio e la vicenda Milano, ovvero lo scioglimento del Consiglio Comunale di Reggio Calabria e l’arresto dell’Assessore alla Casa della Regione Lombardia Domenico Zambetti. I due fatti si legano l’un l’altro perché raccontano, in maniera esemplare, ancora una volta, la pervasiva e capillare presenza ‘ndranghetista. Stimolano la coscienza civile, queste vicende, a interrogarsi, con rinnovata inquietudine, sulla potenza enorme acquisita ormai da questo sodalizio criminale e sulla permeabilità dell’economia e della politica nel Nord di fronte a questa vorace fame di dominio e denaro. Ma le riflessioni non dovrebbero fermarsi, credo, solo a questo, c’è anche dell’altro. Ci obbligano, questi fatti, a fare i conti con la storia d’Italia, con il nostro novecento, quello a noi più lontano e quello a noi prossimo, con le trame contorte e complesse di questo “paese mancato”, per usare il titolo di un utile libro dello storico Guido Crainz. E la storia è storia di grandi mutazioni collettive, ma anche di piccole vicende familiari, di tanti emigrati calabresi che hanno via via popolato prima le Americhe, poi l’Europa (Germania, Francia, Belgio in primis) e quindi, a partire soprattutto dagli anni ’60, il Nord Italia. Senza con ciò rivendicare tristi primati, perché se è vero che la Calabria è stata una delle regioni che più ha subito il dramma “dell’esodo”, così come descriveva l’emigrazione Paolo Cinanni, è vero anche che questo fenomeno ha attraversato indistintamente tutte le regioni italiane. Ma l’emigrazione non ha significato solo lo spopolamento delle forze più giovani e produttive da una società fondamentalmente contadina verso una società in repentina industrializzazione. Ha comportato, questo travaso massiccio di persone, che, assieme alle intelligenze allo spirito di sacrificio, si incuneasse nei territori d’immigrazione anche la ’ndrangheta feroce con i suoi simboli, i suoi metodi, la sua mentalità. In Lombardia sono emigrati i miei nonni, le zie, altri cugini. Sono stati tanti, nella mia adolescenza i viaggi verso la Lombardia. Viaggi in macchina vissuti in fremente trepidazione perché si sarebbero rincontrati, dopo tanto, i parenti e perché poi finalmente potevo rivedere Milano, e lo stadio Giuseppe Meazza di San Siro, Monza, e l’autodromo e le Ferrari! E poi c’era questo fatto di trovarsi in una regione ricca, avanzata, industrializzata, nella Milano da bere, dove per la prima volta in vita mia incontrai, restando incredulo, un ragazzo con i capelli blu. Vivevo con quest’idea, precisa, che alla distanza geografica, colmabile dall’asfalto dove si consumavano gomme e benzina, si sommasse una distanza antropologica, questa invece incolmabile. Cioè, nonostante il fatto che le sorelle di mio padre avessero sposato due simpatici ragazzi lombardi, la mia coscienza era macchiata da un sorta di peccato originale: noi, i calabresi, poveri, e pure con la disgrazia di avere la ‘ndrangheta che all’epoca compiva odiosi sequestri di persona, e loro, i lombardi, ricchi, evoluti e che magari li subivano pure quei sequestri di persona. E trovavo conferma di questa mie suggestioni, che si nutrivano dei discorsi sentiti in televisione e di quelli che si facevano in giro, dalle case sgarrupate del mio paese calabrese, ammucchiate e disordinate, quasi tutte ancora da finire, con i muri esterni color grigio cemento o rosso mattone, che nulla avevano da spartire con le ordinate villette a schiera che in una teoria puntuale e inesorabile mi si paravano davanti, a stento, nell’abituale nebbia padana. Era la mia adolescenza, erano gli anni ottanta. Quelle mie granitiche certezze sulle virtù lombarde e i vizi calabresi si sono sgretolate, da parecchio tempo ormai. Perché vizi e virtù sono mescolati assieme, non esistono confini geografici a limitarli e perché l’ambivalenza e la contraddizione sono elemento strutturale dell’Italia intera; perché il tempo, l’esperienza e i fatti di Tangentopoli del ‘92 mi hanno insegnato che la capitale economica del paese era al contempo la capitale amorale del paese, dove la corruzione era il metodo della prassi politica; perché, come scrive Biagio Simonetta a proposito di Calabria Lombardia e ‘ndrangheta nel suo Faide “La Santa ha smesso di infiltrarsi, perché il territorio è già suo da un pezzo. E quando qualcosa è tua non ti infiltri. È tua e basta”; perché almeno 4000 persone, 4000 cittadini lombardi, si sono fatti comprare per dare il loro voto a Zambetti, quest’assessore il cui motto era la “forza della competenza” e a cui, secondo quanto dice un affiliato in un’intercettazione, “piacciono tanto i troioni”.

domenico barberio


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