Emigrazione

Storie di emigrati ed emigrazione

sabato 15 gennaio 2005.
 
Cerchiamo una buona occasione per riflettere sulla nostra comunità di San Giovanni in Fiore, calabrese e meridionale, più in generale, emigrata in massa nei secoli. Siamo presenti in tutta l’Europa. Ancora, siamo in America, Oceania, Africa, Asia. L’emigrazione ci ha dispersi. Ciononostante, anche a distanza di generazioni, il legame con la terra e gli affetti domestici sono rimasti integri e forti. La lingua parlata dai figli dei figli dei compari, un dialetto alquanto classico, piuttosto duro e marcato, testimonia, anzitutto, la profondità di un rapporto teso e controverso, ma sincero. La gente è partita col dolore e la speranza. Il fenomeno continua, ma si osserva come se fosse passato, come se il nuovo assetto economico-sociale avesse cancellato il vecchio bisogno di cercare fortuna fuori di casa. Le cose non stanno in questi termini. Fulvio Cauteruccio (l’emigrato Roccu u stortu) - regista e attore - è a Scandicci, forse. Incanta e carica il pubblico e gli allievi. Trasmette la sua energia viva con l’inquieta rabbia calabrese. Nando De Paola, che ha fatto le valigie molto prima, ritorna spesso a San Giovanni in Fiore. In giro per l’Italia, dimora, come altri, a Milano. Se guarda il cielo sbiadito meneghino, ricorda l’Austria romantica. L’operosa vitalità quotidiana e i rumori ferrosi dei tranvai sempre belli richiamano - presto - i racconti dell’immagine industriale, dello sviluppo urbano a macchia d’olio. La città gli mostra il fascino del secolo scorso, delle trasformazioni radicali ma percepibili, del progresso tecnologico e sindacale, degli anni d’impegno difficile e prolungato. Le luci al neon, sostituite dai moderni sistemi del sistema, fanno moda come insegne di alcuni locali trend. Ma, parte del cuore di Nando è a San Giovanni. A Milano, c’è pure Gino Morrone, persona schiva ma elegante. Salì sul treno con Salvatore Scarpino e Franco Abruzzo. Oggi i tre giornalisti calabresi insegnano, dirigono, rilasciano pareri. Se li interroghi sulla Calabria, preferiscono tacere. Se li stuzzichi, cominciano l’adulta serie di sproloqui commossi e rimpianti mai sopiti. Ricordano amici, albe, tramonti, fanciulle e figure immobili che muovono, perenni, i fili della cosa pubblica, quasi per una condanna divina, prossima al destino dei Titani. In Argentina, Agostino Iaquinta sognava di rincasare, per aprire un laboratorio di ricerca. Il Made in Italy degli anni Settanta lo aveva entusiasmato. La sua visita in Calabria fu, invece, breve e dolorosa. Non riusciva a capire perché, a San Giovanni in Fiore, l’ingegno italiano non era mai arrivato. Ritornò a Buenos Aires, soltanto deluso. Qui, suo fratello Gabriele è felice quando invita i paesani a gustare i fritti e i turdilli di Natale; quando, in un afoso pomeriggio d’estate, premia la comare più brava nell’arte della scilupetta. A Baden, Wettingen e in tutta la Svizzera, i sangiovannesi si riuniscono, ogni fine settimana, per mangiare insieme, parlare, giocare a carte e sentirsi chiamare in dialetto. Dall’ordine elvetico, l’infaticabile e battagliero Giuseppe Bitonti, tenta disperatamente di raccogliere delle adesioni per il Comitato provvisorio degli emigrati sangiovannesi in Svizzera, con un «progetto comune, registrato e garantito», per una nuova San Giovanni. Sofferenze del passato, esperienze dei tempi bui: il fascismo, la guerra, la fame. Gli emigrati sangiovannesi, scampate purghe e umiliazioni, nonostante la difficoltà e la fatica, sono andati avanti con orgoglio e volontà. A Parigi, rue des Capucines, Luigi Bitoni, sarto, antifascista e sangiovannese puro sangue, ha vestito i politici più in vista della Terza Repubblica e gli artisti della Comedie française. I nostri muratori, i falegnami e i fabbri, superate le pene e le umiliazioni, hanno imposto la loro arte e il loro savoir-faire: sono diventati piccoli e medi imprenditori. I fratelli Stenta, tenaci e capaci, laddove l’eterno hanno impresso Brunelleschi e Michelangiolo e Vasari, primeggiano nel conteso settore produttivo della carta. Innanzi al Corridoio che l’Arno affianca, la direzione di Vincenzo Scarcelli: esperto di turismo e proprietario dell’Hermitage. Si annoverano, a seguire, molti rinomati chirurghi, avvocati, professionisti. Il “vicino” Giuseppe Marra, prendendo in mano l’Adnkronos, ha sfondato nell’informazione e nell’editoria. Rino Cerminara, emigrato a Roma e poeta di «un paese in Fiore», ricorda, in versi, lo struggente pensiero di chi è partito. Canta: «Amo quella luce errante sulle chiome dei tuoi pini ebbri di sole al limite dei laghi». La giovanissima Anna Paletta, emigrata oltreoceano, ha conquistato i lettori anglosassoni col suo Bread, Wine and Angels. Gli angeli della sua terra natale che accompagnano gli emigrati. Non sempre. San Giovanni in Fiore ha anche i suoi martiri, eroi di un’emigrazione ingiusta e fatale. Nel suo libro, l’emigrazione sangiovannese è presente. Rievocata con emozione, vibra e diffonde un profondo sentimento. In America, è assai forte. Ricordiamoci dei pacchi di tessuto bianco, ricevuti ogni settimana durante l’ultima guerra. Ricordiamoci di coloro che, negli States e in Canada (si rileggano gli articoli di Teresa Migliarese, sul Corriere della Sila), hanno ottenuto un successo in qualche modo condiviso: Benedetto Agostino Iaquinta e il suo Dino’s, primo hotel di lusso costruito in città. Ricordiamoci degli aiuti ai parenti rimasti. Ricordiamoci - e non dimentichiamolo mai - anche lo spaventoso e irrimediabile sperpero dei soldi degli emigrati, gettati in costruzioni abusive ed inutili, che hanno obbligato tanta povera gente a rimanere in paesi lontani, senza più accarezzare il sogno del ritorno. Di chi è stata la colpa? Interrogativo mai risolto e sempre eluso. Bisogna scrivere delle cose serie e bisogna porsi delle domande. Perché la bella terra di Calabria non è protetta, organizzata, sviluppata e democraticamente governata dai calabresi rimasti? I dati e l’occhio indicano uno spopolamento, la displasia dell’impresa, l’esodo, la fuga di massa. Però, all’opinione comune l’emigrazione pare simile a una leggenda. Anche Pitagora era un emigrato. Insegnò l’amicizia, portò delle leggi giuste e utili. La nostra comunità ha il vantaggio delle dimensioni: è piccola, vicina, antica. Ha radici profonde, è posta nell’infinito spazio della contemplazione. Ha il privilegio di una tradizione colta, filosofica. Ciononostante, si deve ancora partire, per trovare, altrove, lavoro, serenità e pace. Nella nostra cultura c’è la Magna Grecia, Gioacchino da Fiore, Telesio, Campanella, Mattia Preti, i versi immortali dei vati latini, Ciardullo, la presenza araba. Anche noi dobbiamo custodire, gelosi, il bagaglio pesante della Calabria, della sua gente, della sua storia. E, al di là dei dissapori, progettare, assieme, un futuro più certo, amico, limpido come il nostro cielo.

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