MODELLO AZIENDA? NO, FAMIGLIA
Fioroni: «La scuola è una comunità in cammino»
Il ministro dell’Istruzione spiega che cosa aspetta 8 milioni di studenti
intervista di Terry Marocco (La Stampa/SPECCHIO, 08.09.2006)*
Lupi, pecore, pastori?! Un NO per il REFERENDUM.
25 GIUGNO: SALVIAMO LA COSTITUZIONE E LA REPUBBLICA CHE E’ IN NOI
di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Nel 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti. Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)? O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” e “Mammona” o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane... Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Federico La Sala
*
MODELLO AZIENDA? NO, FAMIGLIA
Fioroni: «La scuola è una comunità in cammino»
Il ministro dell’Istruzione spiega che cosa aspetta 8 milioni di studenti
intervista di Terry Marocco (La Stampa/SPECCHIO, 08.09.2006)
Ci fu un tempo in cui Giuseppe Fioroni vestiva i panni del «lupetto», oggi quelli più formali del ministro dell’Istruzione, ma di quei tempi qualcosa è rimasto: l’idea forte che la scuola sia più simile a un campo scout che a un’azienda.Il primo giorno di scuola fa sempre battere il cuore. E quest’anno più del solito. Cosa troveranno gli 8 milioni di studenti che questa settimana torneranno sui banchi?
«Ciò che, credo, tutti chiedono a gran voce è un anno scolastico all’insegna della tranquillità, della sicurezza e della serenità. Come non sono stati gli anni passati. Tre requisiti indispensabili per un lavoro proficuo, che noi cercheremo di dare».
Molti si domandano anche che ne sarà della riforma Moratti.
«Verso la riforma Moratti non ho avuto un approccio ideologico, né prevenuto. L’idea è solo eliminare ciò che non si è potuto applicare per errore di metodo e non solo di merito».
E cioè?
«Mi pare si siano sottovalutati due elementi importanti. Primo: per riformare bisogna conoscere quello che si deve cambiare. Non si può riformare pensando a ciò che si sarebbe voluto trovare, ma a ciò che si ha. Viceversa non si costruisce nulla e, anzi, si rischia di distruggere quello che c’è».
Lei descrive una riforma su una scuola sognata e non reale. E il secondo elemento sottovalutato?
«La scuola è una comunità in cammino. Camminiamo tutti insieme, genitori, allievi, insegnanti. Io vengo dall’esperienza degli scout e mi è rimasta questa idea: che la strada è fondante per arricchirsi nel percorso. La nostra scuola ha bisogno di governo, non di gestione».
Si riferisce alla visione aziendalistica della Moratti?
«Alla visione aziendalistica e al dirigismo. Non esiste la pedagogia di Stato, ma l’autonomia scolastica. Una riforma della scuola in cammino non può essere fatta passando sopra la comunità, ma solo dentro la comunità scolastica. Non può venire calata dall’alto, ci vuole ascolto che generi condivisione e partecipazione. In questi mesi ho avviato una fase di ascolto informale tra organizzazioni sindacali e insegnanti. Quindici insegnanti con più di 35 anni di ruolo e altrettanti con solo cinque anni hanno risposto alle mie molte domande. Ci vuole una full immersion nella realtà della scuola».
Sicuramente un argomento sarà stato il portfolio, il tanto criticato diario dello studente, fiore all’occhiello della Moratti.
«Come ho già detto, il filo conduttore che seguirò sarà di eliminare le norme non applicate perché non applicabili, e il portfolio è uno dei capisaldi. Per essere attuato ha bisogno di indicazioni nazionali definitive e noi le abbiamo solo provvisorie. È sicuramente uno strumento importante, ma ci sono difficoltà oggettive ad applicarlo e grossi problemi con il diritto alla privacy. La sua applicazione sarà volontaria, demandata all’autonomia scolastica. E di norma si tornerà all’uso delle schede di valutazione».
I bambini stranieri nelle scuole italiane sono una realtà in crescita. In Emilia Romagna sono quasi il 7 per cento. Come verrà affrontato questo mutamento in crescita?
«La scuola deve essere un supporto alle aspettative dei figli dell’immigrazione. Dobbiamo lavorarci sopra e consentire a quei ragazzi una giusta integrazione. Con attenzione alla nostra storia, cultura e identità, ma anche con approfondimenti della loro lingua e cultura. Come già avviene in alcune scuole della provincia di Firenze».
Cosa succederà agli insegnanti di sostegno?
«La proposta che intendo fare è di nominare gli insegnanti di sostegno sulla base del numero degli allievi diversamente abili. Ma questo numero, che oggi viene stabilito statisticamente - un insegnante su 138 alunni sani - sarà invece stabilito incrociando i dati dell’anagrafe sanitaria con quelli delle Regioni e dell’Istruzione. Così potremo definire realmente gli organici necessari. Di nuovo: realtà e non teoria...».
Scuola pubblica e scuola privata, per la Moratti pari non furono...
«È scritto nella nostra Costituzione, la scuola è un diritto pubblico. Quando sento parlare di liberalizzazione nel campo scuola mi pare che ci sia qualcosa che non funziona. Poi mi chiedo: ma vi pare che i privati possano aprire scuole nelle borgate, nei Comuni con meno di cinquemila abitanti, nelle zone disagiate invece che nel centro di Roma o Venezia? Così facendo rischiamo di creare una scuola di serie A e una di serie B, dove chi più può, più acquista».
Oggi non è ancora così, ma le scuole pubbliche mancano.
«Il 48 per cento dei bambini della scuola materna frequenta istituti privati, prevalentemente cattolici, che erogano un servizio pubblico dove quello statale non c’è. Da poco sono stato a Cirò in Calabria, dove la scuola materna è solo quella privata delle suore. Il sindaco ha sospirato: «Meno male che ci sono loro». Questo è il vero modo di intendere la sussidiarietà. Il governo Berlusconi ha tagliato 167 milioni di euro, un terzo delle risorse del governo D’Alema. È stato tolto soprattutto alle scuole materne, mettendo a rischio lo stesso diritto all’istruzione».
E ora cosa si aspetta dal nuovo Governo?
«Spero di tornare ai tempi del governo D’Alema, nel 2000, quando vennero stanziati 500 milioni di euro per la scuola paritaria. Se nella finanziaria non saranno previsti fondi, la metà dei bambini rischia di non avere più scuola materna».
Berlusconi ha abrogato i bonus l’hanno scorso. Cosa succederà con voi?
«Bisogna prima di tutto farsi un esame di coscienza: dare mille euro a famiglia a prescindere dal reddito, non vuol dire dare la possibilità a ogni famiglia di scegliere la scuola che vuole, ma solo quella che può permettersi. E questo non mi piace».
Una volta la maturità era l’incubo che si continuava a sognare anche da adulti. Si tornerà a quelle «notti prima degli esami»?
«I nostri ragazzi devono capire che l’esame di Stato è voluto dalla nostra Costituzione. Deve essere una cosa seria. Devono avere la consapevolezza che stanno forgiando il loro futuro e che devono entrare nel mondo del lavoro a testa alta. Per questo ho voluto dare un segnale preciso. Torneranno i commissari esterni e il giudizio di ammissione. Il punteggio dell’esame di maturità nelle materie fondamentali d’insegnamento dovrà essere valorizzato per l’ammissione all’università, così come il voto finale e il curriculum scolastico».
Quindi pensa a un rapporto più forte tra scuole superiori e università?
«È necessario. I programmi da cui sono tratti i quiz di ammissione all’università dovranno essere elaborati con gli insegnanti delle scuole superiori. Oggi vengono fatti in maniera totalmente separata. E poi si dovrà ripensare all’orientamento. Sento parlare della bellezza degli atenei, ma credo che sarebbe più utile occuparsi anche di lezioni integrate tenute da professori universitari nell’ultimo anno delle superiori. Così che i ragazzi capiscano cosa vogliono fare e non affrontino l’università come un bene di consumo scelto attraverso la pubblicità».
Ragazzi che sanno quello che vogliono e genitori che conoscono ciò di cui si sta parlando. È vero che per completare l’opera vuol mandare gli adulti a scuola?
«Non dobbiamo pensare solo ai giovani di oggi, ma anche ai giovani di ieri e rompere il muro della convinzione secondo cui c’è un’epoca per studiare e una per smettere di farlo. È un cammino di continuo aggiornamento e approfondimento. Non è un’utopia, molti adulti transitano già dai centri territoriali permanenti per la formazione. Ci sono oltre 500 realtà presenti sul territorio, sono solo da potenziare».
La attendono giornate intense...
«La scuola ha tante risorse e io non intendo ripartire da zero cancellando tutto. Ma l’autonomia scolastica va applicata e non ritengo che questa riforma l’abbia fatto».
E allora?
«Come diceva Don Milani, la scuola è per tutti. E come non è pensabile un ospedale dedicato ai sani, allo stesso modo non possiamo pensare a una scuola fatta soltanto per i ragazzi senza problemi». Parola di lupetto.
Crediti scolastici ed insegnamento della religione cattolica
Fioroni ricorre al Consiglio di Stato
Comunicato urgente della Consulta romana per la laicità delle istituzioni
31-mag-2007 12.06
Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni
Associazione nazionale per la Scuola della Repubblica
CIDI - Centro d’iniziativa democratica degli insegnanti
CRIDES - Centro romano di iniziativa per la difesa dei diritti nella scuola
Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"
Fondazione Critica Liberale
Gruppo Martin Buber-ebrei per la pace
Associazione Italialaica.it
Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni
Associazione XXXI Ottobre per una scuola laica e pluralista
CIEI - Comitato Insegnanti Evangelici
Democrazia Laica
Comitato bolognese Scuola e Costituzione
ASSUR Associazione Scuola Università Ricerca
Federazione Chiese Evangeliche in Italia
AFFI - Associazione Federativa Femminista Internazionale
UCEI - Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Comitato Torinese per la Laicità della Scuola
Comitato Scuola e Costituzione
Comunicato
Il Ministro della Pubblica Istruzione ha deciso di ricorrere al Consiglio di Stato invece di recepire l’ordinanza del TAR Lazio che sospendeva l’art. 8, parr. 13-14, dell’Ordinanza Ministeriale n. 26 del 15 marzo 2007 perché "sul piano didattico, l’insegnamento della religione non può a nessun titolo, concorrere alla formazione del "credito scolastico" di cui all’art. 11 del D.P.R. n. 323/1988, per gli esami di maturità, che darebbe postumamente luogo ad una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono né l’insegnamento religioso e né usufruiscono di attività sostitutive" (Ord. TAR Lazio n. 2048 del 24 maggio 2007).
La situazione è grave ed imbarazzante.
Il Ministro Fioroni ha cercato di introdurre surrettiziamente l’ora di religione fra le materie che concorrono a pieno titolo a formare la valutazione degli studenti per gli esami di Stato. Questo determina una situazione di discriminazione e disparità fra gli studenti che si avvolgono e quelli che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, senza poter o voler usufruire di attività alternative. Come ha infatti stabilito la Corte Costituzionale con le sentenze 203/89 e 13/91 gli studenti che non si avvalgono dell’IRC non possono essere sottoposti ad alcun obbligo alternativo.
L’O.M. viola così l’art. 310, co. 3, del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (D.Lgs. 297/94) ed il principio supremo di laicità stabilito dalla Costituzione.
Il TAR Lazio, sebbene solo con un provvedimento cautelare, aveva esaminato e accolto l’istanza di sospensione dell’Ordinanza Ministeriale.
Il Presidente della Sesta sezione del Consiglio di Stato, ha annullato provvisoriamente (sino al giorno successivo agli scrutini!!!), senza contraddittorio e senza motivazione, l’ordinanza cautelare del TAR, impedendo così che gli scrutini stessi possano avvenire nel rispetto della legge e della Costituzione. Nell’attuale situazione gli scrutini si svolgeranno secondo la volontà del Ministro, ma il successivo pronunciamento nel merito del TAR Lazio, che deve ancora avvenire, con molta probabilità ne porrà in dubbio l’esito annullando la parte impugnata dell’Ordinanza Ministeriale.
Si verificherebbe così una situazione di incertezza giuridica sul corso e sugli esiti degli esami di Stato, la cui responsabilità non potrà che ricadere sul Governo. Chiediamo al Presidente del Consiglio on. Romano Prodi di adoperarsi in tempi rapidissimi affinché impedisca questo grave scempio della laicità della scuola pubblica e vengano ristabiliti lo status quo ante, la legalità e la certezza del diritto, dal momento che il Governo può annullare in sede di autotutela le contestate e discriminatorie innovazioni apportate dall’ O.M. 26/2007.
Consulta romana per la laicità delle istituzioni
Via delle Carrozze 19
00187 Roma
tel/fax +39 06.6796011
romalaica@gmail.com
Mario Di Carlo
+39 3391950147
* Il Dialogo, Giovedì, 31 maggio 2007
Il ministro sulle polemiche per i presepi: "Il silenzio non garantisce l’identità religiosa". Circolare alle scuole dopo i casi di maltrattamenti in classe
Fioroni: "Mai più bavagli al Natale" E sanzioni contro i prof mele marce *
ROMA - Due passaggi chiave nella vita quotidiana della scuola: l’atteggiamento quotidiano dei docenti e il rapporto con le altre culture. Le affronta di petto il ministro Fioroni con dichiarazioni e un provvedimento destinati a far discutere. In sostanza, pugno duro contro le "mele marce" nel corpo docente e l’invito a non mettere più "bavagli" al Natale e all’identità religiosa. Provvedimenti che si riferiscono direttamente a polemiche delle ultime settimane.
"Ritengo profondamente sbagliato che ci sia qualcuno che pensa che il miglior modo per fare il dialogo sia il silenzio assordante dei divieti. Mi auguro che questo nella scuola italiana non avvenga mai più". Il ministro lo dice inaugurando una mostra di presepi con i bambini di una materna di Roma, e il riferimento - aggiunge - "è terribilmente diretto al caso di San Gimignano".
Nel centro toscano, si ricorderà, è stata vietata la visita del vescovo in una scuola elementare per non offendere i bambini di fede musulmana. Ma il ministro si riferiva anche al caso della scuola di Bolzano che aveva deciso di non far eseguire canti natalizi sempre per rispetto dei bimbi musulmani presenti nell’istituto.
Le "mele marce". Era stata promessa dopo i casi di maltrattamenti in classe delle ultime settimane. ed è arrivata: la circolare alle scuola che chiede "più tempestività e rigore nel sanzionare chi, tra il personale della scuola, si macchia di condotte scorrette, come ritardi e assenze sistematiche, o disoneste". L’obiettivo del ministro è dare indirizzi generali per una corretta e puntuale gestione delle sanzioni, con l’obiettivo di rimuovere le cause che hanno determinato nel corso del tempo l’appesantimento delle procedure, offrendo agli addetti ai lavori i necessari chiarimenti per risolvere i dubbi interpretativi. La circolare prevede, tra l’altro, la competenza del direttore generale regionale per l’adozione dei provvedimenti di licenziamento, sottraendola al ministro. Si chiarisce inoltre che in caso di reati gravi, come quelli di natura sessuale, per i quali il giudice commina la pena accessoria dell’interdizione perpetua dagli incarichi, si verifica l’automatica cessazione del servizio.
Tutta l’amministrazione scolastica è poi sollecitata al rigore e alla tempestività nelle sanzioni, nel rispetto assoluto dei tempi di legge, con un’attenzione agli strumenti cautelari di sospensione dal servizio, in particolare quella facoltativa, che va "prontamente utilizzata laddove si verifichino situazioni gravi".
(la Repubblica, 19 dicembre 2006)
Per la prima volta il ministero fornisce le cifre sui cosiddetti ’insuccessi’. L’indagine campionaria sull’anno 2005-2006 per capire cosa succede in Italia
La scuola dei dispersi e dei bocciati l’istruzione perde 130mila studenti
di SALVO INTRAVAIA *
Oltre 100 mila alunni abbandonano i banchi ad anno scolastico iniziato e 300 mila ragazzi rimediano una sonora bocciatura a giugno. Sono questi, in sintesi, i numeri della cosiddetta dispersione scolastica in Italia. Il ministero della Pubblica istruzione per la prima volta ha reso noto un quadro abbastanza completo sull’insuccesso scolastico. Lo ha fatto attraverso un’indagine campionaria sugli esiti dell’anno appena concluso (il 2005/2006) che ha il merito di fornire, oltre ai già noti tassi di bocciatura, anche le percentuali dei ritirati, il nocciolo duro della cosiddetta ’dispersione scolastica’.
"Per approfondire il tema della dispersione scolastica e descriverne le dinamiche evolutive il ministero della Pubblica istruzione ha condotto un’indagine campionaria sugli esiti degli scrutini nelle scuole secondarie di primo e secondo grado statali e non statali paritarie su tutto il territorio nazionale". Lo studio illustra la dispersione attraverso semplici percentuali che tradotte in numeri danno un’idea abbastanza precisa del fenomeno su cui il ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, si è soffermato più volte in questi primi sei mesi di legislatura.
La dispersione. Oggi, gli esperti preferiscono parlare di insuccesso scolastico. Si tratta di un fenomeno dagli elevati costi economici e sociali come ha avuto modo di dire recentemente il Commissario europeo per l’istruzione, la formazione, la cultura e il multilinguismo, Jan Figel: "Se dimentichiamo la dimensione sociale dell’istruzione e della formazione, rischiamo di incorrere in seguito in notevoli spese riparative". Rientrano nella contabilità dei ’dispersi’ i bocciati, coloro che abbandonano le aule scolastiche a metà anno e i cosiddetti evasori, coloro che pur essendo in età scolare (in alcuni casi addirittura in ’obbligo scolastico’) non si sono mai iscritti a scuola o non hanno frequentato neppure un giorno di lezione.
Nella statistica ministeriale è l’unica voce che manca all’appello. Nel computo dell’insuccesso scolastico, al superiore, rientrano anche gli ex rimandati, ora promossi con debito.
I dati. Secondo l’indagine effettuata su un campione di 2.305 scuole italiane (1.279 scuole medie e 1.026 superiori), nell’anno scolastico 2005/2006, 7 ragazzini della media su mille hanno preferito abbandonare gli studi a metà anno e il 3 per cento non è riuscito ad ottenere la promozione. Ma la lettura del successo scolastico, alla media, passa anche attraverso l’esito dell’esame finale. Il 63 per cento è stato promosso con votazioni medio-basse e addirittura uno su tre (il 37 per cento) col minimo: ’sufficiente’. La situazione peggiora al superiore dove i ’non ammessi’ (i bocciati) schizzano all’11,6 per cento e i ritirati al 4,2.
Enorme anche il numero di studenti che se ci fossero ancora gli esami di riparazione a settembre dovrebbe ancora conquistarsi la promozione all’anno successivo. Il 42,1 per cento dei ragazzi dei primo quattro anni è promossa con debito. Si tratta di percentuali che tradotte in numeri portano a oltre 100 mila ritirati (12 mila alla media e 90 mila al superiore) e 300 mila bocciati: 51 mila alla media e 250 mila al superiore. Quasi un milione i ragazzi del superiore ’promossi con debito’. Ma quali sono gli scogli più difficili da superare? Alla scuola media è il secondo anno il più ostico da affrontare e al superiore il primo. In Italia, sono le regioni del Sud, con in testa le Isole, a fare registrare i livelli più alti di dispersione.
I dati confermano anche la maggiore bravura delle ragazze nei confronti dei compagni di sesso maschile. Ma anche la dimensione della scuola ha la sua importanza: alla media, il numero di bocciati e ritirati aumentano al crescere del numero di alunni che frequentano la scuola. Al superiore sono i ragazzi dei licei i più bravi, con meno bocciati e ’pochì promossi con debito. Dall’indagine condotta da viale Trastevere fanno un figurone gli istituti privati. Mediamente per le medie e superiori paritarie si registrano tassi di bocciatura e di abbandono pari alla metà dei corrispondenti valori delle scuole statali. Prof più bravi e più accondiscendenti?
I costi. Se un ragazzo si ritira al terzo anno del superiore brucia oltre 15 mila euro. Costo che per ogni bocciatura cala a circa 5.100 euro. A conti fatti la dispersione scolastica costa al sistema Paese qualcosa come 3,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra che, da sola, sfiora il 10 per cento dell’intero bilancio del ministero della Pubblica istruzione.
* la Repubblica, 22 novembre 2006
Scuola - Ma quale Costituzione ha letto il ministro Fioroni? *
Caro direttore,
il ministro Fioroni ormai ripete ogni giorno che nella Finanziaria, pur in mancanza di risorse adeguate per la scuola e l’università, deve essere previsto un incremento di contributi per le scuole private; recentemente il ministro ha anche precisato che tale finanziamento per le scuole private (in gran parte cattoliche) sarebbe necessario per «garantire il diritto costituzionale all’istruzione»! Ma quale Costituzione ha letto il ministro Fioroni? Certamente non quella italiana che all’art. 33 non solo afferma che «la Repubblica... istituisce scuole statali per ogni ordine e grado», ma precisa anche che ai privati deve essere riconosciuto il diritto di istituire scuole, ma «senza oneri per lo Stato». La Costituzione senza dubbio prevede il «diritto all’istruzione», ma nelle scuole statali che lo Stato, e quindi il ministro della Pubblica Istruzione, ha l’obbligo di istituire per tutti. Lo Stato deve difatti garantire il diritto all’istruzione con proprie scuole e non può appaltare l’istruzione pubblica a privati e, tanto meno, a scuole di orientamento confessionale che non possono garantire una formazione libera e pluralista che invece la scuola statale deve obbligatoriamente garantire. Un ministro della Repubblica, deve anzitutto conoscere la Costituzione della Repubblica e quindi applicarla, consentendo a tutti di poter accedere alla scuola pubblica ed evitando che, per carenze di adeguate strutture pubbliche (anche perché risorse pubbliche sono illeggittimamente destinate a privati), si renda necessario usufruire di quelle private, in gran parte confessionali. In questi giorni si discute la Finanziaria; è auspicabile che le forze politiche dell’Unione, che in campagna elettorale avevano affermato il ruolo primario della scuola statale, richiamino il ministro Fioroni al rispetto del programma dell’Unione e soprattutto della Costituzione che, lo ripetiamo, assicura il diritto all’istruzione, ma anzitutto all’istruzione statale; la frequenza delle scuole private non può essere pertanto necessitata dalla colpevole carenza di strutture pubbliche e dalla distrazione di risorse pubbliche a favore delle scuole private.
Il Comitato dell’Associazione “Per la scuola della Repubblica” Firenze
* Liberazione, 15.11.2006
I calcoli sulla Finanziaria approdata in Parlamento. Si rischiano di perdere 42mila cattedre Il risparmio principale dalla crescita degli alunni per classe. Problemi per i precari
Scuola, 50mila posti in meno No di sindacati e parte della maggioranza
di SALVO INTRAVAIA *
La Finanziaria che Tommaso Padoa Schioppa ha portato in Parlamento prevede il taglio di 50 mila posti nella scuola. Poco meno di 42 mila cattedre e poco più di 8 mila posti di personale Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari), il tutto in appena tre anni. E, così, l’entusiasmo iniziale per le 150 mila immissioni in ruolo annunciate dal ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, comincia smorzarsi. Questa volta i dati provengono dalla fonte più attendibile che possa esistere: la relazione tecnica che accompagna il disegno di legge per la manovra finanziaria 2007. Per realizzare cospicui risparmi il ministero dell’Economia ha percorso diverse strade.
Le proteste. E le proteste non si sono fatte attendere. Già molto dure, soprattutto dai sindacati e da forze della stessa maggioranza. "Lo avevamo già denunciato me ora c’è la prova: tagli e cicoria per la scuola pubblica, attenzione per la privata": è duro il segretario della Flc Cgil Enrico Panini che spiega: "La Finanziaria, non solo prevede questi tagli ma ha un meccanismo di recupero per il quale se i risparmi non dovessero arrivare entro i termini previsti verrà ridotta la spesa corrente". Una norma che potrebbe portare a ulteriori tagli su ciò che è stato abbondantemente tagliato dal precedente governo Berlusconi: carta e registri degli insegnanti compresi. "Avevamo chiesto una Finanziaria - continua Panini - di investimenti: ma non si investe e si è in pratica mantenuto lo stesso volume di tagli denunciati dai sindacati qualche settimana fa". "Il giudizio sui tagli previsti in Finanziaria è decisamente negativo" commenta Massimo Di Menna, leader della Uil scuola. "E francamente alcune misure, come quella relativa alla modifica dell’orario scolastico dei Professionali, mi sembrano anche di difficile attuazione entro il 2007". Secondo il segretario generale della Uil scuola "occorre un confronto più proficuo e sereno: è sempre la stessa storia, i tecnici del ministero dell’Economia pensano di ridurre la spesa pubblica tagliando sul personale della scuola".
Innalzamento rapporto alunni classi. E’ una delle manovre più pesanti per la scuola, sia dal punto di vista didattico sia per l’impatto sul personale. Secondo l’articolo 66 dell’attuale disegno di legge, in un anno, il rapporto dovrà crescere di 0,4 alunni per classe. I segmenti più penalizzati saranno quelli della scuola dell’infanzia, che passerà a quasi 23 bambini per aula, e la scuola superiore che dovrà sopportare un incremento di 0,6 alunni per classe. Nelle prime classi delle scuole secondarie di secondo grado - in parecchi casi già quest’anno con oltre 30 alunni - la situazione potrebbe farsi esplosiva, anche perché occorrerà fare spazio a circa 30 mila new entry per l’elevamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Il governo, incrementando il numero di alunni per classe, conta di tagliare più di 26 mila posti: 19 mila cattedre e 7 mila posti di bidello e personale di segreteria.
Meno bocciature. Per risparmiare qualche ’spicciolo’ il governo vuole intervenire sul numero di ripententi nelle prime e seconde classi della scuola superiore. Basterà ridurre il numero di bocciati del 10 per cento rispetto all’attuale livello, pari a 185 mila studenti bocciati l’anno. Una operazione che porterà un risparmio di 3 mila e 600 posti di insegnante e mille di Ata.
Riduzione delle ore di lezione nei Professionali. Si tratta ancora di un intervento sulla dispersione scolastica. E’ proprio nel biennio degli istituti professionali che si registra il maggiore tasso di bocciati. La riduzione da 40 a 36 ore di lezione potrebbe rendere meno pesante gli studi e ridurre gli insuccessi scolastici. Intanto, l’operazione consentirà di tagliare circa 1.200 classi e di conseguenza 2.656 posti per altrettanti professori.
Insegnanti specialisti di Inglese nella scuola primaria. Attualmente circa 12 mila insegnanti (specialisti) insegnano esclusivamente Inglese ai bambini della ex scuola elementare. Il resto delle lezioni di Inglese è svolto dalle stesse maestre (specializzate) che hanno ottenuto la specializzazione durante gli ultimi concorsi a cattedre, ma restano in cattedra tantissime insegnanti curricolari che non possono insegnare la lingua straniera per mancanza di specializzazione. E’ proprio su queste ultime che il ministero punta per tagliare 12 posti in due anni. Basta fare specializzare, attraverso degli appositi corsi di formazione, e allo stesso tempo avere 12 mila maestre da impiegare al posto dei supplenti.
Docenti soprannumerari. La riconversione di 4.617 docenti tecnicamente ’in sovrannumero’, che non insegnano perché senza cattedra ma che vengono pagati lo stesso, consentirà di risparmiare su un equivalente numero di supplenti annuali. Saranno, dopo un periodo di formazione e aggiornamento, utilizzati per coprire posti di sostegno o insegnare altre materie.
I risparmi. In poco più di tre anni, entro il 2010, con tutte le manovre in cantiere conta di risparmiare qualcosa come 4 miliardi e mezzo di euro. Una consistente fetta deriverà anche dalle 150 mila immissioni in ruolo ’promesse’ ai precari. Svecchiare la classe docente attraverso l’assunzione di insegnanti più giovani in luogo di quelli che vanno in pensione determina un risparmio per il fatto che lo Stato pagherà stipendi più bassi.
Le immissioni in ruolo. A questo punto non è detto che in tre anni il ministero della Pubblica istruzione riuscirà a immettere in ruolo 150 mila insegnanti. Il governo per il 2007, 2008 e 2009 ha previsto il pensionamento rispettivamente di 23 mila, 24 mila e 27 mila insegnanti e considerando anche gli attuali 42 mila posti vacanti si arriverebbero 116 mila cattedre, cui occorre togliere le 42 mila che in governo intende tagliare. Per un totale di 74 mila posti disponibili per le immissioni in ruolo. Del resto la concreta possibilità di assumere in tre anni 150 insegnanti, spiega la Finanziaria, è "da verificare annualmente, di intesa col ministero dell’Economia e delle finanze". (16 ottobre 2006)
www.repubblica.it, 16.10.2006
Non si può mortificare così la scuola pubblica
di Titti De Simone *
Ci sono diverse buone ragioni per sottoscrivere l’attuale delusione dei sindacati della scuola circa gli interventi proposti dal governo, e in particolare dagli ambienti del Tesoro, su alcuni articoli della legge Finanziaria che riguardano l’istruzione. Le note dolenti sono tre e su tutte e tre il Prc chiede che ci siano interventi correttivi, che vadano nella direzione di scongiurare ipotesi di ulteriori tagli che comprometterebbero la qualità del sistema pubblico. Un punto per noi inaccettabile.
La prima questione riguarda concretamente gli effetti che potrebbe causare la manovra, attraverso l’innalzamento del numero di alunni per classe con il rischio di una notevole contrazione del numero di cattedre nei prossimi anni. Ovvero meno insegnanti. A questa si aggiunge la proposta di eliminazione delle graduatorie permanenti dal 2010, che seppure non abbia alcuna implicazione sulla spesa, prefigura uno scenario quantomeno poco chiaro di reclutamento, e di certo non sufficientemente delineato con le parti sociali. E ciò anche a fronte del numero di precari storici e sissini che aspetta di essere immesso in ruolo nei prossimi anni, oltre alle tanto attese 150 mila immissioni in ruolo previste finalmente da questa Finanziaria. Le quali fra l’altro copriranno in buona parte il numero di pensionamenti previsto, comportando un risparmio notevole per le casse dello Stato. Un cambiamento delle regole di reclutamento, che in ogni caso non potrà essere retroattivo, anche secondo noi è materia che dovrebbe essere espunta dalla Finanziaria e rimandata ad un confronto più approfondito. Queste due questioni da sole rischiano di trasformarsi in un problema molto serio per tutta l’Unione che ha un forte rapporto con il mondo della scuola, le sue maggiori organizzazioni sindacali, le associazioni, e si è assunta degli impegni precisi nel programma. Non si possono imporre nuovi tagli, non si può dunque intervenire in termini di razionalizzazione tout court, con un piglio ragionieristico che non tiene conto delle reali esigenze improntate sulla qualità del sistema e del diritto allo studio. Penso per esempio al rapporto fra alunni diversamente abili e insegnanti che va nettamente migliorato, nonché alla costituzione dei posti nella scuola dell’infanzia e primaria e delle cattedre della scuola secondaria sulla base delle modalità ancora in atto, e alla funzionalità delle scuole, attraverso la riconduzione all’organico di diritto, ovvero alle reali esigenze. Ciò è ancor più irragionevole a fronte di alcuni emendamenti presentati in queste ultime ore, che tentano di aumentare i finanziamenti alle scuole non statali rispetto alla riduzione prevista dalla Finanziaria.
Oltre a ribadire che questo è per noi inaccettabile abbiamo posto questi punti critici sotto la lente di alcuni emendamenti correttivi che discuteremo a partire da oggi nella commissione competente della Camera e che vanno nella direzione di scongiurare ulteriori tagli agli organici. Inoltre, non mettiamo in secondo piano il tema dell’innalzamento dell’obbligo che vogliamo inquadrare più correttamente nella Finanziaria, sulla base di quanto scritto nel programma.
Riteniamo che questi nodi andranno affrontati in sede politica all’interno dell’Unione, e nel suo rapporto con le parti sociali, così come è avvenuto complessivamente per le politiche economiche e per la parte delle pensioni. Quel che è certo è che la scuola pubblica non può essere mortificata, ci vogliono caso mai più risorse, non meno risorse, e più consenso. Queste modifiche sono per noi una priorità, perché i tagli sarebbero in contrasto con un impianto della legge finanziaria che è anche di sviluppo oltre che di risanamento. Il rilancio della scuola è una priorità per tutta l’Unione come testimoniato dal programma. Un punto strategico. Vorrei ricordare che questo mondo ha contribuito enormemente alla sconfitta elettorale di Berlusconi e della “sua” scuola subalterna all’impresa. I punti avanzati che si sono realizzati al tavolo dell’Unione circa il superamento delle politiche dell’allora ministra Moratti hanno rappresentato un livello alto del rapporto fra questa maggioranza e un pezzo fondamentale di società, che oggi non è disposta a ingoiare giustamente più nulla.
www.liberazione.it, 17 ottobre 2006
Giuseppe De Rita: "Insegnanti ridotti a impiegati così la scuola non ha futuro" di Massimo Franchi *
Da «innamorato», Giuseppe De Rita ne ha studiato l’evoluzione per più di trent’anni. Oggi che la scuola sta riaprendo i battenti del dopo-Moratti, il presidente del Censis indica soprattutto una priorità: riqualificare gli insegnanti, rimotivarli, restituire loro un «ruolo», la vecchia «missione dell’insegnamento».
Professor De Rita, che scuola è quella che riparte in questi giorni?
«Una scuola che da decenni non ha un’idea precisa del rapporto con la società. Una scuola che non ha più attrattiva. A 15 anni molti ragazzi preferiscono andare a fare l’aiuto carpentiere, l’aiuto gelataio. La prospettiva di investire 3 anni di vita e poi di dover studiare fino a 26 anni e non aver la certezza di costruirsi una vita li spinge a questa scelta. In questo senso siamo schizofrenici: o a lavorare a 14, o a studiare fino a 26».
Il punto critico è quindi la scuola secondaria?
«Sì, negli ultimi decenni abbiamo assistito ad uno svuotamento di significato della scuola secondaria che invece fino agli anni ‘60 era la vera ricchezza del nostro paese. La scuola secondaria formava geometri, ragionieri e poi c’erano le scuole professionali, c’erano i corsi post-diploma. Si formava il tessuto intermedio della società italiana, il segreto del nostro sviluppo».
Proprio la Moratti ha cercato di riproporre questo schema con la scuola azienda, la scelta tra scuola e formazione professionale. Alla prova dei fatti non è parsa una grande idea..
«Era una risposta coerente dal punto di vista intellettuale, ma è fallita perché l’idea del liceo tecnologico è una bestemmia in termini: sono due modelli opposti che non possono essere uniti. La società nel frattempo è cambiata. Una certa cultura familiare ha portato al recupero dello studio generalista, filosofico, al ritorno in auge del liceo classico al boom delle facoltà umanistiche».
In questo quadro come ridare attrattiva alla scuola secondaria?
«Bisogna ricollegare la scuola ai bisogni della società. Bisogna creare un biennio professionalizzante, non generico, non umanistico. Poi, per carità, insegnare l’italiano, le lingue è sacrosanto, ma servono tecnici. Il triennio può essere più comune e preparare all’università. Negli ultimi tempi è successo il contrario: le lauree triennali hanno trasformato l’Università in un super-liceo. Più in generale, per cambiare registro bisogna partire dall’alto immettendo competizione in tutti i settori, per trainare il cambiamento bisogna far capire che la formazione è essenziale alla competizione sociale e allo sviluppo del paese».
Il ruolo degli insegnanti in questo senso è fondamentale. E invece negli ultimi anni hanno dovuto fare i conti con un calo degli stipendi e della considerazione sociale e una precarizzazione del loro lavoro.
«Il loro ruolo è stato svilito. C’è un aspetto odioso, ma reale nei fatti: l’impiegatizzazione dei docenti. Ormai fanno parte del pubblico impiego e per questo si pensa che debbano essere pagati come degli impiegati. L’insegnamento era una missione ed era vissuto come tale, come mi ha mostrato mia madre. Quel tempo non può tornare e ora il corpo insegnante è frustrato. Per rilanciare la professione e motivare i docenti bisogna ridisegnare il loro ruolo, la loro funzione. Devono riscoprire il gusto di sapere più degli altri, di essere un punto di riferimento totale per i loro studenti. Per farlo bisogna dare spazio alla valutazione, alla meritocrazia. In questo senso Berlinguer fu coraggioso: dopo di lui non si è più tentato».
La scuola italiana è a livello europeo?
«È 45 anni che leggo raffronti con gli altri paesi su ogni argomento e non ne ho mai tratto insegnamenti. È meglio guardarci dentro e pensare ai nostri problemi. Negli anni ‘70 il modello era la Germania, ma ora non dobbiamo averne».
Intanto le nuove tecnologie stanno creando nuovi analfabeti...
«Io sono uno di questi rispetto ai miei nipoti. Il problema è che i ragazzi apprendono a prescindere dalla scuola, da soli».
Ultimo tema: l’integrazione. Tutti concordano sul fatto che la scuola è lo strumento migliore: lo sfruttiamo bene?
«Nelle scuola primaria l’integrazione è vera ed inevitabile. Il problema è dopo. Quando diventato grandi per i ragazzi immigrati l’integrazione è socio-economica e non socio-politica: nel lavoro fanno quello che noi non vogliamo fare più e allora non ci sono problemi. Il pericolo di un modello inglese lo vedo di più fra gli immigrati che studiano. Se gli italiani che arrivano a 25 anni e non trovano lavoro ormai si arrangiano, nelle stesse condizioni gli immigrati potrebbero diventare un elite contestataria, rabbiosa. Ma per ora è un rischio lontano».
* www.unita.it, Pubblicato il: 14.09.06 Modificato il: 14.09.06 alle ore 13.07
Ricordo che il cosiddetto fenomeno della dispersione scolastica (vedi allegato) non solo "brucia oltre 2 miliardi" ed è "un costo economico inaccettabile" (Padoa Schioppa), ma è soprattutto una catastrofe umana e civile, politica e culturale di tutta la società e della stessa repubblica italiana.
E allora?
«Come diceva Don Milani, la scuola è per tutti. E come non è pensabile un ospedale dedicato ai sani, allo stesso modo non possiamo pensare a una scuola fatta soltanto per i ragazzi senza problemi».
Parola .... di Giuseppe Fioroni, Ministro della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana.
E così sia!!!
Federico La Sala
Il fenomeno riguarda soprattutto le prime 4 classi e coinvolge circa 460mila studenti. Ogni alunno costa 6.518 dollari l’anno contro i 5.595 dei Paesi Ue
La dispersione brucia oltre 2 miliardi
Padoa Schioppa bacchetta la scuola
L’allarme del ministro dell’Economia: "Un costo economico inaccettabile"
di SALVO INTRAVAIA (www.repubblica.it, 06.09.2006).
Ogni anno, quasi uno studente su quattro si perde per strada: lascia gli studi o incappa in una bocciatura. La scuola superiore italiana è inefficiente? Scorrendo i numeri sembrerebbe proprio di sì. Il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, illustrando il Documento di programmazione economica e finanziaria per il periodo 2007/2011 ha sostanzialmente bocciato l’ultimo segmento della scuola pubblica italiana. Secondo il responsabile dell’economia in relazione ai risultati che riesce ad ottenere, la scuola costerebbe troppo: 6.518 dollari per alunno l’anno. Troppi rispetto ai 5.595 della media dei paesi Ue.
Un ruolo fondamentale, più volte richiamato nelle ultime settimane dallo stesso ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni, è giocato dalla cosiddetta dispersione scolastica. Un fenomeno sul quale è necessario fare qualche chiarimento. Nelle statistiche più accurate tra gli alunni ’dispersi’ vengono conteggiati, oltre ai bocciati, coloro che avrebbero dovuto (in base alle norme sull’obbligo scolastico vigenti) iscriversi a scuola e non lo hanno fatto - i cosiddetti ’evasori’ - e coloro che abbandonano le aule scolastiche a metà anno senza dare più notizie di sé (gli abbandoni).
Degli evasori, senza monitoraggi accurati e anagrafe alunni, non è possibile avere un dato certo mentre i secondi, insieme ai ’non promossi’, vengono annualmente censiti dal ministero della Pubblica istruzione.
I dati. Secondo gli ultimi dati disponibili che si riferiscono all’anno scolastico 2004/2005, su circa 2 milioni di studenti delle prime quattro classi la dispersione interessa 460 mila (più del 23 per cento) ragazzi. Quasi 289 mila non ce l’hanno fatta a conquistare la promozione alla classe successiva e 171 mila pur risultando tra i frequentanti non sono mai stati scrutinati dai professori. Tecnicamente viale Trastevere parla di ’interruzioni’ della frequenza che in parecchi casi sono state ’formalizzate’ dagli stessi genitori (che ne hanno dato comunicazione alla scuola), ma in tantissimi casi risultano ’non formalizzate’. Di questi ultimi la scuola non ha più notizia: sono andati a lavorare?
Dei primi si sa che alcuni chiedono il nulla osta per iscriversi nelle scuole private, altri passano alla Formazione professionale o all’Apprendistato. Un numero, quello di coloro che preferiscono passare alla privata, che comunque non arriva a 17 mila unità. I numeri consegnano la maglia nera ancora una volta al Sud. Sono le regioni del Nord-est a fare registrare infatti il tasso più basso (17 per cento) di dispersione, che nelle Isole raggiunge invece il 28 per cento.
I costi della dispersione. La dispersione scolastica costa allo Stato 2 miliardi e mezzo l’anno. Se, per ipotesi, da un giorno all’altro tutti i ragazzi diventassero studiosi e non ci fossero più bocciati o ritirati nel corso dell’anno scolastico, il bilancio dello Stato risparmierebbe proprio questa cifra che ha assunto dimensioni esorbitanti. Ed è lo stesso ministro dell’Economia, Padoa Schioppa, a fornire i dati per calcolare il ’costo economico della dispersione scolastica’.
Il calcolo è stato effettuato per difetto perché non vengono considerati gli studenti pluriripetenti e quelli che abbandonano gli studi al terzo o al quarto anno: per i quali occorrerebbe calcolare il costo sostenuto per più anni. Con interventi mirati sulla dispersione, in quattro anni si potrebbero risparmiare 10 miliardi. Ma, forse, il costo economico non è quello più importante. Occorre tenere conto anche del ’costo sociale’ della dispersione: nelle zone a rischio, i dispersi sono facile preda della microcriminalità, senza contare che allungano la schiera di coloro che restano senza un diploma. (6 settembre 2006)
E CERCHIAMO DI NON favorire il processo gia’ in atto.... di mandare NON SOLO NAPOLI E IL SUD ..... a "GOMORRA", all’INFERNO (Riccardo Saviano)!!! Federico La Sala
I dati del ministero a tre settimane dall’inizio del nuovo anno scolastico
Il tracollo del Mezzogiorno: tra le cause la bassa natalità e l’emigrazione
Scuola, al Sud i conti non tornano in dieci anni persi 240 mila studenti di SALVO INTRAVAIA (www.repubblica.it,
Un gruppo di giovani studenti Scuole più affollate al Nord e banchi sempre più vuoti al Sud. Mancano tre settimane al suono della prima campanella e i numeri sull’anno scolastico 2006/2007 sono praticamente definitivi. Qualche piccolo ritocco è sempre possibile ma gli organici sono ormai fatti, tanto che gli uffici periferici del ministero della Pubblica Istruzione (Centri servizi amministrativi - gli ex provveditorati agli studi - e Uffici scolastici regionali) in questi giorni stanno completando la nomina dei 20 mila nuovi assunti e dei supplenti.
Il trend in atto da qualche anno e anticipato dalle proiezioni ministeriali consegna un’Italia sempre più divisa in due: tutte le regioni del Centro-nord aumentano quella che i tecnici chiamano popolazione scolastica. Tutte le regioni meridionali ’perdono’, sempre come direbbero dirigenti scolastici e insegnanti, alunni. Un fenomeno che, se non avesse pesanti ripercussioni sui posti di lavoro e sulla crescita di un pezzo considerevole del Paese, potrebbe essere considerata una semplice ’dinamica’ da osservare con attenzione. Quasi una curiosità, insomma. Invece no.
I dati relativi agli alunni "in carne e ossa", come vengono burocraticamente definiti, superano addirittura le pur nette previsioni ministeriali dello scorso dicembre. Secondo gli ultimi dati disponibili a pochi giorni dall’avvio del nuovo anno scolastico, che per gli insegnanti si aprirà ufficialmente venerdì primo settembre, fra qualche settimana le scuole statali italiane avranno 7 milioni e 736 mila alunni: 21 mila in più dello scorso anno.
I numeri. Saranno le sei regioni del Settentrione d’Italia, e in parte quelle del Centro, ad accaparrarsi l’intero incremento di popolazione scolastica. E non è tutto. Soprattutto le regioni del Nord rosicchieranno una consistente fetta di alunni a quelle del Sud. Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto dal prossimo settembre potranno contare su 49 mila alunni in più. Le regioni del Centro (Lazio, Marche, Molise e Toscana) dovranno far posto a 10 mila fra bambini, ragazzini e studenti. Le 8 regioni meridionali, invece, si troveranno con 38 mila alunni in meno.
I diversi gradi di scuola. In Italia, nel 2006/2007, ci saranno più bambini nelle scuole dell’Infanzia e nella scuola (la ex materna) e nella primaria (la ex scuola elementare). Si conteranno complessivamente meno ragazzini nella secondaria di secondo grado (la ex scuola media) e più studenti nelle scuole superiori. Ma è sulla materna che occorre puntare l’attenzione. Solo al Nord si registra un incremento, nelle restanti regioni solo decrementi.
Le cause. Alla base di quello che sembra un esodo inarrestabile verso le regioni a Nord della capitale c’è un articolato e complesso insieme di cause. Tre, tuttavia, sembrano ormai certe. La minore natalità delle regioni meridionali contribuisce spopolare le scuole del Sud. E se a questo si somma l’emigrazione delle giovani coppie del Mezzogiorno che cercano lavoro nelle regioni del Nord Est, dove spesso mettono su famiglia, e la maggiore presenza di immigrati tra Lombardia, Veneto e Piemonte, il quadro comincia ad assumere tinte più chiare.
In dieci anni. Basta dare un’occhiata ai dati di qualche anno fa per comprendere l’evoluzione del fenomeno. Nel 1997/1998 le 8 regioni meridionali (Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) contavano un milione di alunni in più rispetto alle 6 regioni del Nord: 3 milioni e 600 mila contro 2 milioni e 600 mila. Oggi, questa differenza, nonostante una crescita in termini complessivi di 137 mila alunni, si è più che dimezzata. In meno di dieci anni, quindi, il Nord ha incrementato scolari e studenti di 300 mila unità, il Mezzogiorno ne ha ’salutati’ 240 mila. In termini di posti di lavoro è come se 24 mila "cattedre" si fossero trasferite da Sud a Nord. Fenomeno confermato dall’alto tasso di insegnanti meridionali che negli ultimi anni hanno trovato posto, e spesso famiglia, proprio al Nord. (18 agosto 2006)
Cenerentola d’Europa
I sindacati della scuola chiedono maggiori risorse
di Michele Simeone (il manifesto, 09.09.2006)
La scuola pubbica è in sofferenza: poche risorse (l’Italia è agli ultimi posti in Europa per spesa rispetto al pil) troppi precari (il 17% del totale del personale) e un contrato scaduto da 9 mesi che non da tranquillità ai lavoratori del comparto. Sui temi del contratto dei dipendenti scolastici e il relativo problema dei precari, i tagli per la prossima finanziaria, il possibile intervento di riduzione della presenza dei maestri di sostegno ieri mattina c’è stata una conferenza stampa unitaria indetta dai tre segretari nazionali: Enrico Panini della Flc-Cgil, Francesco Scrima Cisl-Scuola e Massimo Di Menna di Uil-Scuola.
Le tre federazioni hanno illustrato i dati sull’andamento della scuola italiana elaborati dall’Ocse (Organizzazione per lo sviluppo). I sindacati si sono dichiarati «pronti a promuovere qualsiasi mobilitazione affinchè nella prossima finanziaria non figurino tagli alla scuola». Inoltre, hanno chiesto che il governo «risolva - una volta per tutte - il problema della presenza dei precari negli istituti». Secondo i dati forniti dall’Ocse risulta che il rapporto tra gli investimenti nella scuola e il prodotto interno lordo (pil) è in Italia solo a quota 4,6% rispetto ad una media europea che arriva a quota 5,1%. Questo dato dimostra il profondo divario dei nostri impegni nei confronti dei nostri partner europei, considerando il rapporto tra il totale della spesa pubblica in Italia e quella che quello impiegato nel settore dell’istruzione. Infatti, questa media europea sale all’8,9%, mentre quella italiana è ancora all’7,2%.
«Insensata è qualsiasi possibilità di operare nuovi tagli nella prossima legge finanaziaria per il 2007 ha sostenuto Francesco Scrima, della Cisl-scuola presentando i dati. «Invece di fermare la corsa a questi continui tagli all’istruzione (che si sono succeduti dal 2001 fino ad oggi) si continua su questa strada pericolosa per la nostra intera società». Una dei problemi più impellenti è, inoltre, la firma del contratto per gli impiegati della pubblica istruzioni già scaduto da 9 mesi ed non ancora rinnovato. «Questa sanatoria è urgente ed è necessario realizzarla con la prossima finnaziaria», ha dichiarato Massimo Di Menna della Uil-scuola. Il quale ha anche sostenuto che «qualora nella prossima manovra non ci fossero le risorse per dare agli insegnanti il giusto che aspettano da mesi, costringerà i lavoratori a dover aspettare altri due anni ancora. Una condizione insostenibile». I tre sindacati rivendicano un risarcimendo agli insegnanti, per tutte l’insieme delle nuove responsabilità che si sono dovuti sobbarcare con le varie «riforme» realizate nella scuola.
Che i professori italiani non guadagnano molto è confermato dai dati Ocse che evidenziano un forte divario maggiore tra la realtà italiana e quella dei paesi dell’euro. Ad esempio, le retribuzioni - con i maggiori anni di servizio - passano dalla media Ue di 40 milioni annui ai 34 milioni di quelli italiani. Il problema delle retribuzioni si collega a quello del precariato. Nella scuola i lavoratori con un contratto a tempo determinato sono il 17%, più o meno 200 mila dipendenti. Una situazione che a tuttora agevola solo le casse dello stato mentre va contro i bisogni della scuola e quelli degli stessi lavoratori, che non possono nemmeno programmare il loro futuro. Per tutte e tre i sindacati è urgente sbloccare il turn-over, per arginare la piaga del precariato. «Non bastano i 20 mila assunti recentemente, con accordi stipulati con il passato governo» ha sottolineato il segretario della Cgil-Scuola, Enrico Panini.
«La minaccia della riduzione dei maestri di sostegno è una dimostrazione di mancanza minima di civiltà, e cosa ancor più grave per un governo di centro-sinistra» ha sostenuto Francesco Scrima, della Cisl-scuola. I sindacati si incontrerrano nei prossimi giorni per mettere appunto un piano unitario da presentare al premier, Romano Prodi, all’incontro in programma il 26 settembre .