A metà fra Cultura e politica

Imperdonabile: Vattimo non è stato interpellato per l’assessorato alla cultura e nemmeno i suoi giovani

Un comportamento che dice tutto: proseguono le logiche spartitorie, nonostante le speranze e le attese. I giovani intellettuali sono sempre più illusi e portati all’emigrazione
lunedì 9 maggio 2005.
 

La cultura serve. Anche la tv, gli sms e le diete. Utili i grassi e le proteine, i carboidrati, gli zuccheri, il pallone, le voci. Ci vuole un po’ di tutto, nella vita, senza eccessi. Bisogna fare il giusto: leggere quanto basta, scrivere una pagina, parlare se è richiesto. Poi, dobbiamo ciecamente affidarci a chi promuove cultura sul posto. Che certamente va bene, sa e riesce. Per la gestione della cosa pubblica, fidiamoci di chi ha lunga esperienza e guarda lontano, magari all’effetto di musica e luce. Così, potremmo armonicamente restare dove già siamo: il che non è poco, oggigiorno. Nel mondo ci sono problemi grossi: guerre, droga, povertà e altri guai. Qui, viviamo tranquilli. Non c’è delinquenza né pericolo. I giovani hanno come passare i loro giorni giovani. Gli anziani ricevono pensioni anziane. In chiesa, la fede si mostra fede. Non ci si può lamentare. Bisogna un tantino migliorare questo affare. Del resto, lo suggeriscono spesso molti pensatori illuminati del posto. Dobbiamo, allora, seguire tali indicazioni preziose. La saggezza conta e non può negarsi. Ciò detto, se qualcuno ha una ricetta di cucina, può suggerirla. L’essenziale è che il piatto da preparare sia molto buono. Ci faremo una bella mangiata tutti. Portiamo del vino di casa: ce ne sono parecchi, da assaggiare e selezionare. E tiriamo così, finché c’è vita. Lasciamo perdere cose complicate: ci inquietano. Però, ammesso un ruolo positivo della cultura, dovrò pur spendere qualche riga, in proposito. Forse, non ne ho troppa voglia. Mentre indebitamente scrivo questo pezzo indecente, indecoroso, indegno e indeciso, indefinito, indebolito dal pensiero di Vattimo, Saverio Alessio mi è accanto. Lavora come un matto su mattoni riguardanti l’edificazione di pagine web, intrecciate e significanti. Penso a un gioco linguistico di Eco, a una frase, cioè, di senso compiuto, che abbia tutte le vocali e consonanti che non si ripetono. «Un plico rade». Può mai essere? L’enunciato ha qualche rapporto col paradosso di Moore. Sta roba l’ho colta sopra un lavoro di sintesi su Wittgenstein. Noi, intendo dire io e Maria Costanza, l’ancora caporedattore della Voce, avevamo proposto alla Provincia di Cosenza uno spettacolo con disabili, sulla follia del Novecento, dal caso di Wittgenstein al progetto T4 avviato presso lo Steinhoff. L’ente intermedio, già nel mentre presieduto da Mario Oliverio, non ci ha mai risposto: troppo congestionato da pratiche impraticabili o praticamente prioritarie. Abbiamo ottenuto l’alto patrocinio del presidente della Repubblica, Ciampi. Evidentemente, è valso a niente: Regione, Provincia e Comunità montana hanno taciuto. Frijo, il nostro assessore ilare e benevolo, era sempre irraggiungibile, impegnato, indaffarato, incerto sulle sorti dell’esecutivo a Spezzano, cautamente e diplomaticamente dissociato. Il classico esempio di silenzio dissenso, ci è parso d’intendere. A queste cose, però, siamo abituati: il nostro Comune non ha mai corrisposto la magra cifra di trecento euro, a titolo di rimborso, all’attore Roberto Visconti, venuto il 7 agosto 2003 per una lettura scenica dietro l’abbazia. Qui, s’approfitta e non si riconosce mai un bel tubo. Come continua a capitare a Saverio Alessio. Nessuno dei nostri vati e maestri, politici o intellettuali, sa che lo scarno personaggio è popolarissimo sulla rete. E non perché mostra donne nude o scene esplicite. Ma, dalle nostre parti, come dire, Internet è una faccenda che non importa: troppo moderna, settentrionale. Magari, da una sbirciatina su www.emigrati.it, si ricevono contenuti inattesi e ci si rivolta per un’emigrazione perpetua, illogica, insana e ingiusta che ha completamente impoverito la città di Gioacchino. Confrontarsi coi saggi che lì albergano, una mole impressionante, è forse noioso e leva l’appetito (quale?). Il punto è che l’intellettuale autentico, salvo eccezioni, è alla fame, a San Giovanni in Fiore. Non trova spazio né credito. C’è un monopolio, rispetto alla cultura, che sicuramente non è altrove. È una situazione ignobile, questa. Nessuno dice, denuncia, protesta, nel merito. Intanto, eloquente segnale politico, s’è pensato bene di non coinvolgere Gianni Vattimo, che è il maggiore filosofo italiano e forse del globo, nell’esecutivo comunale. In effetti, ne aveva combinate, in campagna elettorale, arrivando perfino a simpatizzare per Barile, candidato sindaco della destra. Quindi, coerentemente, proporgli l’assessorato alla cultura sarebbe stato contraddittorio. Vattimo è percepito come avversario: non è assoggettabile né controllabile. Nemmeno s’è pensato a qualcuno della lista del filosofo, a Domenico Barberio, ad esempio, figura di larghe vedute, che da anni svolge intensa attività culturale con un’importante associazione di Gubbio. I giovani di Vattimo sono rompiscatole: troppo dotti, per tanti, e da additare, quindi, come presuntuosi. Questi ragazzi hanno fatto una campagna elettorale in proprio, evitando legami coi partiti e presentando un programma, a tutto tondo, di cultura, diritti e servizi. Si poteva chiedere a Marco Militerno, a Vincent Zaffino, trentasettenne con esperienza nel teatro classico, che fece l’Adelchi giusto a San Giovanni in Fiore, dove ancora si rappresenta esclusivamente l’universo domestico in vernacolo. E ce n’erano, nel gruppo, di buoni assessori alla cultura: organizzatori, insospettabili profondi scrittori, donne, artisti. Però, triste a scriversi, se non ti vendi, non sei nessuno, qui. Se fai il medico o l’avvocato, ancora ti salutano con enfasi insincera e ti ossequiano perché potresti servire. Proprio una bella commedia, sommato tutto. A che cosa serve studiare tanto, impegnarsi nel sociale, spendersi e spendere per la crescita culturale, se, poi, non c’è seguito, la gente se ne impipa e la politica ostacola, proibisce, deruba e promette a vuoto di trattenere i giovani intellettuali? Questa domanda dovrebbe scuoterci e spingerci a una riflessione onesta. Attualmente, non si fa proprio nulla per consentire a giovani intellettuali di impiegare le loro conoscenze e competenze per lo sviluppo di San Giovanni in Fiore, la città muta dello scomodo e rivoluzionario Gioacchino. Piuttosto che riempirsi la bocca di belle parole, i vecchi farisei del posto dovrebbero, almeno per una volta, esprimere una posizione obiettiva ed essere realmente operativi. Ai privilegi, però, non si rinuncia mai.

Emiliano Morrone

nichilismopuro@libero.it


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