FILOSOFIE DELLA NATURA Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno di Mario Alcaro*
PROLOGO
1. In una giornata grigia e piovosa, un aereo, sicuro e maestoso come un Dio, plana sull’aeroporto di Lamezia. Sullo sfondo la pianura, il golfo, le montagne delle Serre, da una parte, e l’altopiano della Sila, dall’altra. Alle pendici del colle, lungo la strada che dall’antica Terina porta al lido, il verde argentato degli ulivi si accoppia col verde tenero dei prati e con quello intenso e cupo della macchia mediterranea. Di fronte c’è il mare, dal quale emerge, a debita distanza, nel grigio delle nuvole, l’isola vulcanica di Stromboli. E più in là fa intravedere la propria forma qualche altra isola, forse Salina, forse Panarea. Non è indispensabile immergersi nelle «sublimi» suggestioni della Selva Nera; basta stare sul colle dell’antica Terina per interrogarsi sul senso dell’essere e per capire che la natura lavora con metodo. Per capire, cioè, che essa, nonostante sia priva di intenzionalità e di coscienza, è pervenuta, forse solo per caso, a dei risultati strabilianti. È per questo che c’è da riconsiderare e, dopo secoli, riscoprire una verità quasi smarrita. Una verità semplice e antica, eppure tanto frequentemente taciuta e tanto disinvoltamente trascurata dal sapere contemporaneo: l’uomo, come diceva di sé la strega di Biancaneve, è il più bello del reame, ma la sua indiscutibile superiorità non può più obliare i mirabili processi naturali che lo hanno posto sulla cima della gerarchia ontologica. Questa verità semplice e antica (che la modernità si è impegnata quasi sempre ad adombrare se non proprio a rimuovere) ci dice che la realtà umana non sarebbe stata possibile se un pugno di atomi e di molecole non si fossero messi di buona lena e non avessero partorito - dopo un lungo e prodigioso travaglio - delle cellule capaci di organizzarsi in organismi e delle cellule capaci di rappresentarsi altre cellule e di sentire e di darci un’immagine dell’universo-mondo. Lo so, dico qualcosa che sa maledettamente di rozzo materialismo. Lo so, dico qualcosa che può apparire perfino naif. Poco male. Si può tentare di dire la stessa cosa in un modo leggermente più sofisticato. Ci provo. Un campo in cui si esprime la potenza conoscitiva e operativa degli uomini è quello dell’ingegneria genetica. Ebbene, tutti sanno che l’ingegneria genetica consiste in una manipolazione: si tolgono o si mettono dei geni in un Dna. Ma per farlo l’uomo opera su materiali naturali e usa materiali naturali. I geni gli sono forniti dalla natura. L’uomo li ha da poco scoperti, ma non è in grado ancora di produrli. Egli, cioè, solo recentemente ha imparato ad intravedere la straordinaria complessità del Dna, del genoma, del patrimonio genetico degli esseri viventi. Ciò che all’uomo è consentito di fare, ossia ciò che oggi è in grado di fare, è soltanto qualche operazione, ancora un po’ maldestra, che modifichi in qualche modo un Dna prodotto dalla natura. Può anche replicare - è vero - una cellula o un organismo con la clonazione. Ma non sa ancora produrre una cellula o un organismo in modo artificiale. Si può solo dare da fare con i materiali e con i congegni incredibilmente sofisticati che la natura ha allestito. Come ci si può autoproclamare «divini» per questo? In quanto a divinità la natura ci sopravanza come una montagna sopravanza un topolino! Un altro campo in cui si esplica la potenza creativa degli uomini è quello dell’informatica. Oggi, i computer più sofisticati sono in grado di compiere un milione di operazioni al secondo. Un gran risultato, senza dubbio. Ma non si può dimenticare o trascurare il fatto che «un topo da laboratorio può fare ben cento miliardi di operazioni al secondo e che l’uomo è in grado di compiere, addirittura, un milione di miliardi di operazioni al secondo: un individuo che sta parlando, nel contempo vede, sente, ha visione tridimensionale, ha sensazioni tattili, sente caldo o freddo, ha un metabolismo che funziona e così via» 1. Per accrescere le potenzialità degli attuali computer e per approssimarsi a quelle degli esseri biologici ci si è incamminati lungo la via che porta dal silicio - che è alla base degli attuali circuiti elettronici e che è arrivato pressoché al limite - alle nanotecnologie (il nanometro è un miliardesimo di metro), le quali si pongono l’obiettivo di «copiare quello che madre natura ha realizzato» e di riprodurre, nel modo più fedele possibile, «i meccanismi spontanei dei processi naturali» 2. È per questo che è necessario che l’uomo si ricollochi dentro quei processi sacri e arcani che hanno prodotto la vita, dentro quei processi sacri e arcani che illuminano il suo essere come il sole illumina i pianeti. È per questo che è necessario che l’uomo non pensi, come spesso ama fare, di brillare di luce propria. Certo, egli può molto aggiungere di suo e intensificare la luce riflessa di cui gode. Il mondo si è rischiarato prima di lui ed è nel chiarore aurorale del mondo che l’uomo si colloca. Il suo compito, meglio il suo destino, è quello di potenziarlo. È tutto qui. Ciò comporta che si dismetta una volta per tutte quella visione manichea che separa cielo e terra, spirito e materia, anima e corpo. Richiede che si dismetta quell’abitudine, acquisita e incorporata nel pensiero moderno, di collocare tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra: sul versante dello spirito ci sono l’intelligenza, la coscienza, la verità, i valori, i fini, ecc.; mentre sull’altro versante si riscontrano soltanto opache ottusità e assenze. Richiede, insomma, che si abbatta quel muro ideologico che ha tenuto e tiene separate le due metà del cosmo.
2. In verità, noi moderni - mi si conceda qui quest’espressione di uso corrente e un po’ volgare - con la natura l’abbiamo fatta proprio sporca! Non mi riferisco soltanto a quell’insozzamento e inquinamento, a quell’alterazione degli equilibri che, specie in tempi più recenti, stiamo arrecando alla nostra dimora naturale. Mi riferisco principalmente al rapporto distorto che con essa abbiamo instaurato sin dagli inizi del pensiero moderno. Un atteggiamento riduttivo e senza misura che sul piano teorico ha privato il mondo naturale di tutte le sue qualità migliori. Ormai, la gravità del rischio ecologico ci impone un ripensamento radicale, cioè una revisione che vada alle radici delle distorsioni prodottesi nel rapporto uomo-mondo e modifichi i presupposti teorici che ne sono responsabili. Questi presupposti teorici (che, come vedremo, sono intimamente legati alle categorie fondative del pensiero moderno) coniugandosi con la soverchiante supremazia della ragione tecnocratica e con il sopravvenuto «fondamentalismo economico» (che, come mostra, fra gli altri, J. E. Stiglitz 3, domina in tutto l’Occidente), costituiscono una sorta di ordigno esplosivo per gli equilibri dell’ambiente naturale. Per disinnescare tale ordigno occorre, da una parte, radicalizzare il “discorso critico” sulla modernità e, dall’altra, recuperare motivi naturalistici e valori che rappresentano il lascito positivo delle culture mediterranee, dal pensiero greco ed ellenistico a quello latino, arabo e cristiano, sino all’Umanesimo e al Rinascimento.
3. Di quali motivi e valori parlo? Ne cito solo qualcuno. La ragionevolezza, la phrònesis, la saggezza mediterranea. Come ci ricorda Serge Latouche in un suo recente volume 4, Minerva, la dea greco-latina della ragione, aveva due figli spirituali: Phrònesis, la maggiore, dea della prudenza o della ragionevolezza, e Lògos epistemikòs, il minore, dio della «ragione geometrica» o del «razionale». Entrambi venivano onorati, ma il figlio minore, Lògos, era sottomesso alla sorella maggiore, Phrònesis, che rappresentava l’antidoto divino alla dismisura, alla dissimmetria, allo squilibrio. Era la dea dell’armonia fra uomo e cosmo, fra anima e corpo, fra ragione e sentimento. E non si dava felicità possibile in sua assenza. Nei secoli a noi più vicini Lògos epistemikòs, ossia la ragione tecnologica o meglio tecno-scientifico-economica, ha scalzato ed emarginato la sorella, Phrònesis. Senonché, il calcolo razionale non è bastevole per una vita equilibrata e illuminata. Perciò, occorre riaccostarsi alle suggestioni greco-latine e richiamarsi alla tradizione mediterranea. «E tradizione - come avverte Albert Camus - qui non significa restaurazione, sogno nostalgico di gerarchie indiscutibili, e dunque doppiamente osceno, ma democrazia della misura, libertà che si accompagna, mano nella mano, con la dignità» 5.
Nei giacimenti culturali delle civiltà mediterranee troviamo, inoltre, la cultura delle piccole patrie, dell’amor loci, del particolarismo, che ha portato i popoli che abitavano quei «corrugamenti e sprofondamenti» circondati dal mare ad una straordinaria «frequenza ed intensità di rapporti».
Forse proprio per le particolarità del territorio, uno dei dati più costanti della storia del Mediterraneo è la spinta al particolarismo e di conseguenza ai rapporti e agli scambi fra le tante piccole patrie. «Grazie a questa spinta, la piccola patria, il proprio villaggio, la propria etnia più immediata e, in ultimo, la più o meno grande famiglia di cui si è parte, rappresentano l’istanza morale, sociale, politica, psicologica più forte, di solito, fra i valori delle mentalità mediterranee» 6.
Ma questo tipo di particolarismo che dà vita, come s’è detto, a scambi e incontri, così come a scontri e conflitti, si intreccia con un altro elemento peculiare delle civiltà mediterranee: la tolleranza nei confronti del diverso. Il Mediterraneo per i greci è mesògaios, mare fra le terre, pòntos, mare che non separa, ma congiunge. E si deve proprio a tali caratteri geografici se nei popoli che vivono sulle sue sponde si consolida l’insopprimibile bisogno di affermare una propria identità capace di introiettare il rapporto con l’altro, capace di sussumere in se stessa l’idea del diverso e capace pertanto di allontanare da sé ogni forma di intolleranza e di integralismo. Scrive Franco Cassano: «Sin dall’inizio la Grecia sta sul confine e lo interiorizza». Essa è «luogo impossibilitato a chiudersi, società aperta e di frontiera, una “città liquida” (Asdrachas) condannata ad aver dentro e a conoscere il rapporto e il conflitto, terra grande proprio perché terra minore, terra costiera, lontana dal solipsismo dei continenti» 7.
Tra i beni culturali rinvenibili nei «siti archeologici» mediterranei ci sono poi l’intensità dei legami comunitari (la forza delle appartenenze parentali, dei rapporti personalizzati, della solidarietà interpersonale, dell’amicizia, della famiglia, ecc.) 8 e il senso panico della natura che trova nella riflessione filosofica, dai Greci sino al Rinascimento, una grandiosa rappresentazione. Unicamente di quest’ultimo tema ci si occuperà in questo libro, nel quale si esamineranno i rapporti che fra uomo e cosmo vengono ad istituirsi in alcuni momenti delle culture mediterranee, da una parte, e della filosofia moderna e contemporanea, dall’altra. L’intento principale è quello di proporre un reinvestimento delle fulgide immagini trasmesseci dal poliedrico naturalismo mediterraneo. [...]
INDICE del libro:
PROLOGO
I DISINCANTO E MODERNITÀ 1. Natura e storia in Albert Camus. 2. Alle origini del nichilismo contemporaneo. 3. Alle origini del rischio ecologico. 4. I fini di natura nella filosofia greca e nel pensiero moderno
II L’UNIVERSO E LE SUE ANIME. IL NATURALISMO IN GRECIA E DINTORNI 1. Un mondo pieno di dei. 2. Perché l’universo non ha occhi per guardare e orecchi per sentire. 3. Ogni cosa cerca la perfezione. 4. Gli atomi e il respiro del mondo
III L’ANIMA DEL MONDO SI FA CRISTIANA 1. La luce e la vita del cosmo. 2. Anima mundi e Spiritus Sanctus
IV UOMO E NATURA IN S. AGOSTINO E S. TOMMASO 1. Il problema del male. 2. L’uomo come anima e corpo. 3. La terra e il cielo cantano la gloria del Signore
V IL «CANTO DEL CIGNO». RINASCIMENTO E NATURALISMO MEDITERRANEO 1. La mortificazione della natura nel pensiero moderno. 2. Dal panvitalismo all’universo inanimato. 3. L’idea di natura nel Rinascimento meridionale. 4. Tradizione naturalistica e filosofia moderna. 5. I capitoli che seguono
VI LA SIGNORIA DEL SOGGETTO NELLA MODERNITÀ 1. Antropocentrismo vecchio e nuovo. 2. Il soggetto come destino del mondo. 3. Il corpo dimenticato. 4. Opacità e residualità del mondo
VII MECCANICISMO, SPINOZISMO, ROMANTICISMO 1. Percorsi alternativi. 2. Dall’universo-organismo all’universo-macchina. 3. «Toute la nature est physique». 4. Fisica matematica e riduzionismo. 5. La natura creativa
VIII LA RIMOZIONE DEI FINI DI NATURA 1. Paradigma dualistico e finalità. 2. Misconoscimento e trasvalutazione dei «fini di natura» nella modernità. 3. Fini naturali e finalità della natura. 4. L’anima e il mandorlo in fiore. 5. Aristotele e la biologia genetica. 6. Meccanicismo, diversità della vita, physis
IX DALLA FILOSOFIA DELLA VITA AL NATURALISMO ANGLO-AMERICANO EPILOGO 1. Il bìos come anima mundi. 2. La ricomparsa degli dei. 3.Il «ritorno ai Greci». L’essere come physis e come alétheia.
(Manifestolibri edizioni, 2006)
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Mario Alcaro insegna Storia della filosofia nell’Università della Calabria. Tra i suoi libri più recenti: Bertrand Russell (Giunti 1990), John Dewey. Scienza, prassi, democrazia (Laterza 1997), Sull’identità meridionale (Bollati Boringhieri 1999), Economia totale e mondo della vita (manifestolibri 2003).
La lingua comune della materia vivente
Dal mondo greco al sud d’Italia con Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Giordano Bruno. La ricchezza e modernità di una tradizione di pensiero fiorita in epoche diverse nel Mediterraneo al centro del saggio di Mario Alcaro «Filosofie della natura» per manifestolibri di Piero Bevilacqua (il manifesto, 29.06.2006)
Chi farà la storia dei saperi scientifici del mondo attuale scorgerà agevolmente una linea di convergenza che, da almeno un ventennio, vede accomunate svariate discipline e che tende a confinare nel ghetto dell’errore il riduzionismo che ha dominato sin qui la scienza moderna. Il processo è multiforme e ha la sua più profonda sorgente di ispirazione in un fenomeno storico che segna in maniera drammatica la fine dell’età contemporanea: la minaccia alla vita sulla Terra. Il suo emergere, nella seconda metà del XX secolo, accompagnato dall’affermarsi dei saperi dell’ecologia, ha messo in luce una incompatibilità crescente tra le singole scienze e la natura. Frantumate in specialismi sempre più particolari e separati, esse tendono, infatti, a trasformarsi in tecniche che misurano e manipolano frammenti ristretti di realtà. Ogni visione di insieme scompare, mentre la finalità che le ispira è la ricaduta strumentale della possibile «scoperta» da brevettare.
Un neutro deposito Tale tendenza non ha trovato oppositori fino a epoca relativamente recente. Fino a quando, cioè non è apparso drammaticamente chiaro che la natura non è il neutro deposito delle materie prime, né un insieme di parti separabili e utilizzabili secondo i mutevoli bisogni umani. Se l’uso privato e innocente degli spray contribuiva a lacerare lo strato dell’ozono voleva dire che tra l’agire individuale e le condizioni del nostro comune cielo esistevano nessi più profondi di quanto si immaginasse. Se una spruzzata di Ddt sulle sponde di un lago californiano rendeva muti e sterili gli uccelli delle campagne - come mostrò Rachel Carson in Primavera silenziosa - allora si svelava che la natura è un universo di connessioni complesse che non si può lacerare senza conseguenze. Lo scacco(e le responsabilità) del riduzionismo scientifico moderno sono stati negli ultimi anni rilevati e denunciati da un ventaglio crescente di discipline, dalla fisica all’economia, dalla biologia all’agronomia alla neurofisiologia. Antonio Damasio, lo studioso portoghese noto per L’errore di Cartesio e altri saggi tradotti da Adelphi, ha messo in luce l’insostenibilità di un pensiero che addirittura fonda l’essere (e getta il mondo del corpo e della natura nel disvalore) e di una mente disincarnata, separata da emozioni o passioni. E oggi forse non appare azzardato segnalare una divaricazione crescente tra buona parte dei nuovi saperi che indagano la complessità del vivente e il pensiero dominante che regola l’agire economico e sociale. Questo appare infatti tutto curvato sull’utilitarismo economicistico, su quella nuova versione di riduzionismo meccanicistico applicato alla società che è, di fatto, il neoliberismo dei nostri anni. Ora, un contributo originale si aggiunge a questa letteratura, Filosofie della natura. Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno di Mario Alcaro per manifestolibri (pp. 223, euro 22). Anche Alcaro, naturalmente, denuncia con forza, e con un suo accento particolare, la scissione che sta a fondamento delle scienze moderne: la separazione tra io e realtà esterna, tra anima e mondo fisico, che porterà all’ipertrofia del soggetto e alla deprivazione della natura di ogni attributo di vita e intelligenza. Si è trattato di una delle più drammatiche divaricazioni che la cultura del mondo occidentale abbia conosciuto nella sua lunga storia. Una separazione che ha di fatto condannato per secoli il mondo naturale a un’esistenza opaca e subalterna, illuminata solo dall’azione valorizzatrice e plasmatrice degli uomini. Il fuoco dell’argomentare di Alcaro non ha di mira la scienza moderna e la sua successiva evoluzione. Diversamente da altri studiosi, ad esempio, Alcaro non critica la posizione di Galileo, che, mosso dalla ricerca di nuovi fondamenti per la fisica, «faceva il suo mestiere». Piuttosto egli pone l’accento sul pensiero religioso e filosofico, sulla tradizione giudaico-cristiana e su quella gnostica, su Lutero e Calvino, su Cartesio. Sulla scorta di Hans Jonas e di altri autori egli mostra non poche tracce di questa lunga e complessa filiazione. Ma il cuore del saggio è un altro, mostrare la straordinaria ricchezza e modernità di una tradizione di pensiero, fiorita sulla sponde del Mediterraneo, che in due memorabili stagioni della civiltà umana ha generato una profonda e lungimirante visione della natura e della presenza degli uomini in essa. La prima di queste appartiene a quella stupefacente pagina della storia antica che è il mondo greco. «Ecco - scrive Alcaro - i filosofi greci cercano di spiegare come dal mondo siano venuti l’anima, l’intelligenza, la giustizia, così come la vitalità, la sensibilità, la passione; e riportano queste emergenze stupefacenti ad un cosmo che le contiene e che è, esso stesso, vivente, sensibile, intelligente». L’altra stagione è quella che fiorisce nel Mezzogiorno d’Italia in pieno Rinascimento, legata ai nomi di Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Giordano Bruno. Questi «filosofi della natura» - come sono stati definiti - riprendono in parte la tradizione ellenica ma la arricchiscono di una più complessa visione panteistica in cui la natura - rappresentata come potenza generatrice di processi tanto spirituali che materiali - è quel tutto che spiega anche l’uomo, la sua intelligenza e la sua storia. Tale tradizione, rimossa e sepolta da quattro secoli di riduzionismo scientistico, oggi non solo torna a parlarci e incantarci, a mostrarci una natura molto più vicina alla nostra sensibilità di quanto non sia tanta scienza contemporanea. Intanto, essa ci aiuta a comprendere il percorso che la cultura dell’Occidente ha intrapreso nel mettere in atto la sua rimozione. La riduzione della natura a «oggetto esteso», misurabile e manipolabile, privo di creatività e storia, non solo ha permesso lo sfruttamento indiscriminato che è all’origine del «rischio ambientale» dei nostri anni, ma ha portato la stessa esistenza umana in un vicolo cieco, alla perdita del senso di sé. «La decostruzione della natura - scrive Alcaro - e il rimontaggio dei suoi tasselli come un mosaico di cui è unico artefice l’uomo, tolgono progressivamente - e paradossalmente - significato all’operare, all’agire e alla presenza dell’uomo nel mondo. La scomparsa del quadro naturale entro il quale si svolge la vicenda umana priva quest’ultima di un elemento indispensabile per la giustificazione razionale e la legittimazione del suo senso. Sopprimendo il decoro, la dignità e l’autonomia dell’altro da sé, l’uomo progressivamente si accorge che gli viene a mancare la terra sotto i piedi, che il suo agire storico è come campato in aria».
Lo spirito del cosmo Tuttavia, il «pensiero mediterraneo», questa tradizione che va da Talete ed Eraclito e arriva a Bruno, non si è mai interrotta del tutto. Ha trovato estimatori e continuatori solitari lungo i secoli che portano all’età contemporanea. Montaigne e Bergson, Heidegger e Whitehead, insieme a tanti altri appaiono, nella ricostruzione essenziale e lucida dell’autore, i portatori di una visione che gli stessi avanzamenti recenti della scienza rendono sempre più fondata e vitale. E’ l’originaria dimensione spirituale del cosmo, che non è mai stato solo bruta materia, a spiegare la nascita della vita, della coscienza e del linguaggio. E’ la coincidenza del bios con l’anima mundi - per riprendere due concetti chiave di quella tradizione - che fornisce oggi la risposta più saggia e fondata al mistero della comparsa dell’intelligenza umana e animale sulla terra. L’informazione genetica che circola nel Dna - espressione dell’intelligenza della materia e della sua evoluzione millenaria - dà oggi ragione a quei pensatori fioriti sulle sponde del Mediterraneo, che avevano trovato la misura e le giuste corrispondenze tra il miracolo dell’individuo che pensa e la misteriosa complessità della natura che vive.