Calabria

Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno. Il "prologo" di un lavoro di Mario Alcaro sulle "filosofie della natura"

giovedì 29 giugno 2006.
 

FILOSOFIE DELLA NATURA Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno di Mario Alcaro*

PROLOGO

1. In una giornata grigia e piovosa, un aereo, sicuro e maestoso come un Dio, plana sull’aeroporto di Lamezia. Sullo sfondo la pianura, il golfo, le montagne delle Serre, da una parte, e l’altopiano della Sila, dall’altra. Alle pendici del colle, lungo la strada che dall’antica Terina porta al lido, il verde argentato degli ulivi si accoppia col verde tenero dei prati e con quello intenso e cupo della macchia mediterranea. Di fronte c’è il mare, dal quale emerge, a debita distanza, nel grigio delle nuvole, l’isola vulcanica di Stromboli. E più in là fa intravedere la propria forma qualche altra isola, forse Salina, forse Panarea. Non è indispensabile immergersi nelle «sublimi» suggestioni della Selva Nera; basta stare sul colle dell’antica Terina per interrogarsi sul senso dell’essere e per capire che la natura lavora con metodo. Per capire, cioè, che essa, nonostante sia priva di intenzionalità e di coscienza, è pervenuta, forse solo per caso, a dei risultati strabilianti. È per questo che c’è da riconsiderare e, dopo secoli, riscoprire una verità quasi smarrita. Una verità semplice e antica, eppure tanto frequentemente taciuta e tanto disinvoltamente trascurata dal sapere contemporaneo: l’uomo, come diceva di sé la strega di Biancaneve, è il più bello del reame, ma la sua indiscutibile superiorità non può più obliare i mirabili processi naturali che lo hanno posto sulla cima della gerarchia ontologica. Questa verità semplice e antica (che la modernità si è impegnata quasi sempre ad adombrare se non proprio a rimuovere) ci dice che la realtà umana non sarebbe stata possibile se un pugno di atomi e di molecole non si fossero messi di buona lena e non avessero partorito - dopo un lungo e prodigioso travaglio - delle cellule capaci di organizzarsi in organismi e delle cellule capaci di rappresentarsi altre cellule e di sentire e di darci un’immagine dell’universo-mondo. Lo so, dico qualcosa che sa maledettamente di rozzo materialismo. Lo so, dico qualcosa che può apparire perfino naif. Poco male. Si può tentare di dire la stessa cosa in un modo leggermente più sofisticato. Ci provo. Un campo in cui si esprime la potenza conoscitiva e operativa degli uomini è quello dell’ingegneria genetica. Ebbene, tutti sanno che l’ingegneria genetica consiste in una manipolazione: si tolgono o si mettono dei geni in un Dna. Ma per farlo l’uomo opera su materiali naturali e usa materiali naturali. I geni gli sono forniti dalla natura. L’uomo li ha da poco scoperti, ma non è in grado ancora di produrli. Egli, cioè, solo recentemente ha imparato ad intravedere la straordinaria complessità del Dna, del genoma, del patrimonio genetico degli esseri viventi. Ciò che all’uomo è consentito di fare, ossia ciò che oggi è in grado di fare, è soltanto qualche operazione, ancora un po’ maldestra, che modifichi in qualche modo un Dna prodotto dalla natura. Può anche replicare - è vero - una cellula o un organismo con la clonazione. Ma non sa ancora produrre una cellula o un organismo in modo artificiale. Si può solo dare da fare con i materiali e con i congegni incredibilmente sofisticati che la natura ha allestito. Come ci si può autoproclamare «divini» per questo? In quanto a divinità la natura ci sopravanza come una montagna sopravanza un topolino! Un altro campo in cui si esplica la potenza creativa degli uomini è quello dell’informatica. Oggi, i computer più sofisticati sono in grado di compiere un milione di operazioni al secondo. Un gran risultato, senza dubbio. Ma non si può dimenticare o trascurare il fatto che «un topo da laboratorio può fare ben cento miliardi di operazioni al secondo e che l’uomo è in grado di compiere, addirittura, un milione di miliardi di operazioni al secondo: un individuo che sta parlando, nel contempo vede, sente, ha visione tridimensionale, ha sensazioni tattili, sente caldo o freddo, ha un metabolismo che funziona e così via» 1. Per accrescere le potenzialità degli attuali computer e per approssimarsi a quelle degli esseri biologici ci si è incamminati lungo la via che porta dal silicio - che è alla base degli attuali circuiti elettronici e che è arrivato pressoché al limite - alle nanotecnologie (il nanometro è un miliardesimo di metro), le quali si pongono l’obiettivo di «copiare quello che madre natura ha realizzato» e di riprodurre, nel modo più fedele possibile, «i meccanismi spontanei dei processi naturali» 2. È per questo che è necessario che l’uomo si ricollochi dentro quei processi sacri e arcani che hanno prodotto la vita, dentro quei processi sacri e arcani che illuminano il suo essere come il sole illumina i pianeti. È per questo che è necessario che l’uomo non pensi, come spesso ama fare, di brillare di luce propria. Certo, egli può molto aggiungere di suo e intensificare la luce riflessa di cui gode. Il mondo si è rischiarato prima di lui ed è nel chiarore aurorale del mondo che l’uomo si colloca. Il suo compito, meglio il suo destino, è quello di potenziarlo. È tutto qui. Ciò comporta che si dismetta una volta per tutte quella visione manichea che separa cielo e terra, spirito e materia, anima e corpo. Richiede che si dismetta quell’abitudine, acquisita e incorporata nel pensiero moderno, di collocare tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra: sul versante dello spirito ci sono l’intelligenza, la coscienza, la verità, i valori, i fini, ecc.; mentre sull’altro versante si riscontrano soltanto opache ottusità e assenze. Richiede, insomma, che si abbatta quel muro ideologico che ha tenuto e tiene separate le due metà del cosmo.

2. In verità, noi moderni - mi si conceda qui quest’espressione di uso corrente e un po’ volgare - con la natura l’abbiamo fatta proprio sporca! Non mi riferisco soltanto a quell’insozzamento e inquinamento, a quell’alterazione degli equilibri che, specie in tempi più recenti, stiamo arrecando alla nostra dimora naturale. Mi riferisco principalmente al rapporto distorto che con essa abbiamo instaurato sin dagli inizi del pensiero moderno. Un atteggiamento riduttivo e senza misura che sul piano teorico ha privato il mondo naturale di tutte le sue qualità migliori. Ormai, la gravità del rischio ecologico ci impone un ripensamento radicale, cioè una revisione che vada alle radici delle distorsioni prodottesi nel rapporto uomo-mondo e modifichi i presupposti teorici che ne sono responsabili. Questi presupposti teorici (che, come vedremo, sono intimamente legati alle categorie fondative del pensiero moderno) coniugandosi con la soverchiante supremazia della ragione tecnocratica e con il sopravvenuto «fondamentalismo economico» (che, come mostra, fra gli altri, J. E. Stiglitz 3, domina in tutto l’Occidente), costituiscono una sorta di ordigno esplosivo per gli equilibri dell’ambiente naturale. Per disinnescare tale ordigno occorre, da una parte, radicalizzare il “discorso critico” sulla modernità e, dall’altra, recuperare motivi naturalistici e valori che rappresentano il lascito positivo delle culture mediterranee, dal pensiero greco ed ellenistico a quello latino, arabo e cristiano, sino all’Umanesimo e al Rinascimento.

3. Di quali motivi e valori parlo? Ne cito solo qualcuno. La ragionevolezza, la phrònesis, la saggezza mediterranea. Come ci ricorda Serge Latouche in un suo recente volume 4, Minerva, la dea greco-latina della ragione, aveva due figli spirituali: Phrònesis, la maggiore, dea della prudenza o della ragionevolezza, e Lògos epistemikòs, il minore, dio della «ragione geometrica» o del «razionale». Entrambi venivano onorati, ma il figlio minore, Lògos, era sottomesso alla sorella maggiore, Phrònesis, che rappresentava l’antidoto divino alla dismisura, alla dissimmetria, allo squilibrio. Era la dea dell’armonia fra uomo e cosmo, fra anima e corpo, fra ragione e sentimento. E non si dava felicità possibile in sua assenza. Nei secoli a noi più vicini Lògos epistemikòs, ossia la ragione tecnologica o meglio tecno-scientifico-economica, ha scalzato ed emarginato la sorella, Phrònesis. Senonché, il calcolo razionale non è bastevole per una vita equilibrata e illuminata. Perciò, occorre riaccostarsi alle suggestioni greco-latine e richiamarsi alla tradizione mediterranea. «E tradizione - come avverte Albert Camus - qui non significa restaurazione, sogno nostalgico di gerarchie indiscutibili, e dunque doppiamente osceno, ma democrazia della misura, libertà che si accompagna, mano nella mano, con la dignità» 5.

Nei giacimenti culturali delle civiltà mediterranee troviamo, inoltre, la cultura delle piccole patrie, dell’amor loci, del particolarismo, che ha portato i popoli che abitavano quei «corrugamenti e sprofondamenti» circondati dal mare ad una straordinaria «frequenza ed intensità di rapporti».

Forse proprio per le particolarità del territorio, uno dei dati più costanti della storia del Mediterraneo è la spinta al particolarismo e di conseguenza ai rapporti e agli scambi fra le tante piccole patrie. «Grazie a questa spinta, la piccola patria, il proprio villaggio, la propria etnia più immediata e, in ultimo, la più o meno grande famiglia di cui si è parte, rappresentano l’istanza morale, sociale, politica, psicologica più forte, di solito, fra i valori delle mentalità mediterranee» 6.

Ma questo tipo di particolarismo che dà vita, come s’è detto, a scambi e incontri, così come a scontri e conflitti, si intreccia con un altro elemento peculiare delle civiltà mediterranee: la tolleranza nei confronti del diverso. Il Mediterraneo per i greci è mesògaios, mare fra le terre, pòntos, mare che non separa, ma congiunge. E si deve proprio a tali caratteri geografici se nei popoli che vivono sulle sue sponde si consolida l’insopprimibile bisogno di affermare una propria identità capace di introiettare il rapporto con l’altro, capace di sussumere in se stessa l’idea del diverso e capace pertanto di allontanare da sé ogni forma di intolleranza e di integralismo. Scrive Franco Cassano: «Sin dall’inizio la Grecia sta sul confine e lo interiorizza». Essa è «luogo impossibilitato a chiudersi, società aperta e di frontiera, una “città liquida” (Asdrachas) condannata ad aver dentro e a conoscere il rapporto e il conflitto, terra grande proprio perché terra minore, terra costiera, lontana dal solipsismo dei continenti» 7.

Tra i beni culturali rinvenibili nei «siti archeologici» mediterranei ci sono poi l’intensità dei legami comunitari (la forza delle appartenenze parentali, dei rapporti personalizzati, della solidarietà interpersonale, dell’amicizia, della famiglia, ecc.) 8 e il senso panico della natura che trova nella riflessione filosofica, dai Greci sino al Rinascimento, una grandiosa rappresentazione. Unicamente di quest’ultimo tema ci si occuperà in questo libro, nel quale si esamineranno i rapporti che fra uomo e cosmo vengono ad istituirsi in alcuni momenti delle culture mediterranee, da una parte, e della filosofia moderna e contemporanea, dall’altra. L’intento principale è quello di proporre un reinvestimento delle fulgide immagini trasmesseci dal poliedrico naturalismo mediterraneo. [...]


INDICE del libro:

PROLOGO

I DISINCANTO E MODERNITÀ 1. Natura e storia in Albert Camus. 2. Alle origini del nichilismo contemporaneo. 3. Alle origini del rischio ecologico. 4. I fini di natura nella filosofia greca e nel pensiero moderno

II L’UNIVERSO E LE SUE ANIME. IL NATURALISMO IN GRECIA E DINTORNI 1. Un mondo pieno di dei. 2. Perché l’universo non ha occhi per guardare e orecchi per sentire. 3. Ogni cosa cerca la perfezione. 4. Gli atomi e il respiro del mondo

III L’ANIMA DEL MONDO SI FA CRISTIANA 1. La luce e la vita del cosmo. 2. Anima mundi e Spiritus Sanctus

IV UOMO E NATURA IN S. AGOSTINO E S. TOMMASO 1. Il problema del male. 2. L’uomo come anima e corpo. 3. La terra e il cielo cantano la gloria del Signore

V IL «CANTO DEL CIGNO». RINASCIMENTO E NATURALISMO MEDITERRANEO 1. La mortificazione della natura nel pensiero moderno. 2. Dal panvitalismo all’universo inanimato. 3. L’idea di natura nel Rinascimento meridionale. 4. Tradizione naturalistica e filosofia moderna. 5. I capitoli che seguono

VI LA SIGNORIA DEL SOGGETTO NELLA MODERNITÀ 1. Antropocentrismo vecchio e nuovo. 2. Il soggetto come destino del mondo. 3. Il corpo dimenticato. 4. Opacità e residualità del mondo

VII MECCANICISMO, SPINOZISMO, ROMANTICISMO 1. Percorsi alternativi. 2. Dall’universo-organismo all’universo-macchina. 3. «Toute la nature est physique». 4. Fisica matematica e riduzionismo. 5. La natura creativa

VIII LA RIMOZIONE DEI FINI DI NATURA 1. Paradigma dualistico e finalità. 2. Misconoscimento e trasvalutazione dei «fini di natura» nella modernità. 3. Fini naturali e finalità della natura. 4. L’anima e il mandorlo in fiore. 5. Aristotele e la biologia genetica. 6. Meccanicismo, diversità della vita, physis

IX DALLA FILOSOFIA DELLA VITA AL NATURALISMO ANGLO-AMERICANO EPILOGO 1. Il bìos come anima mundi. 2. La ricomparsa degli dei. 3.Il «ritorno ai Greci». L’essere come physis e come alétheia.

(Manifestolibri edizioni, 2006)


*

Mario Alcaro insegna Storia della filosofia nell’Università della Calabria. Tra i suoi libri più recenti: Bertrand Russell (Giunti 1990), John Dewey. Scienza, prassi, democrazia (Laterza 1997), Sull’identità meridionale (Bollati Boringhieri 1999), Economia totale e mondo della vita (manifestolibri 2003).


Rispondere all'articolo

Forum