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Giappone [come San Giovanni in Fiore?, fls]. "Hikikomori": i giovani non sognano più (di Stefano Vecchia) - selezione a cura del prof. Federico La Sala

Secolarizzazione, dittatura dell’economia, crescente influenza della realtà virtuale. Fino al fenomeno degli «hikikomori», un milione di ragazzi che dormono di giorno e vivono di notte: tv, internet e shopping
lunedì 22 maggio 2006.
 

C’è un termine ormai diffuso in Giappone per indicare i giovani: «nuova razza umana».

-  hikikomori *

-  Un termine che non si applica automaticamente a tutta la variegata realtà giovanile del Paese del Sol Levante, ma che esprime tutta l’inquietudine del mondo degli adulti verso un mondo inquieto e imperscrutabile.
-  Una classe mutante in costante adattamento a una realtà che ha perso le proprie radici ma fatica a ritrovarne di nuove e di salde.

Oggi, per troppe famiglie il mito di un’economia vincente rincorso per mezzo secolo si sta rivelando un’illusione. Questo ha creato frustrazione e delusione, ma anche nuove domande sul senso della vita. L’urgenza del benessere materiale, incentivato dal mondo produttivo e dalla pubblicità come unico valore, la priorità assoluta data all’economia, stanno riducendo l’homo nipponicus, ricco di valori, per quanto specifici, a un generico homo oeconomicus, a un apparato produttivo e, soprattutto, a oggetto e soggetto di di consumo.

Il Giappone continua a oliare il suo immenso apparato produttivo e di vendita come se la crisi non fosse un dato di fatto per molti, come se il divario tra ricchi e poveri non corresse il serio rischio di aggravarsi e la società nel suo complesso non fosse percorsa da forti inquietudini.

Indicativo, a questo riguardo, la tendenza dei giovani a tralasciare le possibilità di carriera e la sicurezza economica offerte da occupazioni a tempo pieno, a favore di meno impegnativi lavori part-time o freelance. Questo potrebbe portare molti che non dispongono di adeguate capacità o preparazione a subirne le conseguenze economiche in età adulta.

Le origini del malessere. Alla radice di questa situazione sociale stanno diverse cause, alcune confrontabili con quelle di tanti Paesi del mondo sviluppato, Italia inclusa, altri più specifici: secolarizzazione, imitazione acritica del modello occidentale nella versione americana che ha propiziato una perdita dell’identità profonda e un disagio che spingono ancor più verso l’imitazione acritica di modelli esterni e l’accettazione quasi fideistica della tecnologia, mancanza di educazione religiosa a scuola e nella famiglia, eccessiva importanza attribuita al fattore economico, altissima urbanizzazione, crescente influenza della realtà virtuale nella vita quotidiana.

Allontanata in un passato nemmeno tanto lontano la sua povertà contadina, esorcizzato l’incubo atomico a sessant’anni da Hiroshima e Nagasaki, superati diffidenza e senso d’inferiorità verso un mondo occidentale forse fin troppo idealizzato e insieme tenuto a bada dalla forza delle statistiche produttive e delle esportazioni, il Giappone scopre ora un pericolo assai difficile da combattere in coloro che maggiormente anticipano il suo incerto futuro ed esprimono l’inquietudine del suo presente: i giovani.

Non è un problema di gap generazionale. Non ci sono certezze adulte da contrapporre a idealismo e mutevolezza adolescenziali. Dalla metà degli anni Novanta del ventesimo secolo, il Paese sta vivendo una transizione che ha infilato nell’incertezza l’intera popolazione adulta e nella disperazione decine di migliaia di cittadini senza più una prospettiva esistenziale. È in questa situazione che fioriscono le varie marginalità e si alimentano in modo autoreferenziale le molte devianze di questo paese.

Non solo manga. I suoi giovani le anticipano, le vivono e le esasperano. Bosozoku, hijime, hikikomori... «bande violente», «bullismo», «ritiro dal mondo», sono termini specifici che l’Occidente ha spesso recepito attraverso i manga, i fumetti, ma che in Giappone sono parte integrante della realtà giovanile. Quello delle bande è un fenomeno che risale agli anni Sessanta, su imitazione americana, ma che ha infinite varianti e una sua peculiare evoluzione.

Dai gruppi legati ai vari aidoru, le star della musica o del cinema, a quelli che confinano con la criminalità organizzata, rappresentano un fenomeno di costume ch e, proprio per il conformismo sociale tipico della cultura giapponese, coinvolge una sostanziosa parte dell’universo giovanile, fornendo senso di appartenenza e motivazioni.

Il bullismo, che ha per oggetto chi viene considerato in qualche modo deviante, per aspetto fisico o per non conformità, con l’ideale del gruppo, diventa spesso violento, con episodi di efferatezza e crudeltà abbondantemente indagati dai media, anche con un intento repressivo verso un fenomeno che non di rado si riversa nelle aree scolastiche.

I suicidi nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni, un record mondiale per il Giappone da molti anni, oggi sono anche di gruppo, magari concordati via internet. Un’incertezza, un male di vivere, spesso una richiesta inespressa di aiuto o comprensione che si trasmette fino all’atto finale dell’esistenza.

Fenomeno più recente ma in costante crescita, gli hikikomori sono il frutto di una società de benessere, quella in cui i giovani possono disporre di propri appartamenti, per quanto minuscoli e di una quantità di tecnologie anche sofisticate e costose..

Come sottolinea lo scrittore Murakami Ryu, icona della realtà, e della trasgressione, giovanile: «La società giapponese è vittima di un paradosso. È preoccupata del crescente numero di giovani che si isolano dal mondo, ma allo stesso tempo applaude a oggetti come la PlayStation che è oggi anche terminale internet e lettore Dvd. Una tecnologia di questo genere rende possibile produrre grafica e filmati, come pure condurre transazioni commerciali, senza nemmeno uscire di casa. Questo fissa le persone in propri spazi individuali. Nella società informatica ciascuno di noi è in qualche misura un ritirato sociale».

Un mondo a parte. Gli hikikomori, oggi forse un milione di cui il 70-80% maschi, dormono per la maggior parte del giorno e vivono di notte. Una vita virtuale: guardano la televisione, usano internet, escono per fare acquisti nei negozi aperti 24 ore su 24 che si t rovano sotto casa per acquistare cibo pronto da inserire nel forno a microonde e quel poco necessario a una persona che vuole vivere in un mondo a parte.

* di Stefano Vecchia (Avvenire, 21.05.2006)


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