Socialismo o Barbarie?!

«COMPAGNI, PARLIAMO DEI RAPPORTI DI PRODUZIONE!».La Cina della «via al capitalismo» riscopre i conflitti sociali. Edoarda Masi commenta una preziosa inchiesta di Robert Weil, apparsa sulla rivista «Monthly Review»

sabato 23 settembre 2006.
 

L’ombra lunga del grande timoniere

Rivolte di massa, scioperi operai, critica al governo e denuncia della corruzione. La Cina della «via al capitalismo» riscopre i conflitti sociali. Gli ultimi numeri della rivista «Monthly Review»

di Edoarda Masi (il manifesto, 22.09.2006)

«Compagni, parliamo dei rapporti di produzione!». Con questa frase si conclude un celebre intervento di Bertolt Brecht al congresso degli scrittori antifascisti del 1935 a Parigi, che inaugurò pubblicamente la politica dei fronti popolari, o fronti uniti. Un analogo atteggiamento critico (se pure non di rigetto) nei confronti di quella politica manifestò allora in Cina Lu Xun. Era il tempo duro della «Lunga marcia», e Mao Zedong non era in condizione di intervenire nel dibattito; tuttavia adottò una politica nella sostanza più vicina alle posizioni di Lu Xun e Brecht che a quella ufficiale dei partiti comunisti di allora. In seguito enunciò questo suo orientamento con le parole «non dimenticare mai la lotta di classe» e vi si attenne con coerenza. Credo sia il motivo di fondo per il quale Mao, e quanti non ne rinnegano la memoria, vengono oggi esposti al pubblico disprezzo e all’odio popolare da chi, ben lontano dal dimenticare la lotta fra le classi, si colloca però dall’altro lato del fronte. È opportuno per costoro che nei lavoratori (di ogni tipo e settore e di ogni continente e paese) il concetto stesso della lotta di classe sia cancellato. Non lo comprendono quanti, accecati da pregiudizi dottrinari, dimenticano di riferirsi a quella contraddizione primaria e fanno fede a testi politicamente contrassegnati dall’anticomunismo (o peggio, da risentimenti personali come quello della ex guardia rossa Chang Jung, recensito negativamente dagli studiosi di tutto il mondo) anziché valersi della ricca messe di documentazione e di critica oggi disponibile sulla storia della Cina prima e dopo la morte di Mao Zedong, a cominciare dai materiali sulla rivoluzione culturale pubblicati dall’Università cinese di Hong Kong, dalle opere di William Hinton e dai testi e filmati di Carma Hinton, dalle indagini di tanti studiosi cinesi e non, e anche da quanto ci giunge attraverso le voci della letteratura.

Un’inchiesta preziosa

La Monthly Review negli ultimi tre numeri (vol. 58/2,3,4) sul tema della lotta fra le classi - in Cina, negli Usa, nel mondo - ha messo un accento particolare. Sul numero 58/2, è comparso uno studio sulla Cina prima e dopo gli anni ’80, Conditions of the Working Classes in China firmato da Robert Weil - autore di Red Cat, White Cat - leggibile nel web (www.monthlyreview.org)[*].

L’articolo si basa su una serie di incontri dell’autore e suoi collaboratori con operai, contadini, organizzatori e attivisti di sinistra nell’estate 2004 principalmente a Pechino e dintorni, Zhengzhou e Kaifeng nel Henan (provincia centrale), e nel Jilin (Nord-est). Scopo dell’inchiesta: rilevare gli effetti delle trasformazioni radicali occorse nei tre decenni seguiti alla morte di Mao.

Con il ritorno alla «via capitalistica», le classi lavoratrici si trovano in condizioni sempre più precarie; un’estrema polarizzazione si impone in una delle società già fra le più egualitarie; una corruzione rampante associa le autorità del partito e dello stato ai manager e ai nuovi imprenditori privati. Le classi lavoratrici subiscono uno sfruttamento per oltre mezzo secolo sconosciuto. Fra gli operai intervistati molti appartengono ai milioni di licenziati dalle imprese già di stato, con la perdita di qualsiasi forma di sicurezza sociale di cui già godevano (abitazione, istruzione, salute, pensione). I contadini, con lo scioglimento delle comuni e l’introduzione del sistema di responsabilità familiare (contratto fra singole famiglie e villaggio per l’assegnazione della terra in piccolissime unità: forma di transizione alla proprietà privata della terra, con esclusione però di alcuni vantaggi che la piena proprietà comporterebbe), sono esposti alla vendita, senza compenso adeguato, delle terre loro assegnate (e sulle quali hanno fatto degli investimenti) da parte dei burocrati locali associati a imprese di costruzione di vario tipo. Si è verificato così l’esodo di massa dalle campagne dei contadini impossibilitati a sopravvivere per l’esiguità della terra loro assegnata o da questa del tutto espulsi, e alla ricerca di un lavoro nelle città, soprattutto nel settore edilizio, pagati con salari di fame spesso in nero (giacché il loro trasferimento di residenza è illegale), e sottoposti a trattamenti semi-schiavistici.

Tra rivolta e incidenti di massa

La realtà cinesa non è però segnata da rassegnazione o da una passività operaia. Conflitti e rivolte sono infatti in aumento. Riconosciuti dall’autorità, nel 2004, 74.000 «incidenti di massa, dimostrazioni e rivolte» hanno coinvolto fino a decine di migliaia di persone - tanto da allarmare il governo centrale, in cerca di misure per attenuare la crescente instabilità sociale. Anche le nuove classi medie urbane, che più hanno beneficiato del nuovo regime per quel che concerne un più largo accesso ai beni di consumo e alimentari, si trovano spesso in difficoltà a causa della crescente gerarchizzazione fra le classi e gli alti costi di alcuni beni e servizi - in particolare le spese per l’istruzione (ormai a costi proibitivi la secondaria, gratuita durante il governo di Mao). Siamo all’inizio di un periodo di grave instabilità sociale. Robert Weil riferisce di molti episodi di resistenza operaia alla privatizzazione delle imprese di stato, ai licenziamenti in massa, alla distruzione delle loro stesse condizioni di esistenza: occupazioni di fabbriche, sottrazione delle macchine destinate alla distruzione, solidarietà fra lavoratori delle diverse imprese; attività di volontari per favorire il collegamento e l’organizzazione dei lavoratori, nonostante la dura repressione poliziesca e giudiziaria, e il frequente disinteresse delle autorità locali di fronte ai soprusi. Anche i contadini subiscono da parte delle autorità locali corrotte e della polizia soprusi, che restano però, al confronto, relativamente invisibili, tranne nei casi in cui la scala della rivolta e della repressione sia troppo larga, come quando nel corso di una protesta per la requisizione di terre nel dicembre 2005 a Dongzhou nel Guangdong furono uccise venti persone.

Il carattere peculiare che si rileva nella resistenza dei lavoratori cinesi, sottoposti a una pressione, per quanto estrema, analoga a quella di tanti altri loro compagni nel mondo intero, è il grado molto alto di coscienza di quanto accade. Giacché, osserva Weil, fra i contadini, i migranti, e i lavoratori urbani sono presenti uomini e donne politicizzati, che si sono formati su testi di Marx e Mao e che sono molto avvertiti della differenza tra il capitalismo attuale e il recente passato della Cina, segnato dal tentativo di costruire il socialismo. Questa coscienza oggi non discende più principalmente dai settori intellettuali ma sale dalle stesse classi lavoratrici. Specialmente in alcune zone, come quella intorno a Zhengzhou, ci si vale di una eredità di lotte che risale agli anni Venti, arricchita dallo scontro fra le «due linee» negli anni ’60 e ’70. Nel periodo del «socialismo», e specialmente della rivoluzione culturale, gli operai stavano acquistando un graduale controllo nella gestione della fabbrica, e considerano la fabbrica stessa come un bene che appartiene a loro, come proprietà collettiva che oggi viene illecitamente sottratta. Un operaio di Zhengzhou spiega all’intervistatore che il presente sistema di «capitale burocratico» è fondamentalmente un problema politico, non economico: «in superficie sembra economico, ma in realtà si tratta di una lotta fra socialismo e capitalismo».

Weil, mentre rileva i segni della formazione di una possibile nuova sinistra che porti a collegare i lavoratori, osserva pure che si tratta di una fase embrionale, che vi sono forti differenze fra lavoratori anziani e giovani, e che se il movimento non si svilupperà rapidamente, i lavoratori più giovani, che non hanno memoria del passato, cadranno nella lotta economica per «condizioni migliori» - influenzati anche dallo slogan di Deng Xiaoping: «arricchirsi è glorioso». Un’altra, più grave difficoltà, è la tensione fra operai, contadini, migranti. «Sembrerebbe che il convergere delle condizioni dei lavoratori urbani,dei migranti e dei contadini - e anche di molti appartenenti alla nuova classe media - possa costituire la base per una larga unità di lotta contro quelli che li sfruttano. Ma - scrive Weil - come dovunque nel mondo in condizioni simili, è più facile concepire in teoria che attuare in pratica l’unità delle classi lavoratrici». Difficoltà dovute, continua ancora Weil - non solo ai pregiudizi (per esempio, dei lavoratori urbani nei confronti di contadini e migranti, e viceversa), ma anche a forme effettive di competizione fra la massa di migranti lavoratori di second’ordine e i lavoratori urbani da vecchia data, cui si aggiungono politiche del divide et impera. Infatti, non sono mancati episodi in cui, a reprimere gli operai in lotta, la polizia ha impiegato centinaia di contadini, muniti di elmetto e manganello. Per non parlare degli immigrati a basso salario che vengono assunti al posto di operai licenziati dalla imprese statali: tutto ciò non può non provocare risentimento.

In nome di Mao

Le minoranze che mirano a ravvivare la lotta per il socialismo, e l’unità fra i lavoratori divisi, operano in molti campi: la loro caratteristica è di non essere più, come si è detto, minoranze specificamente intellettuali: al contrario, spesso sono gli studenti che volontariamente ripetono una «discesa al popolo» (oggi osteggiata dalle autorità) per superare i limiti ancora presenti nella loro rivolta nell’89, quando a Tian’anmen non seppero comprendere l’importanza della solidarietà popolare, pur così viva anche allora. La gerarchizzazione della società si accompagna a una estesa proletarizzazione. Dibattiti si svolgono nelle sfere accademiche, e anche in settori del partito, perfino sulla rivoluzione culturale - argomento tabù (al punto di rovinare la carriera di un accademico che osasse trattarne esplicitamente). Il governo del partito-stato ha un troppo preciso orientamento politico per mutare rotta, ma non può non tenere conto della presenza, nel paese, di contraddizioni gravissime, e del fatto che vengono largamente interpretate fruendo del pensiero di Mao, che si sarebbe voluto imbalsamare. Il governo infine ha abolito l’intollerabile tassa sulla terra; e nel marzo 2006 è stato costretto ad accantonare un proprio disegno di legge mirante a restaurare in pieno i diritti della proprietà privata. La legge verrà forse approvata in seguito, ma è evidente il peso che l’opposizione di fatto già ora esercita, e potrà esercitare se riuscirà a svilupparsi.

Un episodio di «lotta culturale»: in un parco di Zhengzhou le sere di festa centinaia di persone, accompagnate da musicisti, si riuniscono per cantare i i vecchi canti rivoluzionari. «Il significato politico di questi canti è mostrare la nostra opposizione al partito comunista - a quello che è diventato - e usare Mao per contestarlo e elevare la coscienza».


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Conditions of the Working Classes in China by Robert Weil

http://www.monthlyreview.org/0606weil.htm


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