STORIA LETTERATURA E POESIA: A GIOVAN BATTISTA MARINO E AL PADRE GIOVANI POZZI, UN OMAGGIO (24 GIUGNO 2023).
MEMORIA E POESIA: GIOVAN BATTISTA MARINO. A NAPOLI, NELLA Basilica di San Domenico Maggiore, NELLA “NAVATA SINISTRA. Ottava cappella (...). Sull’altare, Madonna della Neve tra il Battista e S. Matteo, splendido gruppo marmoreo di Giovanni Miriliano da Nola (m. 1558), che vi lavorò nel 1536”, c’è “A destra, cenotafio di Giambattista Marino (m. 1625), il famoso poeta secentista, con busto in bronzo, di Bartolomeo Viscontini (1682). A sinistra, monumento sepolcrale di Bartolomeo e Girolamo Pepi (1580). Sul pavimento a sinistra lapide sepolcrale di fr. Vincenzo Maria Zaretti".
FILOLOGIA E CRITICA: GIOVANNI POZZI E GIOVAN BATTISTA MARINO. Una nota dal “professore con la rosa in mano” (saggio di Francesco de Cristofaro->https://www.leparoleelecose.it/?p=47151):
“IL PROFESSORE CON LA ROSA IN MANO. PER GIOVANNI POZZI. [...] La psicologia cui [Giovan Battista Marino] si rifà non è quella della filosofia scolastica che parlava dei sensi interni e dei fantasmi come di tramiti necessari tra il senso esterno e l’intelletto possibile ed agente; è piuttosto una psicologia connessa con le scienze occulte, le quali infatti coprivano quelle zone psichiche che oggi appartengono alle discipline che studiano l’inconscio. Nel caso nostro poi non si tratta di un inconscio generico e teorizzato, ma di un inconscio di cui il poeta stesso era il portatore: come infatti non vedere, nei folletti che sfuggono a Pandora o nei fantasmi che popolano l’arsenale di Mercurio, gli incubi del cortigiano o i desideri repressi del collezionista, due tratti tra i più rilevanti nella vicenda umana di Marino? Quanto alla parte strettamente intellettuale, essa si esplica qua dentro nella confezione di congegni miracolosi (e qui si noti come il prodotto delle discipline speculative sia rappresentato non in termini di pensieri e teoremi astratti, ma nel risultato concreto del libro, un prodotto non dissimile dalle fabbriche meravigliose dell’arte meccanica); e si esplica ancora nella contemplazione delle bellezze femminili, dove il motivo intellettualistico della visione platonica è connesso con quello del cupido guardare del voyeur. Insomma la struttura psichica che il Marino raffigura non si compone, come ci saremmo aspettati da un poeta ubbidiente alla filosofia corrente allora, di senso comune, di intelletto possibile e agente, di memoria e volontà, ma di fantasia sognante, di istinti profondi e di ingegnosità fabbrile, il tutto sottoposto al capriccio delle stelle.
Siamo nelle note di commento all’Adone (a cura di G. Pozzi, Adelphi, Milano 1976, II ed. 1988, t. II, p. 437), esattamente a metà dell’opera: mentre il protagonista del poema ascende al cielo, il suo interprete scava nelle concrezioni culturali e nei «principî gnoseologico-stilistici» (ivi, p. 436) che si addensano nella parola mariniana e che nell’episodio selenico configurano la struttura intellettiva dell’uomo come una «macchina» (ibid.)[...]”.
P. S. STORIA E STORIOGRAFIA. Note di approfondimento ...
L’ONDA LUNGA DEL RINASCIMENTO MERIDIONALE E E LA LEZIONE CRITICA DI PADRE GIOVANNI POZZI: GIOVAN BATTISTA MARINO, LE “DICERIE SACRE”, E DUE MAGISTRATI DELLA FAMIGLIA PEPI DI CONTURSI TERME (SALERNO), NELLA BASILICA DI SAN DOMENICO MAGGIORE A NAPOLI.
A) - MEMORIA E STORIA: BASILICA DI SAN DOMENICO MAGGIORE (NAPOLI). NELLA CAPPELLA CON L’ALTARE dove c’è la “Madonna della Neve tra il Battista e S. Matteo”, a destra, c’è il cenotafio di Giambattista Marino (m. 1625), il famoso poeta secentista, con busto in bronzo, di Bartolomeo Viscontini (1682) e, a sinistra, il monumento sepolcrale di Bartolomeo e Girolamo Pepi (1580), illustri giureconsulti “da Contursi”, con una lapide su cui è scritto: “Bartholomaeo Pepi Iurisconsulto, qui claros gessit summa continentiae et æquitatis laude Magistratus, Parenti optvmo Hieronymoque germano fratri et nomini in omnibus vitæ partibus integerrimo. Marcus Antonius Pepi Dominus Contursii, Sancti Angeli Fasanellæ, Optati, Optatelli, et aliorum Benemerentibus. Anno Domini M.D.LXXX»”.
B) - POLITICA RELIGIONE E ARTE NEL REGNO DI NAPOLI: 12 SIBILLE CON I CARMELITANI SCALZI NELLA TERRA (DEL PRINCIPE DI EBOLI E) DELLA FAMIGLIA PEPI. A CONTURSI, nell’ attuale Città di CONTURSI TERME (SALERNO), una grande pala d’altare, collocata sull’altare della Chiesa della Madonna del Carmine, con pareti affrescate con le figure di 12 Sibille, fu commissionata e dedicata dal giureconsulto Paolo Pepi, alla memoria dello zio Paolo Antonio Pepi: «AD HONOREM SACRATISS. VIRGI DE MO/TE CARMELO, ET IN MEMORIA CELE/BERRI IUREC: D. PAULI ANTO. PEPI/... PAULUS PEPI IUREC: PRONEPOS/ / F/EC. ANNO DOMINI 1608/IACOBUS DE ANTORA NEAP. PNGB».
MADONNA DEL CARMINE IACOBUS DE ANTORA NEAP. PNGB 1608 |
C) - LA “PRISCA THEOLOGIA”, LE SIBILLE E I PROFETI DELLA “CAPPELLA SISTINA”, E ISAAC CASAUBON (Ginevra, 18 febbraio 1559 - Londra, 1º luglio 1614). “Nel 1608, in piena bufera controriformistica, pochi anni prima che in tutta Europa divampassero le guerre di religione e che il filologo Isaac Casaubon (De rebus sacris et eccleslasticis exercitatíones XVI. Ad Cardinalis Baronii prolegomena in Annales, Londra 1614) demolisse “in un sol colpo la costruzione del neoplatonismo rinascimentale con alla base il culto dei prisci teologi principale dei quali era Ermete Trismegisto; [...] la posizione del mago e della magia rinascimentali con il relativo fondamento ermetico- cabalistico; [...] il movimento ermetico cristiano non magico del XVI secolo; [...] la posizione di un ermetico estremista, quale era stato Giordano Bruno; [...] tutti i tentativi di costruire una teologia naturale sull’ermetismo, come quello in cui Campanella aveva riposto le sue speranze”, un ignoto teologo e filosofo carmelitano rimedita nelle linee essenziali il problema e la lezione di Niccolò Cusano, di Marsilio Ficino, di Pico della Mirandola e, con l’aiuto di modesti artisti, a Contursi - in provincia di Salerno, nella chiesetta di Maria SS. del Carmine (monastero di padri carmelitani dal 1561 al 1652), scrive il suo poema sulla nascita e sulla pace fidei. [...]” (Cfr. Federico La Sala, “DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE. Note sul “Poema” rinascimentale di un ignoto Parmenide carmelitano (ritrovato a Contursi Terme nel 1989)).
D ) GIOVAN BATTISTA MARINO, LE “DICERIE SACRE” (1614), E LA PROPOSTA DI “LETTURA” DI GIOVANNI POZZI: “[...] Possiamo accogliere l’indicazione metodologica di Pozzi anche per quanto riguarda il rapporto con il mito, qui assunto da Marino come “prisca teologia”: sulla scorta di una lunga tradizione, s’intende, ma declinata secondo modalità, se non del tutto inedite, certo pochissimo praticate. Subito all’inizio, Marino rintraccia in molti miti pagani il nucleo di altrettante verità cristiane. L’elenco è sorprendentemente lungo:
Una simile presa di posizione, che inevitabilmente finisce, [...] per parificare mito pagano e religione cristiana, non passò certo inosservata [...] Marino cerca dunque di dimostrare che «la figura di Pan è figura di Dio» e, piú esattamente, di Cristo, procedendo ad un minuzioso e sofistico raffronto punto per punto. Eccone uno stralcio:
Accenno appena al provocatorio inserimento di Demogorgone, qui assurto - ovviamente sulla scorta di autorità anche irreprensibili - a padre di tutti gli dei e confondibile con Pan, in un rapporto che sarebbe figura di quello che il Padre e il Figlio intrattengono tra loro; con una notevole forzatura rispetto alla fonte primaria, già indicata da Pozzi nelle Genealogie deorum gentilium, i 3. [...]” (Cfr. PIERANTONIO FRARE, “ADONE. IL POEMA DEL NEOPAGANESIMO”, “Filologia e Critica”, Salerno Editrice, maggio-dicembre 2010, pp. 229-231, senza le note).
P. S. 2. - FILOLOGIA, LETTERATURA, E “STORIA NOTTURNA”: “PRISCA TEOLOGIA” E “DICERIE SACRE” (GIOVAN BATTISTA MARINO,1614).
FILOLOGIA E CRITICA: “[...] E chi non sa che sotto l’invoglio di così fatti velami et enimmi soleva molti, anzi tutti i più riposti e maravigliosi secreti nascondere la supestiziosa antichità? Che perciò ritrovate furono le statue de’ sileni, le cui concave viscere erano gravide de’ simulacri degl’iddii, accioché i divini arcani si tenessero alla gente vulgare appannati et occulti.” (G. B. Marino, “Dicerie Sacre”, 1614).
“DIVINA COMMEDIA” (DANTE 2021) E ARCHEOLOGIA FILOSOFICA. Per meglio capire “il problema Socrate” e gli interi millenni di labirinto (Nietzsche) e, possibilmente, uscire dall’inferno antropologico ed epistemologico della “storia notturna” (Carlo Ginzburg) in cui ancora ci agitiamo pericolosamente, forse, è opportuno portarsi oltre “il platonismo classico” con chi, come Dante Alighieri, ha saputo ascoltare il canto delle Sirene e con Giasone (“Un punto solo m’è maggior letargo / che venticinquesecoli a la ‘mpresa, / che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.” (Pd. XXXIII, 94-96), ha saputo “ricostruire” la nuova Arca, la nuova Argo, e, finalmente, sollecitare a riprendere la navigazione nell’oceano celeste (Keplero a Galileo Galilei, 1611).
P. S. 3 - ANTROPOLOGIA, ARTE, E STORIOGRAFIA: UNA "SOPRAVVIVENZA" DELLE "DICERIE SACRE" (G. B. MARINO, 1614) IN UN LAVORO IN CRETA DI ANTONO CANOVA (1757-1822).
RI-LEGGENDO INSIEME LE "DICERIE SACRE" (1614) E IL POEMA "ADONE" (1623) di Giovan Battista Marino E RECUPERANDO (alla luce delle indicazioni date dal "professore con la rosa in mano") il contesto ideologico del programma umanistico-rinascimentale della "prisca teologia" e della "docta religio", e, AL CONTEMPO, RIPONENDO ATTENZIONE a un "modello in creta della dea Venere che abbraccia Adone morente", realizzato da Antonio Canova (1757-1822), forse, non appare ("cum grano salis") ben visibile il filo che lega l’orizzonte storico-culturale di Michelangelo Buonarroti con quello di Giovan Battista Marino, e, infine, gli stessi Carmelitani scalzi di Contursi Terme (Salerno), che affrescano e dedicano (nel 1613) la loro Chiesa della Madonna del Carmine con la figure di 12 Sibille?
Qualche anno più tardi, dopo la morte di ShaKespeare, Cervantes, e Garcilaso El Inca de la Vega nel 1616, prenderà il via la Guerra dei Trent’Anni e tutti i sogni di una "pace della fede" (Niccolò Cusano, "De pace fidei", 1453) vanno in fumo.
P.S. 4 - ADE, ADONE, E... IL NODO “INVISIBILE” DEL LEGAME TRA EROS E THANATOS. IL DISAGIO DELLA CIVILTA’ (S. FREUD, 1929) E IL PROBLEMA (L’ ENIGMA DELLA SFINGE) DELLE “COSTRUZIONI NELL’ANALISI” (S. FREUD, 1937).
DA GIOVAN BATTISTA MARINO A OVIDIO... “RIVISITATO”:
[VENERE] lamentandosi col destino disse: “Non, però, di ogni oni cosa il destino potrà disporre. Un ricordo del mio lutto, o Adone, rimarrà in eterno: ogni anno si ripeterà la scena della tua morte, a imitazione del mio cordoglio. E il sangue sarà mutato in un fiore. [...] Detto questo, versò nèttare odoroso sul sangue, e il sangue al contatto cominciò a fermentare [...] E un’ora intera non era passata: quando dal sangue spuntò un fiore dello stesso colore, un fiore come quello del melograno, i cui frutti celano tanti granelli sotto la duttile buccia. E’ un fiore, tuttavia, che dura poco. Fissato male, e fragile per troppa leggerezza, deve il suo nome al vento, e proprio il vento ne disperde i petali ” (Ovidio, Le Metamorfosi, X, vv.731-739).
Allegato: Immagine di “Adonis Annua".
P. S. 5 - LA LUNGA ONDA DEL RINASCIMENTO, LA STORIA DELL’EUROPA, E LA STORIOGRAFIA:
EL GRECO E LA FINE DELL’ EGEMONIA DELLA “CATTOLICISSIMA” SPAGNA IN EUROPA.
VEDUTA DI TOLEDO. Se è vero, come è vero, che El Greco (Candia, 1541 - Toledo, 7 aprile 1614), è tra le figure più importanti del tardo Rinascimento spagnolo ed è spesso considerato il primo maestro del Siglo de Oro, non si può non pensare che, almeno, a partire dalla sua opera “Veduta di Toledo“, l’Autore “registra” artisticamente e unitariamente un’immagine di grande bellezza e di forte preoccupazione: una minacciosa tempesta si addensa nel cielo della città di Toledo.
Considerato l’arco della vita di Domenikos Theotocopoulos, e, al contempo, il fatto che questa “Veduta di Toledo” è del 1599, forse, può essere utile ricordare che, nel 1586, egli celebra, in forma gloriosissima e cattolicissima, la Spagna di Filippo II con la straordinaria “Sepoltura del conte di Orgaz”, e, ancora, che di lì a poco, nel 1588, c’è “la sconfitta dell’Invincibile Armada”, e, infine, che, dal 1599 al 1614, l’egemonia politico-religiosa della Spagna e della Chiesa cattolica è del tutto finita e l’intera Europa si prepara già a una “guerra civile” di lunga durata (la guerra dei Trentanni: 1618-1648).
VEDUTA E MAPPA DI TOLEDO. La “Veduta e mappa di Toledo, 1608 - 1614”, a ben vedere, registra da parte di El Greco proprio la consapevolezza artistica e culturale di tale atmosfera:
“[...] L’opera, realizzata nel periodo che va dal 1600 al 1614, parla di un mondo che è completamente cambiato. Parla delle intuizioni di un monaco bruciato vivo nel 1600 a #Roma, quel #GiordanoBruno, che aveva smontato per sempre il sistema geocentrico; parla della visione angosciata di un #Pascal esposto a un universo sconfinato e vuoto. Il fatto stesso che nel nostro puzzle toledano gli elementi non appartengano a un insieme logico, che tutto sia distinto e separato, viene espresso magistralmente attraverso un punto di vista impossibile.[...]”(cfr. Michael Jakob, "Vedere /El Greco, Vista e mappa di Toledo”, Doppiozero, 16 maggio 2020).
Sul tema, nel sito, si cfr.:
A CONTURSI TERME (SALERNO), IN EREDITÀ, L’ULTIMO MESSAGGIO DELL’ECUMENISMO RINASCIMENTALE .....
RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE.
FLS
"FUGA IN EGITTO" (Adam Elsheimer, 1609) |
RINASCIMENTO. NASCERE E RINASCERE: LA "MADONNA DELLE GRAZIE" (Scuola Lombarda: Cappella della Vergine delle Grazie, S. Maria delle Grazie, Milano):
Una nota a margine...
ARTE STORIOGRAFIA LETTERATURA E QUESTIONEANTROPOLOGICA (CRISTOLOGIA) - NELL’ANNO DELL’INCARNAZIONE DEL #NATALE2023 E DELL’ANNIVERSARIO DEL #PRESEPE DI #GRECCIO DEL 1223.
CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "CRISTIANI". A ben riflettere, LA "MADONNA DELLE GRAZIE", effettivamente, è un’opera che, con i suoi molti dettagli, sollecita a ri-fare luce e a rimeditare su un’epoca di grandissima rilevanza artistica e storica, non solo per il nostro #ieri ma anche per il nostro #oggi e per il nostro #domani.
PACE O GUERRA (DELLA FEDE)? L’opera si colloca immediatamente dopo la CADUTA DI COSTANTINOPOLI (1453), e il tentativo di una mediazione teologico-politica fallita con le altre religioni (in particolare, islam ed ebraismo), fatto da Niccolò Cusano (e da papa Pio II Piccolomini) con la "DOTTA IGNORANZA" (1440), LA "PACE DELLA FEDE" (1453), e IL "SETACCIO DEL CORANO" ("Cribatio Alkorani", 1461). Comincia la mobilitazione contro il mondo musulmano (e anche il mondo ebraico), come all’interno così all’esterno dell’Europa (la "riconquista di #Granada" è del 1492, con i suoi vari "editti").
CULTURA E POLITICA. Per approfondimenti specifici, mi sia permesso, si cfr. l’illuminante lavoro di Marco Infurna, relativo alla figura di Ambrogio della Longhignana, signore di Porlezza e al clima lombardo del tempo: "Il duello di Rolando e Feraguto sul ponte in un affresco lombardo del Quattrocento" (“Par estude ou par acoustumance”. Saggi offerti a Marco Piccat per il suo 65° compleanno, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2016).
CALVINO, LA SFIDA A INTERI MILLENNI DI LABIRINTO PUO’ ESSERE VINTA E IL "SENNO DI ORLANDO" (LUDOVICO ARIOSTO) PUO’ ESSERE RITROVATO.
COSMICOMICHE (#CALVINO100), ANTROPOLOGIA, LETTERATURA, E SORGERE DELLA TERRA (EARTHRISE):
Con "Leggerezza": "[...] la lentezza della coscienza umana a uscire dal parochialism antropocentrico può essere annullata in un istante dall’invenzione poetica. [...] Abituato come sono a considerare la letteratura come ricerca di conoscenza, per muovermi sul terreno esistenziale ho bisogno di considerarlo esteso all’antropologia, all’etnologia, alla mitologia. [...]
Credo che sia una costante antropologica questo nesso tra levitazione desiderata e privazione sofferta. E’ questo dispositivo antropologico che la letteratura perpetua" (Italo Calvino, "Lezioni americane").
CIELO STELLATO E MALINCONIA BAROCCA. COSMOLOGIA, RIVOLUZIONESCIENTIFICA E ARTISTICA, MA NON ANTROPOLOGICA: QUANDO L’ITALIA E L’EUROPA CADDERO IN UN VICOLO CIECO (1618-1648).
Una sollecitazione a ripensare la storiografia dei primi decenni del Seicento... *
MEMORIA E STORIA: ELSHEIMER E RUBENS. "Adam Elsheimer (Francoforte sul Meno, 16 settembre 1578 - Roma, 11 dicembre 1610): [...] Secondo i biografi, Elsheimer, che lavorava molto lentamente e che lasciò pochissime opere (oggi se ne contano una trentina), morì perciò quasi in povertà. Una famosa lettera, piena di dolore, di #Rubens a Johann Faber che lo informava da Roma della scomparsa dell’amico, è forse il miglior tributo fatto a questo artista. Fu sepolto nella chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma, dove nel 2010 è stata apposta una lapide-cenotafio con profilo in bronzo e l’iscrizione che ricorda tra l’altro: "Nel 1609 dipinse / il cielo stellato / osservandolo / con uno dei primi / telescopi". (https://it.wikipedia.org/wiki/Adam_Elsheimer...).
ARTE E SCIENZA: CIGOLI, GALILEO GALILEI, E LA LUNA. [...] Quella fra Galileo e il Cigoli è, semplicemente, l’amicizia di una vita. Ce ne resta la testimonianza attraverso 29 lettere di Cigoli a Galileo e solo due dello scienziato al pittore perché gli eredi dell’artista, con eccessivo zelo, ritennero di dover distruggere tutte le prove di un sodalizio compromettente dopo la condanna papale. [...]
Cigoli si trasferisce da Firenze a Roma nel 1604; Galileo all’epoca è ancora a Padova. Tornerà a Firenze nel 1610. [...]
Nell’ottobre del 1610 Cigoli riceve da Papa Paolo V l’incarico di affrescare la cupola di Santa Maggiore Maggiore con l’Immacolata Concezione, Apostoli e Santi. La fatica è resa da questo passo nella lettera del 1° luglio 1611: “Nel resto, io attendo a salire 150 scalini a Santa Maria Maggiore et a tirare a fine allegramente, a questi caldi estivi che disfanno altrui; et ivi, senza esalare vento né punto di motivo di aria, tra il caldo e l’umido che contende, me la passerò tutta questa state”. Ma sui ponteggi e sulla cupola di Santa Maria Maggiore succedono cose bellissime. Succede, ad esempio (lettera del 23 marzo 2612), che Cigoli usi un cannocchiale galileiano per osservare le macchie solari: 26 osservazioni, disegnate appositamente per Galileo (fig. 3); [...]
Succede poi che nell’ottobre del 1612, dopo oltre due anni di lavoro, l’affresco sia completato, e che l’Immacolata Concezione sia strutturata secondo un’iconografia del tutto nuova: una Madonna in piedi su una luna perfettamente galileiana (fig. 4) , la stessa luna (fig. 1) le cui fasi Galileo aveva dipinto all’acquerello in uno dei suoi studi (fig. 2). La testimonianza commovente di un amico fedele.
Su Cigoli si può contare, e Galileo non esita a chiederne l’aiuto in vista della pubblicazione dell’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, a cura dell’Accademia dei Lincei. Ad occuparsi della pubblicazione è direttamente Federico Cesi, il Principe dell’Accademia; ma per scegliere l’incisore che dovrà occuparsi della parte iconografica dell’opera sia Cesi sia Galileo concordano nel rivolgersi a Cigoli . Fu scelto poi l’incisore lussemburghese Matthias Greüter. [...]" (cfr. "Galileo e Ludovico Cigoli: la Luna e le #macchiesolari fra scienza ed arte")
RAGIONE E FEDE: GALILEO E LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA: "(...) Il 25 febbraio 1616 il papa ordinò al cardinale Bellarmino di «convocare Galileo e di ammonirlo di abbandonare la suddetta opinione; e se si fosse rifiutato di obbedire, il Padre Commissario, davanti a un notaio e a testimoni, di fargli precetto di abbandonare del tutto quella dottrina e di non insegnarla, non difenderla e non trattarla». Nello stesso anno il De revolutionibus di Copernico fu messo all’Indice donec corrigatur (fino a che non fosse corretto). Il cardinale Bellarmino diede comunque a Galileo una dichiarazione in cui venivano negate abiure ma in cui si ribadiva la proibizione di sostenere le tesi copernicane: forse gli onori e le cortesie ricevute malgrado tutto, fecero cadere Galileo nell’illusione che a lui fosse permesso quello che ad altri era vietato. [...]" (cf. https://it.wikipedia.org/wiki/Galileo_Galilei ).
NOTE:
GALILEO E LA PITTURA. "[...] Galileo era appassionato di pittura e pittore dilettante. Era amico di tutti i maggiori pittori dell’epoca, tra i quali in particolare Ludovico Cigoli, con il quale tenne una nutrita corrispondenza e al quale aveva regalato un cannocchiale per osservare la Luna di cui il Cigoli doveva aver fatto un ottimo uso, come si deduce dalla rappresentazione della Madonna in Santa Maria Maggiore a Roma. Il Cigoli aveva rappresentato la Luna ai piedi della Santa Vergine così com’è vista al telescopio «con le divisioni merlate e le sue isolette». (cfr. Lamberto Maffei, "Il cervello artistico di Galileo Galilei", Il Sole-24 Ore, 10 aprile 2011).
OLTRE L’ORIZZONTE•ITALO CALVINO•SUPERLUNA•ARTE E LETTERATURA
La Luna cancellata (di Stefano Sandrelli, Edu-Inaf, 18 Maggio 2021/ Aggiornato 10 Maggio 2023).
FLS
ARTE STORIA STORIOGRAFIA: RUBENS, LA SIBILLA PERSICA, E LA FINE DELLA LUNGA ONDA DEL RINASCIMENTO.
Una nota a margine di un evento...
A #NAPOLI, IL GIORNO 4 DICEMBRE 2023, Maura Sgarro con i suoi "Colloqui con quattordici artisti del Seicento europeo" (kimerik.it, 2023) e Aurelio Musi con la sua "Malinconia barocca" (Neri Pozza, 2023), faranno una doppia presentazione dei loro libri e, ad essa, come annuncia la dr.ssa Sgarro, «"sara’ presente" anche P. P. Rubens con il suo quadro "Le conseguenze della guerra" del 1638» (https://www.facebook.com/maura.sgarro.125/posts/pfbid0X5gFzPRc7MRdJTF2vsYEiDmQmM5GrP7KEpckAV9839aRxvfLUuXT2eydu7mQWdXxl). Approfittando dell’occasione, forse, è una buona idea richiamare l’attenzione su una opera giovanile di #Rubens, legata alla complessa storia del tema delle #Sibille, alla SibillaCumana, alle Sibille della #CappellaSistina, alla filosofia del Rinascimento, e allo stesso #Barocco (cfr. Giovan Battista Marino, "Dicerie Sacre", 1614; e "Adone", 1623).
"RUBENS. ALLEGORIA DELLA FEDE. LA SIBILLA PERSICA [...] L’Allegoria della Fede. La #SibillaPersica [...] È un capolavoro della prima maturità di Rubens (Siegen, 1577-Anversa, 1640), appena rientrato da Roma ad Anversa tra il 1611 e il 1614 [....] rappresenta l’Allegoria della Fede cristiana, come testimonia il libro aperto con il disegno dell’Immacolata Concezione sul quale la nobildonna punta l’indice. Nel monocolo la Vergine è colta nel suo ruolo di dominatrice del male. [...]
[...] Il dipinto impone il riconoscimento della Sibilla, non in una generica allegoria della fede, ma nella Sibilla Persica, associata alla profezia della nascita di Cristo dalla Vergine, sottomettendo la bestia demoniaca per la salvezza del genere umano [...]
La Persica viene per lo più rappresentata col capo coperto con veste damascata e ricami in oro così come appare nel presente dipinto, così come la scelta di rappresentare una sibilla non in vesti antiche o greco-romane o orientali è tipicamente fiamminga [...] Quasi nella posa di un’annunciata sorpresa durante la lettura, appare, diversamente da come ci si potrebbe attendere, per via dell’iscrizione circolare entro cui è racchiusa ancora giovane, con il volto non coperto dal velo o copricapo [...]
Un ritratto in veste sibillina di una donna di condizioni sociali elevate, dotata di virtù morali e intellettuali, di un’illuminazione mentale, assistita dal volere divino e alla qualità per eccellenza della profetessa, di età non avanzata, in opposizione alla vecchia lectio secondo la quale la Persica andava ritenuta la più vecchia delle sibille”. (Arte.it).
#Agenda_UBU | Congreso Internacional “Hispanismo. Un pasado con futuro”.
INFORMACIÓN ►https://www.ubu.es/agenda/congreso-internacional-hispanismo-un-pasado-con-futuro
• Del miércoles 15 al viernes 17 de noviembre .
• Paraninfo de la Universidad de Burgos.
Nota:
HISPANISMO: "UN PASSATO CON FUTURO". Con gli auguri di "buon lavoro!" al Congresso Internazionale, un invito a riprendere anche (e ancora) la riflessione e l’indagine sul tentativo della edizione della "Monarchia" di Dante Alighieri, fatto da Alonzo de Valdès e Mercurino di Gattinara (1465-1530) e lasciato cadere nel vuoto da Erasmo da Rotterdam ( nel marzo del 1527), al tempo di Carlo V (e del Sacco di Roma del maggio del 1527 e prima della Riforma Anglicana del 1534).
STORIOGRAFIA D’EUROPA, FILOLOGIA, E LETTERATURA:
LA "CESURA" STORICA E CULTURALE SEGNATA DAL LAVORO CRITICO "SULLA #DONAZIONE DI #COSTANTINO" DI #LORENZOVALLA (1440) E DALLA CADUTA DI COSTANTINOPOLI (1453). *
*
STORIOGRAFICAMENTE, forse, è ora di #capovolgere, il "tempo" proprio dell’#Umanesimo e del #Rinascimento: per la società e la cultura del cosiddetto "Medio Evo" degli "umanisti", l’epoca "fu sentita - così scrive E. #Gilson - come un’età di innovazione in tutti i sensi della cultura, una #modernità in progresso". A mio parere, il formidabile processo della "prima #rinascita" (E. #Buonaiuti) cominciata con #GioacchinodaFiore, #FrancescodiAssisi, e #DanteAlighieri trova il suo punto culminante nella "Monarchia umanistica aragonese" e, al contempo, comincia a imboccare un vicolo cieco, segnato dall’#orizzonte cusaniano della "#DottaIgnoranza" (1440) e della "#Pace della #fede" (1453) senza l’#Islam, nella caduta di Costantinopoli nelle mani di #Maometto II(1453), e, complementarmente, nella Guerra di #Granada, portata avanti dai Re Cattolici, Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia (1482-1492), contro gli ebrei e contro gli arabi. A partire dal 1517/1534 (#RiformaProtestante e Anglicana), inizia un lungo inverno per l’#Europa (#ConciliodiTrento, #Lepanto, #InvincibileArmata, #ElisabettaI d’Inghilterra); dopo il 1616 (morte di #Shakespeare, #Cervantes, e #Garcilaso El Inca de la Vega), prende il via la Guerra dei Trent’anni (1618-1648).
#PROFETI, #SIBILLE, #QUESTIONEANTROPOLOGICA (#KANT,1800), E #FILOLOGIA:
ANTONIO #ROSMINI, LA "PRISCA THEOLOGIA", E LA "#CHARITAS".
Rileggere il testo della "BREVE DISSERTAZIONE DI ANTONIO ROSMINI SULLE SIBILLE" (#PatriciaSalomoni, "#RosminiStudies", 6, 2019). Che Rosmini abbia iniziato il suo percorso riflettendo sulle figure delle Sibille, è da considerarsi un fatto degno della massima attenzione - e, ovviamente, di ulteriore approfondimento!
La riflessione su tale tema, probabilmente, lo ha reso più vigile nel suo cammino e nella sua fedeltà alla lettera e allo spirito della "Charitas". Il "Kant italiano", infatti, iniziando il suo percorso con la tesi di laurea sulle Sibille (1822), non solo non ha perso il suo legame con la Grazia (Charis) e con le Grazie (Charites), ma - coerentemente - ha saputo custodire anche l’«h» della #Charitas! E ha cercato di tenere ferma la sua distanza dalla logica economica - sempre più dilagante - della "carità" del "mercato" ("caritas") e, al contempo, dalla politica di sostegno alla diffusione della "eu-carestia" - a tutti i livelli. Ma, alla fine, non è riuscito a coniugare - come voleva, in spirito di verità e carità - - il rapporto tra filosofia (sapienza pagana) e rivelazione (sapienza ebraica).
Già all’inizio del suo percorso, benché partito con buona volontà e - kantianamente ("Sapere aude!") - con gran coraggio, infatti, egli s’inchina all’autorità di sant’Agostino ("De Civitate Dei", XVIII, 47) e - pur rendendosi conto con lo stesso Agostino che "qualsiasi predizione su Cristo poteva essere dichiarata falsa dagli empi e soggiacere al medesimo discredito, sia che si trattasse degli oracoli delle Sibille o delle profezie degli Ebrei" - conclude con un "non è gradito a Lui stesso che, nelle dispute, noi dedichiamo troppe energie più a quelli che a queste" e attribuisce la palma della credibilità solo a "queste .. certissime, luminosissime, custodite dal popolo ebraico a noi assai ostile, e protette da ogni corruzione con incomparabile ed encomiabile cura nel corso di molti secoli" (P. Salomoni, cit, p. 227).
A partire da "queste" premesse (promesse già non mantenute!), ovviamente, accolta solo la parola dei "profeti" non si può che rinarrare e riscrivere la vecchia "storia dell’Amore" di Adamo ed Eva [...] E così, contravvenendo frettolosamente alle regole morali del suo stesso "metodo filosofico", il suo desiderio di lasciarsi guidare "in tutti i suoi passi dall’amore della verità", come dalla carità ("charitas") piena di grazia (charis), resta confinato nell’orizzonte della caduta e della minorità - e la presenza delle Sibille insieme ai Profeti nella Volta della #CappellaSistina è ancora un grosso problema! (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3...).
*
"AD THEOLOGIAM PROMOVENDA" (L’Osservatore Romano, 03 novembre 2023). Per promuovere la teologia, nel paragrafo 7, è scritto che Rosmini considerava la #teologia una espressione sublime di “carità intellettuale” ... chiedeva che la ragione critica di tutti i saperi si orientasse all’Idea di #Sapienza e [sapesse stringere] interiormente in un “circolo solido” la Verità e la Carità insieme [...] (https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-11/quo-252/ad-theologiam-promovenda.html ).
LA "MEMORIA DEL MONDO", LA CELESTE "CORRISPONDENZA D’AMOROSI SENSI" DI FOSCOLO (OMERO/ULISSE), E LA RICERCA DI ITALO CALVINO DI USCIRE "FUORI DEL SELF" DELLA TRADIZIONE SOFISTICA (IDEALISTICA E MATERIALISTICA), PER COMPRENDERE ANTROPOLOGICAMENTE (NON ANTROPOMORFICAMENTE) LE RADICI COSMICOMICHE DELLA INFINITA E COMPLESSA MOLTEPLICITÀ... *
CALVINO (OMERO/ULISSE): "IO HO ASCOLTATO IL CANTO DELLE SIRENE" ("La letteratura e la realtà dei livelli", 1978). Non dimentico della lezione di #DanteAlighieri, #Calvino cerca di trovare la via che lo possa portare al "punto di arrivo cui tendeva #Ovidio nel raccontare la continuità delle forme, il punto di arrivo cui tendeva #Lucrezio nell’identificarsi con la natura comune a tutte le cose" ( "Molteplicità", #LezioniAmericane).
I "LIVELLI DI REALTÀ" (Feltrinelli, Milano 1984) E LA PSICOANALISI. Una traccia, per orientarsi nell’attraversamento dei livelli di realtà delle opere di #Calvino100: ricordare il suo incontro ("Anch’io cerco di dire la mia"), nella "taverna dei destini incrociati", con "Sigismondo di #Vindobona", e ricordare il ruolo di #Venere (#Afrodite) e di #Eros (#Cupìdo) nella mitica versione di Ovidio del "Ratto di #Proserpina", di #Persefone, figlia di #Demetra (#Cerere), da parte di #Ade (#Plutone):
#Eleusis2023
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AFFIORAMENTI ANTROPOLOGICI DI "DICERIE ANTICHE" (GIOVAN BATTISTA MARINO, 1614) E "PRIMAVERE ELLENICHE":
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PIANTO ANTICO
di Giosué Carducci
L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
***
POESIA, ANTROPOLOGIA, E MEMORIA. A RI-CONSIDERARE CON ATTENZIONE CRITICA IL TESTO del carducciano "pianto antico" (e la sua "dialettica" dell’albero, del fiore, del frutto - e della pianta), forse, può essere molto utile tenere a "distanza" la prima dalla seconda parte del componimento e, possibilmente, richiamare alla mente non solo gli elementi dell’immaginario della religione greca (si pensi ad Eleusi, ai Misteri Eleusini, e al mito del rapimento della figlia della dea Demetra, Persefone - a cui è collegato il frutto del melograno, da parte del dio del regno dei morti, Ade) ma, anche, gli elementi dell’immaginario della tradizione artistica e iconografica della religione cristiana (si pensi alle immagini del figlio di Maria, Gesù, sia di Maria, raffigurati con in mano una melagrana - il frutto dell’albero conosciuto anche come "Granato", da cui anche il nome della città di "Granada").
NOTA. Per approfondimenti, cfr. "Le Primavere Elleniche: una svolta nell’itinerario poetico di Giosue Carducci (Ilaria Bernardini, 2014)).
Federico La Sala
[Una recensione]
C. Pisano, "Hermes, lo scettro, l’ariete. Configurazioni mitiche della regalità nella Grecia antica" Napoli, M. D’Auria Editore, 2014, 304 p.
di Daniela Bonanno *
In un saggio divenuto ormai un classico, J.-P. Vernant affermava : “Lo studio di un dio come Ermes, molto complesso, deve definire innanzitutto i suoi rapporti con Zeus, per cogliere l’apporto particolare di Ermes all’esercizio della sovranità, e poi confrontare Ermes con Apollo, Estia, Dioniso, Afrodite. Con tutti questi dèi Ermes ha delle affinità, ma si distingue da ciascuno per certe modalità d’azione” 1. Quasi raccogliendo l’invito dello studioso francese, C. Pisano esplora, in questo volume, proprio le logiche di funzionamento dei rapporti tra Hermes e le forme del potere e dell’autorità regale, concentrandosi sulla relazione con Zeus.
Il libro, frutto di una ricerca dottorale, si articola in tre lunghi capitoli preceduti da una corposa introduzione, in cui C. Pisano si pone anche dichiaratamente sulla scia dei lavori di J.-P. Vernant e di M. Detienne, adottando, da un lato, l’approccio “differenziale e classificatorio” sperimentato dai due studiosi sulla religione greca e, dall’altro, sforzandosi di ricostruire la “modalità d’azione”, che, stando ai lavori di G. Dumézil, caratterizza una divinità greca, in modo più marcato, di quanto non faccia la sua “sfera di competenza”.
L’obiettivo è esaminare, come suggerito da M. Detienne, la “reattività” di un dio come Hermes a determinati oggetti quali lo scettro o il vello d’oro. La proposta metodologica, richiamata a più riprese, affianca il livello della ricostruzione “etica” della relazione di Ermes con la sovranità a quello “emico” dei “nativi greci”, assimilando, pur con tutte le cautele del caso, l’indagine sulle rappresentazioni antiche a quella di una ricerca antropologica sul campo.
La ricerca prende le mosse da un passo chiave del secondo libro dell’Iliade (II 100-108), che racconta il ruolo di Hermes nella trasmissione dello scettro regale da Zeus ad Agamennone, passando per Pelope, Atreo e Tieste. L’intervento del dio, designato nei versi omerici quale anax (sovrano), è stato percepito come problematico dagli stessi commentatori antichi che si sono sforzati di accordare la funzione di messaggero (keryx) di Hermes con tale epiteto.
Gli interrogativi da cui prende avvio tutta l’indagine sono quindi i seguenti : può un keryx essere un anax ? Può la funzione di messaggero degli dèi, concordemente riconosciuta dalla tradizione ad Hermes, accordarsi con quella regale ? Come si spiega l’attribuzione ad Hermes dell’epiteto anax nell’Iliade ? È forse questa una traccia di una funzione regale esercitata dal dio riconducibile a un non ben definito “passato miceneo”, come hanno ipotizzato alcuni studiosi ? A questi problemi, sui quali tanto i commentatori antichi, quanto gli esegeti moderni si sono molto esercitati, il volume di C. Pisano si propone di fornire una risposta, esaminando in senso diacronico una documentazione di tipo essenzialmente letterario.
A partire dai poemi omerici, nel primo capitolo, ad essere prioritariamente esplorata è la condizione sociale dell’araldo, capace di gestire la comunicazione a distanza ; quella che regola le riunioni assembleari ; la prassi sacrificale, nonché la diakonia nell’ambito della ripartizione delle carni e del vino in occasione dei banchetti. L’approccio “classificatorio e differenziale” rivela qui tutta la sua efficacia nella diversa “modalità di azione” che C. Pisano individua nei passi omerici relativi ai due “messaggeri divini” : Hermes e Iris. Dall’analisi emerge la capacità dell’uno di muoversi in spazi distanti fra loro, aprendo vie di passaggio tra territori apparentemente non comunicanti ; laddove invece gli spostamenti di Iris appaiono più circoscritti e limitati. Inoltre, Hermes si differenzia da Iris, semplice “porta-parola” di Zeus, nella forza persuasiva di cui appare dotato il suo messaggio. Il dio appare così decisamente associato alla sfera della “mediazione linguistica”, come mostra, tra l’altro, l’analisi dell’Inno omerico a Hermes, proposta nel secondo capitolo del volume, che racconta del confronto del dio con il fratello Apollo, da cui verrà fuori un’attenta ripartizione e riconfigurazione delle timai assegnate a entrambi. Il dio di Delfi, interessato alla conservazione e la tesaurizzazione, avrà il controllo dei beni, minacciati dal fratello appena nato con il furto degli armenti ; prerogativa del dio di Cillene sarà invece la cura degli armenti che ne prevede quindi il moltiplicarsi e il loro ingresso nel circuito commerciale ; ad Apollo andrà la lira ; ad Hermes la rhabdos, l’oggetto che garantisce l’immunità dell’araldo e conferisce efficacia ai decreti divini, consentendo al keryx di rappresentare l’anax ; di Apollo infine sarà il controllo su una divinazione, il cui messaggio obliquo per essere compreso necessita di un interprete ; mentre appannaggio di Hermes sarà una divinazione supportata da un corretto e misurato impiego delle parole, il cui messaggio raggiunge l’uomo senza bisogno di intermediari.
2 Il terzo capitolo prende in esame un altro simbolo di sovranità, rappresentato dall’agnello o dall’ariete dal vello d’oro. L’oggetto, assente come tale nei poemi omerici, compare nella tragedia, affiancando lo scettro che viene così a perdere il carattere di esclusività nella rappresentazione del potere regale. Lo studio della tradizione argiva relativa agli Atridi, della saga di Frisso e Atamante e dell’impresa degli Argonauti consente di riconoscere la funzione legittimante dell’agnella e dell’ariete dal vello d’oro inviati da Hermes, in una situazione di grave crisi interna derivante da problemi di successione. Come lo scettro, trasmesso dal dio per conto di Zeus, conferisce autorità al sovrano e capacità persuasiva, l’ariete ne supporta la legittimità dell’aspirazione al trono. In entrambi i casi di costruzione e definizione della regalità, Hermes svolge la funzione che gli è propria, quella cioè di inviato e di araldo di Zeus, da cui discende il potere sovrano.
L’ultimo capitolo del volume insegue il filo della ricerca dei “significati emici”, recuperati in filigrana dall’esame delle interpretationes di Hermes con divinità straniere in alcuni testi tratti dalla letteratura giudaica e cristiana. Il punto di partenza è, in questo caso, fornito da un passo del Cratilo di Platone che, riletto alla luce delle considerazioni di G. Dumézil, consente di rintracciare nel testo antico una prima conferma della percezione che i Greci avevano delle modalità di intervento di Hermes e della sua capacità di agire come “interprete” e “messaggero di Zeus”. Che tale percezione facesse leva sul “sapere condiviso” dei Greci emerge anche dall’analisi di tre testimonianze di epoca più tarda.
Si tratta, in primo luogo, del frammento 3 Jacoby di Artapano, storico ebreo di Alessandria d’Egitto (III-II sec. a.C.), in cui Mosè è identificato con Hermes, quale tramite delle “sacre scritture” (hiera grammata) di Dio. La seconda testimonianza è costituita da un passo degli Atti degli Apostoli in cui si racconta dell’arrivo nella città di Listra di Barnaba e Paolo, giunti ad evangelizzare i pagani, e riconosciuti dagli abitanti del luogo quali Zeus ed Hermes.
L’ultimo testo, preso in considerazione alla ricerca della modalità attraverso cui la figura di Hermes era percepita e descritta dai parlanti greco, è un passo di Giustino (II sec. d.C.), i cui interlocutori sono gli intellettuali greci e romani del tempo, convinti che la religione cristiana fosse priva di tradizione. Per rispondere a questa critica, l’apologeta presentava la nuova religione come una manifestazione ben più forte del Logos di cui già parlavano Eraclito e Socrate e individua in Gesù il Logos, colui che trasmette la parola di Dio, espressione di una “concezione comune” - afferma Giustino - a quella di coloro che ritengono che Hermes è il “Logos messaggero di Dio”.
Il volume termina con delle conclusioni ben argomentate in cui C. Pisano riprende i termini della questione posta in apertura: può un keryx essere un anax e viceversa ? Ed Hermes è keryx o anax ? Dai dati raccolti emerge la figura di un dio che diventa anax, nel momento in cui riceve lo scettro da Zeus, l’oggetto cioè tramite il quale la funzione regale e quella araldica si legano l’una all’altra. Lo scettro del re non è infatti diverso dalla rhabdos dell’araldo, che non fa altro che dare voce al sovrano. Quando Agamennone, nell’Iliade, parla al centro dell’assemblea con lo scettro in mano egli è “l’interprete e il messaggero” di Zeus : egli è, per l’appunto, keryx e anax. Si conclude con questa proposta originale di soluzione dell’“enigma”, sollevato in apertura, il volume, i cui contenuti, resi in uno stile piano e piacevole alla lettura, mostrano tutta l’efficacia euristica di una corretta articolazione tra indagine storico-filologica e approccio antropologico.
Notes
1 J.-P. Vernant, “La società degli dèi”, in Id., Mito e società nell’antica Grecia, Torino 20072 (ed. or. Paris 1974), 105.
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Daniela Bonanno, «C. Pisano, Hermes, lo scettro, l’ariete. Configurazioni mitiche della regalità nella Grecia antica», Anabases, 25 | 2017, 295-297.
Daniela Bonanno, « C. Pisano, Hermes, lo scettro, l’ariete. Configurazioni mitiche della regalità nella Grecia antica », Anabases [En ligne], 25 | 2017, mis en ligne le 01 avril 2017, consulté le 02 octobre 2023. URL : http://journals.openedition.org/anabases/6148 ; DOI : https://doi.org/10.4000/anabases.6148.
COSMOLOGIA, MITO, STORIA, LETTERATURA, E FILOLOGIA:
EQUINOZIO D’AUTUNO, "VENTICINQUE SECOLI DI LETARGO" (DANTE), "ADONE" (GIOVAN BATTISTA MARINO), ED ELEUSIS 2023.
Una nota in memoria di Giovanni Pozzi
Ricordando che quest’anno, 2023, una delle capitali europee della cultura è la città di ELEUSI (Eleusis 2023), legata ai Misteri Eleusini, non è male richiamare, in collegamento con l’Equinozio di Autunno (23 settembre 2023), il fatto che gli antichi rievocavano la discesa del Sole negli Inferi con mitologie molto simili tra loro - una su tutte: il rapimento di Persefone (- Proserpina, figlia di Demetra - Cerere) a opera di Ade (Plutone); e, ancora, che non è male rileggere le opere di Giovan Battista Marino ( "Dicerie Sacre" e "Adone"), di Ovidio ("Metamorfosi"). e di Dante Alighieri ("Divina Commedia"):
"[....] Un punto solo m’è maggior letargo / che venticinque secoli a la ‘mpresa, / che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo" (Par. XXXIII, 94-96).
Materiale sul tema:
Benché l’amore fra Persefone e Ade sia generalmente ricordato come fedele, la Dea annovera anche un amante, Adone.
Egli è nato dall’incesto del re di Cipro Cinira e sua figlia Mirra, un incesto creato da una maledizione imposta da Afrodite stessa, infuriata con Cancreide - madre di Mirra e moglie di Cinira - che vantava la bellezza della figlia, definendola anche superiore ad Afrodite. Quando Cinira tenta di uccidere la figlia, già incinta, Afrodite corre in suo soccorso, trasformandola nell’albero di mirra che Cinira colpisce con la spada in un impeto di rabbia: da quella spaccatura nasce Adone, che Afrodite raccoglie in una cesta e consegna a Persefone perché lo cresca al sicuro.
Persefone, tuttavia, una volta aperta la cesta e vista la bellezza di Adone decide di tenerlo per sé, nascondendo il bambino ad Afrodite. Zeus chiede consiglio alla musa Calliope, che dirime la contesa in maniera non dissimile da quella di Ade e Demetra per Persefone. Calliope difatti stabilisce che Adone passerà quattro mesi con Persefone e quattro con Afrodite, potendo passare i quattro mesi successivi come più ritiene.
Crescendo, Adone diventa sempre più bello ed entrambe le Dee lo rendono loro amante. Fin quando Afrodite non usa la sua cintura, in grado di rendere chiunque irresistibile, e i suoi poteri d’amore per far invaghire Adone di lei, facendogli passare così più tempo con lei piuttosto che con Persefone. La regina degli Inferi, quindi, si reca da Ares, amante della Dea dell’Amore, raccontandogli di come Afrodite gli preferisse un amante mortale.
Furiosamente ingelosito, Ares si trasforma in un cinghiale, facendosi dapprima inseguire da Adone a caccia, per poi rivoltarsi contro di lui e ucciderlo. Afrodite accorre alle urla strazianti di Adone, ma quando arriva da lui lo trova già morto, con il sangue attorno al suo corpo, sul prato. Afrodite, quindi, ne trasforma il corpo in un anemone, rosso come il suo sangue. L’anima intanto discende negli inferi, trovando di nuovo Persefone.
Afrodite, distrutta, tuttavia si rivolge di nuovo a Zeus, che consente nuovamente ad Adone di rinascere, ritornando a passare quattro mesi con Persefone, quattro con Afrodite e quattro come desiderasse.
Secondo un’altra versione, Adone non è allevato da Persefone, bensì dalle ninfe Naiadi e Afrodite lo incontra per i boschi solo da adulto. Nondimeno, egli viene ucciso da Ares, ma soltanto una volta morto Adone incontra Persefone, dando origine alla contesa con Afrodite.
* RAPSODIA MITOLOGICA: PERSEFONE.
LA LUNGA ONDA DEL RINASCIMENTO, LA STORIA DELL’EUROPA, E LA STORIOGRAFIA:
EL GRECO E LA FINE DELL’EGEMONIA DELLA "CATTOLICISSIMA" SPAGNA IN EUROPA.
VEDUTA DI TOLEDO. Se è vero, come è vero, che El Greco (Candia, 1541 - Toledo, 7 aprile 1614), è tra le figure più importanti del tardo Rinascimento spagnolo ed è spesso considerato il primo maestro del Siglo de Oro, non si può non pensare che, almeno, a partire dalla sua opera "Veduta di Toledo->https://www.metmuseum.org/it/art/collection/search/436575]", l’Autore "registra" artisticamente e unitariamente un’immagine di grande bellezza e di forte preoccupazione: una minacciosa tempesta si addensa nel cielo della città di Toledo. Considerato l’arco della vita di Domenikos Theotocopoulos, e, al contempo, il fatto che questa "Veduta di Toledo" è del 1599, forse, può essere utile ricordare che, nel 1586, egli celebra, in forma gloriosissima e cattolicissima, la Spagna di Filippo II con la straordinaria "Sepoltura del conte di Orgaz", e, ancora, che di lì a poco, nel 1588, c’è "la sconfitta dell’Invincibile Armada", e, infine, che, dal 1599 al 1614, l’egemonia politico-religiosa della Spagna e della Chiesa cattolica è del tutto finita e l’intera Europa si prepara già a una "guerra civile" di lunga durata (la guerra dei Trentanni: 1618-1648).
VEDUTA E MAPPA DI TOLEDO. La "Veduta e mappa di Toledo, 1608 - 1614", a ben vedere, registra da parte di El Greco proprio la consapevolezza artistica e culturale di tale atmosfera: "[...] L’opera, realizzata nel periodo che va dal 1600 al 1614, parla di un mondo che è completamente cambiato. Parla delle intuizioni di un monaco bruciato vivo nel 1600 a #Roma, quel #GiordanoBruno, che aveva smontato per sempre il sistema geocentrico; parla della visione angosciata di un #Pascal esposto a un universo sconfinato e vuoto. Il fatto stesso che nel nostro puzzle toledano gli elementi non appartengano a un insieme logico, che tutto sia distinto e separato, viene espresso magistralmente attraverso un punto di vista impossibile.[...]"( cfr. Michael Jakob, " Vedere / El Greco, Vista e mappa di Toledo", Doppiozero, 16 maggio 2020).
RINASCIMENTO, OGGI: TEMPO, FILOLOGIA E STORIOGRAFIA *
La Vergine delle Rocce tra i Templi di Agrigento
di Mario Barbagallo *
Il centro del Mediterraneo si trova in una sala di Villa Aurea, non di certo per meriti geografici ma per una questione d’incontri.
Varcate le soglie del sentiero che porta all’ingresso del percorso espositivo, con gli occhi ancora pieni della maestosità delle colonne doriche, con le gambe cariche del piacevole peso della scoperta ma con la vista addolcita dal fluente divenire del paesaggio che si apre a sud verso il mare, si fa l’esperienza dell’incontro.
Una serie di opere provenienti dalla bottega di Leonardo accolgono il visitatore, comprendendo così quali novità l’artista abbia portato da Firenze e quali nuove soluzioni formali stesse sperimentando a Milano. Le opere di Cesare da Sesto, Marco d’Oggiorno, Giampietrino, Martino Piazza da Lodi, Bernardino Lanino, Bernardino de’ Conti mostrano una nuova attenzione al paesaggio, all’intensità dei corpi che si stagliano naturalisticamente sul cielo scuro: dipinti che invadono gli spazi della sala principale nella quale si confrontano, riprodotte in due schermi differenti, la versione della Vergine delle Rocce del Musée du Louvre di Parigi e quella della National Gallery di Londra.
In un’atmosfera intima, creata da un’attenzione meticolosa nell’allestimento e avvalorata dalla scelta garbata dei direzionamenti dei fasci di luce, i quali accarezzano le morbidezze dei chiaroscuri e degli sfumati senza offenderne le figure, l’anima viaggia nei secoli cogliendo quel balzo temporale che dalla classicità greca arriva alle soglie del Rinascimento.
Percorrendo l’esposizione in senso orario si arriva alla piccola sala che custodisce gelosamente la perla della mostra: dischiudendo leggermente la tenda il Rinascimento viene svelato agli occhi e l’anima non può che cogliere gli elementi che il Divino ha manifestato sulla Terra.
La Vergine delle Rocce nella versione Cheramy, proveniente da una collezione privata e attribuita, come riportato dal cartiglio, allo stesso Leonardo con l’ausilio di collaboratori, nello specifico Boltraffio, esterna quella chiarissima discendenza dalla versione del Louvre di Parigi. È una di quelle opere che segna per sempre l’anima. L’occhio attento coglie le differenza che l’artista a livello iconografico mette in opera, sinonimo di un dibattito teologico che in quegli anni doveva essere particolarmente acceso. Ma non lascia dubbi all’occhio il resto: è Leonardo che parla.
La Vergine patrocina l’incontro. Maria è colei che sa e che fa da intermediaria per il piccolo Battista in atto di adorazione verso il Bambin Gesù mentre l’Angelo ci invita direttamente ad assistere con reverenza all’episodio con la stessa osservanza del Battista. Maria al centro della composizione con la mano “svolazzante” e tutta di scorcio all’altezza del viso dell’angelo, appena sopra la mano stessa dell’angelo e sul capo del piccolo Gesù in segno di protezione: un’immagine che viene fissata per l’eternità e nella quale Leonardo stesso si fa interprete di un’ iconografia unica che ne segnerà per sempre il proprio genio. Attorno alle figure le aspre rocce addolcite solo dal lento fluire delle acque e dai profumi estasianti delle piante in primo piano.
La scena deriverebbe, seppur con i necessari adattamenti derivanti dal dibattito teologico coevo, dai Vangeli Apocrifi, nello specifico il Protovangelo di Giacomo, conosciuto nella Firenze del Quattrocento in cui nell’episodio della “Fuga in Egitto” la Sacra Famiglia incontra il Battista già proiettato alla vita eremitica.
La roccia si irradia idealmente e, nonostante la propria natura aspra e desertica, si confronta con quella domata e plasmata appena fuori dalle sale, dove le colonne calcaree s’innalzano fino a toccare l’azzurro, slanciate sinuosamente tra la fertile campagna siciliana, dove i profumi dei fiori dei mandorli inebriano l’aria. In quel preciso istante il confronto diviene questione di sensi.
Akragas e la Milano della fine del XV secolo si trovano in contatto per la prima volta, fuori dal tempo ma non per questo in antitesi con la storia, soprattutto se questa è legata all’arte. In questi termini assume un maggior valore la scelta di una location d’eccezione dove il fil rouge è questione squisitamente “geologica”.
È un viaggio a ritroso nel tempo alla scoperta di una delle opere più importanti del Rinascimento, quella che permetterà a Leonardo di studiare quei meccanismi in grado di dare “moto e fiato” alle figure, di esprimere emozioni e stati psicologici che saranno visibili, di lì a poco, nel Cenacolo di Santa Maria delle Grazie.
Un dialogo inedito. Un confronto che parla espressamente di matericità, di ricerche verso una nuova monumentalità, di ambienti sacri che fanno da sfondo e accolgono chi porta dentro di sé la propria missione. In quella visione archetipica che Leonardo elabora nella propria mente, coadiuvato da una committenza attenta al dibattito teologico intorno alla Immacolata Concezione di Maria, si fa l’esperienza concreta della materia e di un silenzioso affaccio verso le braccia aperte della Vergine, dove terreno e ultraterreno s’incontrano verso una nuova ricerca di forme che Leonardo elabora a Milano e che segnerà, per citare Vasari, il raggiungimento della “Maniera Moderna”.
La mostra La Bottega di Leonardo - La Vergine delle rocce, visitabile dal 31 luglio al 31 dicembre 2023, a cura di Vittorio Sgarbi e Nicola Barbatelli è prodotta da Mediatica, Ellison, Samar e patrocinata dal Ministero della Cultura, dalla Regione Siciliana, dal Comune di Agrigento e dal Parco della Valle dei Templi di Agrigento. Una proposta espositiva alla portata di tutti che ben si configura come conoscenza storico artistica che ciascuno di noi dovrebbe inserire nel proprio bagaglio esperienziale e culturale.
Un’occasione per staccarsi dalla contemporaneità e vivere l’eterno presente dell’opera d’arte. I templi custodi della memoria dello spirito dell’uomo divengono un tutt’uno con l’opera di Leonardo vivendo una raffinata simbiosi simbolo di manifestazione del Divino.
La presenza di Leonardo in Sicilia è un evento che riporta l’isola al centro del dibattito storico artistico in vista del 2025, quando Agrigento sarà capitale della Cultura Italiana. Un’occasione per respirare la storia, per ricordare a noi stessi che la cultura è dibattito, incontro e confronto.
* Fonte: Tota Pulchra News, 8 Settembre, 2023 (ripresa parziale - senza immagini).
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Nota:
RINASCIMENTO, OGGI. Antropologia, Filologia, Arte e Storia d’#Europa. Sul filo di #Eleusis2023 (e a ricordo della figura di #Demetra), una brillante indicazione (ed ’operazione’) per il Giubileo 2025 (Chiesacattolica, 2025) e per la #memoria di #Nicea2025.
UNA "OPERAZIONE" STRAORDINARIA E UN GRANDE OMAGGIO A #LEONARDODAVINCI E ALLA #CULTURA DELL’#UMANESIMO E DEL #RINASCIMENTO: C’E’ UNA #MEMORIA DA RITROVARE ( "W O ITALY", #Agrigento 1993) E, OLTRE #COSTANTINO (E #NICEA 2025), UNA #FILOLOGIA DA #RICOMINCIARE A STUDIARE (#LORENZOVALLA, 1440), E IL #CAMMINO DI #PROFETI E DI #SIBILLE DA RIPRENDERE... BUON LAVORO E ONORE AD #AGRIGENTO2025
FLS
LA DISCESA NEL REGNO DELLE MADRI. INTERPRETAZIONE DEI SOGNI, DIVINA COMMEDIA, FAUST, ED ELEUSIS 2023
A) - LA DISCESA ALL’INFERNO DI FREUD E DI DANTE. "L’Interpretazione dei Sogni" (1899/1900) ha il suo legame con l’#Eneide (VII, 312: "Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo") di Virgilio e "L’uomo #Mosè e la religione monoteistica"(1938) con il tema dell’«In exitu Isräel de Aegypto» della Divina Commedia (Pg. II, 46-48).
B) - FREUD E MEFISTOFELE: LA DISCESA NEL "REGNO DELLE MADRI". Una chiarificazione sulla fondamentale determinazione "giunonica" da parte di Freud è ben evidente nella sua "scelta" della citazione virgiliana che apre la via alla "Interpretazione deisogni: “Chi è disceso fino alle Madri non ha più nulla da temere.” (J.W. #Goethe, #Faust, II. 2).
C) - FREUD E MILTON. Alla fidanzata Martha, il 7 agosto 1882, #SigmundFreud scrive che, nel "#Paradisoperduto" (#JohnMilton, 1667), «ancora di recente, in un momento in cui non mi sono sentito sicuro del tuo amore, ho trovato consolazione e conforto».
“ACHERONTA MOVEBO”! MATEMATICA E PSICANALISI: “QUATTRO”, PER RISCRIVERE UN “ROMANZO FAMILIARE” NUOVO... Una "vecchia" nota sul programma di ricerca di Sigmund Freud, a commento di un testo poetico-filosofico di Italo Testa.
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ELOGIO DELLA FOLLIA E DELLA GUERRA (degli "uomini") , UN’ANTROPOLOGIA "ANDROCENTRICA", STORIOGRAFIA, E RINASCIMENTO MERIDIONALE.
"Cum grano salis", e con tutte le differenze implicite ed esplicite.... se si tira un filo, dagli inizi del Cinquecento (l’ "Elogio della Follia" è degli anni 1509-1511) al "29 agosto 2023" e alla dimensione talebanica della "vita moderna", diffusa su tutto il pianeta, io proporrei di ripercorrere questo "tratto di storia", rileggendo un bel lavoro dal titolo "Donna e Rinascimento: l’inizio della rivoluzione-" (Romeo De Maio, il Saggiatore, 1987), da cui riprendo la seguente citazione: "La potestas maritalis aveva per fondamento che la moglie fosse sempre educanda, per legge. Lo credeva pure Erasmo". Questa la "question" radicata nell’orizzonte del "tempo fuori dai cardini" (Shakespeare, "Amleto", I.2).
Sul tema, come si sa, non la pensava affatto allo stesso modo, se non ricordo male, il Principe di Salerno, Ferrante Sanseverino.
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Francesco Tasso e la nascita delle poste d’Europa nel Rinascimento
di Tarcisio Bottani (Museo dei Tasso e della Storia postale
IL VENTO SOFFIA DOVE VUOLE: ANTROPOLOGIA MITOLOGIA LETTERATURA E ARTE, Note in margine all’Adone di G. B. Marino.
"L’#Anemone: il fragile fiore nato dalle lacrime di Venere. Storia e iconografia".
Un articolo di Laura Corchia - da RestaurArs: *
“Non stancherò le tue labbra saziandole:
le renderà più avide l’eccesso,
io le farò arrossire e impallidire
in modi sempre nuovi; dieci baci
saranno un bacio, un solo bacio venti.
E’ breve quanto un’ora il giorno estivo
se speso in questi giochi, i più incantevoli.”
(William Shakespeare, “Venere e Adone”, 1593)
L’Anemone, fiore fragile e dalla vita breve, nacque dalle lacrime versate da Venere per la morte dell’amato Adone. Il mito è narrato da Ovidio che, nel suo decimo libro, narra di Adone, il bellissimo giovane amato da Venere, rimasto ucciso durante una battuta di caccia. Dal sangue versato da Adone nacque appunto un bellissimo fiore di colore rosso, simbolo di dolore e morte.
La romantica e tragica vicenda ha da sempre ispirato artisti e letterati, primo fra tutti William Shakesperare che, rimasto senza occupazione. compose un poemetto dal titolo Venere e Adone, in cui la vera protagonista è la dea, intenta a conquistare Adone con tutte le sue forze:
“Duro, tenace sei, acciaio, pietra,
più che pietra: la pietra all’acqua cede.
Perché tu, generato da una donna,
non conosci l’amore e i suoi tormenti?
Fosse stata, tua madre, un’insensibile,
sarebbe morta sola, e tu mai nato...
Che idea ti fai di me, che mi disprezzi?
Deturpi le tue labbra, se mi baci?
Parlami, o dolce; ma sii dolce o taci...”
Ad ispirare i pittori fu però la composizione di Giovan Battista Marino, edita a Parigi nel 1623. Soprattutto in Francia, numerosi furono i pittori che si dedicarono alla raffigurazione del mito ovidiano. Tra le opere più importanti si segnalano Adone morto di Laurent de la Hyre del 1626 e Venere e Adone di Nicolas Poussin del 1627-1628.
Ma tra le opere più cariche di romanticismo e di poesia vi è, senza dubbio, quella dipinta da John William Waterhouse allo scoccare del 1900.
Il pittore ambienta il suo Risveglio di Adone in un bellissimo giardino con siepi, alberi, vasi di rose e fiori variopinti. Attorno alle due figure principali, quattro amorini assistono alla scena. Adone è disteso, Venere è china sul suo volto. Più che il dramma, questa scena rievoca amore e passione, estasi e tormento.
“Adon, seguimi (disse) e vedrai quanto
cortese stella al nascer tuo promise;
prendi la treccia d’or che’n man ti porgo,
né temer di venirne ov’io ti scorgo.
Benché vulgare opinione antica
mi stimi un idol falso, un’ombra vana
e cieca e stolta e di virtù nemica
m’appelli, instabil sempre e sempre insana
e tiranna impotente altri mi dica
vinta talor dala prudenza umana,
pur son fata e son diva e son reina,
m’ubbidisce natura, il ciel m’inchina.”
(Giovan Battista Marino, Adone, 1623)
L’anemone nella simbologia cristiana è legato alla Crocifissione di Gesù: talvolta infatti nelle raffigurazioni di questo episodio si possono scorgere alcuni anemoni posti nei pressi o sotto la croce.
Fonte: RestaurArs (ripresa parziale).
Sul tema, in rete, si cfr.:
fls
ANTROPOLOGIA, COSMOLOGIA, STORIOGRAFIA E LETTERATURA: EROS E CIVILTÀ...
A) "COME NASCONO I BAMBINI" - JAMES G. FRAZER E "IL MITO DI ADONE": ""Lo spettacolo dei grandi cambiamneti che si producono ogni anno sopra la faccia della terra ha fortemente, in ogni epoca, impressionato le menti degli uomini e li ha spinti a meditare sulle cause di così vaste e meravigliose trasformazioni. La curiosità non è stata puramente disinteressata [...] E allora si raffigurarono la crescita e il decadere della vegetazione, la nascita e la morte delle creature viventi come effetti della forza crescente e declinante di esseri divini, di dèi e di dee, che nascevano e morivano, che si sposavano e avevano figli, secondo il modello della vita umana [...]. La miglior prova che Adone fosse una divinità della vegetazione, e specalmente del grano, ci viene forse data dai cosiddetti giardini di Adone [...] In Sardegna si seminano ancora i giardini di Adone per la gran festa di mezz’estate, chiamata festa di S. Giovanni. Alla fine di marzo o al 1° di aprile, un giovane del villaggio si presenta a una fanciulla e la prega di essere la sua comare, offrendosi come compare. L’invito è considerato come un onore reso alla famiglia della fanciulla ed è accettato con gioia. Alla fine di maggio la fanciulla fa un vaso con la corteccia di quercia-sughero, lo riempie di terra e lo semina con una manciata di grano e di orzo. [...] E’ probabile, come suppone R. Wunsch, che in questi costumi di mezz’estate della Sardegna e della Sicilia, S. Giovanni abbia preso il posto di Adone. [...] In Sicilia si seminano ancora in primavera come d’estate dei giardini di Adone; da ciò possiamo forse arguire che la Sicilia e la Sardegna celebrassero un tempo una festa primaverile del dio morto e risuscitato. All’avvicinarsi della Pasqua, le donne siciliane seminano del grano, delle lenticchie e dei grani leggeri in piatti, che tengono al buio e innaffiano ogni due giorni. Le piante crescono rapidamente, se ne legano insieme i germogli con dei nastri rossi e si mettono i piatti che li contengono sui sepolcri che si fanno con le immagini del Cristo morto, il venerdì santo, nelle chiese cattoliche e greche, proprio come i giardini di Adone venivano posti sulla tomba del dio morto. Questo uso non è unicamente siciliano, perché viene osservato anche in Campania in Calabria, in Puglia, e forse anche altrove. L’intero costume - i sepolcri e i piatti con i germogli di grano - può essere la continuazione, sotto un nome diverso, del culto di Adone”. (cfr. James G. Frazer, "Il Ramo d’Oro. Studio sulla magia e la religione", Boringhieri, Torino, 1973, vol. I, capp. XXIX- XXXIII,pp. 503 e 533 ss.).
B)"COME NON NASCONO I BAMBINI" - MARCEL DETIENNE E "I GIARDINI DI ADONE": "I giardini di Adone. La mitologia dei profumi e degli aromi in Grecia. Adone il seduttore per eccesso di potenza sessuale è condannato all’impotenza. Marcel Detienne, storico e antropologo della Grecia antica, risale alla nascita del mitico personaggio dall’albero della mirra per delineare l’opposizione tra il bellissimo giovane e la terribile dea Demetra, tra gli aromi e il grano, tra quel che rappresentano gli uni e l’altro: eccitazione e norma, vanità e utilità. Adone è dotato di un’esuberante vitalità ma a lui si associano giardini sterili, fatti bruciare al sole della canicola, feste disordinate, che esaltano lo sfogo sfrenato della passione, provocato dai profumi al colmo dell’estate e pervertitore dell’istituzione matrimoniale. Così è tutto un ordine celeste e sociale che viene sconvolto. Come osserva Claude Lévi-Strauss,"la scrittura di insolita grazia" di Detienne non cessa di rivelare i legami del mito di Adone con altri miti apparentemente "primitivi", imperniati sulla seduzione erotica e le sue più varie manifestazioni, aprendo inedite prospettive alla ricerca antropologica.": Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009).
C) "COME NASCONO I BAMBINI", OGGI? "DICERIE SACRE" E "DIVINA COMMEDIA" - JOHNNY L. BERTOLIO, "Stabat Venus dolorosa nell’Adone di Marino": "Riassunto. Il presente studio intende verificare e sviluppare una linea interpretativa dell’Adone tracciata a più riprese da Francesco Guardiani (specialmente: La meravigliosa retorica 52-56; “I trastulli” 313; “A Christological Metamorphosis” 187-94) e già rilevata da P. Pozzi nel suo fondamentale commento (in Marino, L’Adone, vol. 2, 63): si tratta di quel costante innesto, nella figura e nella vicenda di Adone, di elementi appartenenti alla storia sacra e, specificamente, a Cristo e alla sua Passione. Si è parlato e si continua a parlare, a tale proposito, di “neopaganesimo” (Frare), il che indica quanto sia cruciale interrogarsi sugli scopi, se mai Marino ne avesse, e sugli esiti di questo giocare col fuoco della fede e del dogma in un’epoca poco incline al compromesso. In questo percorso, l’Adone sarà letto tenendo presenti, in particolare, la Lira e le DicerieSacre, due opere che, per quanto attiene ai carmi dedicati alla Passione, si illuminano a vicenda anche in forza della cronologia (Lira III e Dicerie, infatti, escono nel 1614): per parafrasare, grazie alla fecondissima produzione del Nostro, il motto dell’esegesi omerica di Aristarco, si proverà dunque a “spiegare Marino con Marino”. ("Quaderni d’italianistica", Volume XXXV n. 2, 2014, 99-124 ).
P.S. 4 -
AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE. DA GIOVAN BATTISTA MARINO A... OVIDIO... “RIVISITATO”:
[VENERE] lamentandosi col destino disse: “Non, però, di ogni oni cosa il destino potrà disporre. Un ricordo del mio lutto, o Adone, rimarrà in eterno: ogni anno si ripeterà la scena della tua morte, a imitazione del mio cordoglio. E il sangue sarà mutato in un fiore. [...] Detto questo, versò nèttare odoroso sul sangue, e il sangue al contatto cominciò a fermentare [...] E un’ora intera non era passata: quando dal sangue spuntò un fiore dello stesso colore, un fiore come quello del melograno, i cui frutti celano tanti granelli sotto la duttile buccia. E’ un fiore, tuttavia, che dura poco. Fissato male, e fragile per troppa leggerezza, deve il suo nome al vento, e proprio il vento ne disperde i petali ” (Ovidio, "Metamorfosi", X, Einaudi, Torino, vv.731-739).
Allegato: Immagine di “Adonis Annua”.
STORIA DI NAPOLI, STORIOGRAFIA, E RIFORMA TEOLOGICO-POLITICA (DI IERI E DI OGGI):
LA "NAPOLI POROSA" DI WALTER BENJAMIN E ASJA LACIS *
BENJAMIN
Napoli porosa
WALTER BENJAMIN - ASJA LACIS
a c. di Andrea Cortellessa *
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Qualche anno fa un sacerdote, per aver infranto il codice morale[1], fu portato in giro per le strade di Napoli su un carretto. La folla lo accompagnava lanciando formule di malaugurio. Quando poi a un angolo s’intravide un corteo nuziale, il sacerdote si levò in piedi e fece segno di benedire. In quello stesso istante, tutti coloro che seguivano il carro si genuflessero.
È così che il cattolicesimo cerca in questa città di ristabilire a ogni occasione il proprio ordine. Se dovesse scomparire dalla faccia della terra, i suoi ultimi sospiri non giungerebbero da Roma, bensì da Napoli. Da nessun’altra parte, infatti, questo popolo potrebbe sopravvivere indenne alla sua ricca, congenita, barbarie, se non nel grembo della Chiesa: il popolo ha bisogno del cattolicesimo, perché con esso una leggenda, il giorno di un martire sul calendario, agiscono come istanza di legittimazione dei suoi eccessi. [...]
Il viaggiatore borghese che fino a Roma aveva sfiorato, come dita sui pali di uno steccato, l’una dopo l’altra le opere d’arte italiane, deve ora fermarsi e abbandonare le sue pretese. [...]
Ma anche il comune viaggiatore non si sente al posto giusto. Persino il Baedeker[2] non riuscirebbe a rabbonirlo. א [(Questo manuale del perfetto viaggiatore è riuscito, in modo così unico nella sua perizia, a proteggere da ogni inconsapevole avventura la borghesia da viaggio europea. Prima ancora che si potesse pensare a una trasformazione del paesaggio in questa direzione, quello già ne calcolava gli effetti con fantasiosa scrupolosità. Nella sua pedanteria si celava la profezia delle autostrade [3]). E tuttavia,] Qui le Chiese non si lasciano trovare, le sculture che sulla guida sono contrassegnaste da stelle[4] sono puntualmente collocate nell’ala del museo chiusa al pubblico, e la parola “manierismo” mette in guardia dalle opere della pittura locale. [...]
Come la pietra, così anche l’architettura di Napoli è porosa. Costruzione e azione si permeano in un susseguirsi di cortili, portici e scaloni. Tutto è fatto per custodire la scena in cui costellazioni sempre nuove, sino ad allora imprevedibili, possano accadere. א [Quando a raggrupparsi in un locale sono i tedeschi, questi devono sempre separare e mettere in fila tavoli e siede. Gli italiani, invece, si spargono ovunque, chiacchierano ai tavoli e reclamano sempre più spazio. Eppure, essi si comportano in modo molto più discreto che non i tedeschi nel loro buon cantuccio.] Si scansa il definitivo, il consolidato. Nessuna situazione, per come essa appare, è pensata una volta per sempre. Nessuna figura reclama il suo “così e non altrimenti”. [...]
Poiché nulla è concluso e fatto per sempre, in angoli come questi si riconosce a malapena fra quel che deve essere ancora costruito e quel che già è caduto in rovina. Porosità significa non solo, o non tanto, l’indolenza meridionale nell’operare, bensì piuttosto, e soprattutto, l’eterna passione per l’improvvisare. All’improvvisazione deve essere in ogni modo riservato lo spazio, deve essere sempre garantita l’occasione. I fabbricati sono usati come teatri popolari permanenti, le cui parti si dividono in una miriade simultanea di palchi animati: balconi, androni, pianerottoli, finestre, scaloni, gli stessi tetti - tutto è, insieme, palcoscenico e platea. Anche l’esistenza più miserabile è sovrana nell’ambigua, oscura consapevolezza di far parte, con tutto il suo degrado, di una di quelle irripetibili scene di vita di strada napoletana; e di poter godere, nel pieno della sua povertà, dell’ozio necessario per il grandioso scenario. [...]
Diffusa, porosa, disseminata è la vita privata. Ciò che distingue Napoli da tutte le altre città ha a che fare con il kraal degli Ottentotti[5]: ogni comportamento e affare privato è inondato dalle correnti della vita pubblica come da una marea. L’esistenza, che per i nordeuropei è la più intima delle faccende, qui a Napoli diventa un fatto collettivo, come nel kraal degli Ottentotti. [...]
Così come l’abitazione si riversa in strada con seggiole, fornacella e altarino, allo stesso modo, ma molto più chiassosamente, la strada irrompe nel basso. Anche quello più misero è pieno di candele, statuine di santi in biscuit, cespi di fotografie alle pareti e brande di ferro, così come la strada lo è di carretti, uomini e luci. La miseria ha portato a un’espansione dei confini, riflesso della più accesa libertà di spirito. Dormire e mangiare sono occupazioni senza orario, spesso prive anche di un luogo. [...]
Come è possibile prendere sonno in una stanza dove si contano tanti letti quanto lo spazio ne consenta? [...] Questo agognato sonno, che anche gli adulti recuperano appena possono in un cantuccio d’ombra, non ha nulla del preservato sonno nordico. Si tratta, ancora una volta, di una porosità, una compenetrazione di giorno e notte, rumore e silenzio, luce esterna e buio interno, strada e domicilio.
Leggi anche il testo di Elenio Cicchini, Porosità.
* Fonte: "Antinomie", 03/05/2020 (ripresa parziale, senza le note).
* STORIA DI NAPOLI, STORIOGRAFIA, E RIFORMA TEOLOGICO-POLITICA (DI IERI E DI OGGI):
A ben rileggere, l’inizio del testo di Walter Benjamin e Asja Lacis, dove si sottolinea che, "[...] Da nessun’altra parte, [...] questo popolo potrebbe sopravvivere indenne alla sua ricca, congenita, barbarie, se non nel grembo della Chiesa: il popolo ha bisogno del cattolicesimo, perché con esso una leggenda, il giorno di un martire sul calendario, agiscono come istanza di legittimazione dei suoi eccessi [...]", a mio parere, è possibile comprendere meglio la portata della "porosità" napoletana e benjaminiana.
Se si riflette su quanto egli dice e si allarga il campo dell’orizzonte storico, forse, è possibile da una parte capire perché, a Napoli (intorno al 1925), a Benjamin il tempo sembra essersi fermato (il fascismo al potere è già sulla via della Conciliazione con la Chiesa) e, al contempo, perché oggi può essere criticamente importante "compenetrare" il filo spezzato dalla svolta autoritaria di Carlo V e don Pedro di Toledo del cattolicesimo riformatore della Napoli e della Salerno di Juan Valdes, del Principe Ferrante Sanseverino, e dell’arcivescovo Girolamo Seripando e ricollegarlo al vicolo cieco del cattolicesimo dell’attuale presente storico.
Se non ora, quando? Non solo per Walter Benjamin, il nemico non ha smesso di vincere...
Federico La Sala
LETTERATURA E STORIA. Un invito alla rilettura del cap. XVII della "Storia della letteratura italiana" di Francesco De Sanctis, dedicate a Giovan Battista Marino:
"MARINO. Questo mondo lirico che nella Gerusalemme si trova mescolato con altri elementi, apparisce in tutta la sua purezza idillica ed elegiaca nell’Aminta. Ivi il Tasso incontra il vero mondo del suo spirito e lo conduce a grande perfezione.
L’Aminta non è un dramma pastorale e neppure un dramma. Sotto nomi pastorali e sotto forma drammatica è un poemetto lirico, narrazione drammatizzata, anzi che vera rappresentazione, come erano le tragedie e le commedie e i così detti drammi pastorali in Italia. Citerò la Virginia dell’Accolti resa celebre dall’imitazione di Shakespeare. Essa è in fondo una novella allargata a commedia di quel carattere romanzesco che dominava nell’immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che è il Ruffo, la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de’ due protagonisti, Virginia e il principe di Salerno. [...]
Novissimo e popolarissimo argomento era la scoperta dell’America, che ispirò al Tasso la più geniale delle sue concezioni, il viaggio alle Isole fortunate. Ma fu trattato col solito bagaglio classico, e il mondo nuovo apparve stanca e vieta reminiscenza di un mondo poetico già decrepito.
Il mondo eroico di quel secolo era stato fabbricato dal Concilio di Trento. Ed era una ristaurazione del mondo cattolico alle prese co’ turchi, e vincitore meno per virtù propria che per la grazia di Dio. Questo argomento di tutt’i poemi cavallereschi, sciolto nella buffoneria del Pulci e nell’ironia dell’Ariosto, purgato e nobilitato dal Tasso, era divenuto l’accento ufficiale del secolo. [...]. Se guardi alla materia, ci è qui tutto il mondo eroico, morale e religioso del cristianesimo, ma non ce n’è lo spirito, nè poteva infonderlo co’ suoi decreti il Concilio di Trento. La letteratura religiosa è una moda anzi che un sentimento; lo spirito vi rimane estraneo, e si conserva classico e letterario quanto alle forme, nell’indifferenza del contenuto. [...].
La passività dello spirito, naturale conseguenza di una teocrazia autoritaria, sospettosa di ogni discussione, e di una vita interiore esaurita e impaludata, teneva l’Italia estranea a tutto quel gran movimento d’idee e di cose da cui uscivano le giovani nazioni di Europa; e fin d’allora ella era tagliata fuori del mondo moderno, e più simile a museo, che a società di uomini vivi. [...].
Il re del secolo, il gran maestro della parola, fu il cavalier Marino, onorato, festeggiato, pensionato, tenuto principe de’ poeti antichi e moderni, e non da plebe, ma da’ più chiari uomini di quel tempo. Dicesi che fu il corruttore del suo secolo. Piuttosto è lecito di dire che il secolo corruppe lui, o, per dire con più esattezza, non ci fu corrotti, nè corruttori. Il secolo era quello, e non potea esser altro, era una conseguenza necessaria di non meno necessarie premesse. E Marino fu l’ingegno del secolo, il secolo stesso nella maggior forza e chiarezza della sua espressione. Aveva immaginazione copiosa e veloce, molta facilità di concezione, orecchio musicale, ricchezza inesauribile di modi e di forme, nessuna profondità e serietà di concetto e di sentimento, nessuna fede in un contenuto qualsiasi. Il problema per lui, come pe’ contemporanei, non era il che, ma il come. Trovava un repertorio esausto, già lisciato e profumato dal Tasso e dal Guarini, i due grandi poeti della sua giovanezza. Ed egli lisciò e profumò ancora più, adoperandovi la fecondità della sua immaginazione e la facilità della sua vena.
La moda era alle idee religiose e morali [...]. Ma la vita era in fondo materialista, gaudente, volgare, pettegola, licenziosa; il naturalismo viveva nella sua forma più grossolana sotto a quelle pretensioni religiose. Le prime poesie del Marino furono sfacciatamente lubriche, come la prima sua giovinezza; e quando venne a età più matura, cercò non la correzione, ma la decenza esteriore, decorando i suoi furori erotici di un ammanto allegorico.
Nelle tradizioni della poesia ci è un concetto, che mette capo in Circe ed Ulisse, ed è l’imbestiamento dell’uomo per opera dell’amore, e la sua liberazione per opera della ragione. Questo concetto diviene un episodio importante in tutte le nostre poesie romanzesche ed eroiche, ed è anche la Musa che ispira Dante e il Petrarca. Angelica, Alcina, Armida sono le Circi italiane, co’ loro giardini, co’ loro palagi e castelli incantati, coi loro viaggi attraverso lo spazio. Questo è l’episodio più interessante, anzi è il concetto fondamentale della Gerusalemme liberata. L’episodio del Tasso incastrato fra elementi religiosi ed eroici diviene ora esso solo il poema, diviene l’Adone.
La storia del naturalismo poetico incomincia nella Amorosa visione, e finisce nell’Adone. I due poemi sono assai simili di concetto. L’amore, principio della generazione, è anima del mondo, è la corona della natura e dell’arte, in esso s’inizia, in esso si termina il circolo della vita. Venere e Adone è la congiunzione non solo spirituale, ma corporale del divino e dell’umano; è l’amore sensuale che investe tutta la natura, cielo e terra. Nel paradiso teologico di Dante il corpo si solve nello spirito; ma in questo paradiso mitologico lo spirito ha la sua perfezione e la sua vita nell’amore sensuale. Un senso tragico si aggiunge a questa commedia terrena. L’uomo è mortale, e i suoi piaceri sono lievi e fugaci; e la conclusione è la morte di Adone fra il compianto degl’immortali.
La base è l’amore sensuale rappresentato in tutt’i suoi gradi nel giardino del Piacere, uno di quei giardini dell’amore già celebri nelle rime del Poliziano, dell’Ariosto e del Tasso, qui diviso in cinque giardini corrispondenti a’ cinque sensi, sì che questa sola descrizione prende già buona parte del poema. Nel giardino del Tatto Adone gode gli ultimi diletti, e s’indìa, è rapito in cielo, attinge la felicità. Il cielo o il paradiso del Marino non comprende che la Luna, Mercurio e Venere, tutto l’universo d’amore. La Luna è la sede della natura, Mercurio è la sede dell’arte, e sede dell’amore è Venere. È tutto il cielo della vita, simile a’ diversi gradi dell’ Amorosa Visione. Ma l’apoteosi e il trionfo dell’amore è di breve durata, e Venere non ha il tempo di rendere immortale il suo amato. Adone muore, vittima della gelosia di Marte, e gli ultimi canti narrano la morte di Adone, il compianto di Venere e degli Dei, e le sue esequie. [...]"
(cfr. FRANCESCO DE SANCTIS, "Storia della letteratura italiana", cap. XVII).
SPECIALE BAROCCO - IV CENTENARIO L’ADONE (1623)
UN LIBRO ‘GRANDE, PERIGLIOSO E SFRENATO’
L’Adone di Giovan Battista Marino
di ALESSANDRA RUFFINO (la Biblioteca di Via Senato, n. 11, novembre 2023)
Fa dunque 400, L’Adone del Marino, «uno dei grandi e perigliosi e sfrenati libri della nostra letteratura».1 Finito di stampare a Parigi il 24 aprile 1623, in edizione «magnifica e veramente degna di poema regio»,2 in folio con 10 ottave per facciata su due file, ebbe in settembre una prima edizione italiana ben più dimessa (Venezia, Scaglia). Complessa la genesi dell’opera (nel 1615 l’autore ne accennava come di poema «composto ne’ primi anni della mia età»)3 e ancor più accidentata la pubblicazione. A lungo atteso, una volta uscito L’Adone scatenò una zuffa tra detrattori, con Tommaso Stigliani in testa (Dello occhiale, 1627), e partigiani (la prima difesa del poema, a firma di Girolamo Aleandri, è del 1629-1630). Intanto l’11 giugno 1624 veniva sospeso dall’Inquisizione; a fine marzo 1625 Giambattista Marino moriva a Napoli e il 4 febbraio 1627 L’Adone finiva all’Indice con l’accusa di oscenità.
Conscio di aver creato un’opera estrema, Marino aveva cercato di anticipare i colpi con cavillose distinzioni tra «scrivere tenero» e «scrivere osceno»: «Rincrescemi - confessava inviando a un amico una copia del libro fresca di stampa - di non aver potuto spedire a tempo un mio lungo discorso, che va nel principio, circa la differenza dello scrivere tenero e dell’osceno, il quale è pieno di buona e recondita erudizione, e l’ho fatto per chiuder la bocca a coloro che dicono questo poema esser tutto sparso di lascivie e sporchezze».4
A lungo più famigerato che famoso, a lungo poco (o per niente) letto, eppure additato come esempio per antonomasia di ampollosa stravaganza, di vacuità e cattivo gusto, negli ultimi venti anni L’Adone e il suo artefice sono tornati alla ribalta. Alla benemerita triade dei primi esegeti del Marino: Marziano Guglielminetti, Marzio Pieri e Giovanni Pozzi si è accodata una folta schiera di editori e specialisti. Tra 1976 e 2010 sono uscite cinque edizioni del poema e da un paio di decenni, in Italia e all’estero, è tutto un fiorire di convegni, studi e volumi dedicati. Complice - si dice - una certa postmoderna disposizione per il neopaganesimo,5 è in corso una Marino-Renaissance il cui coronamento è rappresentato dall’inclusione del poeta tra i nomi sponsorizzati in iniziative che celebrano ricorrenze e centenari e dall’uscita dell’Adone in una storica collana di tascabili (BUR, 2013 e 2016, a cura di Luigi Russo). Un Marino a buon mercato e ammesso tra i classici è già in sé una rivoluzione. ‘Grande, periglioso, sfrenato’: questo il tris di aggettivi scelti da Giorgio Manganelli per il capo d’opera mariniano a metà anni Sessanta, quando la Neoavanguardia giocava a specchiarsi come Narciso nella polla di un Barocco fino ad allora negletto e reietto.
Grande L’Adone è senz’altro per quantità: i suoi quasi 41.000 versi - si sa - sono il triplo di quelli della Commedia dantesca e due volte mezzo quelli della Gerusalemme liberata. Ma più grande assai per le sue occulte qualità.
Molle, favoloso e vano: questo il tris calato dal Marino e che non conviene prendere alla lettera. Meglio prenderlo per converso, visto che cade in avvio, là dove si dichiara la natura ‘silenica’ dell’opera, rispondente alla parabola platonica secondo cui la scorza delle cose cela una sostanza esattamente contraria.
Dell’Adone è stato detto che era un’infinita serie di madrigali senza capo né coda, un’enciclopedia del poetabile, una raccolta di emblemi, un sistema ellittico (in senso sia geometrico sia retorico), che era un delirio contagioso, un poema filosofico e molto altro ancora. Il fatto stesso che da quattro secoli il poema solleciti letture così divergenti consiglia di considerarlo al di là dei parametri della storia del bello scrivere. Non eroico, non epico, non sacro, non didascalico: ma erotico, pagano, mitologico e divino («perché parla di dei», rivendicava l’autore), L’Adone ricapitola per l’ultima volta la tradizione grecoromana e italiana della poesia integrando in sé ogni registro: comico, tragico, idilliaco, favoloso, realistico. Dentro ci si trova tutto: scene piccanti (Adone voyeur: VIII, 60 ss.), bozzetti di genere con sfumature comiche (Venere che sculaccia con scudiscio di rose il figlio monello, I, 17); Amore che mette sottosopra la fucina del padre Vulcano insolentendo i ciclopi «mostruosi e brutti» (I, 82); ancora Amore che, punto da un’ape, corre dalla mamma ma s’imbatte in un teschio e gira in scherno perfino il topos dell’Et in Arcadia Ego: nemmeno davanti alla morte «Non si seppe tenere che non ridesse / Vòlto a schernirla, il garruletto audace / Onde pugna crudel tra lor successe / Vibrando ella la falce, egli la face» (VI, 204).
Con calma, lusso e voluttà, Marino costella l’immensa mole del poema di citazioni, osservazioni parascientifiche, cenni all’attualità, cataloghi di tutto il catalogabile (reale, naturale, sovrannaturale, storico o fantastico che sia): fiumi, pittori, profumi, fiori, uccelli, alberi, poeti antichi e moderni, inventori... Non mancano un almanacco di Gotha delle maggiori casate del tempo (IX, 120 ss.) e una rassegna sportiva (XX). Con mirabili tour de force il poeta esplora tutte le possibilità sonore e visive del verso, che per lui - perfino nella Galeria (1620), dove prometteva di illustrare pitture, disegni e sculture - vince sempre su musica, pittura e natura. La poesia di Marino crea immagini ed esperienze, non descrive.
«L’Adone - ha tagliato corto Marc Fumaroli introducendo la prima traduzione francese del poema - est l’un des poèmes les plus originaux qui soient, prophétique à des égards de ce que Barthes appelait “notre modernité”».6 Profetico e spericolato, L’Adone, dove il piccolo (la forma-idillio di cui l’autore si vantava d’essere lo scopritore moderno) si espande all’inverosimile per annettere il grande (l’epopea), dissolvendo la tradizione eroica culminata nella Liberata. Col Tasso Marino s’era messo in gara in pazzia oltreché in poesia: «Iddio mi dotò (la sua mercè) d’intelletto tale, che si sente abile a comporre un poema non meno eccellente di quel che si abbia fatto il Tasso [...] e s’io non mi posso in altro agguagliare a quel gran poeta, voglio almeno pretendere di vincere il paragone nell’esser più matto di lui».7 Alla materia guerresca, blindata in un predeterminato dualismo di bene/male, giusti/rei, succede una nuova specie di «Poema di Pace» (questa la felice definizione di Jean Chapelain nella Lettre sur l’Adonis acclusa all’edizione parigina) ispirato a un inusitato ordine di valori che gravitano attorno a più evanescenti antitesi: piacere/noia, bellezza/bruttezza, effimero/eterno... Nelle stanze dell’Adone «la frantumazione e l’annientamento delle cose nello splendido e freddo frammento emblematico»8 coabita con un fermento metamorfico che vede ogni forma cambiar di continuo di stato, di regno, di genere e tutto invertirsi nel proprio contrario. Il risultato è un monstrum che posa sul presque-rien, laddove Tasso aveva intessuto i suoi tormenti spirituali sul non-so-che.
Nel poema marinano, Ovidio è l’alternativa a Virgilio e Omero, eros è alternativo all’epos, la metafora alternativa al reale, la fiction alternativa alla mimesis. Elastica e fuor di regola, quella dell’Adone è una «struttura sgangherabile». «È come se Marino avesse pensato al suo poema in termini di sproporzione e dissonanza [...] venendo così a creare una struttura a corpi narrativi isolabili che anticipa alcuni esiti del romanzo moderno».9 Moderno, nel poema, è anche un certo relativismo di cui c’è traccia - ad esempio - in questo accomodamento del proverbiale Omnia mundi mundis:
Nell’Adone la gerarchia tra l’essenziale e il secondario è soppressa in modo sistematico, a partire dal soggetto: la storiella che fa da pretesto al libro, era un episodio minore perfino in Ovidio. A volerla buttare in termini politicamente scorretti e un po’ in farsa (ma nemmen troppo),10 è la vicenda di un poco più che fanciullo nato sotto «crude influentie e felle» (I, 31) dall’incesto tra Mirra e il padre («male conceptus infans», diceva Ovidio, X, 503), che diventa il toy-boy di una dea che fa di lui un esclusivo strumento di piacere. Imberbe, biondo, roseo («in bionde anella di fin’or lucente / Tutto si tôrce e si rincrespa il crine, I, 42), il ragazzo ha una fisicità acerba e ambigua e, nell’impianto di antitesi multiple del poema, rappresenta il rovescio di quella di Marte, amante ufficiale di Venere, e di quella del di lei consorte: quel Vulcano connotato da una virilità caricaturale che, imbrattato di fuliggine e sudore, pretende amplessi dalla moglie, costretta a maledir la sorte («Che le bellezze mie si goda un fabro? / Un aspro, un rozo, un ruvido consorte, / Inculto, hirsuto, affumigato e scabro», III, 49-51). All’aggressiva baldanza di Marte e all’operoso attivismo di Vulcano l’androgino11 Adone oppone una personalità inconsistente e un’esistenza dedita ai diporti e alla piccola caccia (dalle prede grandi Venere stessa lo esorta a stare alla larga). Svagato, volubile e indolente, il figlio di Mirra appare spesso colto alla sprovvista, imbambolato dallo stupore,12 ora spossato dopo una sessione venatoria (risvegliato, come in una fiaba, dal bacio della dea: III, 68-102), ora preso dal sonno, come quando si assopisce durante la rappresentazione della storia di Atteone offerta da Mercurio (V, 147).
Il non-eroe del poema non è soggetto di azioni e imprese, ma passivo oggetto di desiderio. Oggi verrebbe qualificato come ‘fluido’ e magari si scriverebbe il suo nome con la schwa: fatto che sta che Adon è motore immobile di un formidabile teatro che non inscena edificanti contrasti tra eroico e vile, tra buono ed empio, sviluppando bensì un interminato encomio dei piaceri della pace: arte, ricreazioni e bellezza: «Nulla senza beltà diletta o vale, / Il tutto annoia, oue beltà non splende» (XI, 36).
Nella variante mariniana del mito, per sbarazzarsi del rivale in amore a un certo punto Marte gli scatena contro un cinghiale, ma nel sistema del poema - dove l’amor panico vige al posto del timor panico - perfino la fiera, rapita dalla non ordinaria bellezza di Adone, cerca di porgergli un maldestro bacio, ferendolo a morte fuor d’intenzione (XVII, 238). «La favola - ammetteva il Marino - è angusta ed incapace di varietà d’accidenti; ma io mi sono ingegnato d’arricchirla d’azioni episodiche, come meglio mi è stato possibile».13 La storia - dunque - quasi non esiste.
E la Storia, invece, che parte ha in un poema fantastico in cui reale e immaginario convivono sempre sul filo scandalo? «Se ben si favoleggia sopra cosa favolosa, si sa nondimeno che la favola antica ha forza d’istorica»,14 avvertiva il poeta. La Storia, nell’Adone, è a tratti evocata in termini espliciti (è il caso dei riferimenti non solo encomiastici alle guerre del Monferrato o ad alcuni fatti di attualità francese) e più spesso tramite allusioni allegoriche e travestimenti. Nella tonalità di fondo del poema, la Storia sembra svolgere la funzione di un implicito ‘richiamo alla irrealtà’, qualcosa che dà avvio a una irrefrenabile voglia di evadere.
Sfrenato L’Adone, che tra le mille iridescenze del suo prisma presenta anche la facies di poema politico.15 Con l’auspicio dell’avvento di un’età venusiana che s’instauri in luogo del regime di Marte/Morte, si formula il voto di un’Europa pacificata nel segno d’una civiltà delle lettere, delle arti e dell’otium. Il prezzo di un’inversione dei valori così radicale era la devirilizzazione dell’eroe, il pas- saggio - appunto - dal bellicoso Marte all’imbelle Adone.
E qui tocca tornare dall’utopia alla cronaca. Completato e pubblicato a Parigi a spese del re di Francia, L’Adone suggerisce tra le righe un ‘programma’ in linea col disegno di Maria de’ Medici che, combinando le nozze tra il figlio Luigi e Anna d’Austria, mirava a un appeasement tra le monarchie cattoliche (Austria-Spagna-Francia). Con l’ascesa di Richielieu nel 1624, quel disegno - forse troppo mediterraneo - fallisce. Il cardinale punta ad alleanze coi principi protestanti e il gusto francese, instradato sulla via del Grand Siècle, s’indirizza su una linea classicista incompatibile con le eccentriche orbite dell’Adone (che resterà invece un cult per la Fronda libertina). Peccato, perché l’utopia adombrata in quell’operona che sembrava solo un accrocchio di digressioni e un’immoderata esibizione di bravura, implica una filosofia disincantata e coerente che include anche la morte (Adone muore e nulla possono gli dei). Stava forse in quella singolare completezza - più che nella disinvoltura morale, nelle fantasie politeiste o negli allettamenti sensuali - la segreta insidia dell’Adone. Lo sapevano Richelieu e i classicisti francesi e lo sapevano gli inquisitori romani, che negli stessi anni in cui castigavano le sporchezze dell’Adone, difendevano e diffondevano coram populo l’opera di Gian Lorenzo Bernini, lo scultore della Beata Albertoni o della Santa Teresa in orgasmo. Anni fa, Marzio Pieri ha invitato a rettificare il facile abbinamento in Barocco tra i due italiani a Parigi, Bernini e Marino, nel più appropriato parallelo Marino-Borromini. «Borromini - tuonava un teorico dell’arte amico di Mengs - portò la bizzarria al più alto grado del delirio. Deformò ogni forma, mutilò frontespizj, rovesciò volute, tagliò angoli, ondulò architravi e cornicioni, e profuse cartocci, lumache, mensole, zigzag, e meschinità d’ogni sorte. L’architettura borrominesca è un’architettura alla rovescia. Non è architettura, è una scarabattoleria d’ebanista fantastico».16 Non si potrebbe dir meglio per L’Adone, che è davvero un mondo alla rovescia, anzi un mondo frattale regolato dall’onnipresente logica del tutto-è-in-tutto. In esso, l’evanescenza e il vuoto programmato «sont porteurs d’une plénitude qui leur est propre, et qui rivalise avec le réalisme ordinaire».17 Sembrava la scommessa di un matto, un gioco di prestigio, un castello di carta, anzi «di schiuma e biscotto» come il convento barocco di Montale (Le Occasioni, Verso Vienna). Sembrava quasi niente ed era una visione del mondo. L’anemone, dice Ovidio, «è fiore di vita breve fissato male al suolo e fragile per troppa leggerezza, deve il suo nome al vento, e proprio il vento ne disperde i petali».18A differenza del poeta delle Metamorfosi Marino tramuta il cuore - non il sangue - di Adone nel fiore del vento (XIX, 411 ss.). In ebraico ruah, ‘vento’, è pure il nome dello spirito. «E se fosse vera l’opinione degli Hebrei, che nei caratteri e nelle zifre si racchiudessero le forze magiche, io direi che i caratteri tutti di questo Adonefossero gli alfabetti d’Egitto, o le figure di Hermete, poiché le cose mirabili operate negl’ingegni da questo libro vagliono a comprobare effetti sopra natura portentosi e inauditi. Io parlo per bocca di chi più sa»,19 sentenziava nel 1625 Gianfrancesco Busenello. Quattro secoli dopo, lo spirito «sopra natura» di Adon fa ancora il suo giro e scompiglia i pensieri.
CONTINUAZIONE NEL PROSSIMO POST
SPECIALE BAROCCO - IV CENTENARIO L’ADONE (1623)
UN LIBRO ‘GRANDE, PERIGLIOSO E SFRENATO’
L’Adone di Giovan Battista Marino
di ALESSANDRA RUFFINO (la Biblioteca di Via Senato, n. 11, novembre 2023)
NOTE
Le citazioni da L’Adone sono tratte dall’edizione a cura di Marzio Pieri, La Finestra,
Trento, 2004, 3 tomi.
1 Giorgio Manganelli, Il mondo folgorato, in Id., Emigrazioni oniriche. Scritti sulle
arti, a cura di Andrea Cortellessa, Milano,
Adelphi, 2023, p. 112. Il 23 marzo 1966, in
un ‘mercoledì dell’Einaudi’ in cui si discuteva di una nuova collana di classici italiani,
Manganelli fece mettere a verbale: «per i
classici italiani, si deve mettere in lavorazione un Adone del Marino, oggi introvabile. Cannocchiale aristotelico del Tesauro, di
cui non esiste edizione disponibile. Hypnerotomachia Poliphili è stato fatto, ma il
prezzo lo riserva ai produttori di panfili»
(Id., Estrosità rigorose di un consulente editoriale, a cura di Salvatore Silvano Nigro,
Milano, Adelphi, 2016, pp. 233-234).
2 Giambattista Marino, Lettere, a cura di
Marziano Guglielminetti, Einaudi, Torino,
1966, A Giovan Battista Ciotti, Di Parigi
[1621], p. 296.
3 Ivi, A Fortuniano Sanvitale, Di Torino,
1615, p. 188, prima di assestarsi nella forma in 20 canti, il progetto passò da pochi
canti a 12 a 24. Cfr. Emilio Russo, L’‘Adone’
a Parigi, in «Filologia e Critica», XXXV, 2-3,
2010, pp. 267-288.
4 Marino, Lettere, cit., A Fortuniano Sanvitale, Di Parigi, aprile 1623, p. 349. Potremmo intendere «tenero» nell’accezione
con cui, affettando modestia, Mantegna lo
impiegò nel 1474 per licenziare la Camera
Picta «opvs hoc tenve».
5 Cfr. Pierantonio Frare, Adone. Il poema
del neopaganesimo, in «Filologia & Critica»,
XXXVI, 2-3, 2010, pp. 227-249.
6 Marc Fumaroli, Introduction a G. Marino, Adone/Adonis, texte étabi par Marzio
Pieri, Traduction et notes de Marie-France Tristan, Paris, Les Belles Lettres, 2014, tomo
I, p. XI.
7 Marino, Lettere, cit., A Bernardo Castello, Di Torino [1613], p. 141.
8 Mario Andrea Rigoni, L’Adone del Marino come poema di emblemi, in «Lettere
italiane», XXIX, n. 1, 1977, p. 11.
9 Marco Carmello, Proposta per una lettura di Marino fra maraviglia e acutezza, in
L’Adone di Giovan Battista Marino. Mito -
movimento - maraviglia, a cura di Roberto
Ubbidiente, Roma, Aracne, 2021, p. 80.
10 Fumaroli, Introduction, cit., pp. XIIXIII, compara infatti Adone con «les narcissiques nudités masculines des publicités
Versace ou Dolce e Gabbana».
11 Cfr. Fabio Giunta, Marino e l’ambigua
fragilità di Adone, in L’Adone di Giovan
Battista Marino, cit., pp. 39-60.
12 Ad es.: «Incantato da’ vezzi, e tutto inteso / A cose Adon sì disusate e nòue, / Parte d’alto stupor, che l’ha sorpreso, / Vinto,
bocca non apre, occhio non moue» (V, 13);
«Feriro il bell’Adon di merauiglia / Quelle
forme vezzose e lasciuette, / E con l’alma
sospesa in su le ciglia / A contemplarle immobile ristette» (VIII, 31).
13 Marino, Lettere, cit., A Fortuniano
Sanvitale, Di Parigi, 1616, p. 206.
14 Ivi, A Girolamo Preti, Di Napoli, 1624,
p. 395.
15 Ma c’è chi vede in Marino «un poeta
fondamentalmente apolitico» (Marco Corradini, Tancredi e il cinghiale. Sfida, omaggio,
parodia, in Studi di letteratura italiana in
onore di Claudio Scarpati, a cura di Marco
Corradini, Maria Teresa Girardi e Uberto
Motta, Milano, Vita e Pensiero, 2010, p. 485).
Van letti in chiave ambiguamente politica
anche l’elogio dello stato rustico (Adone, I)
e certe invettive contro la vita di corte: «Vidi
la Corte, e nela Corte io vidi / Promesse lun
ghe, e guiderdoni auari, / Fauori ingiusti, e
patrocinij infidi, / Speranze dolci, e pentimenti amari / Sorrisi traditor’, vezzi homicidi,
/ Et acquisti dubbiosi, e danni chiari, / E voti
vani, et Idoli bugiardi, / Onde il male è securo, e’l ben vien tardi» (IX, 76).
16 Francesco Milizia, Dizionario delle
Belle Arti del Disegno, Bassano, 1797, tomo
I, p. 114.
17 Marie-France Tristan, Note du traducteur, in Marino, Adone/Adonis, cit., tomo I, pp. LI-LII. Della medesima si veda il
poderoso La scène de l’écriture: essai sur la
poésie philosophique du Cavalier Marin
(1569-1625), Champion, Paris, 2002.
18 Ovidio, Metamorfosi, X, 737-739:
«Brevis est tamen usus in illo: / namque
male haerentem et nimia levitatem caducum / excutiunt idem, qui praestat nomina,
venti», trad. di Mario Ramous.
19 Al Cavalier Marino, Venezia 1625, in
Marino, L’Adone, cit., tomo III, p. LXIV. Busenello fu anche autore del libretto dell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi.