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CALABRIA: LOCRIDE. Le serre della Valle del Bonamico, il centro giovanile intitolato a padre Puglisi, le cooperative del consorzio Goel finanziato dal Progetto Policoro, i negozi a Roccella Jonica. Una grande rete di iniziative solidali ... Intervista al vescovo di Locri, Bregantini.

"Da noi si dice che se Napoli cammina, avanza tutto il Sud"
venerdì 3 novembre 2006.
 
[...] Oggi sui mercato italiani e tedeschi si mangiano frutti di bosco freschi da Pasqua a Natale. Vengono da un’area compresa tra i comuni di San Luca, Platì, Africo e Bovalino: terra di mafia, potente, soffocante, (siamo a quota 30 omicidi dal 2005, ieri la diocesi invitava a pregare per le giovani vittime di mafia). Qui gli attori principali sono da una parte la Chiesa e la società civile che lottano per la libertà e i diritti di cittadinanza acquisiti in tutt’Italia. Dall’altra la ’ndrangheta, alleata con la massoneria deviata [...]

VIAGGIO NELLA SPERANZA

Le serre che rinascono nella Valle del Bonamico, il centro giovanile intitolato a padre Puglisi, le cooperative del consorzio Goel finanziato dal Progetto Policoro, i negozi di abiti usati a Roccella Jonica. Una grande rete di piccole iniziative solidali che scuotono le coscienze offrendo opportunità di lavoro

Locride, semi gettati per spezzare l’assedio delle cosche

Scuola e artigianato, commercio e sport. Così si rigenera il tessuto sociale di un territorio difficile

dal Nostro Inviato A Locri Paolo Lambruschi (Avvenire, 03.11.2006)

Fa più rumore un albero che cade di cento che crescono. Ma nella Locride oggi fanno rumore i piccoli frutti della cooperativa della Valle del Bonamico, promossa dalla diocesi, ricresciuti sotto le serre dopo l’avvelenamento mafioso dello scorso marzo. Dopo gli attentati sono arrivati da tutta Italia, da una rete spontanea, i fondi per ricostruire le coltivazioni bruciate, un quinto del totale: 100 mila euro circa dalla solidarietà di privati (diocesi, parrocchie, associazioni, cittadini) e altri 150 mila dalle Banche di credito cooperativo. L’idea venne dieci anni fa al vescovo di Locri-Gerace, Giancarlo Bregantini: impiantare una coltivazione di lamponi, ribes e more in questa piana a pochi passi dal mare e dall’Aspromonte.

Oggi sui mercato italiani e tedeschi si mangiano frutti di bosco freschi da Pasqua a Natale. Vengono da un’area compresa tra i comuni di San Luca, Platì, Africo e Bovalino: terra di mafia, potente, soffocante, (siamo a quota 30 omicidi dal 2005, ieri la diocesi invitava a pregare per le giovani vittime di mafia). Qui gli attori principali sono da una parte la Chiesa e la società civile che lottano per la libertà e i diritti di cittadinanza acquisiti in tutt’Italia. Dall’altra la ’ndrangheta, alleata con la massoneria deviata.

Il rumore delle piantine ha attirato circa 500 famiglie della zona, molte delle quali hanno congiunti in carcere o sono ex detenuti per reati di mafia. E tante donne, le mamme impiegate nella raccolta dei piccoli frutti. «Se si potesse lavorare per altri mesi lo farebbero volentieri - spiega l’agronomo Giuseppe Albanese - cercano un’alternativa».

Fa rumore anche il filo, neppure troppo sottile, che lega la Locride a Brancaccio, quartiere palermitano di mafia dei primi anni ’90. A poche centinaia di metri dalle serre, che danno lavoro a persone a rischio, ha aperto infatti da un paio d’anni il Centro di aggregazione giovanile "Padre Puglisi" di Bosco Sant’Ippolito, dove si sono spostate le famiglie più giovani, provenien ti sia dalla costa ionica di Bovalino come dai borghi collinari del primo Aspromonte, San Luca e Africo. Don Puglisi, il parroco ucciso dai sicari della mafia nel settembre ’93, aveva aperto un centro come questo per educare i minori. Lo dirigeva suor Carolina, che quattro anni fa è venuta ad aiutare il vescovo Bregantini.

Ancora donne protagoniste di un’antimafia fatta di resistenza quotidiana all’illegalità. Con lei ci sono due consorelle di una nuova fraternità. il "Buon Samaritano" e cinque animatrici. Il vescovo le ha mandate dai ragazzi dei paesi ad alta densità mafiosa, all’80% famiglie di "soldati" e clan delle ’ndrine. Posti come San Luca, che si annunciano sulla statale con cartelli sforacchiati da proiettili che nessuno si prende la briga di sostituire. «Non c’è neppure un giardino pubblico, un cinema. Solo la strada e solo per maschi, però, le femmine dopo la scuola non devono farsi vedere in giro», spiega Suor Carolina. Il centro è una sfida, lo frequentano una trentina di adolescenti di Bosco e San Luca. Sta al pianterreno di una palazzina marrone a due piani. Entri in una sala ricreativa, poi c’è una piccola palestra e una sala informatica. Finanziato dalla Cei con i fondi dell’otto per mille, consente ai ragazzi di svolgere liberamente attività ludiche pomeridiane. Suor Carolina ha realizzato anche un campo di calcetto tra gli ulivi. L’hanno pulito i ragazzi stessi.

Al piano di sopra, la filiale della scuola media di Bovalino. Muri sporchi e spogli, banchi scrostati. Fa a pugni con il decoro del centro. «Il campo lo possono usare per le lezioni di educazione fisica - spiega suor Carolina - ma quando mi hanno chiesto in prestito i palloni mi sono rifiutata. Una scuola statale non deve ridursi così».

Un angolo ospita i lavoretti di artigianato dei ragazzi, venduti in altre parrocchie d’Italia gemellate con il centro per autofinanziarsi. «L’obiettivo è accompagnarli a una vita normale, - spiega Silvia, che sta terminando il noviziato - dove no n si chiede per favore quel che spetta di diritto. Se manca lo Stato, devi rivolgerti alla mafia per avere sicurezza, occupazione. Il nemico da sconfiggere è la rassegnazione».

Da tre anni le cooperative della diocesi hanno dato vita al consorzio Goel, finanziato dal progetto Policoro, gemellato con la Caritas Ambrosiana e membro del consorzio nazionale di cooperative Cgm. Scambi continui per crescere, oggi occupa, compresi gli stagionali, 800 persone. C’è la storica bottega solidale, la prima a proporre prodotti tipici locali, la prima on line. Altre cooperative sociali impiegano gli ultimi accanto a fior di laureati che ritornano a casa rinunciando alla carriera in aziende del nord

«La motivazione e la rete sono le nostre armi- spiega il presidente Vincenzo Linarello- ma non basta creare occupazione, da qualche mese in tutta la Calabria abbiamo dato vita alle comunità di liberazione. Un network che aiuta i soggetti minacciati dalla criminalità a non restare isolati". E se la ’ndrangheta investe gli immani, luridi profitti del narcotraffico in attività immobiliari, finanziarie e commerciali in tutta la Calabria e nel nord Italia, questa lotta di liberazione dal basso ha appena salutato due attività commerciali significative a Roccella Jonica. Ancora donne, madri di famiglia, che hanno dato vita alla cooperativa "Felici da matti", settore abbigliamento e tessile, socio di Goel.

«Apparteniamo a un gruppo di preghiera di Rinnovamento nello Spirito - spiega la presidente Maria Teresa Nesci, 42 anni un passato da promotore finanziario - e lì è nata l’esigenza di fondare un’impresa sociale. A febbraio è partita la cooperativa, con due negozi di abiti usati, una novità per il territorio, che vanno bene. Però non siamo ancora autosufficienti, facciamo sacrifici». Altro ramo è il pezzame ecologico. «Acquistiamo abiti usati inservibili da un grossista e li tagliamo per farne pezze per pulire i macchinari. Finora abbiamo commesse dai cantieri navali di Gioia Tauro e dalle ferrovie regionali». In aprile Teresa era sul punto di mollare. Aveva promesso al marito che avrebbe portato a casa uno stipendio entro fine mese. «Il 20 è arrivata un’offerta da parte di due svizzeri evangelici. Così ho proseguito». Dietro la sua determinazione c’è una fede salda. Il negozio, unico in città, chiude infatti il mercoledì. Per lasciare spazio alla preghiera.

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Bregantini

"Troppe lodi e pochi fatti. Noi ci aiutiamo, ma lo Stato aiuti noi"

Il vescovo un anno fa scomunicò i mafiosi che avevano distrutto le serre della cooperativa promossa dalla diocesi. «Ma da quei fatti nacque una catena di solidarietà sorprendente» Le istituzioni? «Dimostrino coerenza»

Dal Nostro Inviato A Locri Paolo Lambruschi (Avvenire, 03.11.2006)

Il 4 novembre 2005 si tenne a Locri la grande manifestazione di solidarietà contro la mafia. Fu il culmine di due settimane di mobilitazione che seguirono l’omicidio di Francesco Fortugno, quando nacque il movimento spontaneo antimafia dei ragazzi di Locri. Un anno dopo, dodici mesi segnati anche dai sabotaggi alle serre della Valle del Bonamico, cooperativa promossa dalla diocesi e dalla grande catena di solidarietà che l’attentato provocò, il vescovo di Locri Giancarlo Bregantini, che all’epoca scomunicò i mafiosi nemici del lavoro e della vita, traccia un bilancio.

«Dall’attentato alle serre, un fatto piccolo in sé, si è innestata una grande catena di solidarietà da ogni parte d’Italia. Una cosa sorprendente. Se non mancano i segnali di male, quelli positivi sono più grandi di quanto crediamo. Abbiamo avuto visite di centinaia di persone che ci aiutano a leggere noi stessi e che, nei dialoghi, ci hanno insegnato almeno tre cose».

Quali?

Il bene è progressivo. Come dice il Vangelo, si semina un granello di senapa che poi si diffonde. Non va mai letto in termini quantitativi, ma qualitativi. Abbiamo imparato a guardare ai germogli da accompagnare e far crescere. Secondo, la speranza nasce dentro la prova, non dalla soluzione dei problemi, ed è la tematica che la Chiesa del Sud ha portato al convegno ecclesiale a Verona. Terzo, una critica: le nostre iniziative di bene sono ancora troppo frammentate, non siamo collegati in maniera efficace con obiettivi unitari che possano incidere sulla realtà sociale e culturale.

Cosa è cambiato nella Locride un anno dopo la grande mobilitazione? Ci saremmo aspettati frutti più maturi, i semi piantati germogliano più lentamente perché il terreno è aspro. In che senso?

C’è stato il movimento dei ragazzi di Locri e quello dei sindaci della Locride: la gente ci ha creduto, aveva fiducia. E poi arrivano i tagli alle ferrovie. Così, per raggiungere Bari ci mettiamo nove ore, i collegamenti con il Nord sono diminuiti, siamo sempre più isolati dal resto d’Italia. E le scuole medie delle periferie restano degradate, la sanità pubblica è quella che è, la burocrazia resta opprimente. Insomma, c’è stata una grande facilità a lodarci e una vacuità delle iniziative concrete per migliorare la vita quotidiana. È decisivo perché la gente crede nei ragazzi di Locri ma, se poi le cose non migliorano, perde fiducia. Noi dobbiamo tenere alta la fiamma della speranza, ma anche le istituzioni dello Stato devono dimostrarsi coerenti.

Nella Locride si vede che, dove ci sono tanti problemi, vi sono anche forti esperienze di fede e preghiera...

Ho imparato dall’esperienza dei laici impegnati con noi che Dio fa miracoli ovunque se in lui si crede e ci si affida. Poi si sta rafforzando la rete degli eremi, quattro in tutta la diocesi, oltre a un convento di clausura di Carmelitane scalze a Gerace. Qui vorremmo recuperare il grande convento dei Cappuccini del 1500, uno dei primi in Italia, abbandonato 40 anni fa dai frati.

Il nemico, quel connubio soffocante tra mafia e massoneria deviata che opprime la vostra terra, è sempre potente. Come si alimenta la speranza della comunità cristiana della Locride?

Le esperienze spirituali non rimangono isolate, ma si innestano su un tessuto economico e sociale. Insomma, è la teoria della casa a cinque piani: al pianterreno c’è quello spirituale, poi quello etico, la coerenza, quindi quello culturale, con il rispetto della tradizione estetico artistica, poi quello politico e infine quello economico. Non esiste speranza se i piani non si intrecciano. Non si può fondare una cooperativa senza etica o tantomeno cultura o spiritualità. Questo è il messaggio che lentamente, con tanta fatica e anche insuccessi, si sta diffondendo. A fronte della forza del male, che ci chiama a vigilare, noi abbiamo la forza della preghiera.

Cosa pensa dell’emergenza di Napoli?

Ci riguarda tantissimo. Da noi si dice che se Napoli cammina, avanza tutto il Sud. Siamo vicini al cardinale, ai preti coraggiosi, alle realtà sociali che l’anno scorso ci aiutarono. Sarebbe meglio che non arrivasse l’esercito. Ci stupiscono le battute volgari e scomposte della Lega, così si alimenta solo il razzismo e l’egoismo tra i più giovani.


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